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Autore: sxsmth    25/11/2013    1 recensioni
George muore tra l'indifferenza di più persone, che si accorgono solo dopo diversi giorni di aver perso un grande amico e un valido aiuto. Callie comincia una relazione con Arizona. Izzie supera la mattia ed abbandona Alex. Richard inizia ad avere problemi di alcolismo, motivo per cui viene sostituito da Derek. Inoltre, dopo la fusione tra Mercy West e Seattle Grace, gli staff dei due ospedali si sono uniti, dando vita a un buon team di chirurghi eccezionali, nonostante all'inizio ci sia stato parecchio scompiglio a proposito.
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Sheperd, Meredith Grey
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
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DEREK

 
Ero in galleria, il luogo dove ogni intervento poteva essere oggetto di studio per tutti coloro desiderosi di apprendere, di migliorare, di incuriosirsi. Il luogo dove una sorta di magia colpiva l'animo di ogni specializzando, facendo nascere in lui anche l'invidia di non potersi trovare in sala operatoria partecipando ad un grande intervento. Ero nel luogo in cui le varie emozioni delle persone che si trovavano al suo interno si mescolavano fra loro, dando vita ad un incantesismo unico, basato sull'egoismo e, paradossalmente, anche sull'altruismo. 
Mi trovavo in piedi, praticamente attaccato al vetro, guardando scrupolosamente ogni singolo gesto che Richard compiva durante l'intervento. Non volevo fargli pressione o renderlo nervoso, ma non potevo smettere di pensare che era proprio a causa di un suo errore che non entravo in sala operatoria da giorni, dal momento che avevo preso il suo posto, diventando primario. 
La verità era che non riuscivo a gestire pienamente la situazione. Lui continuava a comportarsi come un amico, dicendo e facendo qualcosa come se niente fosse accaduto, come se nulla fosse cambiato, quando invece sapevamo benissimo che la situazione aveva cominciato a prendere una piega diversa e molto difficile d gestire. Il fatto era che io non mi sentivo affatto in colpa. Non avevo chiesto quel ruolo, nè tantomeno insistito per ottenerlo. Spesso ero egoista, d'accordo, ed erano anni che ambivo a quel ruolo. Tuttavia, Richard sapeva che per nulla al mondo gli avrei messo i piedi in testa, e posso assicurare che se avessi saputo di non essere in grado di gestire un ruolo così grande, ci avrei rinunciato senza pensarci due volte. Proprio come quando mi chiese di prendere il suo posto, con l'intento di andare in pensione. Avevo rifiutato. E ora, invece, lui credeva che lo avessi rimpiazzato soltanto per farmi beffe della sua carriera, per dimostrare quanto fossi arrogante e quanto in basso andassi a colpire per raggiungere i miei obiettivi. A parte che non era vero, ma anche se così fosse stato? Ero davvero da biasimare? Oppure avrei dovuto rifiutare un'offerta eccezionale solo per non apparire come approfittatore? 
La verità è che non sapevo neanche perché mi stessi ponendo tutte quelle domande. Non riuscivo neanche ad immaginare se, in qualche modo, prima o poi avrei dovuto affrontarlo o se, invece, sarei riuscito a cavarmela perfettamente. 
Ero diventato primario da un giorno all'altro, ufficialmente, ma di strada ne avevo ancora molta da fare. Si trattava solo di organizzarmi. E ci sarei riuscito. Avevo abbastanza forza di volontà e determiazione per riuscirci. E, soprattutto, avevo una moglie su cui contare. Una moglie che però, specialmente dopo la morte di George, era diventata un'enigma per me. 
In quel momento volevo solo sapere come stesse andando la sua giornata, e anche informarla sulla conferenza a cui dovevo partecipare e alla quale anche mia moglie, diventata la signora Meredith Shepherd grazie ad un post-it che valeva più di ogni altra cosa, era stata invitata. E volevo che non si lasciasse prendere dal panico, una volta informata dell'evento ufficiale. C'era bisogno di equilibrio, e noi sembravamo averlo raggiunto, il più delle volte.
