Lei sopravvive
«
Dai, Gabriel! No, il tridente non va lanciato così... dove
sono i
tuoi muscoli, ometto!? Ti fai battere dal tuo vecchio?! »
I
riccioli biondi e scompigliati di suo marito Finnick brillavano al
sole, come se fossero stati intarsiati di lamine d'oro per renderli
ancora più preziosi di quanto già non fossero al
tocco delle sue
mani femminee e delicate. E poi, in alto, verso il Sole che
riscaldava le pelli perennemente ambrate degli abitanti del Distretto
4, si librarono due risate che tanto profondamente Annie amava:
quella bassa e vibrante di suo marito e quella più fine e
trillante
di suo figlio. Del loro figlio.
Gabriel – così
l'avevano chiamato – aveva cinque anni e già
Finnick si divertiva
a portarlo in barca con sé, gli insegnava a pescare e gli
mostrava
come rammendare le reti.
Annie stava in disparte, all'ombra
di una tettoia che fungeva da riparo per la pioggia, o dal Sole
troppo forte; teneva le mani sul pancione e gli occhi verdissimi,
color del mare come anche quelli dei restanti membri della famiglia
Odair, fissi sui suoi due uomini.
Padre e figlio erano intenti ad
esercitarsi con dei tridenti di legno, la stessa arma (anche se
ovviamente di metallo) che Finnick aveva utilizzato per sfuggire a
quei disgustosi ibridi che quasi gli avevano dilaniato le carni in
quelle luride fogne.
Al ricordo di quegli episodi che suo marito
aveva preferito solamente accennarle, la giovane donna si
portò le
mani alle orecchie, chiudendosi sull'ingombrante pancia –
chiaro
segnale di un nuovo bambino in arrivo - e serrando le palpebre; no,
non era cambiato: gli Hunger Games l'avevano resa più forte
fisicamente, ma mentalmente niente sarebbe riuscita a ristabilirla.
«
Mamma! Mamma, guarda! » L'allegro, magro e abbronzatissimo
bambino
dagli occhi color smeraldo e i capelli castani della madre e ricci
del padre, corse scalzo verso Annie, strappandola a quegli incubi che
il suo cervello produceva; Gabriel, con un sorrisone sdentato che
quasi gli sfiorava le orecchie e il piccolo petto gonfio d'orgoglio,
fece ciondolare un pesce ancora guizzante e gocciolante davanti al
volto delicato della madre, che gli regalò un breve battito
di mani,
come se nulla fosse successo fino a un respiro prima.
La mano
grande a callosa di Finnick fu rapida a portarsi sulla spalla magra
di Annie, sottolineando ancora un'ennesima volta che sempre
sarebbe stato al suo fianco.
E la donna, per ringraziare entrambi
di essere parte della sua famiglia, sorrise ampiamente al bambino,
ancora trepidante davanti a lei.
« Sei stato bravissimo, piccolo!
Mi pare che sia ancora più grande di quello che ho cucinato
ieri a
pranzo, o sbaglio? » Gabriel, con le labbra genuinamente e
puramente
spalancate come solamente l'espressione di un bambino può
essere,
prima lanciò un eloquente sguardo di insita sfida al padre,
ancora
in piedi dietro Annie, a vigilare la sua mente, e poi tornò
a
sorridere alla madre.
« Sì! L'ho preso col tridente di papà!
E
l'ho pescato tutto da solo! » Annuì energicamente,
lasciando cadere
il pesce ormai asfissiato sulla sabbia e portandosi poi i piccoli
pugnetti dalle nocche sbucciate ai fianchi magri, assumendo una posa
che la giovane aveva visto fin troppe volte prendere al marito, che
adesso fissava malignamente il proprio figlio, gli occhi ridotti a
due fessure indagatrici.
« Quel pesce l'ho preso io, tu l'hai
solo tirato fuori dall'acqua! » Ovviamente Finnick stava
giocando,
divertendosi a prendere in giro il bambino che adesso gonfiava le
guance con espressione offesa, ancora più impettito.
« Non è
vero! Mamma, l'ho preso io, papà è un bugiardo.
» Sillabò
quell'ultima frase,
facendo
di proposito il saputello ed osservando il viso abbronzato e luminoso
del padre col nasetto lentigginoso rivolto all'insù.
Finnick si
accovacciò alle spalle di Annie, che osservava con
espressione
intenerita quella scenetta domestica e familiare che davvero la
faceva sentire bene e a casa.
Il marito le lasciò un bacio sotto
l'orecchio, senza tuttavia staccare lo sguardo dispettoso da quello
del bambino.
« Mamma, vero che Gabriel adesso resterà un nano
per sempre, dato che ha mentito? » Pungolò il
bambino, premurandosi
comunque di posare una mano sulla pancia dura e tonda di sua moglie
che custodiva un nuovo arrivato.
Quel terremoto umano nel corpo
di un cinquenne, spalancò gli occhioni già
grandissimi di per sé,
in un evidente espressione oltraggiata.
