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Autore: _Trixie_    21/11/2013    8 recensioni
[Spoiler terza stagione, Swan Queen]
La storia prende il via dopo L’Isola Che Non C’è, Henry è stato salvato e ora è tornato a Storybrooke, con la sua famiglia al completo. Al loro ritorno scopriranno che alcune cose sono cambiate, non solo a Storybrooke, ma anche nel loro animo, e che altre, invece, sono semplicemente destinate a rimanere tali.
“«Ora credi di poter avere la persona che desideri?» domandò Regina, appoggiandosi alla lavastoviglie con il fianco per chiuderla.
«Non lo so. Forse… forse ora c’è una speranza».
«Sei schifosamente figlia di tua madre» rise Regina, facendole segno con il capo di seguirla.
«Voleva essere un insulto?» domandò Emma, mentre percorreva i corridoi di casa Mills e si sedeva nello stesso luogo in cui Regina l’aveva accolta la prima volta in cui si erano incontrate.
«No, non esattamente» confessò il sindaco, mentre prendeva posto di fronte a Emma. «Comunque, se c’è una speranza, dovresti provarci. Scommetto che non sa nemmeno quello che provi».
Emma spalancò la bocca, stupita.
«Te lo sei dimenticata, Swan? Io so sempre tutto quello che succede a Storybrooke… o che non succede».”
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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IV. Il primo figlio
 

 
Regina e Emma si erano nascoste, per mesi. Non tanto dalle altre persone, quanto da Henry. Come spiegare a un bambino che le sue mamme avevano messo da parte le armi e si erano legate l’una all’altra più del previsto?
«Comunque, credo che sia ora di dirglielo» considerò Emma, mentre aspettava che Henry uscisse da scuola insieme a Regina.
«No, non credo» la contraddisse il sindaco.
«Regina, non possiamo mentirgli per il resto della vita, lo sai» le fece notare Emma.
L’altra sospirò, gettando distrattamente uno sguardo attorno.
«Se dovesse andare male, comunque, posso sempre modificargli la memoria» concesse Regina.
«Ma è tuo figlio!»
«A maggior ragione!»
«Non posso credere che tu-»
«Ciao!» le interruppe Henry. «Di cosa parlavate?»
«Nulla, tesoro, andiamo a casa» rispose Regina, accarezzandogli la testa e camminando verso l’auto.
Emma sospirò, poi li seguì.
Regina si sedette al volante e Emma al posto del passeggero.
Ormai era diventata una routine, quella di stare a casa di Regina.
Per Henry, si dicevano entrambe, pur sapendo che le cose non stavano davvero così e che, come avevano sempre fatto durante la loro vita, stavano cercando una giustificazione alle loro azioni, senza il coraggio di ammettere la verità.
Perché Emma faceva la doccia a casa di Regina, mangiava a casa di Regina e dimenticava i vestiti a casa di Regina.
Non sono tua madre, Swan, non ho intenzione di lavare le tue magliette.
 
