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Autore: Nana_Hale    25/11/2013    1 recensioni
Cosa resta ad un uomo come Sherlock Holmes quando ogni sua certezza, ogni sua capacità di ragionamento viene spazzata via da qualcosa di più forte, incontrollabile, spaventoso come la paura e dolore.
WARNING
Morte di uno dei protagonisti.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: John, Watson, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes, Sig.ra, Hudson
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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His Last Vow
 

"John muoviti!"
"Sei impazzito?! Moran è lì dentro e ti sparerà non appena ti avrà a portata di tiro!"
John afferrò Sherlock per un braccio, bloccandolo proprio davanti alla porta dello Speedy, sotto la tenda rossa zuppa di pioggia.
Era quasi l'ora del tramonto e il rosso del cielo stava pian piano tingendosi di nero mentre qualche stella precoce già prillava qua e là nella volta.
"Dobbiamo entrare per forza, John. Dobbiamo saper-"
"No, Sherlock! Non dobbiamo! TU! Solo tu devi, VUOI sapere come ha fatto a uccidere quelle persone, perchè non riesci ad accettare il fatto che ti abbia fregato!"

Tirò il braccio verso il basso, senza mai allentare la presa, costringendo il detective ad abbassarsi e a stare alla sua altezza, occhi negli occhi.
"Hai ragione! Non riesco ad accettarlo, per questo ho bisogno di entrare lì, arrestare quell'uomo e scoprire come ha fatto a terrorizzare mezza Londra così che questo non possa più ripetersi!"
Sherlock si strattonò via dalla mano di John, che lo stringeva con abile forza, gli lanciò uno sguardo glaciale e si voltò portandosi davanti all'ingresso del 221 di Baker Street.
Il dottore serrò i denti e espirò lentamente cercando di calmare l'istinto che stava ribollendogli dentro le vene di atterrare il detective con un pugno e schiaffeggiarlo con la sua stessa sciarpa finchè il suo braccio non gli si fosse indolenzito.
"Sei un maledetto idiota."
Sbuffò raggiungendolo accanto alla porta color verde scuro; era stata forzata e la serratura quasi completamente distrutta. Moran era un grande tiratore ma di sicuro un pessimo scassinatore.
Senza nemmeno rivolgergli un ultimo sguardo, Sherlock aprì lentamente l'uscio spingendolo col palmo della mano, sentendo il leggerissimo cigolio dei cardini seguire il movimento.
Entrambi deglutirono sapendo che quel rumore aveva appena rivelato la loro presenza senza più alcun possibile dubbio e John, istintivamente, si portò una mano alla cintura, sulla schiena, affertando il calcio della sua pistola.
Fortunatamente, la signora Hudson non era in casa, dato che era andata a trovare sua sorella per il weekend, e non fu necessario passare a controllare le sue stanze.
Sherlock mise il piede sul primo gradino della ripida e stretta scala che portava all'appartamento B; uno schricchiolio, poi un altro e un'altro ancora. Ogni scalino era un passo sempre più vicino all'essere presi di mira con un fucile di precisione, pensò John. Ma non esitò nemmeno per un secondo a seguire il detective su per la scala.
Avrebbe dovuto stare davanti, dato che era lui quello armato, ma Sherlock non glielo avrebbe mai permesso; doveva essere lui a mostrarsi per primo, ad aprire la strada, ad accogliere con un beffardo sguardo di sfida tutti i suoi nemici. Era sempre stato così, e John lo sapeva.
Arrivarono davanti alla porta e si fermarono un attimo, cercando di cogliere un qualsiasi minimo rumore dall'interno. Ma niente.
Non si guardarono nemmeno in quel momento; Sherlock fece un profondo respiro e abbassò la maniglia, spalancando la porta come fosse fatta di carta.
Nessuno gli sparò in faccia. Questo era già un buon inizio.
Entrarono in fretta, facendo molta attenzione a controllare ogni angolo della casa, e si portarono al centro della sala, schiena a schiena davanti al divano.
"Tanto rumore per nulla, John."
Commentò Sherlock continuando a guardarsi intorno mentre il dottore faceva lo stesso; il camino, la cucina, la porta del bagno, la porta delle camere.
"Oh, scusami se non mi va che ci sparino addosso."
"Tanto non eri tu il bersaglio."

