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Autore: Kiki75    28/04/2008    7 recensioni
Impaziente, Ennis si alzò e andò in corridoio, dove Jack stava parlando al telefono con suo padre. Poteva anche non essere successo niente di grave, ma una telefonata da John Twist era un evento quantomeno bizzarro: solo Ada sapeva che abitavano a Casper, e conosceva il numero di telefono (da "I segreti di Brokeback Mountain", seguito di "Somewhere").
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Ennis Del Mar , Jack Twist
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Come sei veramente
Father, son

Father, son
Locked as one
In this empty room
Spine against spine
Yours against mine
Till the warmth comes through

Remember the breakwaters down by the waves
I first found my courage
Knowing daddy could save
I could hold back the tide
With my dad by my side

1 - I giorni

Ennis non si era sbagliato: chi portava i calzoni, in casa Hamilton, non era certo Matthew. Pochi giorni dopo essere stato dimesso dall'ospedale, con una gamba ingessata, il torace strettamente bendato e un grosso cerotto sulla fronte, quando Ennis e Jack gli avevano detto cosa ci fosse fra di loro (avevano raccontato a lavoranti e conoscenti che Jack era un cugino, venuto a stabilirsi da loro per cambiare aria dopo la morte improvvisa della fidanzata, ma Jan era stata categorica, non avrebbe mentito al marito, ed Ennis non poteva darle torto), Matt aveva dato di matto, asserendo che per nulla al mondo avrebbe ospitato una coppia di omosessuali. Era stato riportato alla ragione da Janice, che gli aveva ribadito che lui era allettato e lei incinta, avevano altri due bimbi piccoli a carico e pochi soldi in tasca, non era il momento di rifiutare un aiuto, ed infine aveva accettato, ma il suo atteggiamento era stato scostante e scorbutico, quasi volesse indurre i due ragazzi ad andarsene spontaneamente. Dopo due giorni di quel comportamento però, Janice aveva promesso ad Ennis di fargli un discorsetto, e doveva essere stata chiara, perché il giorno successivo Matt aveva ripreso il normale contegno, freddo sì, ma almeno educato e  civile, come se stesse trattando con due persone alla pari, non con due insetti.
Del resto, come aveva previsto Jan, nessuno si era mai trovato in imbarazzo. Ennis e Jack si erano stabiliti nella mansarda, che era stata arredata con i vecchi mobili dei genitori di Matt, ed era dotata di un piccolo bagno, quasi come un appartamento indipendente, ma non si erano mai spinti troppo in là con le effusioni, e sempre con la porta chiusa a chiave e le orecchie bene aperte, se non quando erano più che certi che tutta la famiglia era al piano terra, in cucina o nel salotto, o magari in giardino, e non sarebbe salita al primo piano, nelle camere da letto, per almeno un'ora.
In ogni caso, il tempo e la voglia per il sesso, durante il primo mese trascorso alla fattoria degli Hamilton, erano stati scarsi. Quando raggiungevano la loro camera, avevano appena la forza di spogliarsi, buttarsi sul grande letto a due piazze e scambiarsi un casto bacio della buonanotte (Jack rifiutava di lasciarlo dormire e alzarsi da letto senza prima essersi anche solo sfiorati le labbra, e questa cosa divertiva Ennis, e insieme gli scioglieva il cuore), prima di cadere addormentati come due sassi. Al terreno, al frutteto e al campo di grano pensavano i due operai, Nathan Peacock e Victor O'Barr, ma le trentadue vacche, i quattro tori, i tredici cavalli da corsa, più il pollaio e la conigliera, erano adesso sulle spalle di Ennis e Jack.
Se la cavarono egregiamente, in parte seguendo i consigli di Matt, in parte affidandosi al proprio istinto. Ennis non aveva mai avuto paura di sporcarsi le mani o di fare fatica; Jack non era da meno e, in aggiunta, si era rivelato un mago con i cavalli. Del resto, Ennis ricordava ancora con ammirazione come, sulla Brokeback, avesse scelto come cavalcatura quella giumenta bizzosa e intrattabile di nome Madeleine, per esserne disarcionato una sola volta, il primo giorno, e successivamente essere l'unica persona della quale la bestia si fidasse, al punto da accorrere al richiamo di Jack come un cagnolino addomesticato.
Dopo quaranta giorni, a Matt venne tolto il gesso alla gamba, e le cinque costole rotte furono giudicate a posto: avrebbe dovuto sottoporsi a una breve riabilitazione di due settimane, poi tutto sarebbe tornato come prima. In quei quindici giorni si era aggirato per le stalle e il maneggio, controllando il lavoro dei due ragazzi, aiutandoli dove e quando poteva, ed Ennis e Jack avevano già iniziato a domandarsi cos'avrebbero fatto quando gli Hamilton non avessero più avuto bisogno di loro.
"Potremmo prendere una cartina, chiudere gli occhi e puntare il dito", aveva proposto Jack, ricordando le parole di Ennis dopo la fuga da Lightning Flat. "Questa è una soluzione che ci resta sempre."
"Non fregarmi le idee", aveva ribattuto Ennis, che iniziava a preoccuparsi: era ben lieto di essere stato d'aiuto a Jan, ma lui e Jack stavano per ritrovarsi al punto di partenza, e con millecinquecento dollari in meno.
Ma una sera, durante la cena, Matt domandò loro se, per caso, non avessero voglia di restare a tempo indeterminato: fino ad allora se l'erano cavata piuttosto bene, e il loro aiuto era diventato necessario, dal momento che Jan non poteva più stancarsi troppo, e in primavera avrebbe dovuto occuparsi del nuovo nato, oltre che dei due figli più grandi. Ora che Matt si era rimesso e poteva tornare al lavoro, era chiaro che Ennis avrebbe avuto indietro il denaro che aveva loro prestato, e che in seguito sia Ennis sia Jack sarebbero stati pagati per il lavoro svolto: dapprima uno stipendio simbolico, ma se la fattoria avesse ricominciato a rendere...
Era troppo, molto più di quello che si sarebbero mai potuti aspettare: Ennis era rimasto sbalordito.
"Le condizioni sono queste. Se volete parlarne fra di voi, prima di decidere..." aveva concluso Matt, ma non c'era stato bisogno di parlarne: ad Ennis e Jack era bastato scambiarsi uno sguardo. Poi Jack, che aveva legato bene con Matt, aveva risposto, tendendogli la mano: "Saremmo stupidi a non accettare. Grazie, Matt, davvero." 
Janice aveva sorriso compiaciuta, accarezzandosi la pancia che ormai iniziava a crescere: Ennis poteva scommettere che in quella proposta ci fosse il suo zampino. Matthew Hamilton era il ritratto dell'uomo perfetto, una persona buona e mite, gran lavoratore, che amava i figli e la moglie e non aveva vizi, se non quello di fumare la pipa e bersi un innocuo goccetto alla sera, dopo cena. Ci teneva ad onorare i debiti quanto e più di Janice, e l'idea dello stipendio poteva essere stata sua; ma l'idea di fondo, quella di chiedere loro di rimanere ad aiutarli, non poteva essere stata farina del suo sacco: non dell'uomo che aveva avuto bisogno di essere bacchettato dalla moglie di sette anni più giovane per accettare i gusti sessuali del di lei fratello.
E invece, qualche giorno dopo, parlandone con Janice, lei disse che tutto era partito proprio da Matthew. "Se sbaglia, è capace di ammetterlo. Si è reso conto che siete due brave persone e siete sempre stati corretti nei nostri confronti, gli è piaciuto come lavorate, ha visto che c'è bisogno, e vi ha chiesto di restare. Non ringraziare me, questa volta."
Nel marzo del '64, Jan diede alla luce il piccolo Peter, al quale Ennis, il mese successivo, fece da padrino al battesimo: per l'occasione, si tirò a lucido, con un abito nuovo e i capelli tagliati di fresco e imbrillantinati. Si era innamorato di quel fagottino urlante quanto lo era già di Hope e Ken, che li chiamavano zio Ennis e zio Jack, sembravano avere l'argento vivo addosso, e si calmavano solo quando qualcuno leggeva o raccontava loro una storia, meglio se di mostri o fantasmi o vampiri. Ennis si era scoperto bravo a raccontare favole, e Jack una volta lo aveva canzonato amichevolmente: non si sarebbe mai aspettato di vedere Ennis raccontare storie con due bambini seduti ai suoi piedi, incantati quanto i topi ai piedi del pifferaio magico.
"Cosa vorresti insinuare?"
"Niente. Solo che anche Mister Lungo e Duro ha qualche lato tenero", aveva replicato Jack. La battuta di Kat era rimasta nella storia. "Non avrei mai creduto che fossi così bravo con i bambini."
Ad Ennis i bambini erano sempre piaciuti; un tempo che gli sembrava secoli addietro aveva desiderato almeno tre figli, una famiglia numerosa e caotica. Con Jack, la faccenda era fuori questione, ma quelle tre pesti avrebbero sopperito ampiamente alla mancanza.
Jack continuò a partecipare alle gare di rodeo in giro per lo stato e quelli vicini, non cavandosela male: in quell'anno riuscì ad arrivare primo per ben cinque volte, e quasi sempre si classificò fra i primi tre, aggiudicandosi dei premi in denaro, ma altrettanto spesso si era infortunato, una volta una costola rotta, una volta una caviglia slogata, una volta una commozione cerebrale, una volta una spalla lussata.
Ennis non si sentiva di proibirgli di rodeare, ma ogni volta che Jack scendeva in pista non riusciva a fare a meno di rosicchiarsi le unghie. Quella volta della commozione cerebrale, poi, fu sicuro di avere perso cinque anni di vita per lo spavento: dopo essere stato disarcionato, Jack si era rialzato, con nient'altro che un'escoriazione su una guancia e uno sgraffio sulla tempia, e aveva esultato per essere riuscito ad ottenere il miglior tempo. Poi, cinque minuti dopo, aveva mormorato "Mi gira la testa", e si era afflosciato a terra come un sacchetto vuoto. Trasportato al pronto soccorso, aveva ripreso conoscenza dopo due ore, e fino al mattino succcesivo era rimasto intontito e confuso, senza ricordare cosa fosse successo, riconoscendo a malapena Ennis. 
Gli infortuni però, gli ultimi e quelli subiti prima di conoscere Ennis,  fecero al caso di Jack quando a luglio venne chiamato per la visita di leva, risultando non idoneo. "Se non altro, i rodei servono a qualcosa", aveva ridacchiato, ed Ennis aveva tirato un sospiro di sollievo: con quel casino che era iniziato in Vietnam, sapere che Jack avrebbe dovuto partire per il servizio militare, e magari essere inviato proprio in quella bolgia infernale, sarebbe stato peggio che vederlo partecipare a cento gare di rodeo tutte in una volta.
In quel mese, ricevettero una telefonata da K.E. e Kat: Kat finalmente aspettava un bambino, avrebbe partorito a fine novembre, e per Natale avevano intenzione di far loro una visita, se non era di troppo disturbo. "Ho già la pancia grossa come un tacchino, e sono solo di cinque mesi", aveva sbuffato Kat. "Per il Ringraziamento, dovrò stare attenta a non farmi mettere arrosto."
Il tempo passava, e la fattoria degli Hamilton rifiorì. Il 1964 fu un buon anno, il frutteto aveva reso non poco, fra mele, pere e pesche, il grano si era venduto bene, e due dei cavalli avevano ottenuto buoni risultati nel campionato ippico. All'inizio di novembre, un pò in anticipo sui tempi previsti, Kat partorì due gemelli, Noah e Natalie, e per Natale, come aveva promesso, festeggiarono tutti insieme.
Ennis non aveva ancora trovato il coraggio di parlare a K.E. di lui e Jack: non gli pareva giusto dire al fratello una cosa del genere per telefono, e si era più volte ripromesso di spiegargli tutto durante le feste, quando avrebbe potuto parlargli faccia a faccia. Nel corso di quella settimana, però, vedendo il fratello entusiasta come non mai per i due figli appena nati, decise che la questione avrebbe potuto attendere: sapeva bene cosa sarebbe successo quando gli avesse confessato il suo segreto, e non voleva guastargli quel periodo di felicità, non ancora. 
Ne parlò con Katherine, che si dichiarò d'accordo. "Però, presto o tardi dovrai farlo, anche se
è certo che litigherete di brutto", aveva aggiunto Kat. "Io credo che abbia già subodorato qualcosa, ma non chiede niente a nessuno per paura della risposta."
"Subodorato... cosa?" aveva domandato Ennis, allarmato. 
"Non lo so esattamente", aveva risposto lei. "Ma insomma... Jack continua ad abitare qui con voi, pur non essendo vostro parente. Continua a dormire con te, nella stessa stanza, e tuo fratello ha iniziato a... farsi delle domande, diciamo così. Non mi sembra una cosa strana... non è uno stupido, anche se a volte fa un pò lo struzzo."
Ennis aveva sollevato un sopracciglio.
"Se vede qualcosa che non gli piace, finge di non averlo visto", aveva spiegato Kat. "Specialmente se riguarda le persone a cui vuole bene."
La descrizione di K.E. era perfetta, ed Ennis aveva abbozzato un sorriso. Poi però aveva sospirato: "Probabilmente inizierà a odiarmi, quando gli dirò tutto. Lo deluderò e mi odierà."
Lei gli aveva messo una mano sul braccio: "Forse. Ma ti vuole bene, e sono sicura che, prima o poi, riuscirà a capirti."
Lui aveva sospirato di nuovo, e Kat aveva suggerito: "Vuoi che provi io a parlargli, prima?"
Ennis aveva scosso la testa: "No, lo farò io. Dammi solo il tempo di trovare il coraggio."
Buona questa, del Mar. A ora che sei riuscito a trovare il coraggio, K.E. avrà capito tutto quanto da solo.
Ma non sarebbe stata la cosa migliore? K.E. ci sarebbe arrivato da solo, difficilmente anche lui avrebbe avuto il coraggio di domandare alcunché, ed Ennis era certo che quella situazione sarebbe potuta andare avanti per anni interi. In quel modo, K.E. avrebbe avuto tutto il tempo per abituarsi all'idea di suo fratello innamorato di un uomo, fino a quando Ennis non avesse trovato il fegato per parlargli apertamente e confermargli la faccenda. Quante volte, anche da piccoli, le cose fra loro erano andate in quel modo, con Ennis a tacere e K.E. a non chiedere, anche se si era sempre trattato di inezie da ragazzini?
Gran bel paio di vigliacchi erano, lui e suo fratello, quando si trattava di gestire i propri sentimenti. Chissà da chi avevano preso.
Quando K.E., Kat e i neonati furono ripartiti, all'inizio di gennaio dell'anno nuovo, Jack propose ad Ennis di cominciare a considerare la possibilità di costruirsi una piccola fattoria, magari non troppo distante dal terreno degli Hamilton: avrebbero continuato ad aiutarli, ma finalmente avrebbero abitato in una casa tutta loro.
Ennis sapeva che prima o poi Jack sarebbe uscito fuori con una proposta simile, e inizialmente si era inquietato: cos'avrebbe pensato la gente di due giovani scapoli che andavano ad abitare insieme? Finora, il fatto di abitare a casa di sua sorella l'aveva fatto sentire protetto. Non che potessero continuare per sempre a vivere lì, ma una volta usciti da quel ranch...
"La gente penserà che siamo due giovani scapoli che vanno ad abitare insieme", aveva ribattuto Jack. "Punto. Qui non siamo a Sage negli anni '50. Siamo in una città abbastanza grande, non abitiamo nemmeno in centro, nessuno ci conosce bene e quelli che ci conoscono non sospettano niente. Come dice Kat, non siamo così scemi da esibirci in pubblico. E poi, gli Hamilton hanno bisogno di spazio per i bambini, e noi siamo giovani, per le donne abbiamo tempo... e io sono bravissimo a recitare la parte del fidanzato inconsolabile. Grande idea ha avuto, tua sorella."