Quella sera, a cena, nessuno parlava.
«Avete litigato?» domandò Henry, soffiando sul cucchiaio per raffreddare la traballante minestra.
«No» sorrise Emma, che non aveva toccato cibo.
«Mangia, prima che diventi freddo» disse Regina.
«È… successo qualcosa?» tentò di nuovo Henry, spostando lo sguardo da destra a sinistra.
«No, ragazzino, va tutto bene».
«E allora perché siete così tese?» domandò il bambino, appoggiando il cucchiaio.
Emma sospirò e Regina capì che voleva dirglielo.
«Non ora» la prevenne il sindaco, con uno sguardo severo.
«Regina… eravamo d’accordo. Non possiamo-»
«Lo so, solo… non ora» ribatté la donna.
«Cosa non ora?» domandò Henry.
Né Regina né Emma parlarono, limitandosi a scambiarsi uno sguardo e poi a guardare Henry.
«Henry, forse è meglio parlarne un’altra volta» disse infine Regina, sorridendo al figlio e allungandosi sopra il tavolo per accarezzargli la testa.
«Io e tua madre abbiamo una specie di storia» disse tutto d’un fiato Emma, fissando Henry e ansiosa della sua reazione.
«Emma, maledizione!»
«Sì, lo so» disse Henry. «Mi sta bene, sono felice per voi».
«Cosa?» domandò Emma, condividendo il proprio stupore con Regina.
«Come fai a saperlo?!»
«Me l’ha detto il signor Gold. Non l’ha proprio detto, me l’ha fatto capire. Papà Neal ancora non riesce a credere che tu abbia rinunciato a lui per una donna. E Uncino blatera qualcosa sul fatto che le donne di Storybrooke sembrano avere una strana propensione per gli animi oscuri» spiegò Henry, riprendendo a soffiare sulla sua minestra.
«Chi altri lo sa?» domandò Regina, allarmata.
«Credo tutti. Voglio dire, si vede, lo sanno. Semplicemente si rifiutano di accettarlo. Un po’ come quando tu, Emma, non volevi credere alla magia. Dovete dare loro tempo, non è una cosa semplice da accettare. E non perché siete donne, ma perché vi siete odiate per tanto tempo» disse loro Henry, con tono paternalistico.
«Sei fin troppo sveglio, ragazzino» commentò Emma, lasciandosi andare sulla sedia.
«E so tutto quello che succede in città» aggiunse Henry.
«Quello è il mio compito» protestò Regina, ancora scossa.
«Forse è ereditario» considerò Henry.
 
«Perciò ora cosa succede?» domandò Henry, seduto vicino a Emma a guardare la televisione. Regina si era sistemata dietro di loro, a una piccola scrivania, intenta a compilare gli ultimi documenti per l’ufficio.
«In che senso?» domandò Emma, prendendo una manciata di pop-corn dalla bacinella che il bambino teneva in bilico sulle gambe.
«Non macchiare il divano, Swan» disse laconica Regina.
Emma alzò gli occhi al cielo.
«Ora che non dovete più nascondervi da me, cosa succede?» chiese di nuovo Henry.
Regina posò la penna e guardò Emma.
«Nulla, cosa dovrebbe succedere?» rilanciò il sindaco.
«Dovresti liberare uno dei tuoi cassetti, così Emma può portare qui qualche maglietta» disse Henry.
«Cosa?» domandò lo sceriffo.
«Abiti ancora con i tuoi genitori a trent’anni. Fossi in te mi vergognerei» le ricordò il ragazzo, alzando le spalle.
«In effetti» concordò Regina, guadagnandosi un’occhiata minacciosa da Emma.
«Non è-, il fatto è che-, le cose stanno-. Ok, è complicato» si arrese lo sceriffo.
«Perciò, libererai un cassetto per lei?» insistette Henry.
«Tesoro, lascia già qui i suoi vestiti quando si dimentica di prenderli. Perché dovrebbe avere un cassetto?»
«Perché Emma si trasferirà qui, non è vero? Le persone che stanno insieme fanno questo, vanno a vivere insieme. Se possono farlo Belle e il signor Gold… E io finalmente avrò un solo posto da chiamare casa».
Emma e Regina si guardarono brevemente.
«D’accordo, se Emma vuole, avrà il cassetto» acconsentì Regina.
Lo sceriffo si limitò ad annuire.
 