« MAMMA! » Insisté
Gabriel, arrivando addirittura a battere un piede sulla sabbia con
stizza e scaturendo una risata da parte del padre, che nascose il
viso nella nicchia che formava l'attaccatura tra collo e spalla di
Annie.
La donna decise di porre fine a quel gioco, dato che
conosceva bene suo figlio e sapeva che era davvero molto permaloso.
Anche Finnick lo era, in realtà, ma non era permesso
dirglielo,
altrimenti finiva per imbronciarsi.
« Allora, calmi tutti. »
Cominciò Annie, mantenendo comunque quel sorriso dolce e
vagamente
divertito. Intrecciò la mano a quella del marito, che ancora
era
appoggiata sul pancione, poi fece cenno al bambino di raggiungere i
genitori.
« Finnick, Gabriel non rimarrà nano per sempre.
Anzi,
quando sarà grande sarà molto più alto
di te! » Enfatizzò quel
molto, provocando
una sonora
e palesemente soddisfatta risata al figlio, che si era seduto a gambe
incrociate a fianco della madre.
Finnick le borbottò qualcosa di
evidentemente contrariato tra i capelli, prima di rivolgere una
linguaccia al piccoletto, ancora gongolante per quella notizia e per
quell'appoggio trovato nella madre.
« E siccome tuo padre ha
detto una bugia... quale è la giusta punizione? »
Interpellò
Gabriel con uno sguardo serio, di modo da sottolineare l'importanza
di quella decisione.
Finnick immediatamente boccheggiò, facendo
per protestare: « Ma sono stato bravissimo! »
« No, non è vero
per niente! Il pesce l'ho preso io, ecco! » Si
lamentò il bambino,
fissando il padre fintamente scandalizzato da quella nuova proposta
da parte della sua stessa moglie.
Gli occhi verdissimi di quel
giovane uomo si posarono sul profilo di Annie, prima di darle un
giocoso colpetto col naso sulla tempia.
« Annie! » La pungolò,
tutto contrariato.
Lei rise, felice. Serena. La sua mente
lavorava elaborando ciò che vedeva, e non ciò che
ricordava di un
capitolo ormai chiuso della sua vita. Non sarebbe più
tornato.
No.
« Finnick, lascia decidere tuo figlio, su! »
Un
mugugno indistinto venne emesso dalla gola del marito, chiaramente
contrariato, che appoggiò poi il mento sulla spalla magra
della
moglie, con uno sbuffo eloquente.
« Ecco, ho trovato la
punizione! » Balzò in piedi il bambino, col
sorrisone giocosamente
maligno di nuovo dipinto sul volto, in una chiara illuminazione.
«
Dicci. » Gli concesse Annie, allungando una mano per
passargliela
tra gli spettinatissimi riccioli castani. Gabriel scosse il capo,
nella tipica reazione che aveva quando cercavano di renderlo un po'
meno scalmanato, almeno nell'aspetto.
Finnick intanto continuava a
osservare torvamente la scena, seminascosto dietro la moglie.
Tuttavia le ampie e calde mani erano ancora posate sulla pancia, a
voler proteggere Annie ed il bambino che di lì a poco
sarebbe stato
messo al mondo.
« Dovremo farci sbranare dagli ibridi tutti
quanti! »
Il gracchiare dei gabbiani venne risucchiato, lo
sciabordio delle onde cessò, facendo precipitare Annie
nell'assenza
di suoni più totale.
Poi tutto riprese: il respiro accelerò,
mentre le mani callose che fino a quel momento avevano protetto il
loro nuovo bambino vennero strappate brutalmente da lei, in un
turbinio di grida sconnesse, implorazioni d'aiuto e nomi, nomi
– Annie, Gabriel, Mags, Gabriel, Annie, Gabriel.
Non erano
ghiandaie imitatrici, no; era la voce di suo marito, deturpata,
stracciata come fosse carta dalle sue corde vocali, e poi grida
acute, di puro dolore, del suo bambino. Innocente, puro, bianco
bambino macchiato dal suo stesso sangue che zampillava fuori dalle
ferite provocate dai crateri di carne mancante.
Degli artigli
robusti e sporchi cominciarono a scavarle il ventre con foga, e lei
gridava sconnessamente, totalmente in balia della sua mente –
era
la mente, erano tutti vivi, era solo Snow che non sarebbe mai morto
davvero, era la mente, era la mente, era
la mente.
Delle
zanne le si conficcavano nei polpacci, strappandole gli arti
inferiori, poi passarono a quelli superiori, finché di lei
non
rimase un busto ed un viso, e due occhi spalancati per poter vedere
che di suo marito non c'era più niente se non un ammasso di
carne
informe e sanguinolenta, di cui quelle bestie ansanti si cibavano
come fosse da macello, e del piccolo Gabriel niente di più
se non
una gamba, resa riconoscibile dalle forme decisamente ridotte.