"Però sei anche bravissimo a flirtare con le altre, mi pare", l'aveva apostrofato Ennis. Qualche volta, durante una delle loro rare serate mondane, in un bar per una birra, erano stati avvicinati da qualche ragazza, e ad Ennis non era andato giù il modo di fare di Jack, che aveva considerato troppo spigliato.
"Eddai, ancora quella storia", aveva sbuffato Jack. "Per due chiacchiere... e poi, se iniziamo a respingere tutte le ragazze che ci vengono intorno, anche quelle belle, allora sì che diamo nell'occhio."
"Tutte le ragazze che ci vengono intorno", gli aveva fatto il verso Ennis, ridendo. "Vanitoso di un pavone. Saranno state due o tre."
"No, in tutto sono state sette", aveva precisato Jack. "E tutte grazie a me. Tu le fai scappare con un'occhiata!"
"Grazie, tu invece le abbordi apposta!"
"Per non dare nell'occhio."
Ennis gli aveva scompigliato i capelli: "Dai, scemo."
Avevano discusso altre volte, più seriamente, spesso più animosamente, a volte anche scaldandosi e alzando la voce, in un'occasione avevano anche litigato pesantemente, ma alla fine Ennis si era convinto: maledizione, Jack riusciva sempre a convincerlo. Del resto, i suoi argomenti non facevano una piega.
E non era solo Jack ad avere voglia di una casa indipendente, tutta per loro. Jack aveva semplicemente trovato il coraggio di esternare un desiderio del quale Ennis temeva anche solo il pensiero.
Forse era follia, forse le cose non sarebbero andate lisce come loro credevano e speravano e si auguravano, forse non sarebbero andate lisce nemmeno di sfuggita, ma come saperlo, se non provandoci?

Ed Ennis, che non aveva dimenticato la promessa fatta a Jack davanti alla sua schiena tumefatta, in quell'ormai lontano agosto 1963, colse l'occasione per rinnovarla. "Ci vorrà un pò di tempo, ma quando la nostra fattoria sarà pronta, tua madre verrà a vivere con noi."
Jack aveva scosso la testa, con fare rassegnato. "Non verrà mai. Non avrà mai il coraggio di lasciare mio padre, anche se le offriamo una reggia."
"La porterò via da là, dovessi legarla come un salame e caricarla di peso in automobile."
Jack aveva sorriso. "Potrei quasi crederti. La tua testa dura è insuperabile."
"Modestamente", si era vantato Ennis. Sarebbe stato davvero disposto a costringere Ada Twist con la forza, pur di toglierla dall'inferno in cui aveva vissuto, in cui stava vivendo: Jack spesso l'aveva chiamata, buttando giù la cornetta se al telefono rispondeva John, e le cose non erano cambiate. Anzi, Jack era sicuro che in quei mesi fossero peggiorate, malgrado sua madre cercasse di minimizzare.
L'avrebbe fatto per Jack, che amava la propria madre, ed era tormentato dal pensiero di lei in casa da sola con quel bastardo dalle mani pesanti che era suo marito: non voleva che Jack si rodesse in quel modo. E lo avrebbe fatto anche per Ada, che gli era sembrata una brava donna, gentile e generosa, che amava suo figlio almeno quanto lo amava Ennis: non si meritava una situazione del genere, nessuno l'avrebbe meritata, e se non aveva il coraggio di andarsene, non c'era da farle una colpa. Malgrado Ennis non riuscisse a capirne il motivo, essendo stato sempre circondato da donne che avrebbero risposto a uno schiaffo con un calcio nei coglioni, sapeva bene che Ada non era la prima né l'ultima a farsela sotto e restare dov'era. Il mondo era pieno di donne picchiate dai mariti, che non riuscivano ad andarsene di casa; era una cosa risaputa e accettata, e nessuno poteva farci niente.
Forse, il mondo era altrettanto pieno di uomini innamorati l'uno dell'altro, che per mancanza di fegato rinunciavano al proprio amore, sposavano una brava donna, facevano figli e indossavano una maschera per tutta la vita, vivendo nella menzogna e nel rimpianto.
Paura dell'ignoto, ecco cos'era. Come stare sul bordo di un precipizio con di fronte un orso affamato e minaccioso. C'è chi sceglie di lasciarsi sbranare, c'è chi sceglie di saltare nel vuoto.
Per poi, a volte, scoprire che il burrone è un semplice dislivello di tre o quattro metri, e il massimo che ti puoi fare, saltando, è prendere una storta.
Ennis ammirava Jack per avere avuto il coraggio di saltare più volte nella sua vita, benché non sapesse cosa avrebbe trovato alla fine del volo. E gli era grato per averlo convinto a saltare con lui, e avergli insegnato la lezione. Aveva un carattere oltremodo sensibile e dolce, che poteva dare un'impressione di fragilità, si lasciava andare troppo facilmente alle lacrime e al riso, e quella franchezza e quell'innocenza di fondo lo facevano talvolta somigliare a un bambino: ma Jack aveva anche due palle grosse così, ed Ennis non riusciva a fare altro che innamorarsene ogni giorno di più.