«Ho liberato questa parte dell’armadio per te» disse Regina, accompagnando Emma nella sua camera la settimana dopo il discorso a Henry o, per meglio dire, di Henry.
Alle donne erano serviti giorni per familiarizzare con l’idea di condividere un guardaroba, ma alla fine era parsa una scelta logica. Per Henry, naturalmente, perché facevano tutto solo per Henry.
Loro non stavano esattamente insieme, loro avevano solo una specie di… storia. O, almeno, questo era quello che si dicevano.
«Armadio? Non avevamo parlato di cassetto?» domandò Emma.
«Henry ha detto che non hai molti vestiti. E che già che liberavo un cassetto, tanto valeva occuparmi di un armadio».
«Tu naturalmente eri contraria».
«Molto».
«Bugiarda».
«Prendere o lasciare, Swan».
«Andata. Odio quando mi chiami per cognome» le ricordò Emma.
«Lo so» sorrise Regina. «Vai tu a prendere Henry? Non fate tardi a cena».
«D’accordo, ci vediamo questa sera» annuì Emma, uscendo dalla camera dopo aver controllato l’orologio. Rischiava di arrivare in ritardo a scuola per Henry.
«Emma?» la chiamò Regina mentre lo Sceriffo era già a metà delle scale.
«Cosa c’è?»
«Tu… dormi qui, questa sera?»
Emma aprì la bocca, incerta su cosa rispondere.
«Suppongo che per Henry sia meglio. Sai, così si abitua a vederci… insieme» disse infine Emma. «Sempre che non sia un problema».
«No, affatto, è meglio così. Per Henry».
 
«Questa sera non credo che tornerò a dormire. Henry dorme da Regina».
«Cosa? E tu dove dormi?» si preoccupò Mary Margaret, guardando la figlia infilare distrattamente alcuni vestiti in valigia. Un’altra, molto più grande, era già pronta accanto alla porta.
«Io… in hotel. Sai, devo fare alcuni appostamenti e ho trovato una stanza con una visuale ottima» mentì velocemente Emma, chinandosi a terra per raccogliere una maglietta caduta.
«Ah, davvero?» domandò Mary Margaret sospettosa, approfittando della distrazione della giovane per mettere ordine nella sua valigia.
«Sì, sai come è, il mio lavoro»
«Tu stai vedendo qualcuno, Emma».
Lo sceriffo si fermò, prese un respiro profondo e capì di non essere mai stata brava a inventare scuse plausibili. Forse, era una delle controindicazioni del suo superpotere.
«In un certo senso» fu costretta ad ammettere la ragazza.
«E vai a vivere con lui» aggiunse Mary Margaret.
«In un senso un po’ meno certo».
Mary Margaret sorrise, accarezzando i capelli di Emma.
«Quando vorrai puoi sempre presentarlo a me e a papà. Henry sa chi è?»
«Sì, non ti preoccupare. È ancora presto per certe cose» tagliò corto Emma chiudendo la valigia. Diede un bacio veloce a Mary Margaret e uno sguardo a quella che fino ad allora era stata la sua camera, poi afferrò tutte le sue cose e uscì.
 
