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Autore: Walking_Disaster    17/11/2013    1 recensioni
Dal testo: "« Dai, Gabriel! No, il tridente non va lanciato così... dove sono i tuoi muscoli, ometto!? Ti fai battere dal tuo vecchio?! »
I riccioli biondi e scompigliati di suo marito Finnick brillavano al sole, come se fossero stati intarsiati di lamine d'oro per renderli ancora più preziosi di quanto già non fossero al tocco delle sue mani femminee e delicate. E poi, in alto, verso il Sole che riscaldava le pelli perennemente ambrate degli abitanti del Distretto 4, si librarono due risate che tanto profondamente Annie amava: quella bassa e vibrante di suo marito e quella più fine e trillante di suo figlio. Del loro figlio.
Gabriel – così l'avevano chiamato – aveva cinque anni e già Finnick si divertiva a portarlo in barca con sé, gli insegnava a pescare e gli mostrava come rammendare le reti. "
Scena di vita quotidiana di Finnick, Annie e il figlio; Finnick...
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lei sopravvive


« Dai, Gabriel! No, il tridente non va lanciato così... dove sono i tuoi muscoli, ometto!? Ti fai battere dal tuo vecchio?! »
I riccioli biondi e scompigliati di suo marito Finnick brillavano al sole, come se fossero stati intarsiati di lamine d'oro per renderli ancora più preziosi di quanto già non fossero al tocco delle sue mani femminee e delicate. E poi, in alto, verso il Sole che riscaldava le pelli perennemente ambrate degli abitanti del Distretto 4, si librarono due risate che tanto profondamente Annie amava: quella bassa e vibrante di suo marito e quella più fine e trillante di suo figlio. Del loro figlio.
Gabriel – così l'avevano chiamato – aveva cinque anni e già Finnick si divertiva a portarlo in barca con sé, gli insegnava a pescare e gli mostrava come rammendare le reti.

Annie stava in disparte, all'ombra di una tettoia che fungeva da riparo per la pioggia, o dal Sole troppo forte; teneva le mani sul pancione e gli occhi verdissimi, color del mare come anche quelli dei restanti membri della famiglia Odair, fissi sui suoi due uomini.
Padre e figlio erano intenti ad esercitarsi con dei tridenti di legno, la stessa arma (anche se ovviamente di metallo) che Finnick aveva utilizzato per sfuggire a quei disgustosi ibridi che quasi gli avevano dilaniato le carni in quelle luride fogne.
Al ricordo di quegli episodi che suo marito aveva preferito solamente accennarle, la giovane donna si portò le mani alle orecchie, chiudendosi sull'ingombrante pancia – chiaro segnale di un nuovo bambino in arrivo - e serrando le palpebre; no, non era cambiato: gli Hunger Games l'avevano resa più forte fisicamente, ma mentalmente niente sarebbe riuscita a ristabilirla.
« Mamma! Mamma, guarda! » L'allegro, magro e abbronzatissimo bambino dagli occhi color smeraldo e i capelli castani della madre e ricci del padre, corse scalzo verso Annie, strappandola a quegli incubi che il suo cervello produceva; Gabriel, con un sorrisone sdentato che quasi gli sfiorava le orecchie e il piccolo petto gonfio d'orgoglio, fece ciondolare un pesce ancora guizzante e gocciolante davanti al volto delicato della madre, che gli regalò un breve battito di mani, come se nulla fosse successo fino a un respiro prima.
La mano grande a callosa di Finnick fu rapida a portarsi sulla spalla magra di Annie, sottolineando ancora un'ennesima volta che sempre sarebbe stato al suo fianco.
E la donna, per ringraziare entrambi di essere parte della sua famiglia, sorrise ampiamente al bambino, ancora trepidante davanti a lei.
« Sei stato bravissimo, piccolo! Mi pare che sia ancora più grande di quello che ho cucinato ieri a pranzo, o sbaglio? » Gabriel, con le labbra genuinamente e puramente spalancate come solamente l'espressione di un bambino può essere, prima lanciò un eloquente sguardo di insita sfida al padre, ancora in piedi dietro Annie, a vigilare la sua mente, e poi tornò a sorridere alla madre.
« Sì! L'ho preso col tridente di papà! E l'ho pescato tutto da solo! » Annuì energicamente, lasciando cadere il pesce ormai asfissiato sulla sabbia e portandosi poi i piccoli pugnetti dalle nocche sbucciate ai fianchi magri, assumendo una posa che la giovane aveva visto fin troppe volte prendere al marito, che adesso fissava malignamente il proprio figlio, gli occhi ridotti a due fessure indagatrici.
« Quel pesce l'ho preso io, tu l'hai solo tirato fuori dall'acqua! » Ovviamente Finnick stava giocando, divertendosi a prendere in giro il bambino che adesso gonfiava le guance con espressione offesa, ancora più impettito.
« Non è vero! Mamma, l'ho preso io, papà è un bugiardo. » Sillabò quell'ultima frase,

