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Autore: meldi    19/11/2013    0 recensioni
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Guardai il nome inciso e sentii sempre più lacrime scivolare lungo le mie guance. Strinsi la mano in un pugno e sentii il vento gelido sul mio viso. Dopo cinque anni, non riuscii ancora a rendermene conto o ad accettarlo. Mi mancava così tanto, ogni volta che m’immaginavo il suo bellissimo viso iniziavo a piangere, ma per il mio angelo sarò forte. "Cercherò di educarlo come avresti fatto tu, te lo prometto." Lentamente mi lasciai cadere davanti alla tomba e misi la rosa, attentamente, sulla terra. "Rose ti piacevano così tanto, ce n’erano sempre fresche sul tavolo, le tue preferite erano quelle bianche. Mi hai sempre detto che avessero un‘anima buona, innocente e pura." Premetti le mie mani contro il viso, ormai bagnato dal pianto. Tutta questa rabbia e tristezza si era , nuovamente, impossessata di me, in momenti come questo ero del tutto inerme, forse troppo. "Spesso ti sogno mentre mi dici che tutto andrà bene, ma quando? Non ce la faccio più, come hai potuto sacrificarti per lui? Non se lo meritava. Pensava solo al suo benessere e al loro. Di noi non gliene fregava più, eppure, hai sopportato tutto. Per cosa? Per chi? Per far vedere al mondo che siamo una famiglia perfetta? Dimmi a cosa ti ha portato? Senza di te, mi dispero. Ho bisogno di te, anzi, abbiamo bisogno di te! "E di nuovo sentii la rabbia e il dolore in me, nonostante tutto sorrisi e sussurrai un ‘torno presto.’ Come al solito lasciai il cimitero con una sensazione di pesantezza nel mio cuore. Perché era successo tutto a me? mi feci spesso quella domanda. Cosa avevo sbagliato? All’epoca avevo solo undici anni, cosa si può fare di sbagliato a quell’età? Perché Dio mi ha punito cosi tanto? Avevo fatto qualche peccato? Queste domande continuarono ad uccidermi e il mio cuore doleva. Respirare sembra difficile e la gola soffoca, così mi sentivo ogni volta che andavo a trovarla. Mi asciugai le lacrime e sentii un leggero sollievo quando guardai negli occhi del mio principe. "Sofi, siamo qui!" Gli sorrisi e come sempre cercai di sopprimere la mia tristezza. Corse verso di me e mi abbracciò, i suoi occhi blu li aveva ereditato da lei. Gli detti un bacio sulle guance. "Vado un attimo su, ok? Adesso torniamo a casa." Annuì e torno al parco giochi. Suonai il campanello e mia zia mi aprì la porta, l’abbracciai e entrai in casa. ci sedemmo sul balcone, in modo da poter guardare mio cugino Alessandro e Davide, mio fratello, poiché il parco giochi era proprio davanti all’appartamento di mia zia. "Sofia, sei di nuovo stata da Beatrice?" Beatrice era mia madre. Sorseggiai il mio tè e la guardai. "Sì, come lo sai?"" L’ho notato guardandoti."Mi guardò tristemente. Fissai i disegnini sulla tovaglia e una lacrima accarezzò la mia guancia. Improvvisamente, mia zia mise le braccia intorno a me, mi abbracciò e mi baciò la guancia. "Dobbiamo iniziare ad accettarlo. Le tue lacrime ti distruggono soltanto e anche a lei. Tesoro, Beatrice se n’è andata." subito mi alzai e la guardai con gli occhi pieni di lacrime. "Devo andare. Grazie per esserti occupata di Davide." "Sofia, fermati." Senza ascoltarla corsi dall’appartamento. Fuori mi tenni ad una ringhiera e guardai ansimante verso Davide.Feci qualche passo ed urlai il suo nome, immediatamente corse verso di me. mi porse una mano, nell’altra teneva il suo pallone. Dopo pochi passi, gli cadde