Henry era in piedi e studiava le sue mamme, sedute sul letto di Regina, che fissavano un armadio mezzo vuoto e un paio di valige aperte.
«Cosa stiamo facendo?» domandò il ragazzino, buttandosi sul letto dietro di loro. Aveva già il pigiama.
«Fa’ piano, tesoro» lo rimproverò Regina distrattamente.
«Devo sistemare i miei vestiti» disse Emma con voce assente.
«E perché non lo fai?» insistette Henry.
«Perché… sto per sistemare tutti i miei vestiti nell’armadio di Regina» fece presente Emma, con una smorfia.
«Si tratta solo di un paio di valige» la corresse il sindaco, stringendosi nelle spalle, mentre Emma e Henry si scambiavano uno sguardo d’intesa.
«No, quelli sono davvero tutti i miei vestiti, Regina».
«Stai scherzando?»
Henry, che nel frattempo era sgattaiolato giù dal letto, stava aprendo le restanti ante dell’armadio di fronte alle donne, uno ad uno, rivelando un’infinità di camicie, giacche, completi, gonne e pantaloni dai toni scuri.
Emma spalancò la bocca.
«Quelli sono i tuoi vestiti? Non puoi indossarli tutti in una sola vita!» protestò lo sceriffo.
«No, non sono tutti i suoi vestiti» rispose Henry. «Solo quelli di questa stagione».
Regina si strinse nelle spalle.
«Mi piace poter scegliere. E poi sono la regina, accidenti».
Emma le lanciò un’occhiata diffidente e si alzò, cingendo le spalle di Henry e dandogli un bacio sulla fronte.
«Ho affrontato cose ben peggiori che condividere l’armadio con tua madre, ragazzino. Posso farcela, non è vero?»
Henry sorrise, poi ci chinò a prendere un paio di pantaloni e li porse a Emma, che li sistemò sul ripiano dell’armadio vuoto.
Regina si spostò e si sedette appoggiando la schiena alla testata del letto, afferrando un libro dal proprio comodino. Sorrideva, guardando Henry e Emma che riempivano quell’armadio, un vuoto che non era solo materiale, ma che, si accorse con stupore, le stava divorando l’animo.
Quando lo sceriffo si voltò a guardarla, Regina si affrettò ad abbassare lo sguardo fingendo di leggere, del tutto indifferente alla loro presenza.
«Immagino che tu non abbia intenzione di aiutarci, non è vero?» chiese Emma, con allegria.
«No, non sono i miei vestiti».
«Ma questo è orribile, Emma. Sicura che non sia della nonna?» disse Henry, richiamando l’attenzione dello sceriffo, mentre reggeva in mano un maglione grigio dalle decorazioni marroni.
«No, è mio! Non è affatto orribile».
Regina alzò di nuovo gli occhi e dovette ammettere che, in effetti, quel maglione era orribile.
 
«Che finale scontato» commentò acidamente Regina, quando il film che Henry aveva insistito per vedere quella sera terminò. Lui e Emma avevano sistemato l’armadio velocemente e il ragazzino le aveva trascinate in salotto. Una serata in famiglia, l’aveva chiamata.
La scelta di termini aveva fatto impallidire Regina e rabbrividire Emma.
Comunque, dato che Henry sembrava tenerci davvero tanto, le due donne avevano acconsentito. Peccato che quando il bambino si addormentò, con la testa sulle gambe di Emma e i piedi su quelle di Regina, nessuna delle due accennò ad alzarsi, preferendo condividere i pop-corn.
«Perché, hai passato i tuoi ventotto anni di vita a Storybrooke guardando film?» sussurrò Emma, cercando di alzarsi senza disturbare Henry.
«Quel tizio, che a malapena si poteva definire cavaliere, ha salvato la giovane in pericolo portandola in salvo sul suo cavallo bianco. Sul serio, Emma, nella Foresta Incantata era all’ordine del giorno» spiegò acidamente Regina.
«Non ci avevo pensato. Mi dimentico sempre da dove vieni» rispose Emma.
Regina aprì la bocca, poi la richiuse, senza emettere parola.
Emma aveva perdonato il suo passato. E, soprattutto, era in grado di dimenticarlo.
Dopo tutto quello che aveva fatto, dopo tutto il male che aveva procurato, dopo tutto ciò che tra loro era successo, Regina non riusciva a credere che Emma non provasse rancore nel proprio cuore nei suoi confronti, non riusciva a credere che quella ragazza sbucata dal nulla fosse riuscita a venire a patto con il passato di Regina molto meglio di quanto Regina stessa fosse riuscita a fare.
«Cosa c’è?» bisbigliò Emma, leggermente china su Regina e Henry, in attesa che lo sguardo stupito e scosso del sindaco passasse o le venisse spiegato.
Regina scosse la testa.
«Dobbiamo svegliare Henry».
 