Il detective si afferrò le mani dietro la schiena e si allontanò di qualche passo.
"E questo cosa vorrebbe dire, scusa?!"
John si voltò, cercando il suo viso oltre il lungo cappotto scuro e i riccioli neri sulla nuca. Ma Sherlock non si girò; inclinò la testa quanto bastava per permettere al dottore di vedere il suo profilo.
"Non sei in pericolo, John, è me che cerca. Puoi rilassarti."
Detto questo riportò la testa in avanti, verso la porta.
John sentì la sua stessa mandibola acquistare peso e scivolare verso il basso, dischiudendo le sue labbra in un'espressione incredula e sconvolta.
"Tu... sei davvero un idiota totale."
Fece un passo avanti arrivando circa mezzo metro dietro al detective, ma stando sempre non allineato rispetto al suo corpo, così da poter controllare la porta.
"Come scusa?"
"Credi che dato che non sono io ma tu quello che Moran vuole sforacchiare io possa stare calmo? Sherlock, vuole ucciderti! Lo capisci? Io non sarò calmo finchè quell'assassino non sarà in una cella e non potrà più farti del male!"

John notò un impercettibile scatto del collo del detective che sembrò irrigidirsi con un gatto a cui hanno appena tirato la coda.
Lo vide pian piano girare la testa e finalmente riuscì a scorgere i suoi brillanti occhi chiari, insieme ad un accenno di sorriso sulla sua bocca che conferiva al viso un'espressione assai rara da vedere addosso a lui; comprensione, orgoglio, gratitudine.
Il dottore sospirò facendo un leggero cenno del capo, per confermare con fierezza ciò che aveva appena detto.
Si guardarono per qualche istante senza cercare di reprimere minimamente il sorriso che in un attimo invase le labbra di entrambi. Non avevano bisogno di dirsi nulla, non servivano scuse o parole raccimolate da qualche discorso commovente. Sono uno sguardo di complicità e affetto. Solo un sorriso.
E quella fu l'ultima volta che si sorrisero.
Un tonfo proveniente dalle scale attirò la loro attenzione, facendoli irrigidire.
Un rombo, un sibilo, il silenzio.
Sherlock trattenne il fiato mentre la gola e gli occhi si chiudevano, pronti per il dolore, pronti per il peggio.
Ma il peggio non era ancora nemmeno iniziato.
Gli bastarono un paio di secondi per rendersi conto che nessun proiettile aveva trapassato il suo corpo, e il bollore che sentiva nelle vene era solo l'adrenalina che scuoteva tutto il suo sangue.
Aprì gli occhi e si trovò a osservare il volto di Moran, oramai davanti all'ingresso, con un mezzo ghigno sul volto, soddisfatto e compiaciuto, e il fucile stretto fra e braccia ancora puntato nella sua direzione.
Un ghigno altrettanto beffardo e sprezzante stava per tendere le labbra del detective scampato alla morte, quando sentì un rantolo soffocato e orribile provenire da dietro le sue spalle e solo allora si accorse che l'arma del killer n non puntava verso di lui.
Il diniego fu la prima ed unica reazione che il cervello di Sherlock gli permise di mostrare sul suo volto ma, all'improvviso, Moran aveva iniziò ad annuire con la testa davanti a lui, mentre il sorriso mostruoso sul suo volto si allargava sempre di più.
Il secondo rantolo, più sofferente, più penoso, fu come un richiamo che costrinse Sherlock a voltarsi.
John stava ancora sorridendo leggermente e i suoi occhi verdi erano rimasti sul viso del detective; tutta la risolutezza, l'audacia e l' ardore, erano svaniti dallo sguardo del dottore lasciando posto a una raggelante, spaventosa, incontrollabile paura che avvolse l'anima di Sherlock come una rete di filo spinato trasicnandolo verso un dolore che mai avrebbe immaginato di provare.
