Ciao a tutte!
Ecco a voi il terzo fratellino della mia
famigliola di slash che, spero davvero, possa essere apprezzato.
Approfitto di questo piccolo angolo autrice
per chiedere perdono a tutti gli autori che stavo seguendo ma la scuola
mi sta
portando via moltissimo tempo e non riesco a dedicarmi alla lettura e
alla
scrittura come vorrei. Ho degnato questo carissimo sito di qualche
sporadica
visita e sono riuscita a commentare alcune shot e davvero pochissime long già
cominciate e a cui tengo davvero
moltissimo.
Inoltre vorrei ringraziare colei che con una
brillante idea mi sta facendo avvicinare al fluff. Ma, ti avverto, l'angst sta cercano di corrompermi, ma non
cederò!
Spero solo che la lettura sia gradita e che
qualcuno di voi che ha più possibilità di me di
visitare il sito possa dirmi il
suo parere :)
Grazie in anticipo!
Un bacio
Giulia
A Chiara
e a tutte le nostre piacevoli chiacchierate.
There's no time!
-Oh,
andiamo... maledizione!-
Permetto
ad un umano cedimento della mia pazienza di mostrare la propria
presenza attraverso il mutamento delle dolci parole di incoraggiamento
che
avevo riservato ai bottoni dei polsini. Il mio sospiro rassegnato
scuote il mio
petto, provocando in esso un gemito irato che vibra contro la camicia,
increspandone i lembi che fino a qualche istante prima ricadevano
elegantemente
lungo i miei fianchi.
Tale
particolare, considerato dalla mia vanità motivo di
disordine nella
mia figura, viene immantinente notato dai miei occhi che rivolgono con
un
guizzo la propria attenzione al tessuto. Le mie unghie dimenticano il
loro
ruolo di abili torturatrici che hanno assunto nei riguardi dei bottoni
dei
polsini che non sono ancora risultati intenzionati ad unirsi in un
abbraccio.
Lascio scivolare le dita lungo gli avambracci nel tentativo di domare
le pieghe
assunte dalla camicia, simili al volto di un bimbo, distorto dai
capricci e
nascosto nelle vesti della madre.
Deglutisco
nervosamente, percependo il pomo di Adamo replicare
silenziosamente al nodo della cravatta, che allento sgarbatamente. Un
lieve
colpo di tosse provocato da quel movimento improvviso scuote la figura
riversa
fra le lenzuola che confondono il profilo del letto. La tastiera di
quest'ultimo subisce passivamente carezza sempre più
insistente del sole
mattutino la cui nascita è stata ignorata dal mio ozio a cui
ora rivolgo le mie
imprecazioni.
La
mia voce attutita dai numerosi sospiri spazientiti provoca un
movimento repentino nell’individuo che giace sul materasso
cigolante. I suoi
brontolii lamentosi si disperdono nell’ampiezza della camera
d’albergo,
cercando rifugio nelle linde pareti riverniciate da una mano paziente
così diversa
da quella che ora si affaccenda lungo la mia camicia. La coltre delle
lenzuola
non paiono intenzionate ad interrompere il gemito del mio ospite che si
ripercuote su di esse, provocandone una vibrazione lieve.
La
stessa che ho osservato poche ore prima, il mio amorevole sorriso
appena accennato che ostruiva il gonfiore del tessuto e ne percepiva
l’allontanamento causato dal respiro a lungo trattenuto da
John nel sonno. Quel
sopore ora viene disturbato dai movimenti di John che con ostentata
esasperazione ricercano una posizione da cui recuperare facilmente i
sogni
interrotti.
La
voce petulante e tediosa del mio desiderio di rimediare ad un ritardo
evidente viene prontamente zittita dal respiro di John nuovamente lento
e
regolare, che solleva un pulviscolo polveroso la cui danza è
visibile
unicamente grazie alla presenza di alcuni tremuli raggi solari.