 
«Henry si è riaddormentato subito» disse Emma, chiudendo silenziosamente la porta della camera di Regina alle proprie spalle. Probabilmente avrebbe dovuto iniziare a considerarla anche la sua camera, ma tra loro le cose non erano per nulla definite.
«Perfetto» sorrise Regina, alzando velocemente lo sguardo. Aveva indossato una di quelle che nel suo mondo si chiamavano sottovesti, ma che lì si usava anche per dormire, e si era infilata a letto. Aveva preso il libro abbandonato poche ore prima sul comodino, con l’intenzione di leggere seriamente, ma un pensiero continuava a distrarla.
Regina stava aspettando, aspettando qualcuno che dormisse con lei, qualcuno con la quale condividere il letto, la notte, la vulnerabilità del sonno.
Si chiedeva se anche per Emma quella notte avesse la stessa importanza che aveva per lei.
Vide lo sceriffo sorridere e inclinare la testa di lato, senza smettere di fissarla.
«Cosa c’è?» domandò Regina.
«Avrei dovuto saperlo. Sei quel tipo di donna che anche quando va a dormire rimane elegante. E l’eleganza, te lo assicuro, Regina, non ti manca affatto».
«Questo è un complimento, Swan?» rispose il sindaco, cercando di nascondere all’esterno quel fiotto di calore che le aveva invaso il petto.
«Non chiamarmi per cognome» le disse Emma, afferrando il proprio pigiama dall’armadio e entrando in bagno.
Dopo qualche minuto, Regina la vide uscire indossando un paio di pantaloncini corti, quasi nascosti dalla lunga maglia nera che indossava.
«Tu dormi così?»
Per tutta risposta Emma si lasciò cadere sul letto.
«Sei meno delicata di Henry, fa piano» la rimproverò Regina.
Emma lo fece di nuovo, facendo sobbalzare il sindaco, che chiuse il libro con uno scatto secco guardando l’altra in cagnesco.
Lo sceriffo colse la sfida e saltò sul letto, ancora e ancora, fino a quando il cuscino che Regina le tirò non la raggiunse in volto. Lo prese al volo e si slanciò verso il sindaco, colpendola sulle gambe.
«Ti ho detto di smetterla» ripeté Regina, senza riuscire a nascondere il proprio sorriso mentre Emma si stringeva nelle spalle, sistemava il cuscino e si infilava a letto.
«Tanto lo so che sei felice di avermi qui».
«Ti sopporto per Henry» la avvisò il sindaco, sdraiandosi imitata da Emma.
Si sistemarono entrambe su un fianco, guardandosi l’un l’altra.
«Sì, infatti, anche io sono qui solo per Henry» annuì lo sceriffo.
«Bugiarda». 
«Anche tu».
Regina si sporse velocemente a spegnere la luce, prima che Emma notasse che stava ancora sorridendo.
«Buona notte, Emma».
«Buona notte, Regina».
Le loro gambe nude si intrecciarono al di sotto delle coperte, ma entrambe finsero di non darvi alcuna importanza.
 
