Secondo Chap, People! Commenti al finale. XD Sempre
se sopravviverete.
2. Thinking.
Tasting. Touching.
-lei?
Tom sospira, rassegnato.
-no, senti, non ci pensare minimamente.
Le labbra di Tom si curvano in un sorriso obliquo che è tutto un programma.
-e chi pensa cosa, scusa?
La sua lingua passa distrattamente sul piercing, mentre il suo sorriso sadico e
con una punta di sincero sadomasochismo, che farebbe invidia a It di Stephen
King, sta facendomi sentire come un’eretico alle prese con l’inquisitore
Torquemada.
-io dico solo in base a quello che avverto nell’etere...
La sua regale mano si degna di indicare tutto l’ambiente circostante. Seguo
attentamente il suo sguardo, cercando di non fargli notare che il suo tutto si
riferisce ad un televisore al plasma momentaneamente ricoperto di panna, ad un
divano in pelle nera visibilmente chiazzato di maionese ( giustamente abbinato
ad un parquet reso scivoloso dal ketchup e dal quadro post moderno che sono le
smaltate nere di Bill sulla parete ) e ad un paio di Vans distrutte che
sospetto siano il tanto amato etere di Tom.
In quel caso, si spiegherebbe tutto. La classe non è acqua, e un paio di scarpe
di Bill non sono sicuramente all’odore di colonia.
Sbuffo scettico incrociando le braccia, mentre il qui presente Casanova sembra
essere pronto a farmi un corso di “attracco” accellerato. Glielo dico o non
glielo dico, che quella francesina aveva concluso la serata in bellezza con il sottoscritto,
a discapito del sorriso sghembo del soggetto in questone?
Naaa. È una di quelle cose da sbattere in faccia situazioni estreme: in punto
di morte o quando ci si è già pienamente suicidati a livello sociale.
Stile colpo di grazia, causa embolo.
Comunque, tralasciando i miei alquanto improbabili trip, decido tornare al
presente con un quanto mai appropriato colpo di tosse.
E voi credevate che Mr. Elettroshock fosse l’unico che distruggesse i timpani
con i suoi attacchi di logorrea acuta?
Tzs.
Illusi. I due sono gemelli, nel bene (poco) e nel male (parecchio).
Tom s’interrompe nella sua dotta spiegazione sul piacere di avere una vasta
collezione di tanga per guardarmi dall’alto del suo metro e fruscia ( qual
tanto che basta per farmi sentire più tappo della norma ), vagamente
infastidito del mio disinteresse per la sua regale persona.
Sospiro. Ancora.
Poveri, poveri i miei polmoni...
-quante volte ti ho detto che i tuoi sensori sono fuori parametro, Tom?
-Tante volte quante gliel’ho detto io, Gustav. Ma si ostina a non darmi retta.
Finchè tutte quelle ragazze continueranno a svasarglieli...
Io e Tom veniamo sorpresi (sarebbe meglio dire che rischiamo un colpo al cuore)
dalla silenziosa presenza di Bill, che ci sorride enigmaticamente dalla porta
del salotto.
Si avvicina a passi leggeri, corpo sdutto di un ballerino di samba, occhi
cerchiati pesantemente di khol nero, una (incredibilmente) semplice coda e un
cappellino dal modello militare con tanto di visiera quadrata.
Il suo sopracciglio, decorato dall’onnipresente anellino argentato, è sul punto
di sconfinare oltre il bordo del cappellino, tanto è inarcato causa sorriso
obliquo quantomai minaccioso.
I suoi occhi scintillano di una ilarità a stento repressa e io so, me lo sento
in queste robuste ossa teutoniche, che è profondamente incuriosito.
E si accanirà finché non riuscirà a ottenere quello che vuole, a costo di usare
il sorriso più infingardo e l’aria più falsamente innocente che si sia mai
vista.
Che, tra parentesi, su di lui ha questa apparenza di sincerità che solo Dorcas
riesce a simulare con alrettanto successo.
( tutte le strade portano a Dorcas, no? )
-lei chi, Gustav?
Scuoto la testa sconsolato, fermamente deciso a fare in modo che gli affaracci
miei rimangano tali.
Gli occhi di Bill scattano da Tom a me. E da me a Tom.