L'avevo chiamata sul cerca-persone, sperando che non lo afferrasse in mezzo secondo pensando immediatamente ad un'emergenza. La stanchezza aveva sempre fatto parte di lei, specialmente dopo la morte di George. Non riuscia a dormire. Mai. Nè in ospedale nè a casa. E potevo solo lontanamente immaginare tutto quello che aveva per la testa, tutto quello a cui stava pensando. La morte di George O'Malley aveva colpito tutti noi, ma lei era stata presa in pieno petto da un coltello scagliato all'ennesima potenza. Continuavo a vedere il suo sguardo anche in quel momento che non era vicino a me, osservando il bisturi, l'aspiratore, le pinze, il filo da suture. Quei classici strumenti utilizzati durante un intervento, e che a me mancavano tantissimo. Io ero fatto per la sala operatoria, non per il lavoro d'ufficio. D'accordo: sedevo al suo posto e lanciavo la pallina da basket nel canestro quando volevo svagarmi, ma nulla avrebbe mai riempito quel vuoto dovuto all'assenza di interventi. Invidiavo chiunque mettesse piede in sala operatoria, anche per una semplice appendicectomia. Ma non ero un assetato di bisturi, assolutamente. Non mi rivedevo in Cristina o in qualsiasi altro specializzando. Io ero un chirurgo già fatto ma, esattamente come tutti gli altri miei colleghi, avevo comunque bisogno dell'aria della sala operatoria per poter continuare a vivere, altrimenti andavo in escandescenza. Dovevo risolvere la situazione, in qualche modo, e probabilmente organizzare per il giorno dopo un intervento che mi tenesse occupato dalla mattina alla sera era l'unica soluzione per recuperare il tempo perduto. Poi mi sarei buttato sulla burocrazia, avrei controllato un paio di licenziamenti, rispolverato vecchie domande, ed avrei girato per i corridoi per mettere ordine. No, essere primario non era assolutamente rilassante, ma ciò non significava, comunque, che fossi estremamente rigoroso come sembravo. Ad ogni modo, nulla di tutto ciò sarebbe successo quel giorno. Ero in galleria ed attendevo Meredith per comunicarle quello che avremmo fatto di lì a poche ore. Tutto qui. Volevo semplicemente vederla, parlarle e non farle pressioni, perché sapevo cosa stava passando. Ma, allo stesso tempo, sapevo di dover essere me stesso e di renderle note alcune notizie importanti, tipo quella della conferenza. Mi era stato chiesto esplicitamente di partecipare e di portare mia moglie. Era il primo evento al quale ci saremmo dovuti recare insieme, ma avevo già cominciato a prevedere un'espressione perplessa da parte di Meredith e anche qualche sintomo di tachitardia. Ma dovevamo mantenere il controllo, e ovviamente io non l'avrei costretta a fare qualcosa contro il suo volere. Ormai la conoscevo, e l'amavo e l'odiavo per le stesse caratteristiche. Non potevo farne a meno, e qualsiasi cosa fosse successa -quel giorno o l'indomani- di certo non avrebbe cambiato le cose.
«Ciao». Mi girai verso di lei non appena sentii la sua voce, rimanendo comunque con il braccio appoggiato al vetro della galleria.
«Ciao» risposi di rimando, sorridendo con bocca e occhi, guardandola senza dire nulla, restando ad ascoltarla. Meredith era in grado di fare interi discorsi senza dire una parola. Era una sua caratteristica, e anche quando a parole mi negava che ci fosse qualcosa sotto di negativo, io in qualche modo riuscivo a capire quando mentiva e quando no. Come in quel momento. Sapevo perfettamente cosa le passava per la testa, ma non ne parlavamo. Non lo facevamo mai, e nessuno dei due voleva infrangere quella regola. «Come sta andando la tua giornata?» le chiesi allora, abbozzando un sorriso, quasi di incoraggiamento, mentre mi allontanavo dal veto dirigendomi verso l'ultima fila di sedie, raggiungendola ed affiancandola, pur essendo lei ancora in piedi sulla porta. 