facendo di proposito il saputello ed osservando il viso abbronzato e luminoso del padre col nasetto lentigginoso rivolto all'insù.
Finnick si accovacciò alle spalle di Annie, che osservava con espressione intenerita quella scenetta domestica e familiare che davvero la faceva sentire bene e a casa.
Il marito le lasciò un bacio sotto l'orecchio, senza tuttavia staccare lo sguardo dispettoso da quello del bambino.
« Mamma, vero che Gabriel adesso resterà un nano per sempre, dato che ha mentito? » Pungolò il bambino, premurandosi comunque di posare una mano sulla pancia dura e tonda di sua moglie che custodiva un nuovo arrivato.
Quel terremoto umano nel corpo di un cinquenne, spalancò gli occhioni già grandissimi di per sé, in un evidente espressione oltraggiata.
« MAMMA! » Insisté Gabriel, arrivando addirittura a battere un piede sulla sabbia con stizza e scaturendo una risata da parte del padre, che nascose il viso nella nicchia che formava l'attaccatura tra collo e spalla di Annie.
La donna decise di porre fine a quel gioco, dato che conosceva bene suo figlio e sapeva che era davvero molto permaloso. Anche Finnick lo era, in realtà, ma non era permesso dirglielo, altrimenti finiva per imbronciarsi.
« Allora, calmi tutti. » Cominciò Annie, mantenendo comunque quel sorriso dolce e vagamente divertito. Intrecciò la mano a quella del marito, che ancora era appoggiata sul pancione, poi fece cenno al bambino di raggiungere i genitori.
« Finnick, Gabriel non rimarrà nano per sempre. Anzi, quando sarà grande sarà molto più alto di te! » Enfatizzò quel molto, provocando una sonora e palesemente soddisfatta risata al figlio, che si era seduto a gambe incrociate a fianco della madre.
Finnick le borbottò qualcosa di evidentemente contrariato tra i capelli, prima di rivolgere una linguaccia al piccoletto, ancora gongolante per quella notizia e per quell'appoggio trovato nella madre.
« E siccome tuo padre ha detto una bugia... quale è la giusta punizione? » Interpellò Gabriel con uno sguardo serio, di modo da sottolineare l'importanza di quella decisione.
Finnick immediatamente boccheggiò, facendo per protestare: « Ma sono stato bravissimo! »
« No, non è vero per niente! Il pesce l'ho preso io, ecco! » Si lamentò il bambino, fissando il padre fintamente scandalizzato da quella nuova proposta da parte della sua stessa moglie.
Gli occhi verdissimi di quel giovane uomo si posarono sul profilo di Annie, prima di darle un giocoso colpetto col naso sulla tempia.
« Annie! » La pungolò, tutto contrariato.
Lei rise, felice. Serena. La sua mente lavorava elaborando ciò che vedeva, e non ciò che ricordava di un capitolo ormai chiuso della sua vita. Non sarebbe più tornato.
No.
« Finnick, lascia decidere tuo figlio, su! »
Un mugugno indistinto venne emesso dalla gola del marito, chiaramente contrariato, che appoggiò poi il mento sulla spalla magra della moglie, con uno sbuffo eloquente.
« Ecco, ho trovato la punizione! » Balzò in piedi il bambino, col sorrisone giocosamente maligno di nuovo dipinto sul volto, in una chiara illuminazione.
« Dicci. » Gli concesse Annie, allungando una mano per passargliela tra gli spettinatissimi riccioli castani. Gabriel scosse il capo, nella tipica reazione che aveva quando cercavano di renderlo un po' meno scalmanato, almeno nell'aspetto.
Finnick intanto continuava a osservare torvamente la scena, seminascosto dietro la moglie. Tuttavia le ampie e calde mani erano ancora posate sulla pancia, a voler proteggere Annie ed il bambino che di lì a poco sarebbe stato messo al mondo.

« Dovremo farci sbranare dagli ibridi tutti quanti! »
Il gracchiare dei gabbiani venne risucchiato, lo sciabordio delle onde cessò, facendo precipitare Annie nell'assenza di suoni più totale.
Poi tutto riprese: il respiro accelerò, mentre le mani callose che fino a quel momento avevano protetto il loro nuovo bambino vennero strappate brutalmente da lei, in un turbinio di grida sconnesse, implorazioni d'aiuto e nomi,
nomi – Annie, Gabriel, Mags, Gabriel, Annie, Gabriel.
Non erano ghiandaie imitatrici, no; era la voce di suo marito, deturpata, stracciata come fosse carta dalle sue corde vocali, e poi grida acute, di puro dolore, del suo bambino. Innocente, puro, bianco bambino macchiato dal suo stesso sangue che zampillava fuori dalle ferite provocate dai crateri di carne mancante.
Degli artigli robusti e sporchi cominciarono a scavarle il ventre con foga, e lei gridava sconnessamente, totalmente in balia della sua mente – era la mente, erano tutti vivi, era solo Snow che non sarebbe mai morto davvero, era la mente, era la mente,
era la mente.
Delle zanne le si conficcavano nei polpacci, strappandole gli arti inferiori, poi passarono a quelli superiori, finché di lei non rimase un busto ed un viso, e due occhi spalancati per poter vedere che di suo marito non c'era più niente se non un ammasso di carne informe e sanguinolenta, di cui quelle bestie ansanti si cibavano come fosse da macello, e del piccolo Gabriel niente di più se non una gamba, resa riconoscibile dalle forme decisamente ridotte.
E poi c'era lei, viva, immobile, con un bambino tra le braccia – adesso le riaveva, erano nuovamente al proprio posto - che si trasformava in Finnick, che le sorrideva amabilmente e in quel modo smagliante e poi parlava, e lei non capiva.