E mentre il gemello con i rasta che pensano per lui (no, non mi dite che
credevate seriamente che lui ce l’avesse sul serio, un cervello!) ha un ghigno
saputello che se non fosse per le orecchie gli farebbe il giro della faccia, il
sorriso di Bill si allarga ( si, é possibile ) e, con un agile movimento
ampliamente collaudato, si appoggia alla spalla di suo fratello.
L’attacco congiunto dei due gemellini Kaulitz-Kakatua no, per favore.
Portandomi una mano agli occhi, cerco con molta nonchalance di compiere una la
prima smaterializzazione umana e sparire dal raggio d’azione di Bill.
Tom ridacchia sonoramente, mentre imita lo stesso battere il piedino del
fratello { calato in un paio di scomodissime cult } sul parquet.
Credo che il mio scuotere forsennatamente la testa per impedirgli di dire
alcunchè sia inutile.
Ma forse la minaccia di morte lo fermerà?
{ Ragazzo, se non vuoi morire, non lo fare.
Non parlare. Ficcati ciò che resta del tuo cappellino in bocca e tappati. }
-bhè, allora?
Tom incrocia le braccia sul petto, osservandomi con la coda dell’occhio, mentre
un Bill dall’inquietante sorriso sornione si fà spazio nella mia top ten di
possibili incubi notturni.
Voglio morire, Tom e il mio segreto con me!
-avanti, svelamelo: hai appena consigliato a Gustav di approfondito il contatto
con Dodò? La sua tecnica del suono?
Terra inghiottimi.
No, meglio, inghiottisci loro.
Dato che non ho assolutamente voglia di sopportare un interrogatorio in piena
regola, mi giro verso il mio porto sicuro: la cucina.
Ho già la mano sulla porta, quando la voce di Bill, con un tono dolcemente
accattivante,
mi richiama.
-comunque, non credo che Dorcas sarebbe poi cosí male.
Argomento imbarazzante, bollente, patatoso e patatero. Che, ma guarda un pò,
non ho assolutamente voglia di affrontare in un simpatico tète-à-tète con
quelle lingue lunghe.
Vorrei tanto fulminarli con lo sguardo, ma ottengo solo l’ennesimo sorriso
smagliante da 100 watt, che riesco a spegnere solo richiudendo la porta dietro
di me e fuggendo nel “Remoto reame della Pizza Congelata”, dove, guarda caso,
in qualità di improbabile donzella in difficoltà, c’è Dorcas.
( Tutte le strade portano a Dorcas, no? )
.-.-.-
Non credo che Dorcas possa essere definita come tranquilla, pacifica, o altri
aggettivi di carattere tipicamente sedentario.
Dorcas è adrenalinica, è l’antitesi del pantofolaio e la nemica del sonno, la
ragazza che ho dovuto portare a braccia dai divani di svariate hall su cui si
era buttata “per solo cinque minuti, Boss” nelle camere di altrettanti
alberghi, il tutto perchè la sua giornata lavorativa era stata di ventitre ore.
Voglio dire, dovrebbe inquietarmi tutto questo. Non c’é niente di fisso in lei,
niente di anche solo vagamente longevo: forse solo i suoi tatuaggi se la
scampano.
Eppure lei è una di delle poche persone che mi strappa dalla bolla in cui mi
sembra di vivere per tutta la durata di queste rutinose turnée, che sembra
cancellare e resettare la lista delle mie priorità, fino a far arrivare al
primo posto il “farla ridere prima di colazione.”
Perfino quando legge, ha tutta una mimica particolare che le permette stare
ferma e contemporaneamente non dare l’impressione di staticità.
Come ora.
Quando entro in cucina, sorprendo una crucciata Dorcas leggere il dorso del
cartone del latte. Con il dito medio tormenta una ciocca di capelli bianchi
sfuggita alla fascia, mentre le gambe tornite spuntano da un fitto tripudio di
strati di tulle e cotone multicolor della gonna. I piedi minuti, calzati in
stivaletti di pelle morbida, penzolano liberi dal ripiano della cucina dove è
seduta.
É inutile domandarle di sedersi. Per lei non esistono sedie, sono troppo ferme,
troppo fisse nello spazio relativo di un quanto mi breve attimo della sua
quanto mai rapida vita.