2 - Nuvole nere

Era una sera di metà aprile, nuvolosa ma già abbastanza calda, quando alla fattoria degli Hamilton squillò il telefono. Erano passate due ore da quando avevano cenato e rigovernato, Pete era a letto, Hope e Ken disegnavano, stesi sul tappeto ai piedi del divano, le matite colorate sparse tutto intorno, e Janice andò a rispondere, lasciando sul divano il suo lavoro all'uncinetto: la partita di rugby che i tre uomini stavano guardando alla televisione la interessava meno di un trattato di trigonometria.
"Pronto, Hamilton?... Sì, è qui. Glielo passo subito."
Jan tornò nel salotto: "Jack? E' tuo padre. Dice che ha bisogno di parlare con te."
"Mio... padre?"
Ennis notò il viso di Jack perdere colore. La faccenda puzzava: solo Ada sapeva che abitavano a Casper, nella fattoria della sorella di Ennis, e conosceva il numero di telefono. Doveva essere successo qualcosa.
Pregò di no.
"Sì", confermò Jan. "Da Lightning Flat." avevano raccontato a Jan quanto bastava di quella brutta storia, e cioè che John Twist era un figlio di puttana violento e manesco, che aveva sempre picchiato moglie e figlio. Non una parola sulla colluttazione fisica e verbale di John ed Ennis, sulla fuga precipitosa da Lightning Flat, sul fatto che Jack buttasse giù la cornetta quando a rispondere era suo padre e su quanto fosse in pensiero per sua madre.
"Vengo", Jack si alzò, raggiunse il corridoio accostando dietro di sé la porta del salotto, ed Ennis lo sentì prendere la cornetta e rispondere: "Pronto, sono Jack. Signore?"
Signore, ripeté mentalmente Ennis. Ma certo. John Twist non poteva farsi chiamare papà: un appellativo sdolcinato, da donnette. Era così abituato a sentire Hope e Ken che chiamavano Matt papà o papi, da avere dimenticato che anche Tony del Mar non aveva mai ammesso che i suoi figli lo chiamassero altro che signore, e aveva preteso che gli dessero del "voi", neanche fosse stato il Presidente.
Ennis prese un'ultima boccata e spense la sigaretta fumata a metà. Si sedette sulla punta del divano, in attesa, pronto a raggiungere Jack se lo avesse sentito dire qualcosa che non gli suonava bene. Ma quella conversazione era impossibile da udire: nel salotto risuonava la voce del cronista dalla televisione, Jack si era chiuso la porta alle spalle, e stava parlando a bassa voce.
Impaziente, si alzò e andò in corridoio. Poteva anche non essere successo niente di grave, ma una telefonata da John Twist era un evento quantomeno bizzarro.
Jack era girato verso la specchiera attaccata al muro. Si era appoggiato con una mano al mobile, come ci si appoggia su di una stampella, e stava dicendo, con voce malferma: "Sì... sì, ho capito, domani pomeriggio. Ci sarò."
"Jack?" fece Ennis. "Tutto bene?"
Jack scosse la testa, a capo chino. "Signore... ditemi che è stato un incidente. Vi prego."
La voce aspra di John uscì dalla cornetta: "Cosa ti salta in quella testa vuota? Ti ho detto che è stato un fottuto incidente. Cosa vuoi, una dichiarazione scritta?"
Ad Ennis venne voglia di strangolarlo: per sua fortuna, John Twist non era lì con loro. Era capitato qualcosa ad Ada, qualcosa di brutto, e quel bastardo riusciva solo a gridare e inveire contro il figlio. Bel capolavoro di uomo.
"Sì, va bene", disse Jack, mentre John continuava a brontolare. "Calmatevi. Ho capito. Ci vediamo domani."
Agganciò, e si appoggiò al mobile con entrambe le mani per qualche secondo.
"Jack?" ripeté Ennis, passandogli un braccio intorno alla vita. "Cos'è successo, piccolo?"
Jack si portò una mano sulla bocca. Le lacrime avevano iniziato a traboccare. "Non ho pianto con lui. Non mi ha sentito piangere."
"Sì, sei stato bravissimo." Ennis ormai aveva capito cos'era successo, anche se sperava che Jack si decidesse a parlare e smentisse la sua supposizione.
"Ennis, mia madre... n-non abbiamo fatto in tempo... lei..."
"Buono. Con calma."
Jack trasse un profondo respiro. "Mio padre dice che... è caduta dalle scale, ieri sera. Si è... si è... spaccata la testa, e..."
Ennis lo prese fra le braccia, lo strinse. Jack era un pezzo di ghiaccio.
"... ci è rimasta secca. Sul colpo. Oddio..." Jack si aggrappò a lui con una mano, l'altra sempre sulla bocca, iniziando a tremare. "Oddio, Ennis..."
"Sst... buono, piccolo. Buono."
Jan fece capolino dalla porta. Quando vide la scena, il suo sguardo si fece a metà fra il nervoso e il preoccupato. Aprì la bocca per parlare, ma Ennis le fece un cenno con la testa, sillabando la parola dopo, senza voce, sperando che lei non facesse domande, non in quel momento. Jan annuì e tornò nel salotto, chiudendo la porta dietro di sé.
"Lui ha detto che è stato un incidente", singhiozzò Jack. "Lei non si sentiva bene, aveva la febbre... e probabilmente è scivolata da sola... ma io so cosa succedeva, quando mia madre non si sentiva bene... lui le gridava ancora di più, perché era lenta..."
Ennis sentì la voce del suo compagno vibrare di terrore: temeva che fosse stato John a spingerla e farla ruzzolare giù dalle scale. Sapendo come andavano le cose in quella casa, era un sospetto del tutto lecito. "Sst. Calma. Adesso andiamo fuori, prendiamo una bella boccata d'aria. Va bene?"
"No, devo andare a fare la valigia. Devo andare a Lightning Flat. L'hanno portata in chiesa... il funerale c'è domani pomeriggio."
"Tu non vai proprio da nessuna parte. Non adesso, in questo stato. Adesso andiamo in cortile. Quando ti sei calmato, andiamo su e ci facciamo una bella dormita, e domattina ci svegliamo presto e andiamo da tua madre."
"Ma..."
"Lo sai che sono una testa dura. Con me non si discute."
Jack rise fra i singhiozzi, e si appoggiò a lui come se non avesse la forza di stare in piedi da solo. "Una maledetta testa dura", ribadì. Prese un pacchetto di kleenex dal cassetto, ne tirò fuori uno e si asciugò gli occhi.
Andarono fuori e sedettero sui gradini, sotto al portico. Buck li raggiunse, e si accucciò vicino ai piedi di Ennis, con il muso fra le zampe. A poco a poco, Jack riuscì a calmarsi, e raccontò che suo padre non aveva saputo come contattarlo, finché quella sera, rovistando fra le cose della moglie, non aveva trovato per caso indirizzo e numero di telefono degli Hamilton nell'ultima pagina dell'agenda che Ada teneva nel mobile del salotto, scritto sotto a JACK, in stampato.
"Non abbiamo fatto in tempo", ripeté Jack. "Non sono riuscito a tirarla fuori dal di là."
"Non è colpa tua, tu non potevi fare niente. Era lei che non aveva voglia di andarsene."
"Forse, se l'avessimo... legata e caricata in macchina, come dicevi tu... forse avremmo potuto... ma non potevo portarla qui da tua sorella..."
"Jack, è stato un incidente", ribadì Ennis, intuendo dove Jack stava andando a parare.
"Non lo so", sospirò  Jack. "Vorrei tanto crederci."
Anch'io, pensò Ennis. Forse si era trattato davvero di un incidente, e Ada era scivolata da sola. Ma tutti i dubbi di Jack, sommati al fatto che Ennis conosceva John, stavano iniziando a fargli credere il contrario.
A un certo punto, uscì Jan, il più discretamente possibile, e domandò cosa fosse successo. Jack stava con la testa appoggiata alla spalla di Ennis, le braccia strette intorno al corpo, gli occhi arrossati. Ennis gli teneva un braccio intorno alle spalle, la testa appoggiata alla sua, e lo cullava piano.
"Sua madre è morta", spiegò Ennis. "Domani andiamo a Lightning Flat per il funerale, e credo che dormiremo fuori. Fino a giovedì, mi sa che dovrete fare a meno di noi."
"Nessun problema. Piuttosto, volete qualcosa? Una sigaretta, del tè, del whisky... dei fazzoletti..."
"No, grazie, Jan, va bene così. Se abbiamo bisogno, faccio io."
Tutto quel piangere, però, aveva agito come un sonnifero su Jack, che si addormentò esausto non appena toccò il cuscino, per risvegliarsi quando suonò la sveglia alle cinque del mattino seguente, senza nemmeno avere cambiato posizione. Ennis invece era troppo inquieto per dormire, e per gran parte della notte rimase sveglio, gli occhi fissi nel buio, tenendo stretto il corpo caldo e rilassato del compagno.

