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Autore: Judy Kill Em All    21/11/2013    6 recensioni
«Tu eri più importante» sussurrò avvicinandosi a me, asciugai le lacrime tinte di trucco nero dai miei zigomi e dissentii scuotendo la testa.
«Dovevo rassicurarti, capisci? Dirti tipo “non me ne sto andando, ti chiamerò sempre, ti penserò sempre…”» e io singhiozzai ancora di più a quel punto, indignata, le prese in giro facevano sempre male, soprattutto dagli amici più cari.
«No, no, no, che cazzo, tu dici un mare di cazzate, e non so come faccia tu a starci a galla» scossi la testa di nuovo, e appoggiai la fronte al suo petto artigliandomi al suo maglione largo e morbido.
«Non ti dimenticherò» alzò il mio viso per guardarmi negli occhi e si avvicinò.
«Se mi baci ora, sappi che ti odierò tutta la vita. Fino alla morte, perciò non baciarmi» dissi in lacrime, senza convincere nemmeno me stessa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Primo giorno ufficiale di lavoro, inutile a dirsi, ma ero tesa come una corda di violino.

Non avevo idea di cosa mi aspettasse in quel dannatissimo luogo; il giorno precedente mi avevano fatto tutti un’ottima impressione, tralasciando il capo supremo, il Signor vi-guardo-male-inutili-plebei.

Ero così agitata che persi le chiavi di casa e le cercai per una ventina di minuti in giro, per poi ritrovarle sul tavolo della cucina, in bella vista.

Speravo anche che Matt si svegliasse e mi abbracciasse dicendo qualcosa come “Buona fortuna sorellona” o comunque una frase da film, di quelle studiate per ore, che dipingono istantaneamente un sorriso e lo modellano facendo comparire due meravigliose fossette sulle guance.

Io comunque non avevo fossette, ero troppo magra.

 

Per mia fortuna mi ero svegliata presto, con circa quaranta minuti in anticipo ed ero riuscita ad uscire di casa ad un’ora più che decente. Cercai di andare più lentamente possibile con la macchina, ma il percorso mi sembrò durare pochi secondi, lasciai anche attraversare tutte le vecchiette sulle strisce pedonali, anche se sembrò non funzionare.

“Maledette vecchiette, non sono più come una volta” pensai irritata, la maggior parte erano più attive e arzille di me.

Arrivata all’hotel parcheggiai perfettamente, calcolando quasi le distanze auto-muri per ritrovarmi perfettamente al centro del parcheggio; pensandoci mi sentii istantaneamente una squilibrata mentale, ma poco importava.

Scendendo dalla macchina mi accorsi di una folla di gente all’entrata principale dell’hotel e capii all’istante il motivo per cui mi avessero fatto entrate dal cancello secondario, di dimensioni più ridotte, ma comunque imponente.

Feci spallucce e, con le mani in tasca, mi incamminai verso il portone d’ingresso, le cui insegne dorate luccicavano grazie al sole mattutino.

«CHELSEAAAAA!» mi voltai verso destra e riconobbi Ann, che correva nella mia direzione come una forsennata.

«Ehi!» la salutai con la mano e sorrisi, non capendo la preoccupazione nella sua voce.

«Judy si è fatta male e in più sono in anticipo!» disse.

Io annuii non capendo una parola, comunque penso si fosse accorta dalla mia espressione che avrebbe dovuto dare spiegazioni, perciò continuò il suo monologo con voce squillante ed in modo rapido:«Quella che fa i letti, mette in ordine le camere».

«Oh» risposi cercando di non pensare cosa mi sarebbe toccato fare.

«Senti, sono appena arrivata anche io, l’ho saputo ora dal capo e mi ha obbligato ad andare a sostituirla! Muoviti, serve una cameriera al posto di due, dovrai fare il doppio lavoro, cambiati in meno di un secondo!» strillò attaccando le parole l’una all’altra e facendo in modo che afferrassi il concetto, ma non capissi perfettamente tutto.

«Sono in ritardo?» domandai spaesata.

«No, in anticipo di trenta minuti» concluse voltandosi verso la porta dell’hotel.

