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Autore: PerseoeAndromeda    16/11/2013    5 recensioni
“Hanami: una tradizione legata alla primavera, quando i fiori di sakura colorano gli alberi e le strade e danzano nel vento, simili a fiocchi di neve rosata”.
Hyoga ascoltava le parole lette dal compagno, gratificato più dalla morbida dolcezza della voce che interessato al contenuto.
[Fanfic partecipante al contest: Le città del mondo]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Phoenix Ikki
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Triangolo
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Nick autore: PerseoeAndromeda
Fandom: Saint Seiya
Pacchetti scelti: Tokyo – verde- pesce rosso
Rating: giallo
Avvertimenti: riferimenti shonen ai
Genere: sentimentale, slice of life, introspettivo
Personaggio/i: Ikki, Shun, Hyoga
Eventuali coppie: Triangolo


TRA I FIORI IL CILIEGIO,
TRA GLI UOMINI IL GUERRIERO”


“Hanami: una tradizione legata alla primavera, quando i fiori di sakura colorano gli alberi e le strade e danzano nel vento, simili a fiocchi di neve rosata”.
Hyoga ascoltava le parole lette dal compagno, gratificato più dalla morbida dolcezza della voce che interessato al contenuto. Non che non gli sembrasse affascinante tutto quel discorso sui fiori di ciliegio che trasformavano l'aspetto e l'essenza dei paesaggi giapponesi, ma il suono di quella voce, così avvolgente, gentile, lo distraeva da tutto, non poteva farci nulla.
“Non avete mai avuto possibilità di vedere l'hanami con i vostri occhi, vero?”
I due ragazzi si voltarono verso la ragazza che era appena entrata nella stanza e si alzarono, mostrando un palese rispetto; lei fece cenno ad entrambi di rilassarsi.
“Non sono necessarie cose del genere, tra noi”.
Li guardò con una tenerezza che non provò neanche a dissimulare.
Stava per parlare ancora quando un altro ragazzo li raggiunse e si appoggiò al muro, l'atteggiamento che rasentava la strafottenza.
“Non credo che Mitsumasa kido si sentisse in dovere di portarci a fare gitarelle per i parchi di Tokyo quando, da piccoli, eravamo prigionieri in questa gabbia dorata”.
Il ragazzo che, fino a pochi attimi prima, stava leggendo al compagno dalle pagine di una rivista, si erse con espressione sconvolta:
“Niisan!”
Il nuovo arrivato ridacchiò, cinico, il mento ripiegato sul petto:
“Avanti, Shun, dovresti sapere che la nostra dea non si sconvolge più per le mie irrispettose... verità”.
La ragazza, giovanissima erede dei Kido, nonché reincarnazione umana della dea Athena, sospirò e si sforzò di mantenersi serena:
“Già”.
Sapeva che da Ikki, sacro guerriero della Fenice, non avrebbe mai potuto ottenere atteggiamenti più affettuosi e non osava pretenderli.
D'altronde, la sua fedeltà non era da mettere in discussione, e questo lo sapeva altrettanto bene. Così si era rassegnata da tempo ad accettare il suo carattere scostante, senza contare che Ikki aveva molte ragioni dalla sua parte; da piccoli, i ragazzi erano davvero prigionieri nella villa, poi erano stati spediti ad addestrarsi negli angoli più remoti della terra e solo da poco, i sopravvissuti ad un'infanzia e ad un'adolescenza infernali, erano potuti tornare in Giappone, nulla di più normale che non fossero mai realmente entrati in contatto con le tradizioni del loro paese.
“Mi dispiace, Saori-san” mormorò ancora Shun e Ikki prevenne nuovamente le parole della dea con uno sbuffo:
“Maledizione, Shun, non vedo la ragione per la quale tu debba scusarti al posto mio!”
Shun distolse lo sguardo ed arrossì, mentre Ikki ignorò, o finse di ignorare, l'occhiata rovente rivoltagli da Hyoga.
Fu Athena a non ignorarla, come non ignorò il disagio di Shun, troppo predisposto a subire l'atmosfera quando si faceva tesa, così tentò di riportare la conversazione ad uno stato di leggerezza:
“Questa volta non dovete perdervi l'hanami. Girare per Tokyo in questi giorni di primavera dona serenità e pace interiore, persino il caos della metropoli sembra assorbito dalla danza ciliegi, tutto è come attutito, immerso in un'atmosfera di magia, i parchi poi...”.
Fu interrotta dallo sbuffo di Ikki e persino per lei fu un po' troppo: poteva capire che, a causa del suo carattere, il santo di Phoenix fosse poco propenso alla poesia, ma l'hanami era una cosa sacra, e anche un cuore solo apparentemente duro come quello di Ikki avrebbe potuto trarne giovamento.