3 - Ritornare


Il funerale era previsto per le tre del pomeriggio, e arrivarono alla chiesa pentecostale di Lightning Flat verso mezzogiorno, dopo una tirata di quasi sei ore sul furgone della Ford che avevano comprato quando quello vecchio aveva tirato definitivamente le cuoia. La chiesa era piccola, spoglia, squallida, una chiesetta di campagna come tante, situata all'esterno del centro abitato. L'aria era pervasa dall'odore dolciastro e soffocante dei fiori. La bara di Ada era stata sistemata, aperta, vicino alle scale che conducevano all'altare. Solo le prime tre file di banchi erano piene, probabilmente di parenti: era ancora presto per gli amici e i conoscenti che avrebbero partecipato alla messa.
Appena Jack ed Ennis furono entrati in chiesa, una signora mora e minuta, vestita di scuro, andò loro incontro ed abbracciò Jack.
"Jack..."
"Zia..."
Doveva essere la zia Anne, la sorella maggiore di Ada: aveva i lineamenti più grossolani, un aspetto meno gradevole, ma era anche meno sciupata, meno battuta dalla vita. A quanto ne sapeva Ennis, le due erano state molto legate, ed Anne era l'unica a cui Ada avesse rivelato tutto della vita di Jack dopo che aveva lasciato Lightning Flat: dove abitava, cosa faceva, come si manteneva... con chi stava.
"Ennis, questa è mia zia Anne", disse infatti Jack. "Zia, questo è Ennis del Mar. La mia famiglia."
Sentire Jack che lo definiva in quel modo riscaldò il cuore di Ennis, che si fece avanti per stringere la mano alla donna: "Piacere, signora..."
Lei ricambiò la stretta, ma fu meno cordiale: "Dodson", rispose, asciutta. Poi, a bassa voce: "Ragazzi, qui sono l'unica che sa di voi, e non è il caso che qualcun altro lo venga a sapere proprio oggi."
"D'accordo, zia", disse Jack.
"Non so come tua madre potesse essere tanto felice per te", lo apostrofò lei, fra i denti.
"Forse perché sapeva che anch'io sono felice", ribatté Jack.
Senza più replicare, Anne li accompagnò ai banchi: John era seduto nel primo, insieme ai genitori di Ada, vestito di nero, la barba del giorno prima, due enormi borse sotto gli occhi. Jack ed Anne li raggiunsero, e Jack fu subito abbracciato dai nonni, mentre John non si alzò; Ennis rimase in disparte, in piedi, alla distanza di una decina di passi da loro: abbastanza per lasciare che le questioni di famiglia restassero in famiglia, ma abbastanza per intervenire se John Twist se ne fosse uscito con una delle sue.
Fu Jack a chiamarlo, a bassa voce: "Ennis, questi sono i miei nonni materni. Nonno, nonna, lui è Ennis del Mar. Un mio amico e collega."
Ennis vide Anne tirare un sospiro, si fece avanti e strinse la mano ai due vecchi, che poi tanto vecchi non erano: a fatica potevano avere settant'anni. Intanto, i due fratelli di Ada, Harold e Jason, seduti nel banco accanto, li avevano raggiunti, con le rispettive famiglie. C'erano poi i due fratelli di John con la vecchia madre, e le mogli. Le presentazioni si facevano impegnative. Jack salutò brevemente gli zii e la nonna paterna, continuando a presentare Ennis come un amico, poi guardò il padre, ancora seduto sul banco con lo sguardo assente, fisso sul lungo cero accanto all'altare. John dovette sentire qualcosa, perché si girò nella sua direzione, poi tornò a guardare il cero, che evidentemente considerava più interessante dell'unico figlio.
Jack andò da lui. "Signore..."
"Ti sei portato dietro la tua guardia del corpo, vedo", disse John.
Jack fece per ribattere, ma si morse invece il labbro inferiore, e si girò per raggiungere la bara della madre. E bravo il mio Jack, pensò Ennis. Quello non merita il tuo tempo.
"Ennis del Mar, giusto?" John non mollò. "Mi ricordo di te."
"Posso immaginarlo", ribatté Ennis, senza pensare. "Deve aver portato i lividi per almeno una settimana." poi si maledisse: se John avesse ribattuto, ne sarebbe uscita un'altra litigata. Ennis sarebbe stato pronto a battersi nuovamente con quell'uomo, anche lì in chiesa, ma non voleva farlo, per rispetto verso Jack e sua madre.
John tacque, a disagio, e tornò a guardare il cero: grazie a Dio, era proprio il caso di dirlo.
Ada era composta nella bara di legno chiaro, con l'interno foderato di tessuto color avorio. Indossava il suo migliore vestito, blu, con una camicetta bianca, i capelli tirati indietro nel solito chignon, un velo in testa, un rosario fra le mani. Il suo viso era sereno, disteso, come se dormisse, ma era troppo truccata: il rossetto era di un rosa troppo intenso, e lo strato di fondotinta sarebbe stato difficile da togliere senza l'aiuto di martello e scalpello. Ennis l'aveva vista una sola volta, completamente senza trucco, e aveva immaginato che non fosse il tipo da agghindarsi e imbellettarsi. E infatti, Jack mormorò, con entrambe le mani appoggiate al bordo della bara: "Non è lei. Voglio dire... non sembra lei. Non si truccava così. Forse l'hanno truccata per nascondere..."
La voce gli si ruppe, ed Ennis temette che Jack stesse per scoppiare di nuovo a piangere, cosa che non aveva più fatto dalla sera prima. Improvvisamente, gli sembrò molto più giovane dei suoi ventuno anni, nel suo abito nero, lo stesso che aveva usato per il battesimo di Pete, con il viso tirato e gli occhi pieni di lacrime: gli passò un braccio sulle spalle e lo strinse, scuotendolo leggermente, e che la gente alle loro spalle andasse a farsi fottere. "Fatti coraggio."
Jack si passò una mano sugli occhi e lo guardò, abbozzando un sorriso.
Ennis sorrise in risposta.

A poco a poco, la chiesa si riempì di gente, e alle tre venne celebrata una breve funzione. Jack non pianse mai, ma per due volte Ennis si accorse che la situazione si faceva critica e gli strinse brevemente una mano: ben oltre il massimo che fosse loro concesso in pubblico, ma si trattava di una situazione particolare, e nessuno comunque sembrò notarli, neanche la zia Anne, seduta vicino a loro.
Dopo la messa, arrivò il becchino per chiudere la bara. John salutò la moglie sostandole davanti per pochi secondi, rigido, l'espressione impenetrabile, le braccia distese, le mani l'una nell'altra, senza dire o fare niente. Ennis non si stupì: quell'uomo aveva smesso di stupirlo fin dalla prima volta che l'aveva incontrato.
Jack si chinò su Ada, la baciò piano su una guancia, e disse: "Addio, mamma."
Poi si voltò e uscì dalla chiesa quasi di corsa, con una mano sugli occhi. Ennis lo seguì, e lo trovò nel cortile dietro la chiesa con la schiena appoggiata al muro, il viso fra le mani, un fazzoletto ripiegato fra le mani e il viso. Quando sentì arrivare qualcuno alzò la testa, asciugandosi gli occhi, e sorrise fiocamente nel vedere Ennis. "Diosanto, sembra che non riesca proprio a chiudere i rubinetti."
Ennis gli posò una mano su una spalla: "Tranquillo. Nessuno ti farà una colpa se piangi al funerale di tua madre."
"Non voglio piangere davanti a lui", precisò Jack. "Non voglio dargli questa soddisfazione."
Ennis pensava che Jack avrebbe dovuto fregarsene del giudizio di suo padre, ma lo tirò verso di sé: "Non gliela darai. Sei bravissimo, un vero duro."
"Scemo", Jack gli appoggiò la fronte su una spalla, Ennis gli baciò la testa e lo strinse, e Jack ricambiò l'abbraccio.
Pensa se un prete ha voglia di farsi un giro in giardino, in questo momento.
Ma qualcuno li stava davvero guardando, Ennis lo sentì. Non era solo un'impressione, una delle solite fantasie della sua mente. Si girò, ed ecco John Twist che li osservava con lo stesso sguardo con cui avrebbe potuto osservare un barile pieno di merda. Un prete sarebbe stato meglio.
"Sospettavo qualcosa del genere", disse. "Tu non sei solo la sua guardia del corpo. Tu sei il suo fottuto amichetto."
Riconoscendo la voce del padre, Jack sussultò e fece per sciogliersi dall'abbraccio, ma Ennis lo tenne stretto. "La smetta", sibilò. "Ci lasci in pace."
"Quindi mio figlio non è solo uno sfaticato buono a nulla", continuò John. "E' anche un maledetto culattone. Ditemi, chi dei due fa l'uomo e chi la donna? Chi sta sopra e chi sotto?... O meglio, chi sta dietro e chi davanti? Credo di avere già un'idea..."
Jack sollevò la testa e lo guardò dritto in faccia. "Dovreste vergognarvi", disse, calmo. "Come vi permettete di parlare così, con la mamma di là dal muro, in una bara?"
"Non venire a farmi la predica tu, che ti fai baciare e abbracciare da un altro uomo, e chissà cos'altro."
"La mamma sapeva tutto quanto, e se ci tenete a saperlo ne era felice." Jack continuava a parlare in tono quieto e calmo, come si parla ad un bambino un pò tonto. Ennis fu orgoglioso di lui, della freddezza che riusciva a dimostrare: nel profondo, doveva essere sconvolto. Lui lo era, e se Jack non fosse intervenuto, avrebbe fatto rimangiare a John ogni insulto, parola per parola, a suon di pugni. "Era felice che avessi trovato qualcuno che mi ama. Ma cosa ne sapete voi dell'amore?"
"Dovrei chiamare la polizia", minacciò John. "Loro saprebbero cosa fare a quelli come voi. Non lo farò, per rispetto a mia moglie, ma tu non sei più mio figlio. Appena il funerale sarà finito, vattene via, e fa' che non ti riveda, tu e il tuo amichetto, altrimenti avrete di che pentirvi."
"Sissignore", disse Jack.
John girò i tacchi e se ne andò.
Jack si appoggiò di nuovo ad Ennis, tremando come una foglia, il respiro affannato. "Cazzo, Ennis..."
Ennis fece del proprio meglio per sorreggerlo, ma sentiva le gambe molli come gelatina.