Quando legge, i suoi occhi sono socchiusi nel tentativo di supplire al piccolo
carattere delle scritte, mentre con la lingua si tortura l’anellino del labbro.
L’osservo scuotere la testa rassegnata, con conseguente smottamento di tutta la
sua abnorme massa di capelli, per poi allontanare da sè il cartone del latte
con una smorfia.
Per poi riavvicinarlo ancora. Rilegge meglio, storce le labbra con tanto di
piercing, inarca un sopracciglio. Sospira, chiude gli occhi rassegnata, mentre
le sue labbra sussurano un silenzioso gemito.
Sarà latte guasto, come sempre.
Rendendosi conto di essere osservata, alza gli occhi.
{ Chi è riuscito a regalargli un paio di calamite al posto degli occhi? }
Mi sorride, allegra.
-ehi, Gugu!
Inarco il sopracciglio, mentre a fatica districo il mio sguardo dalle sue
ciglia.
-Gugu?
Sghignazza divertita, senza coprirsi la bocca con la mano e facendosi sentire,
agitando le gambe avanti e indietro forsennatamente, quasi fosse la bambina che
sembra essere.
Ma è una iena. È volutamente maleducata. È lei stessa. Ammirabile.
-assolutamente. Io mi becco Dodò, e tu Gugù. Così facciamo pendant.
Ridacchio divertito, mentre lei fà definitivamente volare il pacco di latte
nella spazzatura con un lancio preciso e una smorfia di disgusto.
Decido di rivolgere la mia attenzione al contenuto del frigo, che, come al
solito, è desolante.
Il Ritter di Tom, la panna di Georg, i pasticcini di Bill...
E poi si chiedono come possiamo avere ancora tutti i brufoli, a ventidue anni
suonati!
-ehi.- la voce di Dorcas mi sorprende. – ma quelle non sono fragole?
Osservo meglio il terzo cassetto. Eh, già. Il peccato di gola preferito della
nostra piccola Dodette.
Mi siedo al suo fianco sul ripiano della cucina, dopo aver opportunamente sciacquato
le suddette fragole.
Lei mi sorride allegra, prima di mordere un piccolo pezzo di frutto rosso.
Mentre io posso solo mordere le mie, di labbra.
{ Perchè, quali labbra vorresti provare adesso? }
.-.-.-.
Fragole. Adoro le fragole. Quelle senza niente, una botta d’acqua e via, solo
lavate e senza foglie. Le prendo delicatamente con due dita, le osservo attenta
e le mangio a piccoli morsi, socchiudendo gli occhi e gustandomi fino in fondo
quel sapore di selvatico, di vagamente asprigno.
Quel sapore che l’eccesso di zucchero elimina.
Forse è per questo che odio il prototipo della fragola dolce: è il più banale
degli steriotipi, e in più fa pure venire la carie.
Esattamente come me, se non mi prendessi a piccoli e misurati morsi. Se non
decidessi le mie prioritá e i miei problemi con tatto e delicatezza.
Se non mi criticassi con un poco di limone e non mi adorassi con un pizzo di
zucchero, certo, ma a velo, quel tipo di zucchero, insomma, che non impiccia e
solo allevia.
Se mi avessero shakerato con panna e zurro di canna, come si aveva intenzione
di fare, come hanno fatto, imbottendomi di schifezze e tirandomi su a forza
d’illusioni, probabilmente avrei fatto indigestione di me stessa fino al
rifiuto piú totale.
Se mi fossi abituata a digerire tutto senza masticare, probabilmente sarei già
precipitata oltre il sottile confine della droga, lo so.
E invece sono qua, a metaforizzare fragole e vite passate di una persona che,
stento a crederlo, fossi io.
Un deglutire rumoroso e forzato mi distrae. Apro gli occhi di scatto, lasciando
perdere filosofeggiamenti vari per lui, girandomi verso un Gus quanto mai
rosso.
Osservo critica come, anche oggi, il ragazzo sembra gridare ai quattro venti un
concetto tutto personale di “stuprabile”.
Perchè, perchè sembra avere un’allergia alle magliette?
Grido che il mio cuore raccoglierebbe con immensa gioia, se non fosse che quel
monaco del mio cervello mi ripete come un mantra l’odiosa parola “amicizia”.