***


Così Ikki, Hyoga e Shun uscirono da Villa Kido in una mattina di primavera, per trascorrere la giornata a Tokyo. Nessun altro dei compagni che, come loro, abitavano in quella maestosa dimora, per un motivo o per l'altro, aveva potuto accompagnarli, così Ikki e Hyoga si trovarono costretti ad una forzata convivenza per far contento Shun, la persona che, per entrambi, contava più di ogni altro al mondo.
Non che loro due non si volessero bene, si trattava di problemi di compatibilità mai risolti e, tutti lo sapevano, per quanto loro due faticassero ad ammetterlo, di gelosia per colui intorno al quale la loro attenzione ruotava costantemente.
Ikki, le mani in tasca, procedeva in fondo alla fila e faticava a distogliere lo sguardo dalla figurina estasiata di Shun, che già godeva un assaggio di fioritura nel contemplare i ciliegi del parco dei Kido. Il santo della Fenice seguì la direzione dei suoi occhi e si trovò a fissare, con seriosità, un fiorellino di sakura che, dall'alto, scendeva roteando, come una ballerina in tutù.
Fermò i propri passi e tese una mano, lasciando che il fiore trovasse riposo sul suo palmo e un angolò delle sue labbra si inclinò, impercettibilmente, verso l'alto. Saori-san non aveva torto nel sostenere che, in fondo, a lui piacevano i fiori, ma non era un tasto che si poteva sfiorare facilmente, per questo, davanti alla dea, si era sentito punto sul vivo. I fiori erano legati a ricordi amari, ad un dramma che si sarebbe portato nell'anima in eterno; i fiori, per lui, avevano un nome: Esmeralda.
Esmeralda, fiore di Death Queen Island, cresciuto nel dolore per venire poi estirpato con una crudeltà inaudita.
Non si era reso conto di avere indugiato a lungo, l'accenno di sorriso nuovamente scomparso sotto agli occhi cupi che fissavano quel piccolo fiore... un piccolo fiore bianco e rosa, proprio come lei.
“Niisan!”
Tornò di colpo alla realtà e vide gli altri, parecchi passi più avanti, ad attenderlo.
Fu Shun a parlare ancora:
“Tutto bene?”
Hyoga, dal canto suo, appariva del tutto disinteressato.
“Arrivo, tranquillo che non mi perdo, Otooto!”
L'ironia era sempre l'autodifesa che privilegiava, ma poi fece qualcosa di cui non si sarebbe mai ritenuto capace: camminò fino a raggiungere i compagni, sollevò la mano e posò il piccolo fiore, delicatamente, tra i capelli del fratellino.
Shun e Hyoga lo fissarono entrambi, gli occhi sgranati e la bocca aperta il primo, corrucciato e labbra strette il secondo.
Ikki ridacchiò, mentre contemplava il ragazzo con quell'ornamento floreale, non aveva voluto prenderlo in giro con il proprio gesto, l'intento era serissimo e anche adesso, con quella risatina, voleva dire che trovava quella visione deliziosa, ma non era mai stato esperto sul lato sentimentale.
Un fiore bianco e rosa... come Esmeralda e come la creatura che aveva davanti e che tanto le somigliava. Quantevolte, nei momenti più terribili a Death Queen, Esmeralda gli era apparsa, come una visione che portava a lui il fratello lontano?
“Allora, andiamo?” tagliò corto Hyoga.
Bastava conoscerlo un poco per comprendere che quella scena l'aveva seccato e desiderava solo porvi fine.
Ikki non era certo il tipo che si faceva impressionare dalle sue provocazioni, rispolverò la sua espressione più sardonica, il ghigno che mostrava, da un lato, i denti e sentenziò, riprendendo a camminare davanti a tutti:
“Ai tuoi ordini, Cigno!”
Era già parecchio avanti quando Hyoga accompagnò la propria occhiataccia con una smorfia di disappunto, ma poi incontrò il volto preoccupato di Shun e trattenne ogni altra manifestazione negativa, scoprendosi anzi a sorridere di fronte a quella visione, al fiore che ancora indugiava tra i suoi capelli.
Dopotutto, Ikki non aveva torto, ma in qualche modo, vedere Shun così, adorabile, disarmante, mentre ancora si interrogava su cosa fosse preso al fratello maggiore, senza tuttavia accennare a togliersi quel fiore, era ancora più doloroso per il santo del Cigno.
Esisteva una parte di lui che non ce la faceva a perdonare Ikki, per quelle prolungate assenze che tanto avevano fatto soffrire Shun, una parte di lui che, inoltre, avrebbe desiderato che neanche Shun lo perdonasse, ma la metteva a tacere, perché una persona incapace di perdonare, non sarebbe stata più Shun... così come non sarebbe stato più Shun senza amare Ikki, faceva parte in tal modo della loro reciproca natura essere completi solo amando l'altro e Hyoga non poteva farci niente, non avrebbe mai potuto cambiarlo. Aveva un che di paradossale, ma cambiare Shun, avrebbe significato perderlo, ancor di più di quanto lo perdeva adesso.
Si era preso cura di Shun nelle assenze di Ikki, lo aveva promesso anche a Phoenix, lo avrebbe fatto comunque anche spontaneamente, lo avrebbe rifatto altre mille volte, pur nella consapevolezza che avrebbe dovuto mettersi da parte ad ogni ritorno di quel fratello che a volte sembrava tenere più alla propria solitudine che agli affetti. Aveva ingoiato rabbia e gelosia, zittito con ferocia quella parte di lui che la considerava una situazione ingiusta, si era ripetuto più volte che il tempo avrebbe reso tutto più facile.
E invece era accaduto il contrario, non era diminuita l'accettazione, ma era peggiorata, giorno dopo giorno, la tristezza che quelle condizioni gli provocavano.
Si morse le labbra mentre varcavano la soglia del cancello; non poteva impedire a se stesso di sentirsi espropriato di qualcosa che era diventato troppo importante e, al contempo, era dispiaciuto per Shun. Il santo di Andromeda non era ingenuo al punto di non accorfersi di quella tensione e faceva del suo meglio per non alimentarla, Hyoga lo conosceva abbastanza bene da capire cosa frullasse in quella testolina che pensava troppo: si sentiva responsabile e desiderava solo l'armonia tra tutti i suoi fratelli.
Si sentiva colpevole, povero ragazzo, mentre sua unica colpa era quella di amare troppo tutti... ma, al tempo stesso, di non saper mascherare la sua totale dedizione ad Ikki.




