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Autore: Serenaide    23/11/2013    2 recensioni
"Quella notte non sarei stata l’unica a perdere la persona che più amavo al mondo."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: The Ψiioniic, The Disciple, The Dolorosa, The Signless
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non volevo credere a ciò che vedevo.
Il corteo sembrava interminabile. Sotto la fitta coltre di nubi la processione si muoveva lenta, come se enormi macigni gravassero sulle spalle di ognuno di noi.
Il silenzio dell’infinita fila veniva spezzato dal rumore dei nostri passi.
Sentivo le gambe diventare sempre più pesanti, sempre più intorpidite: stavamo camminando da poco più di un’ora, ma non era la stanchezza fisica a sottrarmi le forze.
La piccola ragazza accanto a me mi stringeva il braccio, sempre più forte, il suo volto era contratto in una smorfia di dolore.
Quella notte non sarei stata l’unica a perdere la persona che più amavo al mondo.
Cercai con lo sguardo la sua schiena, verso le prime file del corteo, e la trovai.
Martoriata e sfregiata da migliaia di ferite scarlatte. Sentii una fitta acuta al petto, che quasi mi tolse il respiro: quella schiena che tante volte avevo protetto, che avevo riscaldato, che avevo accarezzato, ora me la ritrovavo a metri da me, scoperta e sanguinante.
Ad ogni schiocco secco, chiudevo gli occhi. Non riuscivo a guardare. Non potevo.
Non ricordavo con esattezza in che modo fosse cominciato tutto. Avevo la mente sgombra da qualsiasi pensiero. Ogni minima preoccupazione che prima mi assaliva, in quel momento mi sembrò una stupidaggine. Tutto, tutto perdeva senso, tutto perdeva importanza, di fronte a quello che avevo di fronte.
Un altro schiocco.
Rabbrividii. Sentivo l’impulso di liberarmi dalla presa della ragazza e correre, correre da lui, e parare ogni colpo con il mio stesso corpo. Ma non ci riuscivo. Contro ogni logica, il mio corpo non rispondeva neanche a quell’impulso. Sentivo le gambe muoversi da sole, seguivano la scia di sangue che lui lasciava dietro sé, trascinato con forza da due membri dell’infinita armata che ci separava.
Altre urla ruppero il silenzio. Urla incomprensibili, che venivano seguite da altre serie di schiocchi secchi. Gli schiocchi della frusta che ripercuoteva la schiena di mio figlio.
L’uomo alla mia sinistra soffocò un gemito.
Dietro di noi c’erano file di visi sconosciuti. Espressioni che andavano dalla più cruda disperazione alla più piena soddisfazione. Un evento del genere aveva suscitato l’interesse di tutto il popolo. Quasi non riuscivo a distinguere la fine della marcia; si estendeva per tutta la valle, al punto da non distinguere più le ultime file con la radura circostante. Forse per la nebbia, o forse per le nuove lacrime che mi offuscavano la vista, ancora una volta.
Ad ogni schiocco, sentivo la collera crescere. Ad ogni schiocco, sentivo un colpo al petto. Il suo dolore era il mio dolore, il suo sangue era il mio sangue, al di là delle caste, di quel rigido regime che ci veniva imposto. Dopotutto, lui aveva lottato per questo.
Cosa c’era di sbagliato in quel che lui diceva? Lui era diventato la speranza. La nostra speranza. Una speranza che ora moriva lentamente davanti ai miei occhi.
Il corteo si arrampicava sul fianco della collina. Era quasi l’alba: a est il cielo si tingeva di rosso. Era quella, la causa di tutto. Il rosso. Qualcosa che la società non concepiva. Qualcosa che andava distrutta. Lui lo sapeva, ma era fermamente convinto di ciò che diceva alla gente. Ero sicura che, se gli avessi chiesto “Ne vale la pena?” lui mi avrebbe risposto sì. Lui avrebbe sacrificato se stesso, cosa che stava facendo davanti ai miei occhi, purché la gente vivesse meglio.
Vivesse come la gente di Beforus, la gente che lui vedeva.
Quella gente tanto diversa da quella che faceva parte nella nostra società. 
  
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