Insomma, siamo prosaiche. Non è affatto possibile. Tre anni passati dietro a
lui e alla sua batteria, tre anni passati a girare l’Europa, tre anni in cui ho
salutato un fidanzato, mollato amici vari e costretto una famiglia a vedermi
solo per le vacanze obbligate.
Anni in cui, da brava beota, ho fatto esattamente quello che mi ero vietata:
prendermi la sbandata per lui. Quante, quante volte ti ripeti che cose del
genere nella tua vita non accadranno mai, per il semplice fatto che tu sei
troppo forte per lasciarle accadere?
Tante volte quanto è grande l’errore.
E così, abbiamo potuto dare un tacito inizio al mio incubo personale: una
brutta dipendenza da quel dopobarba dal nome impronunciabile, oltre che del
proprietario del suddetto.
E tanti saluti all’equilibrio interiore. Il mio. Perchè il suo lo ha
tranquillamente conservato.
Perchè tutto in lui è tranquillità, come se ogni movimento che facesse, lo
facesse in piena stasi temporale. Puoi definirlo placido, tranquillone o
distratto: di lui mi attira quella sensazione di pacificità che non ho mai
provato prima in me stessa.
É calma pura, e io adoro la calma. Forse perchè, prima di lui e di questo
incarico, i miei pochi punti fissi sono andati a farsi fottere con una velocità
vertiginosa.
-no, non ti preoccupare.
Altro piccolo attacco di tosse. L’osservo dubbiosa.
E se non fosse per il fatto che lo conosco, potrei quasi chiedermi perché sia
così imbarazzato per un semplice boccone di traverso.
Sbuffo dandomi mentalmente ella paranoica, l’osservo con la coda dell’occhio,
intoppandomi con il suo sguardo.
Merda.
Abbasso gli occhi, li dirigo in fretta la parete di fronte a me e con molta
noncuranza inizio a leccarmi il resto del succo di fragola dalle dita.
“Tanto” mi ritrovo a pensare incazzata “questo qua mi vede come la sorellina
innocente. Solo perchè ho l’aspetto di una diciottenne non significa che non
abbia ventitre anni, e che diamine!”
Altro colpo di tosse rumoroso. Mi giro indispettita verso Gustav.
-ma ‘sto kaiser di tosse, Gugu, perchè non te la curi...?
L’osservo scettica, mentre lui, mano educatamente sulla bocca, è in preda ad un
attacco di tosse che lo ha reso quantomai simile ad un gambero.
Sospiro, occhi al cielo. Oddio. Non è che mi ritrovo il batterista dei Tokio
Hotel fulminato a ventitre anni scarsi?
Rabbrividisco al solo pensiero i cosa potrebbero farmi le fans, se sapessero
che è morto sotto gli occhi stupidi della sottoscritta.
Poi, con un tatto che stupisce anche me, poggio delicatamente una mano sulle
sue spalle.
{ Ignoro deliberatamente la scossa che mi stà dando, forte abbastanza da farmi
venire in mente improbabili piani per narcotizzarlo e farne quello che voglio.
Ma… Ignorare, Dorcas, ignorare è la parola d’ordine. }
La sua pelle liscia è rovente, e la schiena abbronzata è scossa da quella
strana tosse.
Vedendo che la tosse non accenna a diminuire passo a metodi più energici,
battendo sulle sue spalle per cercare di tranquillizzarlo.
Mi sporgo verso di lui, che sembra annegare nel suo stesso attacco,
-Oh Cristo, ma non avrai la febbre...?
Il dubbio mi assale. Mordendomi il labbro per la preoccupazione, poggio l’altra
mano sulla sua fronte.
Oh, Dio.
È accaldatissimo, e lo sguardo vacuo che mi rivolge non fa che confermare i
miei sospetti.
Decido d’agire d’urgenza, se non altro per farlo smettere di tossire: una mano
sul petto, a sostenerlo perchè non cada in avanti, mentre l’altra a sollevare
il meno per guardare in alto.
-guarda su, Gustav.
Ordine superfluo, visto che sembra aver capito al volo le mie intenzioni e
cerca di assecondarmi, nonostante la mancanza di ossigeno gli stia sconquassando
il petto.