***


Era strano, per tutti e tre, salire su un treno metropolitano, girare per Tokyo come persone normali, mischiarsi nella folla e nell'ordinata confusione di quella città alla quale, in realtà, non si erano mai davvero abituati. Non avevano mai smesso di sentirsi uomini, ragazzi di un altro mondo, di un'altra epoca, di un'altra dimensione e il fatto di trovarsi nel bel mezzo dell'ora di punta non li aiutava certo a sentirsi a proprio agio.
Schiacciati nella calca della carrozza ricolma, ciascuno di loro reagiva secondo la propria indole. Shun si guardava intorno, con la medesima espressione di un bambino curioso e un po' intimorito, Ikki, era evidente, tratteneva a stento un Hoyoku Tensho che fremeva per sfuggire alle dita tese e Hyoga tentava di concentrarsi su Shun, su quanto risultasse grazioso anche in un momento come quello, per resistere all'impulso di dare man forte ad Ikki al prossimo sterminio di massa.
Quando, ad una fermata, Ikki venne spintonato involontariamente da alcuni ragazzi che si erano accorti solo all'ultimo momento di essere arrivati a destinazione, il giovane non poté più trattenere un ringhio e sbottò, in maniera non troppo silenziosa:
“Perché lo stiamo facendo, chi ce lo sta facendo fare, me lo spiegate?”
Hyoga levò gli occhi al cielo, non sapeva spiegarsi se l'aria saccente che aveva assunto fosse voluta o meno:
“Lo stiamo facendo per goderci bellissimi paesaggi e per assaporare i colori della primavera”.
In realtà non era neanche in grado di dire se fosse ironico o tremendamente serio.
“Mancano cinque stazioni a Ueno”.
Come riusciva, Shun, a prevenire ogni volta le esplosioni di Ikki dribblando abilmente il discorso e conducendolo verso altre mete? Tanta pazienza, di sicuro e una buona dose di prontezza mentale.
“Praticamente l'eternità” borbottò Ikki.
“Non esagerare, Niisan” lo rimproverò bonariamente Shun, ma con la solità umiltà da cucciolo adorante nello sguardo.
“Cosa vuoi che siano cinque stazioni di Tokyo, per te che riesci ad addormentarti in un vulcano attivo?”
Hyoga non aveva resistito, la battuta era uscita spontanea e che non intendesse esprimere un complimento era sottolineato dall'inequivocabile tono ironico della frase. Ottenne in cambio una gomitata decisa di Shun, accompagnata dalla sua osservazione gioiosa:
“Quando arriviamo, facciamo anche una passeggiata all'Ameyacho, così compriamo qualcosa da mangiare al parco!”
“Facciamo l'hanami anche noi?” ridacchiò Hyoga, divertito da quell'entusiasmo, felice di vederlo così gioioso e nuovamente ammirato per la sua abilità diplomatica che salvava i suoi due litigiosi compagni da ogni rischio di battibecco.
“Sempre se troveremo un buco di parco per sederci”.
Il disfattismo di Ikki non aveva confronto e Hyoga si morse le labbra per trattenere una rispostaccia.
Nonostante i timori, il tempo passò velocemente e, all'improvviso, la vocetta di Shun sentenziò:
“La prossima!”
I due ragazzi più grandi furono attraversati da un comune pensiero, una volta tanto: se Shun non fosse stato con loro, probabilmente avrebbero finito per perdersi, troppo intenti a sentirsi a disagio e fuori luogo e presi dalla reciproca ostilità.
Mentre la vettura cominciava a frenare, Hyoga si guardò intorno, dubbioso:
“Dovremo sgomitare, per scendere?”
“Non ho nessun problema a farlo” rispose Ikki e il ghigno che si dipinse sul suo volto non rassicurò affatto i due compagni.
“Certo, giusto perché non ti piace attirare l'attenzione su di te”.
Ikki fu sul punto di rispondere a tono all'ennesima provocazione, quando le porte del treno si aprirono e i tre ragazzi si trovarono letteralmente catapultati fuori dalla folla che scendeva.
Non appena ebbero messo piede a terra, ancora spaesati, a chiedersi cosa fosse accaduto, rimasero immobili per qualche istante, giusto il tempo sufficiente a rendersi conto che erano d'intralcio alle fila composte di gente. Tutti sembravano seguire corsie prestabilite, dalle quali non era concesso sgarrare.
Si spostarono verso un angolo e tentarono di razionalizzare quel mondo incomprensibile che li circondava.
“Sono uomini o manichini?” mugugnò Ikki, che non poteva concepire quell'ordine quasi asettico.
“Preferiresti un caos disorganizzato?” commentò Hyoga.
Shun bloccò di nuovo sul nascere ogni possibile battibecco:
“Cerchiamo di capire come si arriva al mercato!”
Si infilò tra la folla, allarmando i due compagni che temettero di perderlo... o, più probabilmente, di perdersi; così gli furono subito dietro e lo videro fermarsi, dopo pochi passi, estremamente divertito:
“Questi passaggi sono fatti per persone molto piccole!”
In effetti, per accedere alla zona principale della stazione, era necessario oltrepassare delle arcate che solo dei bambini o dei nani sarebbero riusciti ad attraversare a testa alta.
“E poi gli anormali saremmo noi!” ringhiò Ikki, “c'è qualcosa di comprensibile nel mondo... dei normali?”
Ringhiò ancora ed imprecò, perché non riuscì ad abbassarsi abbastanza da preservare del tutto la sua testa. I compagni lo attendevano già dall'altra parte; Hyoga non trattenne un accenno di risatina, anche se doveva ammettere che, in quel momento, poteva capire la perplessità di Ikki... persino Shun, che tendeva ad accettare tutto con naturalezza, sembrava capirla.
Il resto della stazione appariva più convenzionale, anzi, persino imponente, con quei soffitti alti, le superfici vaste e tutti quei colori, quella confusione che preannunciava, in parte, ciò che avrebbero trovato fuori. L'hanami si respirava già lì, tra le mura della stazione.
“Ci sono sakura ovunque” commentò Hyoga guardandosi intorno. Non intendeva i ciliegi veri e propri che li attendevano fuori, ma decorazioni, rami finti, disegni, gadget, tutto era...
“Dannatamente bianco e rosa” mugugnò Ikki.
Infilò le mani in tasca, avrebbe sopportato pazientemente, dato che Shun correva da una parte all'altra, entusiasmandosi per ogni minima cosa, trovando tutto o molto carino o comunque adorabilmente buffo.
Quando lo vide estasiarsi di fronte al pupazzo di un panda che teneva tra le zampe un mochi, dietro una vetrina, fu colto da un impeto di malinconia; quelle erano le manifestazioni che mettevano in evidenza come a Shun, né a nessuno di loro, era mai stato concesso di essere bambini... e a Shun era mancato troppo.
Una mano di Hyoga si levò verso un cartello con la scritta Ameyayokocho.
“Per fortuna sanno essere chiari quando vogliono”.
Appena misero piede in strada, Ikki dovette osservare, con disappunto, che la metro era stata un assaggio e che l'intera popolazione di Tokyo sembrava aver deciso di riversarsi in quel quartiere, proprio per rendere la vita difficile a lui, a quanto pareva.
Hyoga gli diede una gomitata, fin troppo amichevole e comprensiva rispetto al suo solito:
“Dai, facciamoci coraggio e tuffiamoci”.
Camminarono solo pochi minuti quando l'entrata del mercato a cielo aperto di Ameyayokocho si stagliò di fronte a loro; sotto l'insegna transitavano masse interminabili di gente, chi in una direzione, chi nell'altra. Ikki si passò una mano sulla fronte e, ormai rassegnato, fece strada ai compagni:
“Su, andiamo a procurarci le cibarie, prima facciamo e prima ne usciamo”.


