La vita.
Dono perfetto,
complicato, bellissimo.
Cosa siamo noi per
meritarci di vivere?
Chiusa in questa stanza,
col tuo corpo accanto al mio.
Cosa siamo Gerard?
Fa caldo, sono in
canotta. Dalla finestra semiaperta entra un dolce e leggero
vento, asciutto. Fa aumentare il sudore sulla mia fronte, sul mio
collo, sul
mio corpo.
Il mio sguardo rivolto
al soffitto, che fissa il bianco, si perde in esso.
Il mio respiro sempre
più pesante, sempre più profondo.
Mi volto lentamente
verso te, amore mio.
Guardo il tuo viso,
sudato, stanco, perso chissà dove. Hai gli occhi chiusi, la
tua pelle lucida è diventata ancora più bianca.
Accarezzo i tuoi capelli
neri e lunghi.
Cosa siamo Gerard? Cosa
siamo diventati amore mio?
Dipendenti da quelle
sostanza, che lenta entra nel nostro braccio, dolce come
una ninna nanna. Quella che ora ci fa star bene, come mai nessuno a
riuscito a
farci sentire, come nemmeno il nostro amore ci fa sentire.
Alla fine del mondo,
l’ultima cosa ce vedo, sei tu.
Una strada senza ritorno
la nostra.
Viviamo nella dipendenza
Gerard.
Cosa siamo?
Sento una lacrima
rigarmi lenta il viso, mentre con la mente vago. Vedo posti
che ho sempre sognato, che ho sempre desiderato, quando volevo scappare
via di
casa, quando mio padre, ogni notte violava avidamente il mio corpo, la
mia
innocenza.
Oh Gerard, sei la mia
salvezza, sei la mia rovina.
Tu che quel giorno come
un uragano sei entrano nella mia vita, travolgendola,
stravolgendola.
Insieme siamo entrati in
un mondo che non ci apparteneva, per dimenticare, per
scordare, per vivere.
Oh Gerard…
cosa siamo?
Diciotto
mesi fa.
Evelyn
Pov
“Evelyn?”
qualcuno mi chiama. Mi volto e lo vedo là, Mike.
Il mio ragazzo.
E’ notte fonda, è buio.
Ci troviamo poco distanti da casa.
Viviamo in una sottospecie di casa, un monolocale squallido, senza luce.
Ma almeno ho un tetto sopra la testa.
Avevo diciotto anni quando scappai di casa, quando varcai quella
soglia, quando
decisi di dire basta a un padre violento, a un padre che non sapeva
nulla di
me, violento, non solo con mia madre, ma anche con me.
Lei? Non mi difendeva, non gli diceva nulla, rimaneva in camera sua,
quando la
notte veniva a bussare nella mia.
Vedeva i mai lividi, le mie lacrime, non mi difendeva, mi guardava con
aria
seria, impassibile.
Lo guardava tornare la sera ubriaco, e non faceva nulla.
Così dissi basta e nel buio della notte, una notte come
questa, fredda, scappai
dalla finestra senza dare più miei notizie.
Ora ho ventidue anni.
“Hey, tutto okay?” la sua voce mi riporta alla
realtà.
“Si…” punto i miei occhi azzurri nei
suoi occhi neri.
“Andiamo.” mi dice conducendomi in un vicolo cieco,
buio.
L’eco di nostri passi è l’unico rumore.
La strada è bagnata a causa della
pioggia e l’aria è umida.
Cammina dinanzi a me, silenziosamente, quasi voglia anche passare
inosservato a
me.
Mike è il mio fidanzato, Mike è il mio fornitore.
Mi stringo nella felpa mentre i capelli biondi mi ricadono sul viso
coprendomi
un occhio.
Mentre il mio respiro caldo si condensa nell’aria fredda di
febbraio, vedo una
figura, poggiata ad una scala d’emergenza.
Il suo volto è nascosto da un cappuccio.
Il silenzio ci circonda.
Guardo Mike.
I suoi capelli castani erano coperti da un cappello, ormai, viviamo di
notte,
viviamo nel buio.