Quando rientrarono in chiesa, la bara era già chiusa: ci voleva qualcuno per trasportarla fino al piccolo cimitero, dall'altra parte della strada. Jack e John si offrirono, insieme ai due fratelli di Ada. Ennis temette una delle solite reazioni di John, anzi peggiore, ora che aveva avuto la conferma che la guardia del corpo di suo figlio era in realtà il suo amichetto. John però non degnò il figlio né di una parola, né di uno sguardo, come se Jack fosse stato assente. Raggiunse il proprio posto sul lato destro della bara, Jack gli si affiancò, i due fratelli dietro di loro, e Ada venne portata nel cimitero. Poi, tutto si concluse abbastanza velocemente: il becchino e i suoi due operai calarono la bara nella profonda buca che avevano già preparato, il prete la benedisse di nuovo, poi i becchini iniziarono a ricoprirla di terra, e molti dei presenti cominciarono ad andarsene. Pochi parenti, compresi John, Jack ed Ennis, rimasero fino a che il becchino spianò la terra e piantò una lapide, sulla quale era scritto, semplicemente, Ada Mary Dodson Twist, la data di nascita, 23 febbraio 1920, e la data della morte, 12 aprile 1965.
Alle sei, era tutto finito. A Jack ed Ennis non restava che cercare un motel per la notte, e il mattino seguente sarebbero ritornati a Casper.

4 - La profondità del buio

C'era un solo motel a Lightning Flat. Portarono i bagagli in camera, e una volta che Ennis ebbe chiuso la porta dietro di sé, Jack buttò la sacca sul pavimento, si sedette pesantemente sul letto, si allentò la cravatta e disse: "Ho bisogno di una doccia."
Ennis sedette accanto a lui. "Il bagno è tutto tuo."
Jack appoggiò la testa sulla sua spalla, le mani abbandonate in grembo. "Quando mio padre ci ha visti, ho avuto una paura del diavolo."
Ennis gli passò un braccio intorno alle spalle. "Anch'io. Sei stato grande, a restare così calmo."
"Non so come ho fatto. Quando ho sentito la sua voce, ho creduto che mi venisse un infarto."
"Invece gli hai risposto pan per focaccia."
"Già." Jack fece per aggiungere qualcosa, poi sospirò e tacque. Restarono per un pò abbracciati, in quella posizione, poi soggiunse: "Grazie, Ennis."
"E di che?"
"Di tutto. Di starmi vicino. E... di avermi abbracciato e tenuto la mano quando stavo per crollare."
"Era il minimo che potessi fare."
"Non cacciare balle. Lo so che in pubblico ci tieni a rispettare le tue regole."
"Le regole sono fatte per essere infrante." Ennis lo scrollò leggermente. "Quando io ho bisogno, tu ci sei sempre. E io voglio esserci per te, quando hai bisogno tu. Siamo una famiglia, o no?"
Jack chiuse gli occhi. "Grazie. Di nuovo." scivolò con la testa nel suo grembo, le mani vicino al viso, sulle sue cosce. "Sono così stanco..."
Ennis gli accarezzò i capelli, lisciandoli sulla tempia.
Ricordò una delle poche volte che Jack gli aveva parlato di suo padre, quando Jan e Matthew stavano cercando di insegnare a Ken ad usare la toilette anziché farla nel pannolone. "Avrò avuto due anni e mezzo, o al massimo tre", aveva raccontato Jack. "Non ricordo bene, ma usare il bagno doveva essere un casino, i bottoni, l'asse, il water troppo alto, io invece ero piccoletto... comunque, anch'io ogni tanto lasciavo qualche spruzzo, proprio come Ken."
"Credo che sia normale, per un bambino", aveva detto Ennis.
"Lo credo anch'io. Ma lui no. Una volta mi ha beccato mentre la stavo facendo, mia madre non c'era, forse era andata in città, non so... fatto sta che si è tolto la cintura e ha iniziato a picchiarmi con la cinghia. Non era la prima volta che lo faceva, ma ricordo come se fosse oggi che quella volta ho creduto che mi avrebbe ammazzato. E quando ne ha avuto abbastanza..."
La faccia di Jack aveva acquistato una strana espressione, a metà fra il rabbioso e il terrorizzato, gli occhi scintillanti di collera e paura. Un'espressione che Ennis non gli aveva mai visto prima di allora, e che gli era sembrata fuori posto in quel viso tanto dolce.
"Jack, se non vuoi parlarne..."
"Non sono io che devo vergognarmi di quello che è successo", aveva replicato Jack, duro. "Quel giorno, e anche dopo, mi sono vergognato a morte... ma era lui a doversi vergognare." si era guardato le mani, strette l'una nell'altra, aveva taciuto per un attimo. Poi aveva ripreso: "Quando si è accorto che stava per ammazzarmi di botte, si è slacciato i pantaloni e mi ha detto, Adesso ti faccio vedere com'è quando c'è piscio dappertutto, e ha iniziato a farmela addosso, sul pavimento, sul water, dove arrivava."
"Cristo", Ennis si era sentito accaponare la pelle, le forti tendenze paterne gli rivoltavano le viscere e il cuore. Quell'uomo era pazzo. Matto come un cavallo. Fare una cosa del genere a un bambino di neanche tre anni... a suo figlio.
"Poi mi ha fatto pulire tutto quanto, finché non era lucido come uno specchio", aveva ripreso Jack. "Ma quando se l'era tirato fuori... lo sai, io sono circonciso, lui invece no. Avevo visto che lui era diverso, e non capivo il perché. Ho creduto che qualcuno mi avesse tagliato via quel pezzo per chissà quale colpa, mentre lui l'avevano lasciato tutto intero... e
ho pensato che eravamo diversi, e che non ci saremmo mai potuti intendere, noi due." Jack si era fermato di nuovo, aveva chinato la testa. Poi aveva guardato Ennis, e il suo viso era tornato normale, ma incredibilmente triste, abbattuto. "Poi, più avanti, ho capito che lui non è mai stato capace di intendersi con nessuno, circonciso o no. Ma chissà perché, questo non mi consola affatto."
Ennis continuò ad accarezzare i capelli di Jack. 
Anche lui si sentiva stanco.

Dopo una veloce doccia, Ennis propose di mangiare qualcosa: erano le otto passate, e l'ultima cosa che avevano inghiottito era stato un sandwich nella stazione di servizio dove si erano fermati per cambiarsi d'abito prima di arrivare alla chiesa.
"Okay."
Si fermarono nel primo ristorante che trovarono, sulla strada che da Lightning Flat portava a Deaver: il tipico locale per automobilisti di passaggio, arredato alla buona, che proponeva piatti di cucina casalinga in porzioni abbondanti. Jack piluccò appena la sua bistecca e i fagiolini, ma nemmeno Ennis si scoprì avere molto appetito.
"Dopo cena, voglio andare alla fattoria", disse Jack all'improvviso.
"Scusa?"
"Voglio prendere qualcosa di mia madre. Un ricordo... una foto, un maglione, un fazzoletto, qualcosa."
"Non so se è una buona idea."
"Cos'è, hai paura di mio padre?"
Ennis esitò: 
"No. Ma non vorrei che..." non aveva paura delle minacce di John Twist, chiamasse pure la polizia, o anche l'esercito se voleva, ma temeva una nuova discussione con Jack, nuovi insulti, e questa volta era sicuro che Jack non sarebbe riuscito a rimanere calmo come nel pomeriggio. Capiva che Jack volesse un ricordo della madre, ma ne sarebbe valsa la pena, a quel prezzo?
"Se tu non vuoi venire, ti riporto al motel e ci vado io." quando Jack s'intestardiva su qualcosa, niente poteva smuoverlo: riusciva ad essere ancora peggio di Ennis. 
"Neanche per sogno. Vengo con te."