Percepisco il
timido calore dell’alba nascente sfiorare le mie spalle che
rilasso per un
istante, schiavo dei miei occhi che paiono decisi a condurre ogni mia
attenzione all’analisi del corpo di John.
Le
membra del ragazzo, nonostante la loro contorta posizione, mostrano
il loro profilo armonioso oltre le lenzuola. Risalgo con lo sguardo la
sua
schiena, candida quanto le coperte che scivolano sulla sua pelle con la
stessa
indolente rassegnazione di un amante infastidito da un abbraccio non
ricambiato.
I
capelli ramati improvvisano un’arte inaspettata, delineando
complessi
arabeschi lungo il collo di John che si inarca sul cuscino, premuto
dalla
fronte increspata.
Sorrido
istintivamente del suo sospiro improvviso dettato dalla
frustrazione per un sonno ormai perduto.
Uno
repentino movimento si impadronisce delle mie labbra che
interrompono il sorriso in cui si sono incurvate, esprimendo solo
attraverso
una rispettosa serietà quel sentimento che trovo
sconveniente estraniare
attraverso usuali atteggiamenti di affetto.
Indago
con i miei occhi silenti la curva del naso di John attraverso il
quale i miei baci sono giunti alla figura sottile delle sue labbra.
Domo a
fatica il piacere che colma improvvisamente il mio ventre al ricordo
dell’unico
mezzo che ritenevo appropriato alla condivisione del mio amore per lui
con il
mondo esterno: l’amore stesso. Quell’amore intimo e
celato al giudizio incomprensivo,
custodito gelosamente nelle pareti di quell’albergo che anche
la notte appena
trascorsa ha accolto la nostra passione.
I
rimasugli del nostro invincibile consistono negli abiti di John,
disordinatamente cosparsi sul tappeto, e nel sentimento affettivo che
lo ha
generato e che permane nel mio animo non più coì
tormentato dalla fretta.
Abbandono
lungo i fianchi le mani che fino a poche ore prima hanno
saggiato avidamente quel corpo riverso accanto a me. Mi dirigo verso
John, il
cigolio del pavimento ad incentivare i gemiti infastiditi del ragazzo.
La
stessa stimolazione viene offerta dal mio affetto inspiegato verso John
nei
confronti del gesto che mi accingo a compiere.
Affianco le mie labbra al
suo
orecchio, scostando con il respiro alcune ciocche di capelli che
avrebbero
disturbato il suo udito. Esprimo quella preoccupazione che fino a poco
prima
stimolava la mia irritazione attraverso parole amorevoli plasmate dal
sentimento in grado di plasmare i contorni spigolosi di qualunque
inquietudine
giovanile.
-John…
ehi, John… siamo in ritardo, dormiglione… pensi
di restare qui
tutto il giorno?-
John
volta il capo verso il mio, una risata appena trattenuta mentre il
suo naso aquilino sfiora il mio. John contribuisce a questo lieve
contatto
protendendo la bocca verso la mia alla ricerca di una bacio che non
esito ad
offrirgli.
Divengo
per un istante preda del desiderio che ha lacerato la mia
razionalità la notte precedente e intrappolo il suo labbro
inferiore fra i
denti. Il mio giovane amante risponde con un sorriso al mio istinto
immorale,
inclinando il mio capo incuriosito dalle mie parole o probabilmente dal
mio
personale tentativo di strapparlo al sonno.
-E
per cosa saremmo in ritardo, scusa?-
Intreccia
le braccia oltre la mia schiena, rendendo vano ogni mio
tentativo di ordinare il tessuto della camicia. Cela il volto
nell’incavo del
mio collo, insinuando la punta del naso nel colletto inamidato e
provocando in
me una ristata spontanea alla quale tento di porre fine, rischiarandomi
la
gola. La razionalità varca la soglia dei miei pensieri con
l’austerità di una
padrona di casa ignara che la propria dimora sia occupata da estranei
durante
la sua temporanea assenza.