E
poi c'era lei, viva, immobile, con un bambino tra le braccia
–
adesso le riaveva, erano nuovamente al proprio posto - che si
trasformava in Finnick, che le sorrideva amabilmente e in quel modo
smagliante e poi parlava, e lei non capiva.
« Ti amo, Annie. »
Si
svegliò di soprassalto, madida di sudore, il petto impazzito
e
soffocato dal lenzuolo, improvvisamente pesante quattro quintali.
Ansimava e calde lacrime le rigavano le guance, il rumore del
mare notturno unico suono a farle compagnia oltre il suo respiro.
Corse nella camera di suo figlio, avvicinandosi a letto con passo
incerto solo per poterlo vedere: aveva quegli stessi occhi smeraldini
del padre nascosti dalle palpebre abbassate, i riccioli castani che
gli ricadevano scomposti sulla fronte abbronzata e le labbra
socchiuse a formare una perfetta "o", in segno di pura pace
e tranquillità.
Gli posò un breve bacio sulla fronte, prima di
tornare in camera da letto, con una mano stretta al petto.
Si
sedette dalla parte che le apparteneva, coprendosi le orecchie con i
palmi delle mani e strizzando gli occhi, estraniandosi dal mondo,
troppo freddo, vuoto, insensato senza Finnick.
Pianse senza
ritegno, singhiozzò come una bambina, accartocciata su se
stessa, le
palpebre serrate e la fede stretta tanto forte tra le dita quasi da
sentir dolore.
Finnick,
Finnick, Finnick.
Non
passava giorno che non pensasse a quell'uomo che si era preso cura di
lei, che l'aveva sposata ed amata. E che si era lasciato amare da
lei, nonostante molti la ritenessero pazza.
Le mancava tanto da
togliere il fiato, tanto da non riuscire ad andare avanti per
nient'altro che non fosse suo figlio, tanto da squarciarle il petto
così profondamente che le rendeva difficile persino alzarsi
da letto
la mattina.
Si sarebbe uccisa, se non fosse stata incinta quando
Finnick era stato trucidato da quelle immonde bestie.
Eppure era
sopravvissuta anche alla morte della sua metà d'anima, del
suo
corrispondente, compagno e salvatore. Era sopravvissuta anche a
Finnick.
Gli Hunger Games erano stati decisamente ridicoli,
rispetto alla morte di suo marito.
Si coricò nuovamente,
stringendo la federa sgualcita che non aveva più lavato da
quando
quel giovane e gentile uomo se n'era andato in nuova arena, a
rivivere gli orrori che venivano imposti ad ognuno che non fosse
stato di Capitol City.
Ma il peggio ovviamente era capitato a
lei: sopravvivere in compagni dei ricordi era difficile. Molto
più
difficile che morire.
Nessuno l'avrebbe più protetta.
Si
coprì nuovamente, rannicchiandosi in posizione fetale e
affondando
il naso in quel cuscino che conservava imperterrito l'odore di
quell'uomo così disperatamente amato.
Finnick non c'era più.
Non sarebbe più tornato.
Chiuse gli occhi su quel mondo pieno
di orrori, privazioni, imposizioni e morte.
Chiuse gli occhi, e
le sue labbra sillabarono un muto "ti
amo anch'io".
Walking_Disaster's
corner:
...mi
sento un mostro.
Dunque, salve a tutti, sono nuova del fandom
(scrivo su altro), ma siccome amo THG, una FF su di esso era
d'obbligo. E niente, è venuta fuori questa.
E doveva esserci
Finnick. Il mio amato, adorato Finnick... è decisamente il
mio
personaggio preferito di tutta la trilogia (includendo anche Hunger
Games, sì).
Ricordo che quando lessi la prima volta della sua
morte, inizialmente non me ne capacitai... non capivo se era vero
oppure no.
Ho riletto quelle pagine almeno quattro volte prima di
rendermi conto che effettivamente sì: Finnick era morto.
Lì per
lì non piansi. Ma mi strappai le ghiandole lacrimali quando
Annie
mandava la foto del bambino a Katniss e Peeta. Solo allora riuscii ad
elaborare pienamente la morte del mio personaggio preferito.
E
quindi, dopo varie idee, tentativi, speculazioni ed altro, eccoci
qui.
E' tristissima, ne sono consapevole. Mi sento un mostrox2.
Tuttavia spero di non aver fatto un totale casino, con questa
one-shot.... argh, prima volta che metto piede sul fandom, sono un
tantinello agitata xD
A parte tutto, concludo dicendo che
potrebbe far schifo, potrebbe essere apprezzata, potrebbe essere
aperta e chiusa dopo le prime tre righe. Se avete tre secondi ti
tempo, lasciatemi una recensione per sapere cosa ne pensate,
chissà,
magari un giorno tornerò ad infestare questo fandom con
un'altra
storia.
Detto questo, grazie mille a chi leggerà o anche
solamente cliccherà sul titolo.
E ricordate: May
the odds be ever
in your favour!
WD