-ma tu stai male.
Dinieghi e ancora più coff-coff a parte sua, povero.
Smettila, smettila di costringermi a sostenerti…
Sto qui a pensare al fatto che la sua pelle è bollente, quando l’unica cosa di
cui dovrei preoccuparmi è che non mi vomiti sul pavimento!
Sono una fottuta egoista, ecco.
Non ci bastava essere frustrata, no.
Con un sospiro di sollievo da parte mia, sento la tosse diminuire. Si passa la
mano sulla bocca, implorando con una voce d’oltretomba un bicchiere d’acqua.
Salto giù dal ripiano, per poi rifilare a Gustav una tazza colma fino all’orlo.
L’osservo bere imbambolata, dandomi mentalmente della cretina.
Eppure no, non ci riesco a staccare gli occhi da quelle labbra sottili.
Giusto in tempo per fare la figuraccia del giorno, dato che rialzando lo guardo
dalla tazza s’intoppa con la mia espressione ebete, del tutto concentrata sulle
sue labbra.
Arrossisco, mi do mentalmente dell’arrapata e decido darmi cinque minuti di
tempo, prima di uscire da questa stanza in piena crisi di dipendenza.
Se non fosse che la sua voce, al momento pericolosamente roca, m’incatena al
mio posto.
-Dorcas, perchè hai le mani fredde...?
Me le osservo stupidamente, arrossendo come un peperone e pregando un qualsiasi
santo in paradiso che non si sia accorto di nulla. Lo sento ridacchiare, lui,
il colpevole di tutto il mio imbarazzo, l’abominevole essere che mi fa pendere
dalla sue labbra.
-io... scusa.
Guardo il pavimento per non scavarmi una fossa.
Perché, perché mi sono inutilmente scusata?
Dorcas, hai appena perso la tua dignitá.
(oddio, non dovrebbe essere plausibile essere cosí felici di perderla, no?)
No. Significherebbe l’inizio della fine.
-oh, no. Mi piace che siano fredde. Io ho così tanto caldo...
L’osservo con la coda dell’occhio. Mi sorride, pacifico, con l’espressione
ancora affaticata per aver tossito troppo. Mi mordicchio il labbro, nervosa.
Ha le labbra gonfie e le guance arrosate. Gli occhi sono socchiusi, mentre il
capelli sono più lunghi del solito e arricciati per il sudore.
La pelle el petto è lucida, e posso distinguere ancora la sagome della mia mano
sulla pelle della sua gola.
Sembra...
Ah, Dodò, stoppa qua. Non puoi. Non puoi immaginartelo in quella situazione. Non
di fronte a lui.
Distolgo gli occhi imbarazzata.
{ Cretina, come se lui potesse vedere il trip mentale vietato ai ventiquatrenni
che ti stai facendo. }
Con un gesto quasi timido, poggio delicatamente la mia mano sulla sua fronte,
provocando un sospiro di sollievo da parte sua. Socchiude gli occhi con un
appagato in faccia.
( ma quello, non é un sorriso malizioso? )
.-.-.-.-.-
Oh,
scusatemi veramente tanto per gli orrori gramaticali e/o incomprenibili
accenti, ma qui la tastiera sembra aver deciso di fare di testa sua con i segni
ortografici, accenti inclusi.
Inoltre,
il capitolo non mi convince niente.
É
piatto, e le descrizioni si raggrumano in nodi di difficile lettura.
Oh,
sono affranta. É la terza volta che lo riscrivo, e se son spine, pungeranno.
Intanto,
sarei entusiasta per il semplice ricevere critiche severe.
A
proposito di commenti...
_Princess_, simmyListing,
EtErNaL DrEaMeR, Lady Vibeke.
G r a z i e.
Danke.
Gracias.
Merci.
Per
parole che non mi ero aspettata di ricevere, per complimenti che non credo di
meritare e per farmi notare errori a cui ho cercato, inutilmente credo, di
porvi rimedio.
Per
avermi incoraggiato, criticato e per quella deliziosa battutina su Georg e
sulla CO2, sui cui mi ritrovo perfettamente d’accordo.
Decisamente sono
le piú belle recensioni che un writer potesse mai ricevere.
Spero
di leggervi ancora, e scusate questa penositá. XD