Le sedie erano tutte libere, per questo mi ero permesso di chiamarla per fare conversazione. A nessuno interessava seguire un intervento così basilare come quello che stava eseguendo Richard. Così mi accomodai su una delle sedie, posando gli occhi su di lei e inclinando leggermente il capo. 
George mancava a tutti, e la capivo. Ma mi stupiva che non avesse ancora pianto. La guardavo come se fosse una bomba pronta ad esplodere, anche se non lo davo a vedere, e volevo che lei sapesse che io ero lì, per lei.
Era arrabbiata con il mondo, e conoscendola sapevo perfettamente che non faceva altro che pensarci. Tuttavia lei non si sfogava: restava impassibile, soffocando tutto il peso che provava e rigettandolo sottoforma di bisogni fisici basati sul sesso quotidiano. Era diventata una necessità di vitale importana, in ogni luogo e in ogni momenti. Basta pensare ai dieci minuti che avevano preceduto il funerale di George, durante in quale mi aveva ordinato di togliermi la camicia e di stendermi sul letto, perché avevamo quei dieci minuti che lei non intendeva sprecare. 
Non avevo idea di quanto ancora sarebbe riuscita ad andare avanti in quel modo, fingendo indifferenza mentre il suo animo era tormentato da milioni di pensieri. Volevo che reagisse. Volevo che lo facesse in fretta, perché avevo paura per lei. Ma il problema era che non aveva idea di come farlo, e io non sapevo come aiutarla senza essere respinto.
Così lei, restando appoggiata al muro, cominciò a scrutare con attenzione ogni singolo elemento che si trovava in quella galleria. Elementi che le richiamavano alla memoria tantissimi momenti, momenti passati con George. Dal suo sguardo non riuscivo a capire se la cosa la rendesse triste, a dire il vero. E una parte di me mi diceva che non lo sapeva neanche lei. 
Ci guardammo per un istante, dal momento che alla domanda che le avevo fatto, inizialmente, rimase in silenzio.
«Bene. E la tua?» Incurvò in un leggero sorriso gli angoli della bocca, per poi inclinare anche lei lievemente il capo, lasciando che i capelli le scivolassero sulle spalle.
Se avessimo dovuto affrontare la morte di George, e precedentemente il cancro di Izzie, agli inizi della nostra storia o poco dopo, non ero convinto del fatto che saremmo stati abbastanza forti da riuscire a superare tutto. Ricordao come mi sentissi poco partecipe della sua vita e come l'idea che qualcuno fosse più importante di me mi destabilizzasse. Ricordavo di come mi ero sentito quando l'avevo estratta dell'acqua, fredda e apparentemente priva di vita. Ricordavo ogni singola cosa che ci aveva uniti, e le sfruttavo per farmi forza. Ne avevamo superate tante, dalle mie mancate ammissioni sul mio matrimonio, all'arrivo di Addison, ai numerosi alti e bassi fra di noi, fino a Rose. E da lì sapevo che eravamo cambiati, che il nostro rapporto aveva avuto la svolta necessaria per poter proseguire. Il fatto che lei non fosse abituata ad avere un certo tipo di relazione era stata solo una motivazione in più per prendermi cura di lei. E volevo che Meredith sapesse che io non avrei mai potuto abbandonarla, mai ferirla, mai perderla.