Strabuzzai gli occhi incerta sul da farsi, ma ad un’occhiata omicida di quella fantastica donna iniziai a correre in direzione dello spogliatoio.

“Ho una calamita per la sfiga, giuro” imprecai aprendo violentemente la porta della stanza davanti al bagno.

Mi sfilai i vestiti con foga e abbottonai tutti i bottoni della camicia bianca; inaspettatamente il telefono squillò, sbuffai irritata e risposi frettolosamente.

«Pronto!» gridai quasi.

«Parla Chelsea Adams?» domandò la voce dall’altra parte.

«Sì, certo, chi chiama?» chiesi dubbiosa aggrottando le sopracciglia ed intrappolando il telefono tra la spalla e l’orecchio per infilarmi la gonna nera.

«Non è molto importante in realtà» rispose l’uomo.

«Ah, beh, se non è importante mi può richiamare stasera, no? Devo lavorare» e riattaccai irritatissima, mi sistemai i capelli ed entrai in sala munita di palmare.

Presi qualche ordinazione ed entrai in cucina per prelevare i piatti pronti.

«Hai sentito? Sono arrivati» disse Jenn appena misi piede in quel luogo che odorava di uova strapazzate, bacon e salsiccia.

«Ma chi?!» domandai un po’ incuriosita.

«Boh, i tipi. Sono degli esaltati, mi ha detto Ann. Uno parlava al telefono, gli altri saltavano sul letto e si rotolavano in giro gridando» fece spallucce e continuò a girare con una frusta in metallo in una ciotola grigia.

«Urlavano cose strane e sghignazzavano» aggiunse pensieroso continuando a mescolare.

«Cose strane? » domandai riflettendo e facendo lavorare l’immaginazione.

«Sì, esatto, ah, dovrebbero essere in sala tra circa otto secondi, muoviti, questo al tavolo 5, questo al tavolo 8, questo al 10, questo al 15, Chelsea, ci sono i bigliettini!» strillò Marco in presa ad una crisi isterica, intromettendosi nel discorso. Mi impilò sulle mani e sulle braccia un milione di piatti e mi spintonò nella sala, guardandomi saltellare in modo buffo con le gambe semidivaricate.

Iniziai a distribuire piatti colmi e sorrisi alle otto del mattino, con le gambe che tremavano e la testa che girava.

«Ah, tu la fai con noi colazione?» domandò Marco dopo quindicimila giri avanti-indietro dalla cucina. In risposta scossi solo la testa debolmente.

«Sei uno straccio, mi chiedo come faccia tu a stare in piedi, dai mangia qualcosa!» insistette Ann appena tornata da quella caotica suite all’ultimo piano, mentre si ingozzava di uova strapazzate.

Alle otto e trenta.

Mi si rivoltò lo stomaco e mi dovetti sedere con un bicchiere d’acqua tra le mani.

 

“E mangia sta cazzo di torta, è buona!” urlò il ragazzo di fronte a me cercando di ingozzarmi di torta, ottenendo un risultato pessimo: imbrattarmi la faccia.

“Fa schifo, è salata!” mi lagnai sputando briciole ovunque.

“No, dai, è la torta del tuo compleanno, l’ho fatta con amore!” singhiozzò.

Spostai lo sguardo verso l’obbrobrio che aveva osato etichettare come ‘torta’: un ammasso di roba marrone semisciolta in una scatola di cartone di quelle della pasticceria.

“Ribadisco: fa cagare, sul serio” insistetti seria accendendo una sigaretta e pulendomi il viso con una mano.

“Sei una stronza, potevo fingere almeno!” fece l’offeso e gli passai la sigaretta.

“Per essere una torta di fango era buona” ammisi.

“NON ERA UNA TORTA DI FANGO!” si arrabbiò.

“Morirai se non mangi mai nulla” concluse poi afferrando la sigaretta accesa.

“Tranquillo, sono ancora viva e vegeta”

 

«Ohi, Chelsea?» domandò Ann scuotendomi appena.

«S-Sì?» mi risvegliai da quello stato di semi-trance stropicciandomi gli occhi.

