L’ultimo seme

Sei al buio, un buio diverso, estraneo, alieno.
Hai il fiato corto, il cuore che pompa più velocemente.

Stai correndo.

Stai scappando.

Scappi dai rantoli e dai tonfi, dagli schiocchi e dai versi gutturali.
Sei esausto, ma non ti puoi fermare.
Ma è troppo tempo che non ti puoi più fermare, settimane, e non ce la fai più.
Ormai non ricordi più neanche perchè vuoi rimanere in vita, per chi, ti resta solo questo animalesco istinto di sopravvivenza che ti grida di vivere, con furia e disperazione.

Dei lunghi artigli ti afferrano la caviglia, lacerando.
Sbatti la testa sulla dura terra brulla e senti i fiati caldi sulla nuca.
Ti giri con uno scatto e distingui a malapena gli orridi musi di bestie fuse davanti al tuo viso nella vaga luce rossastra che emanano.

La paura ti si sparge a macchia d’olio negli occhi scuri, si mescola con il panico e il dolore rendendoli di una gradazione unica di nero.

Grida.
E adesso non puoi più scappare.
Grida.
E continua, e non smette mai, non finisce mai.
Grida.
Dura ore, giorni, ti consuma e ti indebolisce.
Grida.
Finché non riesce a spezzare qualcosa di indefinibile dentro di te.
Grida, sempre più forti, sempre più straziate.
Pazzia.
Di chi sono?
Tutte tue.
E di nuovo grida.

*

Ti svegli con un rantolo soffocato.
Sbatti le palpebre un paio di volte per essere sicuro di averle davvero aperte.
Sei ancora al buio, ma tastando la superficie liscia e fredda intorno a te ti ricordi dove.

Ancora in quella maledettissima giara.

Tutto raggomitolato devi sembrare un fagottino nero, ma lì dentro non c’è molto spazio per mettersi in una posizione più dignitosa, come se ne avessi la forza, e resti immobile.
Respiri ancora a fatica, l’ossigeno è sempre meno e la gola sembra scorticata, devi aver urlato, forte.
Sei stanco, sfinito, e tremi leggermente, ti sfreghi le mani per trovare un po’ di calore, ma il freddo non ti lascia.
Lentamente tasti il fondo in cerca dei semi di melograno.
Ne trovi soltanto uno.
Lo porti davanti al viso e lo rigiri tra le bianche dita scheletriche.

Perchè usarlo?

Ormai nessuno verrà più a salvarti, che differenza farebbero 24 misere ore in più?
Perchè sopportare un altro incubo infinito per una speranza vana?
E a che pro vivere se ormai sei già morto? Se i ricordi del Tartaro ti perseguitano giorno e notte e ti stanno, ti hanno già, spezzato?
A cosa serve?
A cosa servi?

Stai per far ricadere il seme sul fondo quando qualcosa ti ferma.

Tu servi a qualcosa.
Tu hai un’altra guerra a cui prendere parte, delle informazioni da riportare, hai ancora un ruolo da giocare nel destino del mondo.

Tu servi a qualcuno.
Hai Hazel che perderebbe di nuovo la sua unica famiglia, hai il ricordo di Bianca da custodire ora che lei è rinata, e poi hai…hai…
Percy.

Ingoi il seme e ti sistemi meglio nella giara, sbattendo le ossa troppo sporgenti.

Le grida ricominciano appena chiudi gli occhi.

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Ed eccomi qui, tornata per farvi disperare stavolta.
Adoro Nico, se la batte a pari merito con Leo e non potevo evitare di scrivere qualcosina su di lui, quando ho letto gli ultimi capitoli del Marchio di Atena, poi, avrei incorniciato ogni lettera che parlava di Nico, sì, mi mancava, così ho immaginato cosas poteva fare solo, in una giara, in attesa del suo principe azzurro (sono una grande sostenitrice della Percico, non accoltellatemi), ed è uscita questa boi- ehm cavolata.
Spero comunque che l’abbiate apprezzata
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Fanny