la palla, ma prima che potesse raccoglierla qualcuno gliela passò. "Forse è troppo grande la palla per te, piccolino." "Io non sono piccolo!" Senza guardare la persona tirai Davide e continuai a camminare."Sù, dobbiamo andare." "Non ringraziare eh." mi voltai e vidi davanti a me, un grande tipo abbronzato. Aveva i capelli neri e luminosi occhi verdi. Avrà avuto si e no vent’anni. Il suo sguardo arrogante mi provocava, ma non volendo scendere ai suoi livelli evitai una discussione. "Davide, andiamo." Lo presi ,nuovamente, per mano e mi voltai con uno sguardo infastidita, mentre quel tipo mi guardò in modo strano. Quando arrivammo davanti al nostro vecchio appartamento feci un profondo respiro. Come odiavo vedere quelle maledette persone. Con passi lenti mi avvicinai alla porta di casa ed infilai la chiave nella serratura. Quando entrai in salotto, vidi pacchi ovunque. Lentamente misi le chiavi di casa sul tavolo. Davide corse subito nella sua stanza. Improvvisamente mi venne incontro e sentii la rabbia salire. "Oh, sei tornata, finalmente. Invece di passare un bel venerdì pomeriggio, aiutate." La guardai con l’odio negli occhi. "Cosa vuoi da noi? sai perfettamente dove volevo andare. Ho lasciato Davide a casa di mia zia, in modo che non ti ‘molestasse’ mentre ‘lavori’" "Non in quel tono. Come ti permetti a parlarmi così?" Mi guardò in modo provocante. Io semplicemente, la disprezzai. Improvvisamente guardai scioccata il suo polso, al quale c’era un braccialetto d’oro. "Toglilo immediatamente." guardò il polso ridendo. "Perché dovrei?" Dalla rabbia gli occhi si riempirono si lacrime. "Immediatamente! Questo non appartiene a te!" "Oh, sì!" Senza pensarci corsi verso di lei e cercai di strapparle il braccialetto. "Lasciami, sgualdrina." Mio padre apparve sulla porta e mi urlò contro. "Sofia, sei pazza?" mi allontanò da Natasha con forza e mi fece cadere per terra. Piansi ed urlai contro di lui "Ha il braccialetto di mamma, deve toglierlo!" Mio padre mi guardò, scosse la testa e disse "D’ora in poi, appartiene a lei." Sentii il sangue bollire nelle mie vene. "No! Glielo avevamo regalato per il compleanno. Toglilo!"Mio padre venne da me, mi sollevò per un braccio e mi trascinò in camera. "Lasciami! Non è il suo braccialetto!" Raggomitolai le ginocchia stringendole al petto e piansi. Quando sbatté la porta, vidi quella vipera di Natasha con un sorriso trionfante. Lentamente e indebolita , mi alzai e chiusi la porta a chiave. Non piansi più, ma qualche lacrima continuò a bagnarmi il viso. Mi alzai e presi in mano la sua foto. '' Ho bisogno di te. " mormorai e guardai di nuovo il suo viso angelico. La mia vita è un disastro,come se il diavolo si fosse impossessato di me. Se qualcuno mi chiedesse, quando fu l’ultima volta che risi di cuore, non saprei rispondere. Mi chiamo Sofia Dessi è questa è la mia storia. Quasi sei anni fa successe, quel giorno cambiò tutta la mia vita. Fu la fine del mio sorriso, del mio cuore e della mia anima. In quel periodo, dovevamo essere tutti contenti, ma il destino aveva altri progetti. Avevo appena fatto undici anni, come ogni bambina, non avevo molti problemi. Frequentavo la prima media e abitavo in questo appartamento insieme alla mia famiglia, eravamo felici, o perlomeno, sembrava. Mia madre era incinta, era nel nono mese. Ero contenta, eccome se lo ero. "Davide, chiamerò mio figlio Davide." diceva sempre. Anche se non conoscevo ancora mio fratello, gli volevo già un mondo di bene. Quanto partorì io