« Ti amo, Annie. »





Si svegliò di soprassalto, madida di sudore, il petto impazzito e soffocato dal lenzuolo, improvvisamente pesante quattro quintali.
Ansimava e calde lacrime le rigavano le guance, il rumore del mare notturno unico suono a farle compagnia oltre il suo respiro.
Corse nella camera di suo figlio, avvicinandosi a letto con passo incerto solo per poterlo vedere: aveva quegli stessi occhi smeraldini del padre nascosti dalle palpebre abbassate, i riccioli castani che gli ricadevano scomposti sulla fronte abbronzata e le labbra socchiuse a formare una perfetta "o", in segno di pura pace e tranquillità.
Gli posò un breve bacio sulla fronte, prima di tornare in camera da letto, con una mano stretta al petto.
Si sedette dalla parte che le apparteneva, coprendosi le orecchie con i palmi delle mani e strizzando gli occhi, estraniandosi dal mondo, troppo freddo, vuoto, insensato senza Finnick.
Pianse senza ritegno, singhiozzò come una bambina, accartocciata su se stessa, le palpebre serrate e la fede stretta tanto forte tra le dita quasi da sentir dolore.
Finnick, Finnick, Finnick.
Non passava giorno che non pensasse a quell'uomo che si era preso cura di lei, che l'aveva sposata ed amata. E che si era lasciato amare da lei, nonostante molti la ritenessero pazza.
Le mancava tanto da togliere il fiato, tanto da non riuscire ad andare avanti per nient'altro che non fosse suo figlio, tanto da squarciarle il petto così profondamente che le rendeva difficile persino alzarsi da letto la mattina.
Si sarebbe uccisa, se non fosse stata incinta quando Finnick era stato trucidato da quelle immonde bestie.
Eppure era sopravvissuta anche alla morte della sua metà d'anima, del suo corrispondente, compagno e salvatore. Era sopravvissuta anche a Finnick.
Gli Hunger Games erano stati decisamente ridicoli, rispetto alla morte di suo marito.
Si coricò nuovamente, stringendo la federa sgualcita che non aveva più lavato da quando quel giovane e gentile uomo se n'era andato in nuova arena, a rivivere gli orrori che venivano imposti ad ognuno che non fosse stato di Capitol City.
Ma il peggio ovviamente era capitato a lei: sopravvivere in compagni dei ricordi era difficile. Molto più difficile che morire.
Nessuno l'avrebbe più protetta.
Si coprì nuovamente, rannicchiandosi in posizione fetale e affondando il naso in quel cuscino che conservava imperterrito l'odore di quell'uomo così disperatamente amato.
Finnick non c'era più.
Non sarebbe più tornato.
Chiuse gli occhi su quel mondo pieno di orrori, privazioni, imposizioni e morte.
Chiuse gli occhi, e le sue labbra sillabarono un muto
"ti amo anch'io".







Walking_Disaster's corner:


...mi sento un mostro.
Dunque, salve a tutti, sono nuova del fandom (scrivo su altro), ma siccome amo THG, una FF su di esso era d'obbligo. E niente, è venuta fuori questa.
E doveva esserci Finnick. Il mio amato, adorato Finnick... è decisamente il mio personaggio preferito di tutta la trilogia (includendo anche Hunger Games, sì).
Ricordo che quando lessi la prima volta della sua morte, inizialmente non me ne capacitai... non capivo se era vero oppure no.
Ho riletto quelle pagine almeno quattro volte prima di rendermi conto che effettivamente sì: Finnick era morto.
Lì per lì non piansi. Ma mi strappai le ghiandole lacrimali quando Annie mandava la foto del bambino a Katniss e Peeta. Solo allora riuscii ad elaborare pienamente la morte del mio personaggio preferito.
E quindi, dopo varie idee, tentativi, speculazioni ed altro, eccoci qui.
E' tristissima, ne sono consapevole. Mi sento un mostrox2.

Tuttavia spero di non aver fatto un totale casino, con questa one-shot.... argh, prima volta che metto piede sul fandom, sono un tantinello agitata xD
A parte tutto, concludo dicendo che potrebbe far schifo, potrebbe essere apprezzata, potrebbe essere aperta e chiusa dopo le prime tre righe. Se avete tre secondi ti tempo, lasciatemi una recensione per sapere cosa ne pensate, chissà, magari un giorno tornerò ad infestare questo fandom con un'altra storia.
Detto questo, grazie mille a chi leggerà o anche solamente cliccherà sul titolo.
E ricordate:
May the odds be ever in your favour!

WD

   
 
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