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Autore: _Ellie_    02/05/2008    3 recensioni
{Una FF su Gustav}
Si, perchè io sono l’eterna idiota, il tipico personaggio delle favole che s’inciufola del principe azzurro, sapendo benissimo che non è stato, non è e non sarà possibile. Il masochismo esiste, gente. Il solo fatto di bramare “l’ama e sii amato” è da considerare il primo passo verso la pazzia, la frustrazione, le risate per cavolate, le uscite con altri uomini fallite per il solo fatto che loro non sono lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo Chap, People! Commenti al finale. XD Sempre se sopravviverete.

2. Thinking. Tasting. Touching.

-lei?
Tom sospira, rassegnato.



-no, senti, non ci pensare minimamente.

Le labbra di Tom si curvano in un sorriso obliquo che è tutto un programma.

-e chi pensa cosa, scusa?

La sua lingua passa distrattamente sul piercing, mentre il suo sorriso sadico e con una punta di sincero sadomasochismo, che farebbe invidia a It di Stephen King, sta facendomi sentire come un’eretico alle prese con l’inquisitore Torquemada.

-io dico solo in base a quello che avverto nell’etere...

La sua regale mano si degna di indicare tutto l’ambiente circostante. Seguo attentamente il suo sguardo, cercando di non fargli notare che il suo tutto si riferisce ad un televisore al plasma momentaneamente ricoperto di panna, ad un divano in pelle nera visibilmente chiazzato di maionese ( giustamente abbinato ad un parquet reso scivoloso dal ketchup e dal quadro post moderno che sono le smaltate nere di Bill sulla parete ) e ad un paio di Vans distrutte che sospetto siano il tanto amato etere di Tom.

In quel caso, si spiegherebbe tutto. La classe non è acqua, e un paio di scarpe di Bill non sono sicuramente all’odore di colonia.

Sbuffo scettico incrociando le braccia, mentre il qui presente Casanova sembra essere pronto a farmi un corso di “attracco” accellerato. Glielo dico o non glielo dico, che quella francesina aveva concluso la serata in bellezza con il sottoscritto, a discapito del sorriso sghembo del soggetto in questone?

Naaa. È una di quelle cose da sbattere in faccia situazioni estreme: in punto di morte o quando ci si è già pienamente suicidati a livello sociale.
Stile colpo di grazia, causa embolo.

Comunque, tralasciando i miei alquanto improbabili trip, decido tornare al presente con un quanto mai appropriato colpo di tosse.

E voi credevate che Mr. Elettroshock fosse l’unico che distruggesse i timpani con i suoi attacchi di logorrea acuta?
Tzs.
Illusi. I due sono gemelli, nel bene (poco) e nel male (parecchio).

Tom s’interrompe nella sua dotta spiegazione sul piacere di avere una vasta collezione di tanga per guardarmi dall’alto del suo metro e fruscia ( qual tanto che basta per farmi sentire più tappo della norma ), vagamente infastidito del mio disinteresse per la sua regale persona.
Sospiro. Ancora.
Poveri, poveri i miei polmoni...

-quante volte ti ho detto che i tuoi sensori sono fuori parametro, Tom?
-Tante volte quante gliel’ho detto io, Gustav. Ma si ostina a non darmi retta. Finchè tutte quelle ragazze continueranno a svasarglieli...

Io e Tom veniamo sorpresi (sarebbe meglio dire che rischiamo un colpo al cuore) dalla silenziosa presenza di Bill, che ci sorride enigmaticamente dalla porta del salotto.

Si avvicina a passi leggeri, corpo sdutto di un ballerino di samba, occhi cerchiati pesantemente di khol nero, una (incredibilmente) semplice coda e un cappellino dal modello militare con tanto di visiera quadrata.

Il suo sopracciglio, decorato dall’onnipresente anellino argentato, è sul punto di sconfinare oltre il bordo del cappellino, tanto è inarcato causa sorriso obliquo quantomai minaccioso.
I suoi occhi scintillano di una ilarità a stento repressa e io so, me lo sento in queste robuste ossa teutoniche, che è profondamente incuriosito.

E si accanirà finché non riuscirà a ottenere quello che vuole, a costo di usare il sorriso più infingardo e l’aria più falsamente innocente che si sia mai vista.
Che, tra parentesi, su di lui ha questa apparenza di sincerità che solo Dorcas riesce a simulare con alrettanto successo.