***


Sperando di fare in fretta, Ikki non aveva fatto i conti con l'entusiasmo e la curiosità dei due fratelli; infatti, persino Hyoga si stava lasciando trascinare dall'impeto esplorativo di Shun e lo seguiva da una bancarella all'altra, da un negozietto di chincaglierie all'altro.
Nonostante tutto, qualcosa nella disposizione d'animo di Ikki mutò; c'era qualcosa in quel posto che rendeva euforici, qualcosa che sapeva essere intrigante e un poco magico. Gli odori dei ristoranti, dei frutti esposti sulle bancarelle, l'aria di festa, i musicisti di strada con le loro variegate melodie, le grida dei venditori che decantavano le loro merci, a tratti intercalate dal passaggio di un treno sulla ferrovia sovrastante il mercato, tutto questo finì per cancellare la noia persino dallo spirito di Ikki. Anche lui sollevava gli occhi verso i treni, si fermava ad ascoltare una canzone, si lasciava attrarre dalle curiose bancarelle, allargava le narici alle essenze fruttate e ai deliziosi profumi dei locali.
Non ci aveva ancora riflettuto fino a quel momento, ma quella era l'esplosione vitale per la quale avevano combattuto, ciò che avevano, da sempre difeso e ora, dopo tanti anni, anche a loro era, finalmente, concesso di goderne, di provare a capirla. Fare parte della vita, dei giorni che scorrevano, della gioia, dell'attesa e dei preparativi per una prossima festa, una festa così semplice come la contemplazione dei fiori in boccio, semplice eppure contenente in sé l'essenza di tutto, la comprensione totale, il senso della vita.
Poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, tra un punto di vendita e l'altro, così, in mezzo a negozi e bancarelle, spuntò un tempio, come sorto da quell'impeto di vita. Piccolo, raccolto, discreto, completamente integrato nell'ambiente, eppure era un richiamo ad un istante di raccoglimento, di contemplazione universale, un invito a lasciare, anche solo per qualche minuto, la quotidianità per tuffarsi nella riflessione interiore, immergersi in se stessi e poi ripartire, pronti a proseguire la propria giornata.
Nessuno dei tre si lasciò sfuggire quell'occasione, non ebbero bisogno di parlarsi, di comune accordo salirono le scale e lì rimasero qualche minuto, in silenzio, ciascuno con le proprie preghiere, i propri ringraziamenti... e anche i propri tormenti da confidare all'universo. Quando ridiscesero nella strada, sorridevano, ma nei loro occhi, ad osservarli attentamente, era possibile leggere una liquida malinconia.
Si immersero di nuovo tra colori, odori e voci, soffermandosi ad osservare ogni piccola cosa; persino Ikki, a quel punto, si era arreso all'entusiasmo dei due compagni, soprattutto a quei rari momenti di gioia pura del suo piccolo Shun. Era così gratificante, per lui, poterlo vedere una volta tanto così, che si trovò a partecipare, a commentare lui stesso ad alta voce, persino a ridere in alcuni frangenti, ignaro delle occhiate quasi di sfida che Hyoga gli lanciava.
In fin dei conti Hyoga, pur avendo accettato il ruolo di Ikki nella vita di Shun, riteneva che condividere i momenti gioiosi di Andromeda fosse ormai prerogativa sua, almeno quello Ikki doveva lasciarglielo, così lottava per non incupirsi troppo in quella giornata che rischiava di diventare, per lui, parecchio dolorosa.
“Sarà meglio cominciare a pensare cosa procurarci per pranzo” intervenne ad un certo punto, più bruscamente di quanto avrebbe voluto, a distrarli in un momento in cui i due fratelli ridevano insieme davanti ad alcuni dolcetti a forma di panda.
Così varcarono la soglia di uno dei tanti mini market e si diedero da fare tra scaffali di onigiri, verdura e soba già pronte, dolci e bevande.
“E adesso al parco!” trillò la voce di Shun che, a malincuore, si era rassegnato a vedersi togliere dalle mani entrambi i sacchetti della spesa dai due fratelli maggiori.
“Dobbiamo tornare verso la stazione e da lì proseguire in direzione opposta a questa!” annunciò e, con troppa fretta, si immerse nella folla, lasciando i due compagni del tutto impreparati.
“Shun, aspetta!” cercò di richiamarlo Ikki.
Hyoga non poté evitare di sollevare gli occhi al cielo:
“Stai tranquillo, che non si perde, non siamo in battaglia”.
Toccato dall'osservazione, Ikki fu tuttavia prontissimo a rispondere:
“Lo so bene che non si perde, lo richiamavo perché non possiamo lasciare indietro te, chissà dove andresti a finire!”
Il santo del Cigno lo fulminò con un'occhiata, quindi lo oltrepassò, sdegnato e si mise sulle tracce di Shun, a testa alta, naso sollevato verso l'alto. Ikki ghignò prima di seguirlo con tutta calma, gli faceva quasi tenerezza con quell'espressione piccata.
Non riuscirono subito a raggiungere Shun, ogni volta che cercavano di farsi largo tra la gente, la folla si richiudeva su di loro, simile ad ondate d'acqua impossibili da separare; lo trovarono ad attenderli alla fine del mercato, paziente, con quel naso un po' all'insù perennemente sollevato ad osservare qualcosa che catturava la sua attenzione.
“Non si sente minimamente a disagio” osservò Hyoga, un po' tra sé, un po' parlando con Ikki, il quale si limitò a stringersi nelle spalle, come a dire che la cosa non lo stupiva. Quella giornata aveva fatto emergere, dal cuore del fratellino, tutto il desiderio di vivere che aveva dentro da sempre.
Tra un vagare e l'altro dei suoi occhi spalancati e attenti, Shun si accorse finalmente di loro e, da lontano, sollevò una mano in segno di saluto, il volto ridente, illuminato dal sole. Entrambi i ragazzi furono attraversati da un pensiero comune: tutta la luce di quel momento splendente emanava da lui, che spiccava tra la folla come un bagliore nella notte.
Ovviamente non si confidarono riguardo a quel pensiero e rimasero ignari dell'accordo che avevano trovato contemplando Shun.