Senza sapere come, si ritrovò a lanciarsi verso John e ad afferrare il suo corpo mentre si accasciava a terra; tentò di sollevarlo ma ogni gesto sembrava infinitamente più complicato, più faticoso.
Si accorse di aver quasi completamente smesso di respirare e le sue labbra, rimaste socchiuse, avevano inizato a tremare.
"Sherlock..."
Sentì pronunciare il suo nome, che rimbombò nelle sue orecchie come una vibrazione sonora senza alcun senso.
Sangue, tutto quello che vedeva con suoi occhi che saettavano confusi lungo il corpo del dottore, era sangue. Rosso scuro, si confondeva con gli abiti ma era visibilissimo sulle sue mani che tentavano di premere contro il ventre di John come meglio potevano.
"S-Sherlock..."
Ancora quel nome, il suo nome. Perchè gli sembrava che stesse svanendo? Che non avesse più nessun senso, che fosse solo un ammasso di lettere?
Si accorse che il suo respiro stava accelerando oltre modo mandandolo quasi in iperventilazione mentre le sue dita, tinte di scarlatto, tremavano come rami scossi da una bufera.
Il suo viso si era fatto improvvisamente caldo mentre gli occhi gli bruciavano senza controllo.
Non era vero. Non era possibile. Tutto quello non era reale. Non poteva, non DOVEVA essere reale.
Quando avvolse il corpo steso a terra e lo sollevò reggendolo fra le braccia, sentì una mano afferrare il colletto del suo cappotto e tirarlo verso il basso con quanta forza gli restava.
Si lasciò guidare nel movimento, abbassandosi e stringendo ancora di più il corpo del dottore.
"Non... non ti avevo m-mai visto senza parole. ..p-perchè n-non... parli?"
John. La voce di John, così stanca e bassa, come un sussurro, riuscì a farlo concentrare finalmente sul suo viso; aveva un leggero segno del suo sangue sulla guancia, che lui gli aveva procurato cercando di sollevarlo da terra, e l'espressione sul suo volto era cambiata di nuovo.
La paura, quella non sen'era andata, ma qualcosa di ancora più forte si era fatto strada nei suoi occhi, qualcosa che fece tremare Sherlock ancora più intensamente mentre un sighiozzo gli usciva dalle labbra.
"Io... io n-non... non so cosa... devo fare... io..."
Non riuscì nemmeno a riconosce la sua stessa voce: così scossa, ogni parola così sofferta e pesante da pronunciare.
Il buio.
Il totale buio si era impossessato di tutto ciò che Sherlock Holmes era stato per tutta la vita, cancellando ogni minima traccia di quel brillante detective pieno di deuzioni e idee geniali, e lasciando solo un semplicissimo uomo, terrorizzato, inerme, impotente di fronte a qualcosa che non era in grado di fermare, di risolvere.
"Tu... sai sempre c-cosa devi fare..."
All'improvviso John gli posò una mano sul collo sfiorandogli la mandibola quasi involontariamente, facendo scivolare il suo corpo leggermente verso il basso, e permettendo alle dita del detective di infilarsi sotto la sua schiena e sorreggerlo.
"Quando n-non fai l'idiota..."
Sherlock scosse la testa a destra e sinistra, come a rallentatore, senza allontanare lo sguardo dagli occhi del dottore, tenuti aperti con immensa fatica.
Sentì le sue dita fredde sfiorargli la guancia mentre l'ombra di un ultimo sorriso balenava lungo le sue labbra quasi completamente prive di colore.
 