Scosto
il viso di John tentando mentre la mia ragione allontana il mio
impulso di avvolgerlo in uno di quegli abbracci travolgenti che hanno
riscaldato il suo corpo poche ore prima.
-Ci
aspettano nella hall dell’albergo alle otto, quelli del
giornale
devono preparare un’intervista… e siamo in
ritardo!-
-Oddio,
Paul! Ancora questa mania della puntualità? Cosa posso fare
per
guarirti da questo brutto vizio?-
La
domanda di John viene attutita dal bacio che riserva al mento di
Paul, fremente di un’eccitazione che il ticchettio incessante
del suo orologio
tiene a bada.
Il
tono infantile della sua ultima domanda assume contorni maliziosi
mentre John afferra poderosamente i miei fianchi e inarca il ventre
contro il
mio. Assaporo il calore del petto di John, tormentato dalla pulsione
frenetica
del suo cuore. Quell’organo impaziente e irrazionale dirige i
propri battiti
alle miei tempie, increspate dalla consapevolezza dell’
impossibilità di
dedicare ancora qualche istante all’espressione di quella
passione. Ne avverto
l’irrefrenabilità nelle mani di John, le cui dita
affusolate districano i miei
capelli fino a qualche istante prima ordinatamente pettinati.
Approfitto
della carezza avventata di John per allontanarmi dalla sua
figura e affaccendare i polpastrelli lungo i capelli. Permetto
all’ironia di
vestire i panni di quell’orgoglio che da tempo risulta il
vizio a cui cedo
maggiormente.
-Dico,
sei impazzito, Winston?! Non hai la minima idea di quanto abbia
impiegato ad ordinare questa massa informe mentre tu poltrivi
serenamente….
Maledizione…-
Recupero
il pettine dal tavolo da toilette e alzo lo sguardo verso lo
specchio, analizzando con una smorfia la scarmigliatura provocata
dall’avventatezza di John. Il calore rovente donato dal
ragazzo alle mie membra
cede lentamente il posto al gelo della consapevolezza di un ritardo
incalzante
del quale rendo nuovamente partecipe John, sperando di sollecitarlo ad
abbandonare le lenzuola.
-John,
non c’è tempo, dobbiamo scendere! Se i ragazzi
fossero già nella
hall e venissero a cercarmi nella mia camera, non mi troverebbero e
verrebbero
a bussare alla tua porta. Mi sorprendi; non eri tu che ti preoccupavi
così
tanto della segretezza della nostra… relazione?- Fatico
ancora a denominare
chiaramente il sentimento che scuote ogni mio pensiero e che ora colma
il mio
animo di una preoccupazione concreta.
John
volta il capo verso di me, celando la guancia nella morbidezza del
cuscino e abbozzando un sorriso divertito.
-Ho
trasgredito abbastanza questa notte da permettermi di rischiare
ancora, non credi?-
L’imbarazzo
inaspettato, provocato dal ricordo del nostro amore
consumato lentamente, si esprime lungo il profilo arrotondato delle mie
guance
attraverso un timido rossore che John pare notare nella mia immagine
riflessa
nello specchio. Sorride del mio improvviso pudore, affatto adatto
all’amante
appassionato che ho dimostrato di essere.
-Ehi,
non starai per caso arrossendo? Non credevo fossi così
timida,
principessa!-
Incurva
il busto verso il bordo del letto, socchiudendo gli occhi
nell’ironico tentativo di cogliere l’espressione
della mia vergogna. Mi volto
verso di lui, scuotendo le spalle, sorpreso da una piacevole
esasperazione
provocata dalle sue parole, quando un rumore fastidioso e repentino
occupa la
stanza e il mio udito. Trattengo a fatica l’istintiva risata
provocata in me
dall’immagine di John riversa sul pavimento, inseguita dalle
lenzuola che
sembrano ormai affezionate alla compagnia del ragazzo.
