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Autore: sherlockify    25/11/2013    5 recensioni
Chissà come avrebbe reagito se, tornando nel suo vecchio appartamento in Baker Street, avesse trovato gente che non conosceva e solo lo spettro delle discussioni a causa del suo atteggiamento da bambino, delle confessioni in piena notte, delle risate davanti al fuoco scoppiettante. E chissà come avrebbe reagito se, invece, gli si fosse parato davanti. Proprio lui, con il colletto della giacca perennemente sollevato, i riccioli scompigliati e il sorriso compiaciuto per aver aggiunto un altro successo alla sua ormai ricca collezione. Lo ammazzo con le mie stesse mani - pensò.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quel della BBC, finalmente, hanno capito che sarebbe stato carino farsi vivi in merito a Sherlock. Dunque, hanno deciso di mostrarci un altro piccolo teaser che mi ha letteralmente scombussolata e mi ha portato, di conseguenza, a fantasticare sul ritorno del detective e a scriverci una Fanfiction. E un ringraziamento speciale va alla mia personalissima John Watson, adorabile quanto malvagia, che mi ha in gran parte ispirata per questa cosina che vi accingete a leggere. Proprio a lei è dedicata.

È vivo - continuava a ripetersi, come se temesse che smettendo di farlo la possibilità di rivederlo potesse svanire come fumo. Correva, correva sempre più velocemente nonostante gli si mozzasse il fiato e la fredda aria notturna gli gelasse i polmoni, rendesse secca la sua gola. Correva pur sentendo dolore ovunque, perché la sua paura più grande era che tutto potesse rivelarsi un sogno, che a momenti si sarebbe svegliato con le guance umide e le dita strette attorno alle lenzuola, come succedeva da ormai troppo tempo. Se fosse uno scherzo? Il pensiero che avessero soltanto voluto prendersi gioco di lui lo tormentava da quando aveva lasciato il ristorante e non riusciva, a suo malgrado, a scacciarlo in alcun modo. Chissà come avrebbe reagito se tornando nel suo vecchio appartamento in Baker Street avesse trovato gente che non conosceva e solo lo spettro delle discussioni a causa del suo atteggiamento da bambino, delle confessioni in piena notte, delle risate davanti al fuoco scoppiettante. E chissà come avrebbe reagito se, invece, gli si fosse parato davanti. Proprio lui, con il colletto della giacca perennemente sollevato, i riccioli scompigliati e il sorriso compiaciuto per aver aggiunto un altro successo alla sua ormai ricca collezione. Lo ammazzo con le mie stesse mani - pensò mentre si inoltrava in un vicolo buio, una delle tante scorciatoie scoperte proprio grazie a Sherlock - che conosceva Londra come fosse un palmo delle sue mani. I tempi in cui si avventuravano nei meandri meno trafficati e conosciuti della città alla scoperta di nuovi indizi e sospettati gli parevano lontanissimi, come se riguardassero secoli addietro, quando erano trascorsi tre anni appena. Immerso completamente nei propri pensieri, non aveva notato di non avere con sé la propria stampella, che aveva ripreso ad utilizzare da quando era accaduto, da quando tutto era cambiato. Il suo coinquilino non aveva mai mancato di ricordargli che la sua necessità di avere con sé un sostegno per camminare dipendesse unicamente da un fattore psicologico - E quel dannato stronzo aveva ragione. Sorrise.