La fattoria era buia, tutti gli scuroni erano chiusi, come se nessuno fosse stato in casa. 
Jack suonò al campanello. Nessuna risposta. Suonò di nuovo. Niente.
"Tuo padre è uscito", disse Ennis.
"Forse. Aspetta un attimo." Jack suonò altre due volte, tenendo premuto il dito sul pulsante per diversi secondi. Lo rilasciò, e parve arrendersi: "Hai ragione, qui non c'è nessuno."
Si girarono per tornare al furgone, quando udirono un fruscio provenire dal cortile di dietro. Dei passi sull'erba. Poi, dall'angolo della casa, immerso nel buio, emersero prima l'ombra, poi la shilouette di John Twist.
"Signore?"
"Cosa vuoi?" fece John, con voce stentata, da ubriaco, avanzando verso di loro. Teneva in mano, stretta per il collo, una bottiglia di whisky scadente, in cui rimaneva solo un dito di liquido, e indossava il completo nero del pomeriggio, con la cravatta allentata e il collo della camicia aperto. " Ti avevo detto di non farti più vedere."
"E' freddo qui fuori", disse Jack, andandogli incontro. "Perché non andiamo in casa?"
Ennis si domandò, per la milionesima volta, come facesse Jack ad essere così gentile con quell'uomo, come potesse continuare a volergli bene, malgrado tutto.
Perché, tu non volevi bene a quel poco di buono di tuo padre, malgrado tutto? Non hai continuato a volergli bene anche quando credevi che fosse un assassino?
"Non posso", disse John.
"Sì che potete, qui fa troppo freddo", disse Jack, e fece per passargli un braccio intorno alle spalle per accompagnarlo dentro, ma John scattò, respingendolo con violenza: "Vattene via, ti ho detto! Lasciami in pace!"
"Signore..." Jack tentò di prendergli un polso, ma in cambio John lo spintonò, facendolo indietreggiare: "Ti ho detto che non posso entrare in casa! Lei..." s'interruppe, guardò verso la casa buia. "Non posso più entrare lì. Lei non mi lascia più entrare."
"Chi?" Jack guardò il padre, poi guardò la casa, poi di nuovo il padre. "Chi c'è in casa?"
John crollò: la sua faccia divenne una maschera di dolore, le lacrime gli riempirono gli occhi e iniziarono a scendere sulle guance rugose. Era ubriaco dalla punta dei piedi fino a quella dei pochi capelli. "Lei... lei crede che sia stato io", singhiozzò John. "Crede che l'ho fatto apposta."
"Di chi parlate?" Jack era impallidito, e ripeté, quasi gridando: "Chi c'è in casa?"
Ennis pensò che Jack aveva avuto ragione fin dall'inizio. Sperò ancora una volta di sbagliarsi, ma era convinto che non ci fosse bisogno di continuare a chiedere a John di chi stesse parlando: le sue farneticazioni erano più che chiare.
John si prese la faccia fra le mani, sempre tenendo ben stretta la bottiglia, rannicchiandosi e singhiozzando. Jack lo prese per le spalle, lo scosse: "Di cosa parlate, signore? Di chi parlate?"
Suo padre lo guardò: "Diglielo tu, che non sono stato io... magari, a te ti crede."
"State parlando... della mamma?"
"Io le ho detto che è stato un incidente, ma lei..."
"Voi cosa?" Jack prese il padre per il collo della camicia. John non reagì, e ripeté: "E' stato un incidente. Non volevo farla cadere. Non avrei mai pensato di farla cadere, ma..."
Il viso di Jack diventò bianco come un foglio di carta, gli occhi spalancati fino a mangiargli la parte superiore del viso. Ennis ebbe paura che questa volta gli stesse davvero per venire un infarto, o che almeno avrebbe perso i sensi, e fece per raggiungerlo e sostenerlo, ma Jack spinse il padre contro la parete, inchiodandolo con il proprio corpo: "Cos'è che avete fatto?"
"Io, niente", ansimò John. "Io le ho solo dato uno schiaffo. E' lei che è caduta giù..."
"Siete un assassino!" gridò Jack, sbattendolo con la schiena contro il muro. "Siete un maledetto assassino! Non vi bastava di picchiarla tutti i santi giorni, avete dovuto ammazzarla!"
Per John, reagire con la violenza alla violenza era ormai un riflesso condizionato. Del resto, non era abituato a pestare chi non gli aveva fatto niente? I due uomini, padre e figlio, presero a darsele di santa ragione e finirono a terra, sull'erba, accapigliandosi.
"Siete un assassino!" gridava Jack, con la voce stravolta. "Lo sapevo che eravate stato voi! Lo sapevo!"
"E' stato un incidente, maledizione, un cazzo di incidente!" rispondeva John.
"Siete voi che l'avete fatta cadere, brutto figlio di puttana!"
"Se lei non fosse stata così lenta..."
"Maledetto figlio di puttana! Maledetto, che siate maledetto!"
Ennis intanto cercava di afferrare Jack da dietro, per separarlo dal padre. Non gli sfuggì che Jack continuava a dare del "voi" a John, nonostante lo stesse coprendo di improperi: le abitudini acquisite da molto tempo sono difficili da eliminare. Riuscì a prendere Jack sotto le ascelle, e finalmente tirarlo indietro dividendolo da John, che rimase ansimante a terra. Trattenerlo era ancora più difficile che riuscire ad afferrarlo: Jack era forte quasi quanto lui, agile più di lui, e avvantaggiato da tutto il furore e l'adrenalina che aveva in corpo.
"Buono, Jack, buono... coraggio, calmati..."
"Lasciami!" gridava Jack, divincolandosi, con le lacrime agli occhi, il viso paonazzo: sembrava un neonato che facesse i capricci. Era in uno stato tale che Ennis credeva che, pur di liberarsi, avrebbe picchiato anche lui. "Lasciami, Ennis, lasciami andare, io quello lo ammazzo con le mie mani! Lo ammazzo!"
"Buono, piccolo", esclamò Ennis, come parlando ad un cavallo imbizzarrito. "Buono, avanti, calmati..."
Quando si rese conto che Ennis non avrebbe mollato la presa, Jack gridò, di furore e frustrazione, e scoppiò in singhiozzi disperati, isterici, crollando in ginocchio, ripiegato su sé stesso, le braccia strette intorno al corpo. "L'ha uccisa lui, oddio, l'ha uccisa lui", gemette, come una litania. "Lo sapevo, l'ha uccisa lui, lo sapevo... l'ha uccisa lui..."
Ennis lo tenne per le spalle, da dietro, pronto a trattenerlo con la forza se Jack avesse tentato di saltare di nuovo addosso al padre. "Sst... coraggio, calmati... coraggio, fatti coraggio..."
John era ancora a terra, uno spettacolo davvero meschino: il naso sanguinante, le lacrime agli occhi, il viso stravolto, da ubriaco, da pazzo. "Io non avrei voluto farla cadere", ripeté. "Non ho mai lontanamente pensato che potesse cadere giù... che potesse morire... e lei adesso è arrabbiata e non mi lascia più entrare nella mia fottuta casa."
"Smettetela!" gridò Jack. "Smettetela, bastardo assassino!"
John si alzò, raggiunse barcollando i due ragazzi. "Cosa posso fare? Ditemi cosa posso fare..." all'improvviso ebbe un'idea, forse vedendo Jack fra le braccia di Ennis, più o meno la stessa scena a cui aveva assistito quel pomeriggio: "Chiama la polizia, Jack. Forse loro riescono a cacciare tua madre."
Jack si prese la faccia fra le mani e non rispose: per quella sera, ne aveva avuto a sufficienza. Fu Ennis a ribattere: "Lo lasci in pace. Non gli ha già fatto abbastanza male? Se la chiami da solo, la polizia, se ci tiene tanto. Mi chiedo se invece di scacciare la signora Ada non metteranno piuttosto dentro lei."
John tacque. Si sedette di nuovo a terra, inebetito, con le mani in grembo.
"Andiamocene, Ennis", mormorò Jack, alzandosi in piedi, raccogliendo il cappello che aveva perso durante la colluttazione e passandosi il dorso della mano sull'angolo della bocca, che sanguinava. "Non voglio più vederlo. Non voglio vederlo... mai più."
Ennis gettò un'ultima occhiata a John, che piangeva, l'aspetto di un vecchio di novant'anni, gli occhi da folle. Lacrime di coccodrillo. Chissà cosa sarebbe successo il mattino seguente, quando avrebbe ricordato quella scenata, quella confessione. Forse la cosa giusta da fare sarebbe stata andare di corsa alla polizia, ma la decisione spettava a Jack. Gli passò un braccio intorno alla vita e l'accompagnò al furgone.


Nella breve strada fino al motel, Jack riuscì a ricomporsi, ma non disse una parola, seduto al lato passeggero con il viso rivolto al finestrino.
Ennis poteva capirlo, doveva essere a dir poco sconvolto.
Gli era successo l'inverso di quello che era capitato a lui: Jack sapeva che suo padre era un violento, ma non l'avrebbe mai creduto capace di arrivare ad uccidere qualcuno, nemmeno per errore; invece, l'incredibile era accaduto, e la vittima era stata nientemeno che sua madre. Al contrario, Ennis era stato convinto che suo padre fosse un assassino, e invece aveva scoperto che non lo era, magrado fosse stato un poco di buono, razzista, intollerante, ubriacone e attaccabrighe.
Inoltre,
mentre Ada Twist sembrava non essere mai riuscita a mettere un freno a suo marito, Miranda del Mar aveva evitato a Tony di cadere in certi eccessi - uno a caso, quello di picchiare moglie e figli come si trattasse di sacchi da pugilato.
Da piccolo, Ennis aveva pensato che sua madre, presto o tardi, si sarebbe stancata, avrebbe preso loro tre e se ne sarebbe andata da casa, e ne aveva avuto la conferma da Janice, poco meno di due anni prima che i suoi genitori morissero. Jan gli aveva confidato che già da tempo sua madre stava mettendo da parte del denaro per la fuga: non avevano parenti su cui fare affidamento, andare via senza soldi era fuori discussione. Ennis era rimasto in attesa, speranzoso, ma non era mai successo niente, e quando i loro genitori avevano tirato dritto a quell'unica curva, li avevano lasciati totalmente al verde. Il denaro di sua madre non era mai saltato fuori, e nessuno avrebbe potuto convincere Ennis che suo padre non era riuscito a trovarlo e se l'era speso in bevute. 
Il sapere che suo padre non fosse un assassino non cambiava il nodo fondamentale: Tony del Mar era stato un poco di buono, e un poco di buono era rimasto fino alla morte - Ennis si era più volte domandato quale padre sano di mente potesse portare due ragazzini di sei e nove anni a vedere un cadavere straziato, come si va ad ammirare un tratto di ferrovia appena costruito. Una vita di dissolutezza non viene rimediata da un mancato omicidio, comunque approvato, ma per Ennis, quel piccolo particolare aveva significato molto. Assassino era una parola pesante, e suo padre, almeno, non lo era. Ne aveva combinate di tutti i colori, ma per quanto ne sapeva lui, non si era macchiato le mani di sangue innocente. 
Jack invece, cos'aveva di suo padre? Cosa gli sarebbe rimasto, quando John fosse morto? Solo il ricordo di un uomo violento, incapace di gesti d'affetto, ma prodigo di insulti, maltrattamenti e percosse, che alla fine era riuscito, vuoi per sfortuna, vuoi per un banale incidente, vuoi perché, a forza di provarci, prima o poi ci si riesce, a metter fine alla vita della donna che aveva voluto stargli accanto, e che come unica colpa aveva avuto quella di un carattere poco risoluto.
Niente avrebbe potuto cambiare l'immagine che Jack aveva di suo padre, dopo quella sera: Jack aveva ogni ragione di sentirsi a pezzi.

In camera, Jack fece un'altra lunga doccia. Questa volta, Ennis lo aspettò a letto, in maglietta e slip, fumando e guardando le news della notte alla televisione dal segnale disturbato, tutto pur di tenere fuori dalla mente il pensiero di John Twist... accompagnato a ruota da quello di Tony del Mar. Se si fossero potuti conoscere, Ennis avrebbe scommesso che i due si sarebbero intesi alla perfezione, proprio come i figli - bè, forse non proprio in quel modo.
Jack uscì, asciugandosi con il telo da bagno.
"Tutto okay?" domandò Ennis, rendendosi conto di quanto quella domanda suonasse di circostanza.
"Tutto okay", rispose meccanicamente Jack, prendendo un paio di slip puliti dal borsone. Si infilò a letto, ed Ennis gli passò un braccio intorno alle spalle, respirando quel buon profumo di shampoo e sapone e vapore che tutti hanno appena usciti dalla doccia. Jack gli prese la mano dove teneva la sigaretta, aspirò una boccata: ogni tanto lo faceva, era una di quelle cose che potevano fare solo quando erano soli, con la porta chiusa a chiave.
"Jack, senti... c
redo che dovremmo andare davvero alla polizia."
Jack lo guardò. Il suo viso sembrava invecchiato di dieci anni in una sola sera.
"Tuo padre deve essere punito", disse Ennis. "Per quello che ha fatto a tua madre l'altra sera... e per tutto quello che vi ha fatto in questi anni."
"Tu credi davvero che gli farebbero qualcosa?"
"Scusa?"
"
Se chiamiamo la polizia, lo interrogheranno e lo rilasceranno", spiegò Jack, con un sorriso ironico. "Dirà che è stato un incidente, e tutto finirà lì. Ne è talmente convinto che riuscirebbe a passare la macchina della verità."
"Non mi frega un cazzo di quello di cui è convinto tuo padre", ribatté Ennis. Jack aveva ragione, ma non gli andava che John potesse passarla liscia. Prese un tiro nervoso dalla sigaretta. "
Da come la vedo io, lui ha provato ad ammazzarla finché non ci è riuscito."
Jack sospirò. "No... non è così. Lui la picchiava, ma era sincero quando ha detto che non ha mai pensato di poterla uccidere. A pensarci, avrebbe potuto capitare in tutti gli anni in cui sono stati insieme, avrei potuto rimanerci secco anch'io. Più di una volta ci ha buttati di proposito giù dalle scale, ma non ci siamo mai fatti nient'altro che qualche livido. E adesso, lei è morta... per una scivolata."
"Non puoi credere a quello che dici. Capisco che tu sia sconvolto, ma..."