( tutte le strade portano a Dorcas, no? )

-lei chi, Gustav?

Scuoto la testa sconsolato, fermamente deciso a fare in modo che gli affaracci miei rimangano tali.

Gli occhi di Bill scattano da Tom a me. E da me a Tom.

E mentre il gemello con i rasta che pensano per lui (no, non mi dite che credevate seriamente che lui ce l’avesse sul serio, un cervello!) ha un ghigno saputello che se non fosse per le orecchie gli farebbe il giro della faccia, il sorriso di Bill si allarga ( si, é possibile ) e, con un agile movimento ampliamente collaudato, si appoggia alla spalla di suo fratello.

L’attacco congiunto dei due gemellini Kaulitz-Kakatua no, per favore.

Portandomi una mano agli occhi, cerco con molta nonchalance di compiere una la prima smaterializzazione umana e sparire dal raggio d’azione di Bill.

Tom ridacchia sonoramente, mentre imita lo stesso battere il piedino del fratello { calato in un paio di scomodissime cult } sul parquet.

Credo che il mio scuotere forsennatamente la testa per impedirgli di dire alcunchè sia inutile.
Ma forse la minaccia di morte lo fermerà?

{ Ragazzo, se non vuoi morire, non lo fare.
Non parlare. Ficcati ciò che resta del tuo cappellino in bocca e tappati. }

-bhè, allora?

Tom incrocia le braccia sul petto, osservandomi con la coda dell’occhio, mentre un Bill dall’inquietante sorriso sornione si fà spazio nella mia top ten di possibili incubi notturni.

Voglio morire, Tom e il mio segreto con me!

-avanti, svelamelo: hai appena consigliato a Gustav di approfondito il contatto con Dodò? La sua tecnica del suono?

Terra inghiottimi.
No, meglio, inghiottisci loro.

Dato che non ho assolutamente voglia di sopportare un interrogatorio in piena regola, mi giro verso il mio porto sicuro: la cucina.
Ho già la mano sulla porta, quando la voce di Bill, con un tono dolcemente accattivante,
mi richiama.

-comunque, non credo che Dorcas sarebbe poi cosí male.

Argomento imbarazzante, bollente, patatoso e patatero. Che, ma guarda un pò, non ho assolutamente voglia di affrontare in un simpatico tète-à-tète con quelle lingue lunghe.
Vorrei tanto fulminarli con lo sguardo, ma ottengo solo l’ennesimo sorriso smagliante da 100 watt, che riesco a spegnere solo richiudendo la porta dietro di me e fuggendo nel “Remoto reame della Pizza Congelata”, dove, guarda caso, in qualità di improbabile donzella in difficoltà, c’è Dorcas.

( Tutte le strade portano a Dorcas, no? )

.-.-.-

Non credo che Dorcas possa essere definita come tranquilla, pacifica, o altri aggettivi di carattere tipicamente sedentario.

Dorcas è adrenalinica, è l’antitesi del pantofolaio e la nemica del sonno, la ragazza che ho dovuto portare a braccia dai divani di svariate hall su cui si era buttata “per solo cinque minuti, Boss” nelle camere di altrettanti alberghi, il tutto perchè la sua giornata lavorativa era stata di ventitre ore.

Voglio dire, dovrebbe inquietarmi tutto questo. Non c’é niente di fisso in lei, niente di anche solo vagamente longevo: forse solo i suoi tatuaggi se la scampano.
Eppure lei è una di delle poche persone che mi strappa dalla bolla in cui mi sembra di vivere per tutta la durata di queste rutinose turnée, che sembra cancellare e resettare la lista delle mie priorità, fino a far arrivare al primo posto il “farla ridere prima di colazione.”

Perfino quando legge, ha tutta una mimica particolare che le permette stare ferma e contemporaneamente non dare l’impressione di staticità.
Come ora.

Quando entro in cucina, sorprendo una crucciata Dorcas leggere il dorso del cartone del latte. Con il dito medio tormenta una ciocca di capelli bianchi sfuggita alla fascia, mentre le gambe tornite spuntano da un fitto tripudio di strati di tulle e cotone multicolor della gonna. I piedi minuti, calzati in stivaletti di pelle morbida, penzolano liberi dal ripiano della cucina dove è seduta.
É inutile domandarle di sedersi. Per lei non esistono sedie, sono troppo ferme, troppo fisse nello spazio relativo di un quanto mi breve attimo della sua quanto mai rapida vita.