Per un momento la sua mente tornò a Mary, che non l'aveva giudicato, che l'aveva capito. Nonostante fosse il giorno del loro anniversario e avessero programmato quella serata da settimane (John aveva fatto tutto quel che poteva per prenotare due posti nel ristorante che aveva scelto, uno dei più ricercati della città, perché credeva che quel momento rappresentasse una tappa importante nella sua nuova vita insieme a lei) non aveva fatto nulla per ostacolarlo, non aveva detto nulla per fermarlo. Bastava un semplice sguardo per comunicarle quel che sentiva, questo la rendeva diversa da tutte le donne che aveva frequentato da quando era a Londra. Quando uno dei camerieri gli si era timidamente avvicinato porgendogli un bigliettino e scusandosi per il disturbo, aveva pensato che potesse averglielo inviato chiunque, chiunque meno che chi si era rivelato il vero mittente. « Chi ti cerca, John? » - Aveva domandato Mary, sinceramente curiosa, prima che potesse cogliere lo stupore misto a panico sul suo volto. Lui le aveva passato un pezzettino di carta, su cui in grafia più che comprensibile qualcuno aveva scritto: “Vieni subito, se puoi. Se non puoi, vieni ugualmente”. E sul retro aveva, in maniera confusa, scarabocchiato l'indirizzo del vecchio appartamento in Baker Street. Aveva colto nello sguardo della compagna una nota di speranza, la speranza che fosse stato realmente Sherlock a scrivere quella nota indirizzata a lui, perché lei come nessun altro desiderava che fosse felice, lei come nessun altro gli era stata accanto nei momenti difficili in cui aveva disperatamente tentato di costruirsi una nuova vita dopo la tragedia che aveva coinvolto il suo migliore amico. E così si era precipitato per strada, dopo averle stampato un bacio sulla fronte e averle mormorato delle scuse a cui lei aveva risposto con un debole sorriso che era in realtà una preghiera che tutto andasse per il meglio.  

Quando mancavano ormai un paio di isolati per raggiungere Baker Street, un'idea bizzarra quanto azzeccata si fece strada nella mente di John: che Sherlock, se di lui davvero si trattava, sapesse del loro anniversario, che avesse scelto di proposito quella sera per tornare da lui. Perché era sua abitudine ostacolare le mie relazioni amorose, disse fra sé, trattenendo a stento una risata per lo più isterica. A pochi passi dalla sua vecchia abitazione sentì il panico aprirsi un varco dentro di lui, le viscere contorcersi, il battito cardiaco farsi martellante. Aveva sempre avuto problemi a contenere le sue emozioni e Sherlock non era mai riuscito a trattenersi dal farglielo notare. In quel momento avrebbe voluto possedere la sua calma innaturale, la sua compostezza e imperturbabilità rispetto ai sentimenti che tanto lo rendevano simile ad un automa. A noi due, Sherlock. Accostandosi alla porta cercò di trovare la forza per far sapere alla signora Hudson della sua presenza così da poter entrare, ma non ce ne fu bisogno. Chiunque fosse, la persona che lo attendeva di sopra aveva lasciato la porta socchiusa in attesa del suo arrivo.

Salendo le scale aveva sentito delle risate registrate provenire dall'appartamento della padrona di casa, probabilmente intenta a guardare uno dei programmi TV per cui il suo coinquilino aveva l'abitudine fastidiosa di rimproverarla. Avrebbe voluto salutarla, abbracciarla, dirle quanto le era mancata dall'ultima volta che era andato a trovarla, ma l'eccitazione ebbe la meglio e puntò alla propria meta originaria, con le mani tremanti e il passo insicuro. Nessun suono proveniva dal vecchio appartamento, la cui porta era ugualmente socchiusa. Quando John la spalancò, un'insolita ondata di freddo lo travolse. Ripensando al calore dell'abitazione che condivideva con il suo migliore amico, la sensazione di freddo che lo pervase lo lasciò di stucco, infondendogli un senso di malessere. Notò con piacere e con leggera malinconia che nulla era cambiato da quando si era trasferito, tutto era nella propria posizione originaria: il divano, le due poltrone, la scrivania. La carta da parati era intatta, come un tempo, tranne per i fori da arma da fuoco che il detective aveva procurato in una delle sue crisi dovute alla noia eccessiva. E non ebbe il tempo di controllare che fosse tutto rimasto uguale anche nelle camere da letto, perché qualcuno entrò improvvisamente nel suo campo visivo. Era completamente buio, tranne che per un fascio di luce lunare che penetrava dalla finestra, e con difficoltà riuscì a distinguere i movimenti della sagoma che gli si avvicinava. La sentì protrarre le sue mani verso di lui, mani che si rivelarono indescrivibilmente fredde e, quando i loro volti si trovarono a poche spanne di distanza e sentiva il suo respiro sulle labbra, comprese chi si trovasse dinanzi a lui. E mentre una voce familiare scandiva il suo nome e un profumo che conosceva bene si diffondeva nell'aria che lo circondava gli arti inferiori si fecero deboli, perse improvvisamente controllo di se stesso e il nulla lo inghiottì.