***


Furono i loro occhi, per primi, a capire che al parco mancavano pochi passi; i ciliegi si annunciarono a distanza con le loro chiome folte, tinte di rosa ed agitate dal vento che le guidava in una straniante melodia.
Man mano che si avvicinavano, i ragazzi, sempre di più, si fecero consapevoli dello spettacolo straordinario che si offriva davanti ai loro sguardi rapiti, un angolo di incanto tra i grattacieli che svettavano a distanza.
La magia continuò quando varcarono la soglia del parco, il senso di armonia che scese in loro permise a tutti e tre di estraniarsi dalla folla, anche lì fitta, ma, in qualche modo, forse per un rispetto e quella medesima armonia che tutti condividevano, si rivelò più silenziosa e discreta.
Ikki respirò a pieni polmoni l'aria pura che lo avvolse, quindi propose:
“Che ne dite se mangiassimo, prima di esplorare? Così non dovremo portarci dietro i sacchetti!”
Hyoga sfidò la sorte, prima che la riflessione sopraggiungesse a metterlo in guardia:
“I sacchetti sono troppo pesanti per te, Fenice?”
Non erano così lontani i tempi in cui, per una cosa del genere, Hyoga avrebbe rischiato la vita; invece Ikki si limitò a rivolgergli un'occhiata di fuoco, per poi mettersi a sbirciare nel suo sacchetto:
“Solo fame, Cigno, solo fame”.
Hyoga lo guardò a propria volta, scettico, ma il compagno era ormai maggiormente interessato a cercare un poso dove sedersi.
Esclusero il prato poco distante, invaso, in ogni piccolo frammento, da folle di persone e dai loro teli colorati distesi sotto agli a alberi in fiore, così optarono per una panchina poco distante dall'entrata.
Shun fu il primo a sedersi ed i due due compagni si mossero, con l'intento di mettersi al suo fianco, ma evitarono per miracolo una colluttazione e conseguente caduta addosso ad un perplesso Andromeda.
Ikki e Hyoga si fulminarono con gli occhi, poi Hyoga approfittò del piccolo spostamento di Shun per andarsi a sistemare al fianco opposto, senza profferire parola.
“Il parco di Ueno raccoglie al suo interno frammenti di storia importantissimi per il Giappone” osservò Shun, infilando una cannuccia in un succo di frutta, ritenendo propizio, per l'ennesima volta, portare il discorso su terreni neutrali.
Ikki lo guardò con curiosità ed una sottile ironia:
“Ti sei documentato come se dovessimo partecipare ad una gita scolastica?”
Il ragazzo più piccolo arrossì ed abbassò lo sguardo sulla bevanda che rigirava tra le dita:
“E' che... siamo giapponesi, eppure del Giappone sappiamo così poco... allora, ho pensato di cominciare a leggere e ad informarmi, ma ci sono così tante cose, storie affascinanti da sapere... troppo, di sicuro, ma qualcosa sto imparando”.
Hyoga lo osservò con ammirazione, Ikki con dubbio e scetticismo; non che disapprovasse a prescindere, era semplicemente la propensione con cui affrontava ogni questione della vita.
Dopo aver sfasciato con cura un onigiri, Hyoga indicò un punto poco distante:
“Quella statua è molto bella”.
“Rappresenta Saigo Takemori con il suo cane” asserì ancora Shun, seguendo la direzione del suo dito con gli occhi.
“E chi sarebbe costui?” borbottò Ikki, divorando il suo onigiri in due soli bocconi.
Shun gli diede una gomitata:
“Non farti sentire, Niisan, si presuppone che un giapponese dovrebbe conoscerlo, è uno degli eroi nazionali”.
Mentre Ikki sbuffava, sollevando gli occhi al cielo, Hyoga corrugò le sopracciglia:
“Veramente, neanche io lo conosco”.
Era visibilmente contrariato, perché non poteva mostrarsi più preparato rispetto ad Ikki.
Shun sorrise con indulgenza e sollevò il volto, come in cerca di ispirazione:
“Saigo Takemori è anche noto come l'ultimo samurai; nel 1868, con la marcia su Kyoto, ha dato un contributo fondamentale alla restaurazione del potere imperiale. Nello stesso anno, proprio qui a Ueno venne sedata l'ultima rivolta in favore dello shogunato e Takemori fu il comandante in capo delle tuppe imperiali. Per questo, proprio qui, si erge la sua statua...”.
A quel punto, i suoi occhi si chiusero e lo sguardo, incupito, corse verso il basso:
“L'inizio dell'era Meiji è segnata da questo fatto sanguinario. Lo stesso imperatore volle trasformare questa zona in parco...”.
Rabbrividì.
“Questo luogo meraviglioso, sorge sul sangue sparso di molti esseri viventi... forse, lo stesso sangue che ogni primavera tinge i petali dei ciliegi...”.
Calarono, su tutti e tre, alcuni istanti di silenzio, durante i quali non giunse alle loro orecchie nemmeno il vocio dei visitatori del parco; solo alcuni sbuffi di vento sembrarono portare, fino a loro, i richiami di spiriti antichi che su quel terreno, tra quei rami fruscianti, mantenevano la loro dimora.
Shun si alzò, camminò fino alla statua di e levò gli occhi verso il volto bonario e grassottello di Saigo.
“Eppure, mi trasmette una tale impressione di nobiltà e gentilezza” mormorò, gli occhi che si inumidivano.
“Shun...” lo richiamò, alle sue spalle, la voce di Ikki.
Nello stesso momento, una mano di Hyoga si posò sulla sua spalla.
“Il corso della storia è fatto di eventi e lotte che hanno lasciato il loro segno e non è sempre possibile capire; noi stessi abbiamo preso parte a fatti che condizionano il cammino del mondo...”.
Ikki lanciò a Hyoga un'occhiata che conteneva una rara approvazione.
“La differenza è che noi non verremo ricordati nei libri di storia” soggiunse.
Shun si voltò verso di loro, le mani intrecciate dietro la schiena e di nuovo sorridente sotto gli occhi lucidi:
“Ma non importa! Resteremo nella memoria della Terra, lei sa cosa abbiamo fatto per lei!”
Hyoga ricambiò il suo sorriso, Ikki allungò una mano ad arruffargli i capelli sulla nuca, poi riportò lo sguardo sulla statua:
“E così, Saigo-sama è l'ultimo samurai... perché ultimo?”
Shun si fece serio serio; l'aria da professorino che assunse, mentre si preparava a riprendere la propria lezione, strappò un nuovo sorriso ad entrambi i fratelli.
“Pochi anni dopo, sulla scia delle grandi riforme che volevano aprire il Giappone all'Occidente, la classe dei samurai venne abolita. Takamori non accettò mai questo cambiamento e continuò ad opporsi. Scoppiò un conflitto che terminò in un massacro dei pochi samurai assediati con lui sulla collina di Shiroyama e decisi a non arrendersi, pur consci di non avere speranze; il corpo di Saigo Takamori fu trovato senza vita e con la testa mozzata, segno che aveva commesso seppuku”.
Man mano che Shun parlava, gli occhi di Ikki, fissi sul monumento, andavano riempiendosi di rispetto.
“Dev'essere stato un periodo molto duro per il Giappone” commentò Hyoga, la mano che si attardava sulla spalla di Shun.
Ikki infilò le mani in tascia e tornò sui propri passi:
“Dai, finiamo di mangiare”.
Sembrava strano tornare a qualcosa che, a quel punto, appariva persino futile, così continuarono il pranzo in un silenzio quasi assoluto, contemplando i ciliegi che danzavano tra le affettuose carezze del vento.
Infine, raccolsero i resti del loro pasto per gettarli negli appositi contenitori.
Ikki mise le mani sulla schiena e si tese, per sgranchirsi:
“Ora che si fa?”
“Andiamo a vedere il tempio?”
Quel giorno, era più difficile del solito negare qualcosa a Shun, un po' perché i due ragazzi più grandi gareggiavano allo scopo di accontentarlo, un po' perché l'entusiasmo del più giovane era tale da non lasciare ai compagni il tempo di esprimere un parere.
Anche questa volta, partì in direzione della nuova meta prima che gli altri se ne rendessero conto.


