Storia
partecipante al contest,
indetto da Kjria91, “[Fandom Dragon Ball] In the
future”
Distruzione.
Distruzione e desolazione lo circondavano. Ovunque, c’erano
case ridotte a
macerie e corpi esangui. Tra i tanti anche quelli dei suoi
familiari…
Si riprese,
scuotendo la testa. Un ghigno mesto sulle labbra
e la voglia di vivere che scivolava via dalle sue membra.
Quanti
anni sono
passati? Si chiese Vegeta. Sessanta…
Ottanta, non lo so! Pensò, emettendo un grido
frustrato e battendo un pugno
contro un muro, distruggendolo all’istante.
Si
guardò intorno, era tutto così diverso,
così… Estraneo.
Eppure, sapeva come era giunto lì. Lo ricordava nei minimi
dettagli.
Dopo che la
Terra non era diventata altro che un pianeta
desolato e scarno, tutti i sopravvissuti erano stati deportati su Giant Nova, il Comando Superiore era
stato chiaro: il mondo doveva essere distrutto. Vegeta non si era
stupito più
di tanto, lo aveva fatto anche lui, quando ancora era un guerriero
Saiyan:
combattimento, vittoria, prigionieri, eliminazione
dell’astro.
Una volta
giunti su quel pianeta, gli avevano iniettato un
siero, l’aveva chiamato H12: permetteva di vivere il doppio
del consentito dal
corpo; poi, come si era aspettato, li avevano fatti schiavi; non era
importante
se fossero donne o bambini dovevano lavorare per i Capi Legittimi.
Vegeta era
stato messo ai lavori più pesanti, la costruzione
di edifici e piattaforme spaziali, ma col passare del tempo, lo avevano
promosso: ora supervisionava i lavori e uccideva i ribelli. Suo
malgrado, gli
sembrava di essere tornato indietro, quando era il Soldatino
di Freezer.
Il suo orgoglio
non era scemato, riducendolo ad una
poltiglia informe e disdicevole, ma non trovava la forza di ribellarsi.
Anche
avessi vinto, che avrebbe fatto dopo? Loro non c’erano
più. Nessuno avrebbe
condiviso con lui la libertà, non avrebbe potuto vantarsi
con nessuno di essere
il valoroso Principe dei Sayan.
Che cosa
significava in fondo quel titolo? Lo aveva reso
fiero, orgoglioso di sé in passato ma ora non era niente.
Gli ricordava
soltanto il passato, al quale la sua mente sadica lo riportava ogni
momento.
Una volta,
sarebbe stato disposto a combattere, sì. Una
volta, però.
Si
passò una mano fra i capelli neri, tagliati corti sotto
ordine. I Capi sembravano avere la mania del controllo, anche un
singolo
capello fuori posto veniva punito con percosse o torture.
Uscì,
passando per la parete distrutta e guardando gli schiavi
lavorare. Rise amaro, in fondo
lo era anche lui. Nessuno lo aveva mai pagato per controllare quelle
persone.
Erano un misto di varie razze, provenienti da più pianeti,
non ce ne dovevano
essere molti di umani e, sicuramente, nessuno del suo popolo.
Si
girò di stacco, avvertendo uno sguardo su di sé.
Un
bambino di circa otto anni lo fissava con i suoi occhi grigi. Vegeta si
perse
un attimo nel squadrarlo: aveva i capelli un po’
più scuri degli occhi,
stranamente lunghi, le pupille rosse, ma la pelle era chiara, quasi
bianca.
“Da
che pianeta vieni, Moccioso?”
gli chiese burbero, non sopportando che i suoi occhi lo guardassero in
quel
modo, quasi a leggere le sue sensazioni più profonde. Da
quel che ne sapeva
lui, poteva essere uno dei poteri della sua gente.
“Da
qui.” rispose, per niente preoccupato, il bambino,
indicando il suolo con la testa.
Vegeta
digrignò i denti: era un Novario,
non ne aveva mai visto uno prima; si vociferava che solo i
quattro Capi Legittimi lo fossero.
“Chi
sei?” chiese, avvicinandosi e prendendo il bambino per
la collottola della maglia argentata e sbattendolo con forza contro il
muro di
acciaio alla sua destra.
Il Novario non
fece una piega, aprì gli occhi di scatto e
sparì. Vegeta rimase un attimo interdetto, ma poi
parlò.
“Teletrasporto.
Non mi è nuovo, ragazzino.” Sbuffò,
infastidito dalla presenza dell’altro.