Voci ben distinte si fecero più vicine e, nonostante le immagini che si presentavano ai suoi occhi apparissero indefinite, sembrava che chine su di lui vi fossero tre persone. Acqua di colonia, balsamo, deodorante per ambienti. Le tre figure cercavano di interagire con lui, che cercava di metterle a fuoco e invano tentava di muoversi. Che situazione imbarazzante.

« Ha aperto gli occhi! Li ha aperti! »

« Molly, non urlare, lo spaventi! »

« Oh ispettore, la lasci stare »

La Signora Hudson, avvolta in una delle sue vestaglie felpate, gli rivolgeva uno dei suoi sorrisi più ampi, mentre Molly Hooper, impacciata, gli teneva una mano. Greg Lestrade le stava accanto, una mano posata sulla spalla di Molly, e la sua espressione incerta faceva pensare che fosse a disagio per qualcosa. John si disse che potesse trovarlo ridicolo e questo pensiero lo rattristò, dopotutto considerava Greg Lestrade un intimo amico, con il quale aveva condiviso momenti ben più imbarazzanti. Ricordi confusi fecero capolino nella sua testa, dolente, ma non riusciva a comprendere quale legame vi fosse tra loro. Perché si trovava disteso su un divano, inerme, con tre delle persone a lui più care al suo capezzale? Non capiva. La testa gli doleva, desiderava che qualcuno chiarisse cosa stesse accadendo invece che lasciarlo in quel ridicolo stato, confuso.

« Ma come diavolo ti è venuto in mente? Pararglisi davanti in quel modo! Avresti potuto avvisarlo! »

« Greg ha ragione, Sherlock. Dovevi aspettartelo, dopo tre anni [..] »

« Ma per favore! » - Esordì una voce decisa, con una nota di impazienza.

Una grande quantità di immagini si presentò ai suoi occhi, la gola gli si fece secca, le mani ripresero a tremare. Sherlock Holmes, in carne ed ossa, avanzava verso di lui, che riuscì a mettersi a sedere con non poca fatica. Era lui, senza alcun dubbio. Il cappotto scuro, gli zigomi pronunciati, gli occhi penetranti, le mani ferme, la corporatura atletica e il naso dritto: non riusciva a capacitarsene, ma era proprio lui. Com'era possibile? Ricordò il suo volto insanguinato tre anni prima, gli occhi sbarrati, il polso totalmente assente. E c'era stata una cerimonia funebre dedicata a lui, per mesi e mesi si era recato a fargli visita, a portargli dei fiori, a raccontargli come procedesse la sua vita senza lui al suo fianco. Ricordò il dolore provato, le lacrime versate, la disperazione nel vederlo al suolo, inerme, in una pozza di sangue. Qualche ora prima avrebbe dato qualunque cosa per poterlo riabbracciare, per poterlo rivedere, ma qualcosa era cambiato, qualcosa si era risvegliato in lui nel momento in cui aveva sentito la sua voce e compreso che, inspiegabilmente, era ancora vivo. Una rabbia folle si impadronì di lui e si fece incontrollabile, gli tornarono alla mente gli incubi, le notti insonni, le giornate trascorse a vegetare sul divano e a desiderare di poter morire e, alla cieca, scagliò un pugno. Lo colpì, mentre gli altri tre indietreggiarono. La Signora Hudson si portò le mani alla bocca e Molly emise un gemito, Lestrade si gettò su di loro per dividerli. Sherlock tentava di coprirsi con le braccia il capo sofferente, John continuava a colpirlo. Voleva fargli male, vederlo sanguinare, voleva che pagasse per quello che gli aveva fatto. Quando l'ispettore riuscì nel suo tentativo di dividerli, Sherlock gli fece inaspettatamente segno di allontanarsi. « Ve l'avevo detto » - disse, quasi divertito. « Vi avevo detto che mi avrebbe picchiato se mi avesse visto. È tutto a posto, non preoccupatevi ».

