Prologo
Your destiny is into of you
Fiamme.
Ancora
fiamme.
Fiamme
bluastre divamparono dinanzi a
lei. Ben presto la vista le si offuscò, effetto dovuto al
calore insostenibile
creato dall’incendio. Non sapeva bene dove fosse. Era
soltanto certa di
trovarsi in un ambiente strano, surreale, che le ricordava qualcosa, ma
non
poteva dire con sicurezza cosa. Avanzò tentoni nel mare di
fuoco che la
circondava, e con una mano tentò di risparmiare
all’olfatto l’odore pungente
del fumo, che la costringeva a tenere gli occhi chiusi, anche se, in
quelle
circostanze, servivano a ben poco. Tutto era un baluginare di fiamme
blu e
rosse, e talvolta una guizzo giallognolo interrompeva la sequenza
creatasi con
il tempo. Sembrava di stare all’… Inferno. Non
avrebbe saputo trovare modo
migliore per esprimersi. Quel termine, quella parola che aveva un
significato
negativo, suscitava in lei ricordi fievoli come la luce di una candela,
fragili
che al solo pensarci potevano scomparire come trascinati dal vento. Ma
non
poteva pensare a questo. Non adesso, almeno. Doveva trovare una via
d’uscita, o
sarebbe morta soffocata. Ma non c’era scampo. Si stava
avvicinando sempre di
più alla morte, e sebbene cercasse di correre e dirigersi
verso la direzione
opposta, le sue gambe non rispondevano. Erano come paralizzate, forse
dalla
paura. Anche le altre parti del corpo sembravano non appartenerle. Non
erano
sue, o almeno così credeva. Quel senso di impotenza non fece
altro che
accrescere la sua rabbia e il suo timore, e mentre le lacrime rigavano
il suo
viso, tra le fiamme intravide una sagoma, scura, opaca, parte
dell’incendio. I
suoi tratti a malapena si distinguevano dal rosso che li circondava.
Era
difficile capire chi fosse, se non impossibile. Eppure lei aveva una
strana
sensazione, mai vissuta prima d’ora. Conosceva
quell’individuo. Le era
familiare, come, d’altronde, la situazione in cui si trovava.
Avanzò, con una
mano a coprire la bocca, l’altra tesa verso la figura,
aspettandosi di non
toccare nulla, come in un miraggio. Non poteva essere altro.
Probabilmente si
trattava di sua madre, o di suo padre, le cui immagini erano state
rielaborate
dalla sua mente per trovare un’ancora di salvezza grazie a
cui fuggire. Invece,
con sua inaspettata sorpresa, la mano si imbatté in qualcosa
di viscido e
compatto, vagamente familiare. “Bill”. Una voce
nella sua mente suggerì quel
nome, come se non le appartenesse nemmeno quella. Chi era Bill? E come
mai
sentiva di conoscerlo bene? Le domande retoriche, però, non
l’aiutarono a
sfuggire a quel senso di paura che cominciò ad attanagliarle
lo stomaco, per
poi arrivare al cuore, stimolandolo a battere di più, sempre
di più. Se quello
non era un miraggio, allora cos’era? La sua mano venne
afferrata da un’altra
dalla presa forte, determinata, malvagia, che la spinse ad urlare di
dolore.
Non riusciva a sentire più il polso, e come se non bastasse,
le vene pulsavano
frenetiche, cercando di liberarsi da quella stretta eccessiva. -Non hai
più
scampo, tesoro mio.- sentì dire da una voce, calda,
persuadente, quasi
provocatoria, prima che una fitta luce splendente disperdesse le fiamme
come
acqua fresca. Ben presto, la figura scomparve insieme al fuoco, e quel
che
rimase fu solo un immenso nulla. Si guardò attorno. Non
aveva dimensioni,
tantomeno confini. Era come trovarsi in una dimensione intermedia. Con
sguardo
confuso, osservò l’individuo che comparve a circa
un metro di distanza. Era
circondato da una luce eterea, quasi fosse nebbia, pura come
l’acqua. Non
poteva essere quella di prima. La sua aura emanava la
positività, al contrario
dell’altra. La ragazza si sentì attratta come una
calamita, rincuorata dal senso
di fiducia che le ispirava. Persa, beata, vuota… erano
termini più che adatti
alla “lei” di quel momento. La paura era sparita
completamente, lasciando però
un senso di vuoto, colmabile soltanto dalla confusione, stato in cui
realmente si
trovava. Quando, però, osservò con più
attenzione l’essere davanti ai suoi
occhi, venne investita da un’ondata di emozioni contrastanti.