Shun si fermò, incantato, davanti alla breve scalinata per osservare dal basso la struttura templare che spiccava, con il suo rosso vivo, tra gli alberi e sotto al cielo.
Anche Ikki e Hyoga erano incantati, ma il fulcro della loro attenzione era quel ragazzo, immobile, ai piedi del tempio, i lunghi capelli di bronzo dorato agitati dal vento che guidò intorno a lui un vortice di petali, mentre il ciliegio dai rami a cascata che si ergeva accanto, intonava una melodia surreale e struggente.
Dopo un po', Shun si voltò verso di loro e sorrise, riacquistando in un attimo tutta la tenera umanità che, poco prima, si era trasfigurata in una visione eterea.
“E' molto bello questo tempio” osservò Hyoga, colto da un impeto di emozione dovuto a quei momenti che sembravano dominati da un'antica magia.
“E' il Kiyomizu Kannon-do e risale al diciassettesimo secolo; si tratta di uno dei pochi edifici rimasti in piedi durante la battagli di cui vi ho parlato prima. Il modello di riferimento, nell'erigerlo, fu il il complesso del Kiyomizudera di Kyoto...”.
Gli rispose un prolungato silenzio, interrotto dallo scatto di una mano di Ikki che andò a catturare la sua testa, per attirarla contro il proprio petto, dove l'altra mano gli scompigliò vivacemente la folta capigliatura:
“Ma quanto sei secchione, fratellino!”
Mentre Shun si lamentava bonariamente, sottoposto a quel trattamento, risuonò l'osservazione sorniona di Hyoga:
“Ti piacerebbe avere la sua testa, tu non sapresti memorizzare neanche un haiku”.
Dalle labbra di Ikki si levò un poderoso ruggito:
“Questa me la paghi, Cigno!”
Con il pugno alzato, si lanciò all'inseguimento e Hyoga pensò bene di darsela a gambe, fece un ampio giro, quindi corse in direzione di Shun, si rifugiò alle sue spalle e, da lì, rivolse a Phoenix una plateale linguaccia.
Un secondo ringhio di Ikki annunciò un nuovo attacco, ma Shun, un po' stralunato di fronte a quella scena decisamente bizzarra per due tipi come i suoi fratelli, lo guardò con aria supplice:
“Dai, Niisan, calmati...”.
Se c'era una parola che per Ikki significava legge, ancor più di quella di Athena, era quella di Shun; ogni sua intromissione era sufficiente a spegnere gli incendi che, tanto spesso, divampavano in lui.
Così alzò gli occhi al cielo, incrociò le braccia sul petto e si avviò lungo la scalinata:
“Andiamo a ritrovare la pace dei sensi”.
Shun e Hyoga si scambiarono un'occhiata.
“Lui soprattutto dovrebbe trovarla” bisbigliò il santo del Cigno.
Shun gli diede una gomitata e lo ammonì con uno sguardo, prima di seguire Ikki e Hyoga rimase qualche istante immobile a guardare la sua schiena che si allontanava.
Avrebbe voluto chiedere a Shun perché, in simili frangenti, risultassero così diversi i modi in cui li guardava, ma avrebbe finito per sentirsi immaturo e patetico.
Sospirò e si decise a mettere il piene sul primo scalino.