«Emma, dobbiamo parlare».
Il sangue nelle vene dello sceriffo raggelò, goccia a goccia, mentre Mary Margaret si schiariva la voce. Almeno un paio di volte alla settimana Emma e Henry cenavano a casa di Mary Margaret e David e questo accadeva ormai da mesi, da quando lo sceriffo si era trasferita a casa del sindaco.
Perché, ormai, Regina e Emma avevano accettato l’idea di condividere una casa, per Henry.
«Parlare? Stiamo già parlando».
David e Henry erano usciti da pochi minuti, per andare a giocare in giardino nonostante il freddo. Emma sospettò che Mary Margaret l’avesse suggerito al marito di proposito.
«Ti ho vista uscire dalla porta di Regina. Questa mattina. E anche quella prima e poi quella prima ancora. Ho visto la tua auto parcheggiata nel suo vialetto, per giorni interi. Ti ho visto aprire la porta di casa di Regina Mills con un mazzo di chiavi in cui tieni il cigno che ti ha regalato Neal» disse Mary Margaret, velocemente, una parola dopo l’altra.
«Mi hai spiato?» domandò allibita Emma.
«Storybrooke è una città grande, ma non tanto da non farmi notare queste cose!»
«Mi hai spiato!»
«Forse ti ho seguita in macchina un paio di volte» ammise Mary Margaret. «Volevo solo sapere se sei davvero felice come sembri. E poi, immagina la mia sorpresa quando ho scoperto che vivi da Regina. Ti ha affittato una camera? Non ti piaceva stare con noi? Preferisci lei a noi?»
Emma scosse la testa, abbandonandosi allo schienale della sedia e guardando distrattamente fuori dalla finestra alla sua sinistra.
«No, non mi ha affittato una camera».
«E allora aiutami, Emma, perché io davvero non capisco cosa stia succedendo» disse Mary Margaret in tono quasi supplichevole.
Emma sospirò.
«Non dare fuori di matto, ti prego».
«Sei mia figlia, lo so che non ci sono state tante occasioni di fare la madre, ma sono qui, ora».
«Quella ormai non è più solo la casa di Regina o di Henry. Quella è casa mia, nostra. Io vivo con Henry e ho con Regina lo stesso rapporto che tu hai con David» spiegò Emma, guardandosi le mani e lanciando solo brevi sguardi all’espressione che si dipinse sul volto di May Margaret. Emma era sicura di leggervi il terrore.
«Sei… sei la fidanzata di Regina? Mia figlia con-»
«Henry è felice. E anche io e, credo, anche Regina. Non lo ammetterebbe mai e io non lo ammetterei mai davanti a lei, ma siamo felici».
Mary Margaret sospirò.
«Non so se capisci quanto sia difficile la mia posizione, perché la mia matrigna ora è anche mia nuora».
«Non siamo sposate» specificò Emma, stringendosi nelle spalle.
«Sei sicura di quello che stai facendo? Perché Regina è una donna pericolosa e non capisco come tu possa esserti innamorata di una donna senza cuore. Ha provato a ucciderti».
«Anche tu e David ci siete andati vicino un paio di volte» sottolineò lo sceriffo.
«Ma siamo ancora vivi».
«Anche noi. E poi hai sempre elogiato Belle per essersi innamorata di un uomo come il signor Gold. Non sono poi tanto diversa da lei, in questo caso» disse Emma.
«Sei mia figlia e le cose si complicano, tesoro» rispose Mary Margaret.
«Mamma!» urlò Henry aprendo la porta, con una spada di legno ancora in mano. «Ho quasi disarmato il nonno questa sera!»
Emma sorrise, scompigliandoli i capelli. Scambiò uno sguardo con la madre e dal sorriso che lesse nei suoi occhi, capì che non le portava rancore per quello che le aveva rivelato. Capì che le cose tra di loro non erano affatto cambiate e che, nulla, nemmeno Regina, avrebbe potuto allontanare di nuovo Biancaneve da sua figlia. Sarebbe stato difficile per Mary Margaret venire a patti con la situazione, ma poteva gestirlo.
«Bravo, ragazzino. Cosa ne dici di tornare a casa, ora? Ti fai una bella doccia e poi dritto a letto» propose lo sceriffo, alzandosi, sollevata.
«La mamma si sarà annoiata senza di noi» considerò Henry. «Sarà più acida del solito».
Emma si lasciò sfuggire una risata leggera.
«Non dovresti parlare così di lei».
«Parlo così di te anche con lei, non preoccuparti».
«Mi sono perso qualcosa?» domandò David, con sguardo confuso, mentre Emma e Henry si abbottonavano i cappotti.
«Te lo spiego tra poco, caro. Solo, metti a posto quelle spade, prima» rispose Mary Margaret, sospirando.
 