Ma le cose erano cambiate. È vero, il cancro di Izzie era sparito, ed era stata proprio Meredith a dirmi di operare nel momento di crisi più totale che avessi mai vissuto. Ma O'Malley era morto. Era morto e non sarebbe tornato. Non lo avremmo più rivisto tra i corridoi dell'ospedale, nel bagno di casa nostra o da Joe a bere una birra con i colleghi. E nessuno dei suoi amici faceva niente. Non facevano proprio nulla per mostrare il proprio dolore. Avrei scommesso tutto ciò che avevo che nessuno di loro aveva pianto. Cristina non lo aveva fatto, Meredith men che meno. Ma io non volevo che fosse depressa, che si chiudesse a riccio. Però lei era così, e i suoi muri erano davvero difficili da buttare giù. Tuttavia eravamo sposati, e quella situazione rientrava proprio "nella buona e nella cattiva sorte". Eravamo oltre ogni cosa, ed ero certo che questa situazione in cui ci trovavamo non avrebbe annullato tutte quelle precedenti, le promesse fatte e i sentimenti confessati. Lo credevo davvero, perché il mio animo romantico -talvolta infallibile e talvolta snervante- mi suggeriva che saremmo riusciti ad uscire da tutto questo.
«Bene». Non la stavo imitando, dicevo solo la verità. A parte la mancanza che provavo nei confronti della sala operatoria, dopotutto, potevo ritenermi soddisfatto. Avevo ottenuto ciò che volevo, e ora mi godevo i privilegi che meritavo. Al resto avrei pensato in seguito. «Ma ora va un po' più che bene, e potrebbe anche andare meglio...» mormorai allora con un sorrissetto, chiudendo la sua mano nella mia. Dovevo addolcire la pillola per quello che avrei detto dopo, e questo era l'unico modo per farlo. Meredith ricambiò il sorriso, probabilmente già immersa nei pensieri basati su una serata di fresso sfrenato, distrutti però -sicuramente- dall'espressione che ormai conosceva come le sue tasche. Sapeva benissimo che non avevo ancora finito di dirle tutto ciò che dovevo, così decisi di fare più in fretta che potevo.
«Mi hanno invitato ad una conferenza stasera. Sarò una specie di ospite d'onore, il VIP della serata». Mormorai allora, corrugando leggermente la fronte e sorridendo lievemente a fior di labbra. «Mi hanno chiesto se mia moglie mi accompagnerà». Continuai a guardarla dal basso della mia seduta, aspettando una sua risposta. O meglio, era più la mia nuova specializzanda in crisi di identità, la mia "assistente", a volerlo sapere per confermare o meno la mia presenza.
Meredith deglutì piano, quasi come se non volesse farsi sentire, continuandomi a guardare dall'alto verso il basso con la bocca serrata. E sapevo bene che in quel momento mi stava odiando per il mio nuovo ruolo. Da quando ero diventato primario, mi diceva, tutti sembravano cadere ai miei piedi. E per lei la conferenza era sinonimo di sedersi da qualche parte ed ascoltare parole su parole riguardanti il mio lavoro -il mio lavoro di capo- e guardarmi dare di matto a causa dell'astinenza da sala operatoria. 
«Mi devi un favore...» disse allora, con un tono e uno sguardo malizioso, facendomi intendere il tipo di favore che dovevo renderle e confermandomi, di conseguenza, che mi avrebbe accompagnato alla conferenza. 
E dovevo tutto al post-it: era una sorta di "dove vado io vai tu, altrimenti non se ne fa nulla". Inoltre quella serata poteva essere anche un mezzo per non pensare a George, un modo per riempirle da testa di altri pensieri, per quanto stupidi e banali potessero essere rispetto alla morte di un amico.
Allora mi strinse la mano, per poi chinarsi verso di me e posarmi un veloce bacio sulle labbra, che ricambiai prontamento.
Invitarla ad un evento ufficiale, inoltre, avrebbe anche significato che lei, con molta probabilità, sarebbe stata presetata come la signora Shepherd, ma questo evitai di dirglielo, altrimenti avrei perso anche la mia unica possibilità di riuscire ad averla con me. Però già il fatto che aveva preso in cosiderazione l'idea mio piaacque. Così continuai a fissarla con un piccolo sorrisetto sulle labbra e il solito sguardo adorante nei suoi confronti. A volte mi sentivo estremamente stupido, perché ero consapevole del fatto di essere completamente dipendete da lei.  E altre volte speravo di far sentire lei a disagio, cosa che spesso, e forse soprattutto all'inizio, era successa, con l'intensità e l'insistenza del mio sguardo. Un tempo non le avrei neanche concesso di riflettere e di dirmi di no. Ma le cose erano cambiate, e con lei ero cresciuto un po' anche io. Alla fine eravamo entrambi abituati ai pregi e ai difetti dell'altro. Ci amavamo, oltre ad odiarci. Perché si, non eravamo ipocritici, e alle volte capitava di non sopportarci minimamente. 