Quando legge, i suoi occhi sono socchiusi nel tentativo di supplire al piccolo carattere delle scritte, mentre con la lingua si tortura l’anellino del labbro.

L’osservo scuotere la testa rassegnata, con conseguente smottamento di tutta la sua abnorme massa di capelli, per poi allontanare da sè il cartone del latte con una smorfia.

Per poi riavvicinarlo ancora. Rilegge meglio, storce le labbra con tanto di piercing, inarca un sopracciglio. Sospira, chiude gli occhi rassegnata, mentre le sue labbra sussurano un silenzioso gemito.
Sarà latte guasto, come sempre.

Rendendosi conto di essere osservata, alza gli occhi.

{ Chi è riuscito a regalargli un paio di calamite al posto degli occhi? }

Mi sorride, allegra.

-ehi, Gugu!

Inarco il sopracciglio, mentre a fatica districo il mio sguardo dalle sue ciglia.

-Gugu?

Sghignazza divertita, senza coprirsi la bocca con la mano e facendosi sentire, agitando le gambe avanti e indietro forsennatamente, quasi fosse la bambina che sembra essere.
Ma è una iena. È volutamente maleducata. È lei stessa. Ammirabile.

-assolutamente. Io mi becco Dodò, e tu Gugù. Così facciamo pendant.

Ridacchio divertito, mentre lei fà definitivamente volare il pacco di latte nella spazzatura con un lancio preciso e una smorfia di disgusto.

Decido di rivolgere la mia attenzione al contenuto del frigo, che, come al solito, è desolante.

Il Ritter di Tom, la panna di Georg, i pasticcini di Bill...
E poi si chiedono come possiamo avere ancora tutti i brufoli, a ventidue anni suonati!

-ehi.- la voce di Dorcas mi sorprende. – ma quelle non sono fragole?

Osservo meglio il terzo cassetto. Eh, già. Il peccato di gola preferito della nostra piccola Dodette.
Mi siedo al suo fianco sul ripiano della cucina, dopo aver opportunamente sciacquato le suddette fragole.

Lei mi sorride allegra, prima di mordere un piccolo pezzo di frutto rosso.
Mentre io posso solo mordere le mie, di labbra.

{ Perchè, quali labbra vorresti provare adesso? }

.-.-.-.


Fragole. Adoro le fragole. Quelle senza niente, una botta d’acqua e via, solo lavate e senza foglie. Le prendo delicatamente con due dita, le osservo attenta e le mangio a piccoli morsi, socchiudendo gli occhi e gustandomi fino in fondo quel sapore di selvatico, di vagamente asprigno.
Quel sapore che l’eccesso di zucchero elimina.
Forse è per questo che odio il prototipo della fragola dolce: è il più banale degli steriotipi, e in più fa pure venire la carie.

Esattamente come me, se non mi prendessi a piccoli e misurati morsi. Se non decidessi le mie prioritá e i miei problemi con tatto e delicatezza.
Se non mi criticassi con un poco di limone e non mi adorassi con un pizzo di zucchero, certo, ma a velo, quel tipo di zucchero, insomma, che non impiccia e solo allevia.

Se mi avessero shakerato con panna e zurro di canna, come si aveva intenzione di fare, come hanno fatto, imbottendomi di schifezze e tirandomi su a forza d’illusioni, probabilmente avrei fatto indigestione di me stessa fino al rifiuto piú totale.
Se mi fossi abituata a digerire tutto senza masticare, probabilmente sarei già precipitata oltre il sottile confine della droga, lo so.

E invece sono qua, a metaforizzare fragole e vite passate di una persona che, stento a crederlo, fossi io.

Un deglutire rumoroso e forzato mi distrae. Apro gli occhi di scatto, lasciando perdere filosofeggiamenti vari per lui, girandomi verso un Gus quanto mai rosso.