Un’imprecazione
giunge attutita da quella coltre scomposta, mentre John
rattrappisce le gambe, prive del calore di cui hanno precedentemente
goduto. Il
mio ribelle pomo d’Adamo guizza divertito a quella vista,
liberando una risata
argentina che ho invano tentato di trattenere rispettosamente.
A
tale suono seguono le parole di John, accompagnate fedelmente dal
fruscio del lino.
-Non
azzardarti a ridere McCartney, non osare! Aiutami, piuttosto!-
La
sua zazzera arruffata cattura i raggi del sole nel quale danza
frenetico il pulviscolo polveroso alimentato dai movimenti scomposti di
John.
La frustrazione causata dall’inutilità dei suoi
gesti procura una sottile soddisfazione
nel mio animo, procurata dalla prigione in cui era racchiuso
l’uomo che ha
denigrato il mio imbarazzo. Riconosco facilmente in quel sentimento un
piacere
infantile, affiancato da un affetto inspiegato e disarmante che mi
portò a
recitare un ruolo offeso.
-Assolutamente
no, Lennon! Magari sarà la volta buona che ti deciderai a
darti una mossa e a preparati.-
Scuoto
il capo, sorpreso dal desiderio che in situazioni differenti
suscita in me quel corpo agitato sotto una coltre candida dalla quale
sembra
finalmente riuscire a liberarsi, probabilmente stimolato dalle mie
parole.
Mi
volto nuovamente verso lo specchio della toilette, analizzando quanto
l’ordine ristabilito ai miei capelli sia stato mantenuto
negli ultimi istanti.
Dirigo
nuovamente le dita sul petto, intente ad appianare i
rigonfiamenti lungo i lembi della camicia creati dal respiro affannoso
provocato dalla mia risata.
Percepisco
con un sobbalzo i polpastrelli di John ricercare i miei,
avvolgendo con le braccia la mia vita e costringendomi a voltarmi verso
i suoi
occhi lucenti di malizia e il sorriso sincero.
Adagio
le palme contro il suo addome nudo, percependo i muscoli
rilassati quanto i miei pensieri.
Piombo
nuovamente nella quiete armoniosa dell’amore che, con il suo
assordante silenzio, assorda qualunque mia preoccupazione.
Le
mie parole risultano poco convincenti persino alle mie orecchie.
-Non
riesci proprio a capire, eh? Siamo… siamo in
ritardo…-
-Mi
hai deriso, James Paul McCartney. Pensi di potertela cavare
così?
Meriti una lezione…-
Strofina
il naso contro la pelle del mio collo, che John sapeva
sensibile, provocando una reazione cutanea improvvisa e solleticante
che mi
costringe ad implorare una tregua.
John
acconsente all’armistizio con un bacio amorevole deposto con
cura quasi
materna sulle mie labbra. Sospiro, dimentico del ligio rispetto delle
convenzioni che volevo mantenere e dell’appuntamento a cui
non dovevo mancare.
Assecondo
irrazionalmente le mani di John che incurvano i bottoni della
mia camicia contro le rispettive asole. Le sue membra conducono le mie,
ormai
arrendevoli, lungo il pavimento dove le lenzuola si incurvano sotto il
peso dei
nostri corpi, assistendo silenziosamente lla massma espressione del
nostro
amore.
Angolo autrice:
Ah, quanto mi era mancato scrivere un
po’ sul
sito!
Sono piuttosto fiduciosa in questa storia,
spero di avere la vostra approvazione.
Vorrei ovviamente ringraziare Kia85, la
generatrice della mia idea che, con una splendida fan art mi ha
condotto verso
la realizzazione di qualcosa più dolce del solito. Spero di
essere migliorata e
di essere risultata meno impacciata delle volte precedenti.
Ovviamente non posso non ringraziare anche
JennyWren per il continuo sostegno; non immagini quanto sia importante
per me.
Un bacio a tutti.
Giulia