«Sarò lieto di rendertelo». Le dissi allora, sentendo già una vena di eccitazione pulsare dentro di me. Mi avvicinai al suo viso per baciarla nuoamente, ma in quel momento il silenzio fu interrotto dal mio cerca-persone. Lessi velocemente che era una chiamata d'ufficio, motivo per cui non mi mossi con alcuna fretta. Quello tra me e Meredith era un incontro veloce, certo. Ma, dal momento che non ero stato chiamato per un'emergenza, mi presi il lusso di approfittare un altro po' di quel tempo lì.
«Non c'è proprio niente che vuoi dirmi?» Le chiesi allora, indagando, ma senza essere troppo insistente. Capivo che probabilmente avrebbe preferito sfogarsi con Cristina, piuttosto che con me. Ma non mi arrendevo all'idea di capire qualcosa di più su tutta quella stpria e, soprattutto, di chiedermi quando avrebbe pianto per George, perché sentivo che nel giro di pochi giorni sarebbe successo. Aveva semplicemente bisogno di quella dannata piccolezza che le facesse ricordare la persona persa, per poi farla esplodere definitivamente. Lei, senza neanche saperlo, era alla ricerca di quel minuscolo dettaglio.
Abbassò lo sguardo, cominciando quindi a fissarsi la punta delle scarpe mentre le ciocche di capelli le finivano davanti al viso. Dopo qualche millesimo di secondo si morse leggermente il labbro, per poi fissarmi negli occhi con fare malizioso e leggermente distaccato, dicendomi: «Sì... voglio dirti che una volta tornati a casa ti togli i pantaloni. Ti togli i pantaloni, ti spogli, e facciamo sesso».
Rimase impassibile, sbattendo le ciglia solo per pura necessità. Sapeva che non era ciò che avrei voluto sentirmi sentire, esattamente come sapeva che me lo sarei aspettato. Non avrebbe parlato di George, non avrebbe pianto per lui e non avrebbe affrontato la situazione in modo diverso. Era abituata a mascherare ogni sua emozione o stato d'animo dietro quel comportamento da finta indistruttibile, ma io ci leggevo sempre dell'altro, e mi preoccupavo per lei.
Tuttavia, a quella sua risposta, mi fu istintivo sorridere e scuotere il capo con fare leggermente divertito. Se la cavava sempre, facendomi sentire piccolo piccolo, e incapace di aiutarla. Per questo lei aveva bisogno di Cristina, quella che lei definiva la sua persona. E er questo io avevo imparato ad accettare il loro rapporto. Ero grato alla Yang, in un certo senso. Ma a volte mi capitava di esserne geloso.
«Mmm.. sesso! Magari riusciamo a procurarci il tempo anche per una sveltina». Dissi allora, baciandola dolcemente. «Ora devo andare» Mormorai poi, alzandomi e sospirando. «Se hai bisogno di me, chiamami». Sapeva che in caso di bisogno non mi sarei fatto troppi problemi a lasciare un'emergenza per raggiungerla. Così le sfiorai la mano e , prima di uscire, dissi: «Manda la Kepner a casa per prendere il vestito». Era inutile dire per cosa, no? Aveva accettato, ora doveva adattarsi alla situazione. «Respira, andrà tutto bene!» aggiunsi con ironia, facendole l'occhiolino e andando via.



Salve a tutti! Questa è la prima fan fiction che scrivo, e a dire il vero lo faccio perché mi manca tanto scrivere e, non potendo più seguire il mio amatissimo gdr, ho deciso di cimentarmi in questa nuova esperienza! c: Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e, ovviamente, attendo le vostre critiche, positive e negative!
  
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