Osservo critica come, anche oggi, il ragazzo sembra gridare ai quattro venti un concetto tutto personale di “stuprabile”.
Perchè, perchè sembra avere un’allergia alle magliette?
Grido che il mio cuore raccoglierebbe con immensa gioia, se non fosse che quel monaco del mio cervello mi ripete come un mantra l’odiosa parola “amicizia”.
Insomma, siamo prosaiche. Non è affatto possibile. Tre anni passati dietro a lui e alla sua batteria, tre anni passati a girare l’Europa, tre anni in cui ho salutato un fidanzato, mollato amici vari e costretto una famiglia a vedermi solo per le vacanze obbligate.

Anni in cui, da brava beota, ho fatto esattamente quello che mi ero vietata: prendermi la sbandata per lui. Quante, quante volte ti ripeti che cose del genere nella tua vita non accadranno mai, per il semplice fatto che tu sei troppo forte per lasciarle accadere?

Tante volte quanto è grande l’errore.
E così, abbiamo potuto dare un tacito inizio al mio incubo personale: una brutta dipendenza da quel dopobarba dal nome impronunciabile, oltre che del proprietario del suddetto.

E tanti saluti all’equilibrio interiore. Il mio. Perchè il suo lo ha tranquillamente conservato.

Perchè tutto in lui è tranquillità, come se ogni movimento che facesse, lo facesse in piena stasi temporale. Puoi definirlo placido, tranquillone o distratto: di lui mi attira quella sensazione di pacificità che non ho mai provato prima in me stessa.
É calma pura, e io adoro la calma. Forse perchè, prima di lui e di questo incarico, i miei pochi punti fissi sono andati a farsi fottere con una velocità vertiginosa.

-no, non ti preoccupare.

Altro piccolo attacco di tosse. L’osservo dubbiosa.
E se non fosse per il fatto che lo conosco, potrei quasi chiedermi perché sia così imbarazzato per un semplice boccone di traverso.
Sbuffo dandomi mentalmente ella paranoica, l’osservo con la coda dell’occhio, intoppandomi con il suo sguardo.

Merda.

Abbasso gli occhi, li dirigo in fretta la parete di fronte a me e con molta noncuranza inizio a leccarmi il resto del succo di fragola dalle dita.

“Tanto” mi ritrovo a pensare incazzata “questo qua mi vede come la sorellina innocente. Solo perchè ho l’aspetto di una diciottenne non significa che non abbia ventitre anni, e che diamine!”

Altro colpo di tosse rumoroso. Mi giro indispettita verso Gustav.

-ma ‘sto kaiser di tosse, Gugu, perchè non te la curi...?

L’osservo scettica, mentre lui, mano educatamente sulla bocca, è in preda ad un attacco di tosse che lo ha reso quantomai simile ad un gambero.
Sospiro, occhi al cielo. Oddio. Non è che mi ritrovo il batterista dei Tokio Hotel fulminato a ventitre anni scarsi?
Rabbrividisco al solo pensiero i cosa potrebbero farmi le fans, se sapessero che è morto sotto gli occhi stupidi della sottoscritta.

Poi, con un tatto che stupisce anche me, poggio delicatamente una mano sulle sue spalle.

{ Ignoro deliberatamente la scossa che mi stà dando, forte abbastanza da farmi venire in mente improbabili piani per narcotizzarlo e farne quello che voglio.
Ma… Ignorare, Dorcas, ignorare è la parola d’ordine. }

La sua pelle liscia è rovente, e la schiena abbronzata è scossa da quella strana tosse.
Vedendo che la tosse non accenna a diminuire passo a metodi più energici, battendo sulle sue spalle per cercare di tranquillizzarlo.
Mi sporgo verso di lui, che sembra annegare nel suo stesso attacco,

-Oh Cristo, ma non avrai la febbre...?

Il dubbio mi assale. Mordendomi il labbro per la preoccupazione, poggio l’altra mano sulla sua fronte.

Oh, Dio.

È accaldatissimo, e lo sguardo vacuo che mi rivolge non fa che confermare i miei sospetti.

Decido d’agire d’urgenza, se non altro per farlo smettere di tossire: una mano sul petto, a sostenerlo perchè non cada in avanti, mentre l’altra a sollevare il meno per guardare in alto.

-guarda su, Gustav.

Ordine superfluo, visto che sembra aver capito al volo le mie intenzioni e cerca di assecondarmi, nonostante la mancanza di ossigeno gli stia sconquassando il petto.