“È
questo… Ti è nuovo?”
Sentì la voce del nativo, ma non lo vide. I muri
cominciarono a tremare, il
pavimento crollò, ma il Saiyan non finì a terra,
poiché sapeva volare. Si librò
nell’aria, ghignando superbo.
Vide la parete,
che aveva distrutto ricostruirsi; prima che
tutte le superfici diventassero di specchio e il volto del Novario
comparisse
su di esse.
Vegeta si
girò allarmato, non sapendo dove guardare.
“Sono
Rage.”
“Sono
Rage.”
“
Sono Rage.”
La voce del
bambino rimbombò più volte nella stanza.
“Novario
di nascita. Figlio ed erede del Secondo Capo,
Fury.”
Vegeta
indietreggiò, non sapendo che fare. Come poteva
farlo? Dov’era finito? Che voleva da lui?
“Hai
paura?” La voce di Rage gli arrivò pacata, non
derisoria; neanche rassicurante.
“Non
averne. Non di me! Vegeta, se ti aiuto, tu puoi…
Ribellati a questi oppressori… Sii, di nuovo il
Principe!”
Il Saiyan
sospirò, riprendendosi e decidendo di
controbattere: non si sarebbe fatto battere da un bambino alieno.
“Come
sai il mio nome?!” tuonò. “Cosa vuoi da
me?!” Si mise
in posizione di combattimento, dopo essersi trasformato; era anni che
non lo
faceva e, per la prima volta, si sentiva di nuovo potente.
“No!”
La parola rimbombò. “Non voglio
combattere!” Vegeta
sorrise vincitore: il ragazzino non era altro che un illusionista,
dunque.
“Possiamo
farlo, sconfiggiamo i Capi, insieme…” disse piano.
Le figure sparirono e le pareti tornarono normali. Rage si
mostrò in carne ed
ossa, davanti al guerriero: una mano sui capelli e l’altra
sul fianco sinistro.
Quello era il
segno di sottomissione e fedeltà; lo aveva
visto fare ai comandanti molte volte nei confronti dei loro superiori.
Vegeta si
calmò, pur rimanendo poco incline a fidarsi di
quel bambino.
Rage
tornò ad una posizione normale e sorrise: un sorriso
sincero e infantile, che lo fece sembrare più coerente alla
sua età.
“Io
ti conosco, Vegeta… Posso vedere quello che è
stato,
quello che è e quello che sarà, in minima parte.
Aiutami, per favore.” Disse
triste, avvicinandosi di pochi passi.
Il Saiyan lo
fermò con un gesto della mano e lo guardò
cattivo e diffidente.
“Perché
dovrei crederti?! Sei figlio di uno dei Capi, perché
vuoi ribellarti? Chi mi dice che questo atto non mi porterà
alla morte o , peggio,
alla tortura?” urlò, fuori di sé. Era
stanco, per anni aveva pianificato la
vendetta, la ribellione e appena si convinceva di quanto fosse
sbagliato,
arrivava un bambino a fargliela assaporare ancora.
“Loro
mi usano… Come veggente. Sono imprigionato in una casa
fatta di metallo di Nova, cosicché il mio potere da veggente
venga amplificato,
ma allo stesso tempo gli altri restino rinchiusi dentro di me,
inutilizzabili.
Per me, non è altro che una prigione, per quanto
lussuosa… Sono scappato grazie
a un falso allarme… Sono vittima del mio stesso popolo, del
mio stesso padre…
Non crescerò mai…” Vegeta sorrise
dubbioso, in lotta con se stesso, avrebbe
potuto pentirsene, se li avessero sconfitti; ma Rage sembrava forte, un
ottimo
alleato e poi doveva conoscere a memoria Giant Nova.
Annuì
con un sorriso che prometteva la battaglia.
Poi Rage
sparì. Urlò il suo nome, svariate volte,
volò nei
dintorni alla sua ricerca e poi si svegliò.
Era nella sua
piccola casa di Nova: il muro, perfettamente
al suo posto, così come il pavimento. Sentiva le urla dei
comandanti e i gemiti
degli schiavi.
Scosse la
testa, dandosi del matto, del codardo e del
sognatore. Non poteva ribellarsi.
“Vegeta?
Piaciuto il nostro primo incontro? Ora, parliamo!”
Si
girò di scatto e Rage era lì, appoggiato al muro.
Un
sorriso sfacciato sul viso.