«I miei genitori ci hanno invitato a cena giovedì sera» disse Emma una sera, sdraiata a letto accanto a Regina.
«Lo so, tu e Henry andate sempre a cena da loro il giovedì» rispose il sindaco, sbadigliando e giocherellando distrattamente con i capelli di Emma. Era una cosa che faceva a volte, inconsciamente, e che smetteva di fare ogni volta che se ne rendeva conto.
«Ma con noi intendevo noi. Cioè, tu, io e Henry».
«Swan! Perché dannazione hai detto a-»
«Abbassa la voce, Henry dorme!» la zittì Emma, posandole una mano sulla bocca.
«Swan!» bisbigliò Regina altrettanto minacciosa.
«Non ho detto niente! L’ha capito da sola».
«Quella piccola ficcanaso…»
«Non parlare così di lei» disse Emma, risentita.
«Tecnicamente sono la sua matrigna, posso parlare di lei come voglio» sottolineò Regina.
«Allora, ci verrai?» tagliò corto lo sceriffo.
«Non se ne parla nemmeno».
 
«Perché mi trovo a suonare a questa porta?» domandò Regina retoricamente, di fronte alla porta di Mary Margaret e David.
«Perché hai promesso di farlo per me» rispose Henry, rivolgendo un sorriso raggiante al sindaco.
Emma sogghignò.
«Guarda che questo ragazzino ha il completo controllo anche su di te, Swan» le fece notare Regina acidamente.
«Da quando mi chiami anche tu ragazzino
«Buonasera!» salutò Mary Margaret, aprendo la porta in quel momento. «Ciao, piccolo» disse baciando Henry mentre il marito si avvicinava a lei.
«Ciao, nonna! Cosa c’è da mangiare?» disse il nipote, lasciandosi abbracciare da David.
«Tesoro».
Mary Margaret si rivolse a Emma, scoccandole un bacio sulla guancia, prima di rivolgersi imbarazzata a Regina.
Il sindaco sospirò e tese la mano.
«Grazie dell’invito».
«Fai parte della famiglia anche tu, ora. Non solo per Henry».
 
«Ammettilo, non è stato poi tanto male» disse Emma, svoltando nel vialetto di casa.
Regina fece una smorfia e non rispose.
«Dai, mamma. Lo so che in fondo ti sei divertita! Hai anche battuto il nonno a scacchi» intervenne Henry, sporgendosi dal sedile posteriore.
La macchina si fermò dolcemente.
«E non ha nemmeno barato. Sono stata attenta!» disse Emma.
«Smettetela di fare comunella, voi due, o la smetterò di cucinare per voi».
«Possiamo mangiare da Granny’s».
«O dalla nonna».
Regina fulminò entrambi con lo sguardo.
«Perfidi».
«Abbiamo imparato dalla migliore» disse Henry, prima di uscire dall’auto e correre verso casa. «Mi scappa la pipì!» lo sentirono urlare.
Emma guardò Regina sorridere, mentre seguiva il ragazzo con gli occhi.
«Hai voluto marcare il territorio, non è vero?» chiese a Regina.
«A cosa ti riferisci?» domandò il sindaco, fingendo di non capire. In realtà sapeva benissimo a cosa Emma si stesse riferendo.
«Al fatto che mi hai baciato davanti ai miei genitori. Se non li hai uccisi così è chiaro che non ci riuscirai mai».
«Ho voluto provare, solo per esserne certa» disse Regina, sporgendosi verso Emma e afferrandole il volto.
Si baciarono a lungo, mentre le luci della loro casa si accendevano ad una ad una, in ogni stanza in cui passava Henry.
Nessuna delle due si accorse del ragazzo che le spiò da dietro una tenda, né sembro accorgersi del resto del mondo.
Comunque, tutto quello era solo per Henry, per il figlio che avevano insieme.
 




NdA
Ed eccoci al quarto capitolo, con un Henry che, come al solito, mostra quell’insana abitudine di ficcare il naso negli affari altrui, certamente una dote di famiglia!
Il mio intento in realtà era di aggiornare ogni lunedì, ma poi ho pensato che, considerando i bellissimi commenti che ho ricevuto, non sarei mai riuscita ad aspettare per vedere la vostra reazione a questo capitolo (e al capitolo finale)!
I loro quattro momenti felici sono andati, io vi avviso! Comunque, spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, a presto,
Trixie :D

 

 

   
 
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