Le due donne rivolsero a John un sorriso comprensivo, pregno di tenerezza e affetto, Lestrade gli diede una leggera pacca sulla spalla. Soli, rimasero in silenzio per alcuni secondi, incerti rispetto a quel che avrebbero dovuto fare. John avrebbe voluto annientarlo a suon di pugni, ma la sua tristezza si fece più forte della sua rabbia, le mani ripresero a tremare e la voce gli mutò in un sussurro.

« P-perché? Perché ora? Come? I-io.. io ti ho visto, su quella barella, ho stretto il tuo p-polso. »

« John, ascoltami, ti prego »

« Ti ho v-visto morire! Sono morto con te, non capisci? Sono morto, Sherlock! Morto! »

« John, lasciami spiegare »

« Ho tentato il suicidio. Due volte. » - Ammise, guardandosi le mani, mentre lacrime amare gli rigavano il volto contratto in un'espressione di disgusto - « Sono stato debole, Sherlock. Ma a me non importava, io volevo venire da te. E tu, tu eri q-qui! A vivere la vita che avevi distrutto a me! »

« Non è così, non è così. Non voglio che pensi che non mi spiaccia: non è vero. E se credi che non abbia mai pensato a te, che non abbia combattuto il desiderio di presentarmi a casa tua e chiederti scusa per tutto quanto ti sbagli »

« E allora saresti potuto tornare da me prima! Sono passati tre anni, Sherlock. Cazzo, tre anni! Ah, se fossi morto magari ti avrei liberato di un peso, ora non dovresti recitare le tue belle parole vuote. Se non avessi avuto Mary con me, ora non sarei qui! E magari ne saresti felice, bastardo! »

John scattò verso Sherlock, pronto a colpirlo ancora, ma con riflessi pronti lui riuscì a bloccargli le braccia e ad avvicinarlo a sé. I suoi occhi blu erano colmi di lacrime e a stento riusciva a trattenerlo dal picchiarlo, continuava a guardarlo con tenerezza, compassione, come non aveva mai fatto da quando si conoscevano. E quando scoppiò a piangere, poco dopo, Sherlock lo strinse in un abbraccio colmo d'affetto e, inevitabilmente, si ritrovò a piangere con lui. John singhiozzava, la testa sulla spalla di Sherlock, lui piangeva in silenzio, mentre gli accarezzava i capelli biondi leggermente striati di bianco. Avrebbe voluto dirgli quanto gli dispiacesse, ma anche se avesse parlato per ore non sarebbe bastato. Tutto quello che riuscì a fare fu stringerlo più forte, baciarlo su una tempia, rassicurarlo carezzandogli la schiena. John piangeva come un bambino, gli sembrava irrimediabilmente piccolo e indifeso fra le sue braccia, non ricordava di averlo mai visto in quello stato. E quando riuscì a trovare le parole giuste e il coraggio, con un'insicurezza che non aveva mai provato riuscì a dirgli: « Possiamo restare così per sempre, se vuoi. O per tre anni, almeno. Non ti lascerò andare finché non lo vorrai tu, sarò qui con te. Avrei preferito che piangessi sulla mia spalla, non sulla mia tomba, ma ho dovuto proteggerti. E d'ora in poi ti proteggerò, ancora, ma giuro solennemente che sarò qui accanto a te » - E, con queste parole, lo baciò, teneramente, un'altra volta.
  
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