"Anche quando maltrattava me", continuò Jack, come se non avesse sentito le parole di Ennis, "Lo faceva sinceramente per il mio bene. Lui credeva davvero che io fossi un buono a nulla, e quello era... il suo modo di correggermi, e di correggere anche lei. Probabilmente, è l'unico modo che conosce." lo sguardo di Jack s'incupì, gli angoli della sua bocca si piegarono verso il basso in una smorfia amara. "In tutti e diciannove gli anni che ho vissuto lì, quel figlio di puttana non ci ha mai detto una parola gentile, né a me né a mia madre. Quello non sa fare altro che brontolare, e insultare, e menare le mani."
Ennis spense la sigaretta nel portacenere sul comodino. Non sapeva cosa ribattere. "La decisione comunque spetta a te."

"Io non farò niente", disse Jack, deciso. "Non andrò alla polizia, e non tornerò più in quel maledetto ranch. Non voglio più vedere quel bastardo, non m'importa più niente di lui. Non m'importa se inizia a bere, non m'importa se dorme all'aperto perché il rimorso lo tormenta quando entra in casa. Anzi, spero che il rimorso inizi a tormentarlo anche fuori, in ogni luogo, in ogni istante che gli rimane da vivere." la sua voce aveva iniziato a tremare, le lacrime a traboccargli dagli occhi, colmi di dolore e di rabbia. "Spero che abbia il tempo di pentirsi per ogni volta che l'ha insultata, ogni volta che le ha messo anche solo un dito addosso." si girò su un fianco, in posizione fetale, con la schiena rivolta verso Ennis, la faccia fra le mani, le spalle tremanti. "Brutto figlio di puttana", singhiozzò. "Ma perché ci odiava in quel modo? Cosa gli avevamo fatto? Noi... io... gli volevo bene... e cercavo solo la sua approvazione, il suo affetto... invece non ero mai abbastanza per lui. Mai abbastanza obbediente, mai abbastanza bravo, abbastanza buono... abbastanza forte... abbastanza... uomo..."
Ennis lo strinse, da dietro. "Coraggio, piccolo", disse. Ricordò quella volta che aveva pianto fra le braccia di Jack, dopo avere scoperto che suo padre non aveva partecipato al massacro di Earl Bowers. Aveva pianto e aveva sputato il rospo che lo stava strozzando da anni, e dopo si era sentito meglio. Anche Jack ora aveva un rospo da sputare, e bello grosso. Forse non sarebbe riuscito a espellerlo tutto, ma avrebbe potuto cominciare. Sempre meglio che niente. "Piangi quanto vuoi, buttala fuori tutta."
"Che f-fottuto frignone", si schernì Jack.
"Non preoccuparti. Qui ci sono solo io, nessuno può vederti. Piangi e sputa quel dannato rospo, prima che ti avveleni."
Jack si girò, si annidò fra le braccia di Ennis e pianse.