Ci avviciniamo a quella figura che, non appena ci vede, si mette dritto.
Si avvicina con passo lento e cauto.
Si sposta il cappuccio dal viso scoprendo due occhi verdi, lucenti come
smeraldi.
Il viso spento, bianco, stanco.
La sua voce.
Un brivido mi percorre la schiene non appena emette un suono.
“Dove sono i soldi?” chiede Mike dopo averli dato
una piccola bustina bianca.
L’afferra.
“Li ho.” risponde in un sussurro.
Guarda per un attimo me.
Sorride.
Un sorriso strano il suo, tirato, falso. Il sorriso di chi sa che si
sta
rovinando con le proprie mani, che vorrebbe dire basta ma non ci
riesce. Un
sorriso, come il mio.
E nell’oscurità della notte lo vedo andar via, lo
vedo voltarsi e camminare con
le mani in tasca.
Rimango lì a fissarlo finchè non sento il braccio
di Mike posarsi sulla mia
spalla.
E’ l’ennesima persona che vedevo allontanarsi da
quel vicolo, qualcosa mi dice
però, che quel ragazzo non è uno come tanti, che
quel ragazzo è… diverso.
Mi allontano.
Non lo rivedrò mai più.
Fisso il soffitto.
Bianco e candido come la sostanza che ho appena aspirato.
Guardo con occhi vuoti ciò che mi accade in torno.
Ci sono altre persone nella stanza con me, forse sono cinque, non lo
so, non
riesco a distinguere chi siano.
Sudo freddo.
Sorrido, cazzo se sorrido.
In un mondo tutto mio sorrido, sognando il mare, sognando una vita
felice.
Il trucco ormai sciolto sporca il mio viso di nero.
I miei occhi rossi e stanchi.
Chiudo gli occhi gridando a coloro che sono con me in quella stanza di
abbassare la voce.
E’ la mia unica via di fuga, per scappare via, anche solo per
un momento, tutto
questo, in verità, è solo un stronzata.
Apri gli occhi, poi, tutto si oscura.
Le
sue
mani calde accarezzano la mia schiene nuda.
Accarezzano il mio corpo mentre dalle finestre il sole illumina
fastidiosamente
il mio viso.
Bacia la mia pelle bianca, morbida.
Dice di amarmi, dice che senza di ma non vive.
Dice che li sto cambiando la vita.
Tutte bugie Mike.
Tu ami solo quella roba.
Giro la testa dal lato opposto poggiandole sulle mie braccia.
Reduci da una lunga notte.
Stesi su un letto che non è il nostro.
“Tesoro, devi are una cosa per me.” la sua voce,
calda e affascinante, mi fa
sentire al sicuro.
Mi volto per guardarlo.
Con lui, di certo, tutto puoi sentirti, tranne che al sicuro.
“Cosa?” gli chiedo voltandomi e guardando i suoi
occhi chiusi, le sue labbra
distese in un sorriso.
“Devi potare la roba a un tipo.”
Gerard
Pov
“Gee,
esci da quel cazzo di camerino!” continuano a gridare e io
continuo a
ignorarli.
Fra poco dovremmo andare in scena, cominciare un altro concerto.
Non voglio.
Voglio restare qui, con la mia bottiglia, la mia polvere.
Voglio rimanere qui, ad annegare nel mio dolore.
“Gerard!” è inutile Frank.
“Dobbiamo cominciare.” è inutile Mikey,
non verrò, no, non ora.
Vado in bagno.
Portando con me quella piccola bustina comprata questa sera.
Mi guardo allo specchio.
Sorriso amaro.
Cosa ti succede Gerard, cosa stai diventando?
Una lacrime mi riga il viso bianco e stanco.
I capelli scompigliati mi ricadono su di esso.
Mi poggio al muro lasciandomi scivolare lentamente.
Mi siedo sul pavimento freddo, come il mio cuore.
Sono pronto.
Sento il naso bruciarmi.
Sto bene, ora sto bene.