ero da mia zia, Jessica, la sorella di mia madre. Non vedevo l’ora di vederlo, ma poi mia zia mi disse la terribile notizia, mi ricordo esattamente delle sue parole, come se fosse stato ieri. Pettinavo i miei lunghi capelli neri, per andare in ospedale. Mia zia entrò in camera pallida e con gli occhi gonfi, dal pianto. "Cosa c’è zia?" chiesi. Fece una pausa. "S... So… Sofia , alla nascita tua madre…"Fui presa dal panico. "Lei… Lei è morta…" Quel giorno, il mio sorriso scomparve per sempre, non volevo accettarlo. Mia madre morta? No. Mai. Ma purtroppo era così. Quando presi Davide in braccio, mi si spezzò il cuore ancora di più, non conoscerà mai nostra madre. Il giorno giurai che avrei educato Davide, così come l’avrebbe fatto mamma. Mio padre, invece, non pianse per la sua morte. In quel periodo ero magrissima, non avevo mai appetito. Mentre ero a scuola, Davide era da mia zia, all’una e mezza, dopo scuola, andai a prenderlo. Fu difficile per me, ma ce la feci. Mio padre non mi aiutò mai, neanche con Davide. E se non ci fossi stata? Cosa ne sarebbe stato di Davide? Andavo anche dallo psicologo, ma non mi aiutò. Preferivo tenere le cose dentro, non piangevo mai davanti a qualcuno. E a scuola andavo male, non m’interessava molto. Il giorno del suo funerale fu un incubo, i genitori di mia madre erano morti già da parecchi anni e quindi non venne nessuno dall’Italia, infatti la seppellimmo a San Francisco. L’unica che in quei anni mi aiutò fu mia zia Jessica, era ancora giovane, aveva ventisei anni. Senza di lei, non sarei sopravvissuta a tutto ciò. Oggi la considero come una seconda madre. Mio padre, invece, era davvero strano. Dopo un anno o poco più, dalla morte di mamma, portò a casa una nuova donna, che aveva un figlio. Natasha e Thomas, che all’epoca aveva quindici anni. Quel giorno iniziai ad odiare mio padre, come poteva portare a casa una nuova donna? Diceva che avevamo bisogno di una madre e che da solo non ce l’avrebbe fatta. Fu terribile, mio padre mi obbligò di lasciare Davide con Natasha. Non sopportavo l’idea di lasciare il mio angelo con quella vipera, ma a quasi tredici anni non avevo scelta. Quando tornavo a casa, Davide urlava e piangeva. E Natasha? Quella si divertiva al telefono e si limava le unghie. E suo figlio Thomas? Il più grande coglione, che io conosca. Mi picchiava e la risposta di mio padre fu "Devi avere rispetto." Ma il peggio doveva ancora venire. Un giorno, mio zia mi disse tutta la verità. In quel periodo si era appena sposata. Eravamo seduti in salotto. "Sofia, sei abbastanza grande. Devo dirti la verità." Anche quando erano fidanzati, mio padre tradiva mia madre. Ebbe un figlio, che però nascose. Mia madre lo sapeva, ma non voleva rovinare la nostra famiglia. Mio padre pagava il mantenimento a Natasha e rimase da lei molte volte. Thomas è il figlio di mio padre e quindi il mio fratellastro. Mia madre non riusciva a rimanere incinta e mia nonna paterna, non rendeva le cose facili. "Cosa se ne fa con un figlio? Che poi è femmina. Se fossi una vera donna, gliene avresti regalati altri. Lui merita di meglio!" diceva sempre. Mamma voleva che babbo tornasse da noi e dopo tanti tentativi rimase incinta. Il medico le disse che sarebbe troppo rischioso e che potrebbe perdere la vita, ma a lei non importava. Ma mio padre, non apprezzò mai questo suo gesto. L’ultimo regalo che mi fece, fu Davide. Strinsi la sua foto sul mio petto e chiusi gli occhi.
  
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