«Ti sei incantata, tutto bene?» si premurò di chiedermi, con fare materno.

 Annuii e sorrisi; ero stanchissima, dovevo essermi appisolata con gli occhi aperti.

«Tranquilla, tutto a posto» la tranquillizzai alzandomi per prendere i piatti colmi di cibo, da consegnare in sala. Mi sentii lo sguardo di tutti puntato sulla schiena, ma come se niente fosse li ignorai.

“Che casino” pensai subito dopo aver messo un piede fuori dalla cucina, c’era il putiferio più totale: oltre a non esserci nemmeno un tavolo libero, di lato ce n’era uno enorme dal quale provenivano grida da film dell’orrore. Intuii dovessero ordinare, quindi, consegnati i piatti, mi incamminai.

“Penso siano loro. Le persone normali di solito in posti del genere si comportano nei modi migliori possibili” la mia mente iniziò ad imprecare e mi iniziarono a prudere le mani, cazzo, era un hotel di gran classe, non uno zoo.

“E io sono una cameriera di gran classe, non una cameriera del cazzo, quindi li tratterò come tutti gli altri” mi risposi vaneggiando.

Con ironia.

Più mi avvicinavo più sentivo quei volti familiari, passo dopo passo, respiro dopo respiro riscoprivo immagini archiviate dal mio cervello così tanti anni prima. Erano anni, tantissimi anni, che non sentivo le gambe cedere in quel modo e lo stomaco contrarsi, i conati di vomito non erano mai stati così chiari ed evidenti, mi urlavano di stare attenta, di guardarmi le spalle.

Una spallata che mi fece barcollare.

«Oh, scusa non ti avevo vis…» iniziò la voce, accogliente come casa.

“Non girarti, non girarti, tanto non sai di chi è quella voce, non lo sai” mi cercai di convincere invano.

Strizzai gli occhi e presi un respiro profondo, di quelli da intossicazione da ossigeno.

«Niente» dissi a mia volta, secca.

«No, aspetta, noi due ci conosciamo?» continuò.

A quella domanda mi voltai di scatto e fissai la persona che aveva parlato; di colpo si scatenò di nuovo in me quella reazione chimica che trasformava i miei occhi in uragani.

«No. Mai visto prima» ingoiai una quantità spropositata di aria e boccheggiai.

«No, sono sicuro di averti già…» impallidì di colpo e si ammutolì, vidi l’incertezza nei suoi movimenti, nei suo respiri, nei suoi occhi frenetici e nel suo battere di ciglia.

«Chelsea» sussurrò con la voce roca.

Strinsi i denti e feci come se nulla fosse successo, ce la potevo fare, sul serio, potevo. E comunque anche se non avessi potuto farcela avrei dovuto, senza scuse, perché era la mia vita e dovevo farcela fino alla fine.

 

Comunque Oliver non avrebbe dovuto ripresentarsi lì, dopo così tanto tempo, dopo che ero riuscita a superare tutto; era davvero troppo.

Rimasi lì, con la gola secca, con lui, fermo immobile che pensava ai ricordi: li aveva dipinti nelle iridi.

 

«Buongiorno!» mi stampai un sorriso sul viso, finto come una maschera veneziana e sperai che il ragazzo, ancora incredulo, non proferisse parola.

 

*-*-*-*

Bene gente! Siamo arrivati finalmente al fatidico momento.

Bene.

Lo so che ci ho messo una vita e ho scritto davvero poco, ma perdonatemi, è un periodo terribile (non solo per la scuola).

Comunque, la povera donna si ritrova lì, così, ferma immobile che sta per sboccare sui clienti e lui dietro che farfuglia cose a cazzo (?)

Secondo voi ora che succederà???

Si perdoneranno???

O meglio: Chechè lo perdonerà o gli dirà “Boh, fai schifo, vai via!”?

Secondo me prima se lo sbatte ovunque, poi lo abbandona.

 

{scherzo eh!}

 

Beh, buona settimana, mese, anno (no, dai ci sentiamo prima ;D)

 

Vi voglio bene! *_*

 

Judy.

  
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