Passano interminabili minuti, prima
che
smettano di bussare alla porta del mio camerino.
Guardo un insetto sbatte ripetutamente alla lampadina che pende dal
soffitto.
Un rumore costante, che non cessa.
Mi alzo e barcollando vado verso la porta.
Tutto è sfocato.
Ritorno in bagno e mi bagno il viso.
Strizzo un paio di volte gli occhi prima di uscire dal camerino.
Tutto intorno a me si muove.
Si va in scena Gerard.
“Cazzo
Gerard! Ma ti sembra normale!” è appena finito il
concerto. Frank mi ha preso
per la maglia e mi ha sbattuto contro il muro.
Non ho il coraggio di guardare i suoi occhi. Di guardare i suoi occhi
nocciola
riempirsi di lacrime, verso il suo migliore amico che lentamente sta
bruciando.
“Cazzo Gerard, guardami!” mi urla.
Alzo lo sguardo e vedo i suoi occhi, vedo esattamente ciò
che temevo.
Sento le lacrime spingere per uscire. Sfuggono al mio controllo.
Scuote la testa, molla la presa e si allontana lentamente.
“Sono stanco. Ti stai rovinando e lo sai anche tu. Se tu non
lotti con me…” non
finisce la frase. Ha la voce incrinata. Si volta e va via.
No Frank, non odiarmi, non andare via.
Mi lascio scivolare lungo il muro mentre cominciò a
piangere, mentre i miei
singhiozzi si diffondono in questa stanza.
Perdonami Frank, perdonami.
Evelyn
Pov
Esco
dalla doccia.
L’aria fredda mi fa rabbrividire.
Le goccioline sulla mia pelle nuda mi provano una serie di brividi e i
denti
cominciano a sbattere.
Mi vesto velocemente.
Trucco i miei occhi azzurri dopo essermi vestita.
Mi allaccio le converse scolorite e logore.
“Mike.” dico con voce ferma. E’ davanti
il televisore. Ha una birra in mano.
Sono le nove di sera.
Mi sorride e mi siedo accanto a lui. Mi bacia le labbra.
Mi da un foglio con su un indirizzo.
“Ti aspetta.” un sorriso tirato il mio.
Mi alzo e senza dire nulla apro al porta.
“Ti amo piccola.” dice con quel suo tono tranquillo.
Non rispondo, chiudo la porta ed esco.
Mi metto in testa il
capello di lana in
testa ed esco dall’edificio.
L’aria fredda è tagliente e subito mi assale.
Prendo la metropolitana. Ci sono ragazzi esattamente come me, ragazzi
che si
rovinano la vita con la droga.
Mi siedo guardando un ragazzo.
Ha gli occhi fissi nel vuoto.
Una vita vissuta a metà, una vita non vissuta affatto.
Una vita del cazzo la mia, un’infanzia che mi ha portato
inevitabilmente a
questo.
Quello stesso ragazzo ora si alza e va via.
Uno zombie, come me.
E’ poco il tempo che passa prima che arrivi in quella strada,
quaranta minuti,
rispetto alle altre volte in cui cin impiegavo poco più di
un’ora.
Suono il campanello.
Un’altra persona questa, un’altra che si rovina
l’esistenza con questa roba.
Sento dei rumori. Sento una bottiglia cadere e rompersi sul pavimento.
La serratura scatta.
Quegli occhi.
Rimango lì a fissarli incantata.
Mi sorride.
“Entra.”
Allora
gente, i My Chemical Romance non mi appartengono e non lo conosco.
Questa
storia è solo frutto della mia mente malata.
Il tema è molto forte e pesante a parer mio.
Scrivere questo primo capitolo è stata un’ impresa.
Spero comunque vi piaccia.
Ringrazio
con tutto il cuore la mia Greta, che sa donarmi in ogni momento un
sorriso. Ti
voglio un’infinità di bene Honey, non scordarlo
mai.
E la ringrazio per l’enorme aiuto… senza lei
probabilmente starei ancora
cercando un nome e un titolo.
Baci,
Rò.