***


Le orecchie dei tre ragazzi vennero accarezzate dal suono dell'acqua corrente che si levava dalla fonte purificatrice; il getto sgorgava dalle fauci di un elegante dragone, la cui figura comunicava saggezza e pace.
Gli occhi di Shun brillarono:
“Sembra di guardare Shiryu!”
Approfittando del fatto che in quel momento la gente non si stava accalcando troppo, girò intorno alla fonte, per osservarne, da ogni angolazione, i fini dettagli scolpiti; se ci si soffermava a fissarlo, escludendo il resto del mondo, dava l'impressione di prendere vita. Shun si sentiva osservato da lui, gli occhi, orbite profonde di pace, erano un invito a lasciarsi avvolgere e trascinare, senza paura, fin nelle più profonde oscurità di se stessi.
Il giovane deglutì, scosso da un brivido: quegli occhi, probabilmente, sapevano quali ombre si celassero in lui e desideravano infondere luce nel suo animo tormentato.
A testa china, tentando di svuotare il più possibile lo spirito, chiuse le dita intorno ad uno degli hishaku posto accanto alla fonte, con il quale attinse alla cascatella che si riversava nella vasca e, con lentezza, per assorbire dentro di sé il senso profondo di ogni movimento, compì il rituale del temizu, seppus consapevole che l'impurità sarebbe stata cacciata per poco: le cicatrici dentro di lui erano troppo dolorose e profonde.
Ogni cosa, intorno, si annullò; esistevano solo lui, il drago e la luce che prendeva il posto dell'oscurità, laddove il ragazzo aveva permesso al vuoto di entrare dentro di sé. Gli serviva la purificazione per accostarsi, successivamente, all'altare con animo rinnovato e il cuore pronto a ricevere ciò che quell'antico rituale aveva da dargli.
Si posizionò davanti al contenitore delle offerte e, dopo aver frugato in una tascia, lasciò cadere dentro una moneta, mantenendo intatto il raccoglimento in se stesso; suonò il gong e si immerse nella preghiera, totalmente ignaro delle due paia di occhi che, ora, lo osservavano con malinconia.
Sia Ikki che Hyoga sapevano con assoluta certezza che il loro fratellino non compiva i vari rituali per formalità; nel suo atteggiamento, nella dolcezza languida dei suoi gesti, era contenuto l'assoluto bisogno di sentirsi libero... dai ricordi, dalle paure, dagli incubi.
Per questo rimasero alle sue spalle, silenziosi e discrei, ma presenti, come a volerlo proteggere nel suo percorso mistico, in rispettosa attesa che il sacro guerriero di Andromeda tornasse alla realtà contingente.
E avevano occhi solo per lui, la sua preghiera silenziosa giungeva fino a loro, sui petali di sakura sollevati nella loro danza gentile. Shun appariva piccolo, con il viso abbassato sulle mani giunte e così raccolto in se stesso, ma al contempo, da quella figura delicata, emanava una solennità che portava a sentirsi ancor più minuscoli di lui.
Fu impossibile stabilire quanto tempo passasse dall'inizio della preghiera al suo termine, lo scorrere del tempo aveva perso il proprio significato, dissolto nella pace di quella figura e nel canto dei ciliegi.
Quando tornò da loro, Shun aveva sul viso l'espressione più dolce cui quei lineamenti graziosi sapevano dare vita.
“Tutto bene?” gli chiese, serio, Hyoga e solo a quel punto, Andromeda parve riscuotersi dal rapimento che gli era rimasto addosso.
Gli rivolse un sorriso e rispose:
“Posti come questo, sanno far ritrovare la pace, solo nei luoghi di culto dedicati alla nostra dea, in Grecia, riesco a provare qualcosa di simile”.
Hyoga avrebbe voluto poter dire lo stesso, interiorizzare il medesimo sentimento di pace, ma man mano che la giornata proseguiva, il suo cuore andava adombrandosi sempre più; guardare Shun, stargli vicino, assaporare la sua tenerezza... e sapere che non sarebbe stato suo...
Non come avrebbe voluto, in realtà, perché Shun apparteneva al mondo, alla terra ed alla vita con la quale sapeva stabilire un'empatia miracolosa.
Ma appartenere a qualcuno, con l'anima e anche con il corpo... Hyoga sapeva che non a lui era concesso un tale privilegio. Credeva di essere rassegnato da tempo, ma ancora, quando lo vide abbandonarsi contro Ikki che gli avvolse le spalle in un abbraccio, quando vide lo sguardo che si scambiarono, il suo cuore ebbe un battito doloroso e si sentì, una volta di più, tagliato fuori da qualcosa di sacro come quel tempio che accoglieva con comprensione la loro fragile umanità.
Ikki e Shun scesero le scale, avvinti l'uno all'altro e Hyoga si tenne, volontariamente, qualche passo indietro, lo sguardo che fuggiva da quell'abbraccio, immergendosi nel volo dei petali e nell'ondeggiare dei rami fluenti tutto intorno a loro.
 
   
 
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