5 - Quel che resta

Ennis, che da sempre aveva il sonno leggero, non riusciva a credere come Jack potesse dormire anche quando stava male fisicamente, o era disperato: anche quella notte dormì come un ghiro, mentre lui non poté fare altro che rannicchiarsi nel suo calore e ascoltare il suo respiro, appisolandosi per al massimo un'ora e risvegliandosi e vegliando, per poi riappisolarsi e risvegliarsi e vegliare, fino al mattino, come il periscopio di un sottomarino che ogni tanto riemerge dal pelo dell'acqua per poi ritornare sotto poco dopo.
Il giorno successivo si svegliarono di buon'ora, fecero colazione e pagarono il conto del motel, e Jack sembrava abbastanza tranquillo e di buon umore, compatibilmente con le circostanze. Caricarono le valige, partirono per Casper, e prima di lasciare Lightning Flat, Jack volle passare dal cimitero, per un ultimo saluto a sua madre.
S'inginocchiò davanti alla tomba, che era coperta di fiori, baciò la punta delle dita e toccò la lapide, bisbigliando qualcosa che solo sua madre, dovunque fosse, avrebbe potuto udire. Poi si rialzò, spolverandosi i jeans: "Possiamo andare."
Ennis era dietro di lui. Non avevano più parlato della sera prima, ma mentre camminavano lentamente per il viale ghiaiato, costeggiato da cipressi, non riuscì a trattenersi: "
Alla fine, mi dispiace... non sei neanche riuscito a prendere un ricordo di tua madre."
"Non ti preoccupare", Jack gli sorrise: niente a che vedere con i suoi soliti larghi, contagiosi sorrisi, che gli illuminavano tutto il viso e facevano impazzire Ennis... ma un buon inizio, meglio di quanto Ennis avesse potuto sperare. "
Non ho bisogno di una camicetta, o di un maglione, per ricordarla. A proposito... hai presente la camicia che credevi di avere perso?"
"Che camicia?"
"Quella che credevi di avere lasciato sulla Brokeback, l'ultimo giorno, quando io ti ho colpito e tu mi hai tirato quel pugno."
Ennis lo guardò, interrogativo. Rammentava la sua vecchia camicia a sottili righe scozzesi, a cui mancava un bottone in fondo, piena di rattoppi e rammendi, il tessuto ormai assottigliato dall'usura e dai troppi lavaggi. Non era stata poi una gran perdita: già era poco più di uno straccio, e dopo averla macchiata con tutto quel sangue, sarebbe stata buona solo per il bidone dell'immondizia.
"Bè, l'avevo presa io", confessò Jack, un pò in imbarazzo, mentre oltrepassavano l'uscita del cimitero e raggiungevano il parcheggio. "L'ho presa, l'ho chiusa in quella che indossavo io quel giorno, le ho ripiegate insieme e le ho messe nella mia borsa. Credevo che non ti avrei più rivisto, e volevo un tuo ricordo. Speravo che potesse mantenere il tuo odore... che stupido, eh?"
"No, non direi", disse Ennis, al quale non piaceva ricordare quel giorno, uno dei più brutti della sua vita: lacerato fra il buonsenso della ragione e i desideri folli del suo cuore, aveva creduto di perdere la testa... e non era forse quello che si era augurato? Perdere la testa, impazzire, non sapere e non sentire più niente.
"A dire la verità, me ne ero quasi dimenticato", disse Jack, cercando le chiavi del furgone nella tasca dei jeans. "Ma ieri, quando ho fatto la borsa, erano ancora là, tutte e due, e le ho lasciate nell'armadio. Quando arriviamo a casa, te la restituisco... per fortuna, non mi è servita a molto."
Ennis rifletté per un secondo. Poi: "No, tienila tu. Lasciala dov'è, dentro alla tua."
Questa volta fu Jack a guardarlo come se non capisse.
"Sembra che ci abbiano portato fortuna", spiegò Ennis, stringendosi nelle spalle e sperando che Jack non gli facesse altre domande in proposito: nemmeno lui avrebbe saputo spiegare perché, ma ci teneva che quelle due camicie restassero al loro posto, l'una chiusa dentro l'altra, così com'erano da quel giorno d'estate. Sciocca superstizione? Forse. Ma più di tutto, era rimasto colpito dalla tenerezza del gesto di Jack. Separare quei due pezzi di stoffa, adesso, dopo tutto quello che era successo, gli sarebbe sembrato un sacrilegio. "Lasciamole lì."
Jack sembrò capire, e annuì.
Tornarono a Casper, e la vita andò avanti, con i soliti lavori, il ranch e i campi e le bestie, i tornei di rodeo, i bambini che crescevano, e la nuova, piccola fattoria, in costruzione sul terreno confinante con quello degli Hamilton.
Ennis sapeva che Jack, ogni tanto, telefonava al padre: aspettava che qualcuno alzasse il ricevitore, udiva John rispondere "Pronto", e buttava giù.
"Non avrò mai il coraggio di parlargli", gli aveva spiegato Jack. "E non ne ho nemmeno voglia, a dire la verità. Però voglio sapere se c'è, se è ancora lì. Di certo, è riuscito a entrare in casa, e non dorme in cortile. Se riesce a dormire. Il resto, quello che vede la notte dopo avere bevuto, è affar suo."
Ennis poteva capire i sentimenti contrastanti di Jack verso suo padre; anzi, era convinto che fosse molto più preoccupato per John di quanto lasciasse intendere, anche se Jack non l'avrebbe mai ammesso. Dopo che erano tornati a Casper, aveva iniziato a ricevere allarmanti telefonate dagli zii, a volte i fratelli di John, a volte anche la zia Anne o gli altri due fratelli di Ada, che l'avevano informato che dopo il funerale della moglie, suo padre non era stato più lo stesso. Aveva preso a bere, lui che al massimo era solito farsi un goccio senza però ubriacarsi, restava nel bar fino all'ora di chiusura, spesso attaccando briga e facendosi cacciare, tanto che i proprietari gli avevano proibito l'entrata nel locale, ma quel che era peggio, talvolta quando era sbronzo straparlava di fantasmi dentro alla fattoria.
"Tua nonna e i fratelli di tuo padre sarebbero felici se tu tornassi qui qualche giorno", aveva proposto la zia Anne. "Anche se io non credo che potresti fare molto per lui."
Jack aveva sospirato: "Io credo che sarebbe addirittura peggio. Da quando me ne sono andato da casa, non ha più voluto vedermi. Non hai visto
come si è comportato con me al funerale?"
"Ha sospettato qualcosa", aveva detto la zia.
"Ha capito tutto", aveva ribattuto Jack. "Ma l'aveva capito anche prima."
"Comunque, non ti preoccupare. Il tuo segreto sembra in salvo. Tuo padre non fa altro che farneticare di fantasmi, non sembra avere tempo per andare a raccontare che l'amante di suo figlio è un uomo."
Poi, in novembre, arrivò una telefonata da uno dei fratelli di Ada, Jason, quello che aveva due anni in meno di lei. Disse che John era stato trovato morto in casa. Una fine orribile: ubriaco fino al midollo, era inciampato e ruzzolato giù dalle scale, spezzandosi la spina dorsale, senza però morire: quando si era reso conto che gli restava poco, o aveva temuto rimanere paralizzato, era riuscito a raggiungere il fucile strisciando nel sottoscala, e si era sparato alla testa. Che dalla morte della moglie fosse praticamente impazzito, e non fosse più in grado di vivere da solo, era chiaro a tutti, ormai; e del resto, John non aveva voluto andare ad abitare da uno dei fratelli o qualche altro parente, né aveva voluto nessun altro in casa con sé.
Un padre è un padre, anche quando è un poco di buono e ride davanti al cadavere massacrato di un innocente, anche quando ti picchia con l'attizzatoio della stufa e infierisce su tua madre al punto da finire per ammazzarla: quindi Ennis riuscì a capire Jack quando, dopo avere messo giù il telefono, si prese la faccia fra le mani e pianse.
Abbracciò Jack e pensò che John non era caduto dalle scale. Forse si era buttato giù di proposito. O forse il fantasma di Ada l'aveva spinto, ma non l'aveva graziato di una fine tanto rapida. Fosse quel che fosse, Ennis sapeva che per un pò la sua mente avrebbe avuto di che lavorare, alla notte, negli incubi o quando non riusciva a prendere sonno, abbracciato al corpo rilassato di Jack con lo sguardo fisso nel buio, o verso la finestra, quando la neve cadeva silenziosa ed era bello potersene stare lì al caldo, sotto la trapunta, rannicchiato fra le braccia della persona che ami, proprio come nell'armadio la vecchia camicia scozzese era chiusa in quella più nuova di denim blu, entrambe macchiate del sangue di Ennis e ancora odorose dell'erba in cui si erano rotolati durante la lotta.
Povero John Twist. Lui non aveva avuto nessuno da amare, e non si era lasciato amare da nessuno. Chi ci aveva provato, aveva ricevuto in cambio insulti e percosse. Di chi fosse stata la colpa, impossibile da dire. Ennis a volte si chiedeva se anche lui sarebbe potuto diventare così, se non avesse conosciuto Jack o non fosse rimasto con lui.
Meglio non averlo saputo, meglio non saperlo mai.
Ci fu un altro funerale a Lightning Flat, e Jack ereditò la fattoria: un piccolo ranch, con un orto, una decina di vacche e una ventina fra polli e conigli. Insieme con Ennis, fece un sopralluogo nell'abitazione, e prese quei pochi oggetti di valore che erano appartenuti ai genitori: le fedi nuziali, i gemelli di John, gli orecchini di turchese di Ada, l'anello di fidanzamento e la catenina con la piccola croce d'oro, l'album di fotografie, il vecchio quadro del bisnonno, il servizio di ceramica bianca. Nell'armadio di Ada, in una scatola da stivali, trovò tutte le fibbie e le coppe che aveva vinto ai rodei prima di andarsene da casa, insieme ad un quaderno pieno di ritagli di giornale: articoli e trafiletti sulle sue gare, che sua madre aveva conservato, incollandoli ad uno ad uno. L'ultimo era quello del torneo di Riverton del marzo precedente, in cui Jack era riuscito ad aggiudicarsi il primo posto in cambio di un'insignificante slogatura al polso.
Jack chiuse il quaderno, lo ripose nella scatola, e aggiunse uno dei fazzoletti che Ada metteva in testa in inverno.
"Credo sia tutto", disse. "Il resto, i mobili, gli abiti, la biancheria... lo lascerò agli zii. Non me la sento di prenderli io."
"Non vuoi prendere i trofei di tuo padre?" chiese Ennis.
Non avrebbe avuto voglia di fargli quella domanda, ma temeva che Jack in futuro si sarebbe potuto pentire. "Potrebbero anche valere qualcosa."
Jack scosse la testa. "Non li voglio. Quando era giovane, non aveva in testa altro che i rodei. Non gli fregava niente di me o di mia madre... ha gareggiato persino mentre lei stava partorendo. E cos'ha ottenuto, poi? Solo un mucchio di ossa rotte." tacque, pensieroso. "Sai, credo che smetterò, alla fine di quest'anno. Non voglio ritrovarmi come lui, a trent'anni con il corpo di un vecchio di ottanta."
Ennis era rimasto a bocca aperta; non si aspettava una decisione del genere.
"Sei... sicuro?"
"Sì.
Non vale la pena di ridursi come lui, per quei due soldi che si vincono. Non ne varrebbe la pena neanche per diecimila dollari a botta."
"Se vuoi saperlo, a me fa piacere", confessò Ennis. "Non ti avrei mai chiesto di smettere, ma quando gareggi ho una gran paura."
"Lo so", sorrise Jack, e gli cinse le spalle con un braccio. Erano ancora inginocchiati davanti all'armadio aperto, nella stanza da letto di John e Ada. La casa era fredda, vuota e silenziosa. Fuori il vento ululava, promettendo altra neve. "Un pò, voglio smettere anche per questo. Mi fa male al cuore vedere come vai in ansia ogni volta. E come ti riduci quelle povere mani."
Ennis tacque, sentendosi infinitamente stupido:
quello che aveva iniziato, con il tempo, ad apprezzare nella loro relazione, oltre alla loro estrema diversità di temperamento e carattere, che talvolta li faceva scontrare ma più spesso fungeva da collante, completandoli a vicenda, era quello speciale rapporto di parità, che sarebbe stato impossibile da creare con una qualsiasi donna, foss'anche forte come era stata sua madre, come Jan o, in quel suo modo tutto particolare, come Kat. Ma se il loro era un rapporto tanto paritario, dove nessuno dei due doveva preoccuparsi per l'altro, allora perché non riusciva a smettere di preoccuparsi per Jack? Ormai era chiaro che non erano solo i rodei a farlo preoccupare: quella brutta storia di suo padre gliel'aveva ampiamente dimostrato.
Però anche Jack si preoccupava per lui: Jack Twist era stata la prima persona che si fosse davvero preoccupata per lui, quando era un ragazzetto scontroso e taciturno, spaventato dal genere umano e arrabbiato con il mondo intero, ed era stata la prima persona a cui Ennis avesse dato fiducia.
In fin dei conti, si poteva dire che fossero pari.

"Senti, per il ranch", riprese Jack, cambiando discorso. "Io pensavo di vendere tutto, dopo che i miei zii l'avranno svuotato. A parte gli animali, che porteremo da noi a Casper, ovviamente."
"E' una scelta che spetta a te."
"No, davvero, tu che ne pensi? Affittarlo, non vale nemmeno la pena. Anche vendendolo, forse non riusciremo a tirarci su molto, ma tutto quello che riusciamo a guadagnare, servirà per il nostro."
"Non ti dispiace un pò?"
"Venderlo? No, per niente. E ormai, la mia vita è altrove... anche grazie a una maledetta testa dura che una sera mi ha trascinato via da qui."
"Modestamente", disse Ennis, scrollandolo appena, pensando che quanto lui aveva fatto per Jack non sarebbe mai stato pari a quanto Jack aveva fatto per lui.  

Nota: Seguito di "Somewhere". Jack piange alla stregua di Candy Candy, ma mi sembra che le circostanze lo richiedano, anzi lo esigano. Ennis è decisamente diverso dal film e dal racconto originale della Proulx (giusto un filino più dolce), e non poteva essere altrimenti: il suo brutto carattere è stato mitigato dalla vicinanza di Jack, come lui stesso riconosce - e anche Jack è meno "incazzato" e disilluso, dato che la persona che ama ha scelto di vivere con lui.

Un piccolo appunto linguistico: ho voluto sottolineare il rapporto che c'è fra Jack e John pretendendo da quest'ultimo che il figlio lo chiamasse signore - cosa che comunque accadeva spesso, tempo fa, qui in Italia come in altri paesi. Ho scelto di usare il "voi" anziché il "lei", anche se nella lingua inglese queste forme non esistono, perché mi sembrava suonasse meglio (in italiano, signore associato a un colloquiale "tu" mi suonava davvero da cani)... e anche perché ho sentito spesso mio padre e mia madre, nati nel '46 e nel '50, dare del "voi" ai rispettivi genitori, soprattutto ai padri.
Un altro appunto: il racconto di Jack nel capitolo 4 non è farina del mio sacco: l'ho preso, parafrasandolo con parole mie, direttamente dal romanzo. Nel film non si parla di questo episodio, ma qui mi pareva doveroso citarlo.

Per Fog: Ripensando alla tua mail, ho leggermente modificato questa storia
(e ho lievissimamente cambiato anche "Somewhere", quando entra in scena Janice, e quando Ennis molla Alma - o è Alma a mollare Ennis?). Alla fine, non è venuta un romanzo come credevo, è stato sufficiente intervenire in alcuni punti. E' rimasta blanda, in fondo qui siamo in totale AU, come hai detto anche tu (e come ti ho detto io, non volevo parlare di intolleranza, ma di rapporti fra genitori e figli) ma, credo, un pò più realistica. Grazie ancora!

Credits: "Father, son" è una canzone di Peter Gabriel. I sottotitoli sono tutti brani di Ludovico Einaudi.

Disclaimer: I personaggi di Ennis del Mar e Jack Twist, K.E., Janice, Tony e Miranda del Mar, Ada e John Twist appartengono ad Annie Proulx - Ada, Janice, Tony e Miranda sono nomi che ho inventato io nei racconti precedenti per dei personaggi che la Proulx nominava solamente.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

   
 
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