L’amore, l’odio…
Ormai facevano parte della sua essenza, e non sapeva nemmeno il
perché. Con
passo tremante e insicuro, procedette verso di essa, contando sul suo
autocontrollo e sulla sua calma. Sembrava di rivivere una situazione
passata.
Che però aveva dimenticato. Alzò lo sguardo. La
visione che le si prospettò fu…
paradisiaca. Per un arco di tempo che eguagliava quello di un battito
di
ciglia, intravide in quella luminosità un viso, il viso di
una donna, dai
tratti sottili e delicati, su cui ricadevano ciocche di capelli
argentate e
dorate. Sorrideva felice, le labbra incurvate in modo strano,
rassicurante,
che, insieme agli occhi, anch’essi argentati, conferiva al
volto un che di
perfetto. La perfezione era incarnata in quella
figura così familiare, come se fosse stata
creata per quell’essere.
Parlava con dolcezza e affetto, come una mamma con la propria figlia.
Quel che
diceva era incomprensibile alla ragazza che si trovava proprio di
fronte a lei,
e che sembrava incantata quasi quanto un cobra dal suono di un flauto.
E mentre
cercava di ridestarsi, di ritornare ad essere se stessa, un rumore
assordante
riempì l’aria con le sue note acute e fastidiose,
e le facilitò il lavoro. Ben
presto tutto cominciò a svanire nel nulla da cui si era creato, e la donna
dai capelli
argentati fu avvolta da un manto luminoso, che coprì tutto
il suo splendore. Fece
in tempo a sussurrare soltanto alcune parole, dopodiché
svanì, e quel poco di
nulla che si era raccolto attorno a lei fu inghiottito da una voragine
creatasi
senza preavviso.
La ragazza corse
nella direzione opposta,
lontana dal vortice mortale che si stava espandendo. Se non
l’avesse fatto,
sarebbe stata risucchiata. A un tratto, perse l’equilibrio e
cadde, come spinta
da una forza invisibile. E in quel momento perse ogni forma di
speranza. Stava
per morire, lo sentiva. Gridò, prima di essere investita da
un’onda d’urto, e
scaraventata chissà dove, su un qualcosa di duro e piuttosto
cigolante.
Aprì
gli occhi. Si ritrovò in un letto, nel
suo letto, con la trapunta a fiori tessuta dalla nonna e i cuscini rosa
pallido
sparsi a caso vicino alla sponda. Per fortuna, era stato soltanto un
sogno, un
brutto sogno, da cui si era ridestata prima di trasformarsi in polvere.
L’abaut-jour
del comodino emanava
una luce fievole ,
e accanto ad essa, la sveglia emetteva il suono più rumoroso
con cui ci si
potesse svegliare. Indicava le tre. Probabilmente si era rotta. Di
malavoglia,
Luce si
alzò dal letto, e rimase seduta
sul bordo, a pensare. Nel bel mezzo della stanza, avvolta da
un’oscurità quasi
totale, pensava alle parole che, nel sogno, aveva sentito pronunciare
da quella
donna dai capelli argentati. –Il destino è dentro
di te.- . Guardò il cielo
grigio attraverso i vetri della finestra. Quella frase non le era mai
stata
così familiare.
ANGOLO
AUTRICI
Ciao,
ragazze! Come vedete, abbiamo voluto iniziare la storia con il prologo.
Misterioso, non è vero? Ok, come avrete capito, siamo in due
a scrivere i
capitoli, perciò, se trovate delle piccole imperfezioni e
differenze
stilistiche, sappiate che noi abbiamo tecniche completamente diverse. Recensite, e vi preghiamo di includere
anche
qualche critica, se necessario. Accogliamo sempre di buon grado
consigli per
migliorare! Ci vediamo al primo capitolo della storia, allora, con
altri colpi
di scena e mille sorprese tutte da scoprire! Au revoir!
ann-luce
P.S.
Vi consigliamo di accompagnare la lettura con l’ascolto
della canzone Imaginary degli Evanescence. Non rimarrete deluse, ve
l’assicuriamo!