"Se stesse morendo, se la stessero uccidendo, cosa direbbe negli ultimi istanti?"

"S-sherlock... io... t-..."
Un gemito soffocato gli fece spegnere le parole in gola mentre il suo volto si piegava sotto una tremenda fitta di dolore, l'ultima.
"No..."
Il detective sentì la presa sul suo volto farsì più flebile mentre il chaos che scuoteva la sua mente non accennava a diminuire, ma si condesava in un unico pensiero continuo, immutato, ripetuto fino allo sfinimento.

Dio, ti prego, fallo vivere.

Ma, purtroppo, quel disperato desiderio non era nei piani.
Gli occhi di Sherlock, spalancati, indifesi di fronte a tutto quello che stava accadento, non abbandonarono mai quelli di John, fino alla fine, quando un flebile e ultimo respiro uscì timido dalle sue labbra e la sua mano abbandonò il volto del detective e ricadde al suolo, priva di vita.
Moran era rimasto a godersi la scena appoggiato alla porta con un'espressione pienamente soddisfatta.
Dopo un tempo che parve infinito, molto lentamente il detective si mosse; appoggiò il corpo esanime del dottore a terra, con delicatezza, quasi fosse fatto di vetro, poi si alzò tenendo le spalle rivolte vero l'assassino.
Il lungo cappotto scuro sembrava essere aumentato improvvisamente di peso, come un mantello nero di morte e solitudine che lo aveva coperto senza pietà.
Quando si voltò, Moran riuscì finalmente a vederlo in volto; aveva la camicia azzurra macchiata di sangue e uno sbavo purpureo si mischiava al sudore sulla sua guancia.
Le sue mani avevano completamente smesso di tremare e le dita, strette intorno alla pistola di John erano serrate come una tenaglia d'acciaio.
I suoi occhi arrossati brillavano di una luce spettrale, tagliente come il colore delle sue iridi glaciali.
Nel suo sguardo non c'era più niente. Nessuna paura, nessun dubbio. Un vuoto, come un abissio, una voragine senza fine che aveva inghiottito ogni traccia della sua umanità. 
Eppure, quello fu il momento esatto in cui Sherlock Holmes si rese conto di essere la creatura più umana che avesse mai incontrato e, senza nessun rimorso, lasciò che ogni angolo suo cuore di riempisse di un unico e brutale sentimento.
Rabbia.
Solo rabbia.
Alzò il braccio armato con una lentezza misurata e puntò la pistola contro Moran che, senza fare una piega, ridacchio divertito.
"Cosa credi di fare con que-"
BAM!
Il colpo lo centrò in mezzo alla fronte facendolo cadere all'indietro e rotolare lungo tutte le scale, seguito dal suo fucile. Il cadavere ricadde con un tonfo sordo, disarticolato in ogni giuntura possibile, e una macchia di sangue si espanse pian piano da sotto la sua testa, sporcando il tappeto della signora Hudson.
Sherlock rimase a guardarlo per diversi secondi, quasi un intero minuto, poi gettò la pistola nella tromba delle scale guardandola andare a cadere proprio sul corpo.
Si voltò completamente dando per la prima volta la schiena alla porta e pian piano si sfilò dalle spalle il suo cappotto.
Si lasciò cadere sulle ginocchia accanto al cadavere del dottore e con un delicato gesto adagiò la giacca  sopra di esso, lasciando scoperti collo e testa.
Rimase con gli occhi fissi fuori dalla finesta, dietro il divano, e non riuscì a guardare quel viso pallido per almeno cinque interi minuti. La timida luce di un lampione filtrava dalla finesta, insinuandosi nella casa colpendo di striscio il viso del detective; lo illuminanava per metà facendolo apparire ancora più bianco e marmoreo del solito, mentre la striscia di sangue sulla sua guancia sembrava scintillare come un rubino.
Quando i suoi occhi arrossati e spenti non sopportatono più la luce, finalemente il suo sguardo non resse più lo sforzo e si lasciò cadere verso il basso.
John sembrava dolcemente addormentato, lì in quella casa che era stata il loro nido dal primo giorno che avevano passato insieme, fino all'ultimo.
Il loro posto, la loro casa, la loro tomba.
Perchè quel giorno anche Sherlock Holmes morì, lì in quella stanza, al 221 B di Baker Street, insieme al Dottor Watson; l'unico uomo che mai era riuscito ad insinuarsi nella sua anima. L'unico uomo a cui lui teneva più della sua stessa vita.
La rabbia si attenuava di più per ogni secondo che Sherlock passava ad osservare il volto, calmo e sereno, di John; e, al suo posto, nasceva dentro di lui qualcosa che non aveva mai provato in tutta la sua vita. Una disperazione così violenta che distrusse tutto ciò che restava del suo autocontrollo, scatenandosi in un urlo spaventoso e inconsolabile, mentre il suo viso bruciava, bagnato dalle calde lacrime salate che continuavano a scivolare inarrestabili dai suoi freddi occhi di ghiaccio.
 
"Non mi interessa una vita in cui tu non ci sei."

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Buonsalve a tutti! Prima di tuto chiedo umilmente scusa per questa cosa DEPRIMENTISSIMA che ho pubblicato... ma non ho saputo farne a meno... T.T chiedo perdono. Si, il titolo della fic è il titolo dell'ultimo episodio della stagione in arrivo. Si, sono una brutta persona.
Spero che nonstante il DOLORE vi sia piaciuta e che non vogliate venire a  uccidermi a mani nude...
Questa gif HERE è stata di grande ispirazione per questa fic quindi INCOLPATE LEI. E sentitevi liberi di sfogare il vostro dolore e odio nei commenti.
Grazie di averla letta e di essere sopravvissuti.
Un bacio!
-Nana-

 
  
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