-ma tu stai male.

Dinieghi e ancora più coff-coff a parte sua, povero.
Smettila, smettila di costringermi a sostenerti…

Sto qui a pensare al fatto che la sua pelle è bollente, quando l’unica cosa di cui dovrei preoccuparmi è che non mi vomiti sul pavimento!

Sono una fottuta egoista, ecco.
Non ci bastava essere frustrata, no.

Con un sospiro di sollievo da parte mia, sento la tosse diminuire. Si passa la mano sulla bocca, implorando con una voce d’oltretomba un bicchiere d’acqua.
Salto giù dal ripiano, per poi rifilare a Gustav una tazza colma fino all’orlo.
L’osservo bere imbambolata, dandomi mentalmente della cretina.
Eppure no, non ci riesco a staccare gli occhi da quelle labbra sottili.
Giusto in tempo per fare la figuraccia del giorno, dato che rialzando lo guardo dalla tazza s’intoppa con la mia espressione ebete, del tutto concentrata sulle sue labbra.

Arrossisco, mi do mentalmente dell’arrapata e decido darmi cinque minuti di tempo, prima di uscire da questa stanza in piena crisi di dipendenza.
Se non fosse che la sua voce, al momento pericolosamente roca, m’incatena al mio posto.

-Dorcas, perchè hai le mani fredde...?

Me le osservo stupidamente, arrossendo come un peperone e pregando un qualsiasi santo in paradiso che non si sia accorto di nulla. Lo sento ridacchiare, lui, il colpevole di tutto il mio imbarazzo, l’abominevole essere che mi fa pendere dalla sue labbra.

-io... scusa.

Guardo il pavimento per non scavarmi una fossa.
Perché, perché mi sono inutilmente scusata?

Dorcas, hai appena perso la tua dignitá.

(oddio, non dovrebbe essere plausibile essere cosí felici di perderla, no?)

No. Significherebbe l’inizio della fine.

-oh, no. Mi piace che siano fredde. Io ho così tanto caldo...

L’osservo con la coda dell’occhio. Mi sorride, pacifico, con l’espressione ancora affaticata per aver tossito troppo. Mi mordicchio il labbro, nervosa.

Ha le labbra gonfie e le guance arrosate. Gli occhi sono socchiusi, mentre il capelli sono più lunghi del solito e arricciati per il sudore.
La pelle el petto è lucida, e posso distinguere ancora la sagome della mia mano sulla pelle della sua gola.

Sembra...

Ah, Dodò, stoppa qua. Non puoi. Non puoi immaginartelo in quella situazione. Non di fronte a lui.
Distolgo gli occhi imbarazzata.

{ Cretina, come se lui potesse vedere il trip mentale vietato ai ventiquatrenni che ti stai facendo. }

Con un gesto quasi timido, poggio delicatamente la mia mano sulla sua fronte, provocando un sospiro di sollievo da parte sua. Socchiude gli occhi con un appagato in faccia.

( ma quello, non é un sorriso malizioso? )

 

 

 

.-.-.-.-.-

 

Oh, scusatemi veramente tanto per gli orrori gramaticali e/o incomprenibili accenti, ma qui la tastiera sembra aver deciso di fare di testa sua con i segni ortografici, accenti inclusi.

Inoltre, il capitolo non mi convince niente.

 

É piatto, e le descrizioni si raggrumano in nodi di difficile lettura.

Oh, sono affranta. É la terza volta che lo riscrivo, e se son spine, pungeranno.

 

Intanto, sarei entusiasta per il semplice ricevere critiche severe.

A proposito di commenti...

 

_Princess_, simmyListing, EtErNaL DrEaMeR, Lady Vibeke.

 

G r a z i e.

Danke.

Gracias.

Merci.

 

Per parole che non mi ero aspettata di ricevere, per complimenti che non credo di meritare e per farmi notare errori a cui ho cercato, inutilmente credo, di porvi rimedio.

Per avermi incoraggiato, criticato e per quella deliziosa battutina su Georg e sulla CO2, sui cui mi ritrovo perfettamente d’accordo.

Decisamente sono le piú belle recensioni che un writer potesse mai ricevere.

 

Spero di leggervi ancora, e scusate questa penositá. XD

 

   
 
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