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Autore: Lechatvert    26/11/2013    3 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove cresce l'erba gatta

Primo – l'ospedale
(http://www.youtube.com/watch?v=KDWZswW5qD8)





Il primo ricordo che ebbi di lei fu un mantello sporco di sangue e un pungente odore di carne andata a male nell’affollata stanza d’ospedale in cui i curatori disinfettavano le ferite dei combattenti.
Non erano ancora passati due giorni dall’attacco di Roberto di Sable a Masyaf e io ero steso su un letto di fortuna, ricavato da una fredda lastra di marmo e un paio di lenzuola, con due miei confratelli impegnati a tenermi fermo sotto ai dolori laceranti del disinfettante.
Credo che attirò parecchio l’attenzione su di sé, un po’ per l’odore di morte che emanava, un po’ perché difficilmente si riesce a vedere tanto sangue addosso a una sola persona.
Quando le tolsero il mantello, impiegarono una manciata di secondi per capire se si trovassero di fronte a un uomo o a una donna.
Per quanto mi riguarda, l’unica cosa che vidi sulla lastra dove la posizionarono fu un cumulo di arti spezzati e carne lacerata.
Respirava appena, bagnata dalle lacrime silenziose che le rigavano il viso e coperta da una folta chioma di capelli scurissimi appiccicati alle guance.
Quando la alzarono per voltarla, la gola le si aprì letteralmente in una ferita che liberò sangue e marciume, contorcendola in uno spasmo di dolore che la fece vomitare sul pavimento ciò che le rimaneva nello stomaco.
D’istinto, mi appiattii sul marmo.
Avevo passato due giorni ad inveire contro il mio braccio, eppure a quella vista ogni dolore sembrava essere scomparso.
Sentii qualcuno avvicinarsi a passo spedito, mentre dal cumulo di carni che era l’ultima arrivata si levava un gemito soffuso.
« Dove l’avete trovata? », chiese, con tono composto, la voce del chirurgo.
Vi fu un attimo di esitazione, poi qualcuno si fece avanti, parlando con titubanza.
« Appena dentro le mura, tra la paglia accatastata alle stalle. Deve essere rimasta lì tutto questo tempo, nascosta. Allah sa per quale motivo non abbia chiesto aiuto, una volta finito l’attacco ».
« Sapete da dove viene? »
« Nella giacca aveva una missiva da Gerusalemme, ma è quanto sappiamo sul suo conto ».
« Ricucitela come si deve, sulla gola e sullo stomaco. Che Allah l'aiuti a rimettere a posto le ossa che si è spezzata ».
Mentre la ripulivano, non la sentii lamentarsi una sola volta.
La voltarono, le pulirono le ferite, le ricucirono le carni lacerate senza che ella emettesse un solo gemito. Per l’intera giornata che passò a farsi medicare da capo a piedi, non pronunciò parola.
La guardavo, di tanto in tanto, mentre il braccio mi faceva capire che se ne sarebbe andato
presto. Due giorni di agonia con un pezzo di carne marcia attaccata alla spalla erano più che sufficienti, tanto valeva che la facessero finita prima che l’infezione si propagasse in tutto il corpo.
Di colpo, nel bel mezzo della mia terza notte di convalescenza, decisi che ne avevo le tasche piene e che il braccio andava tagliato senza troppe cerimonie.
Chiesi l’aiuto dei miei compagni e mi feci bloccare sul pavimento, con la schiena premuta a forza sulle mattonelle gelide.
Quando si avvicinò la lama, volsi lo sguardo altrove, incrociando quello scuro e spento della ragazza che, ricucita com’era, più che a un cumulo di marciume ora appariva più simile a una vecchia tenda rattoppata.
Lei mi guardò dritto in faccia, silenziosa, senza muoversi dalla sua posizione.
Aveva gli occhi di un verde acceso, intenso, che metteva quasi soggezione. Occhi che parevano parlare, che parevano voler angosciosamente lanciare un messaggio.
All’improvviso, mi sentii prigioniero, racchiuso tra delle mura che non mi appartenevano, che non conoscevo.
Fu una sensazione effimera, vaga, che sparì in un istante.
Poi la spada calò rapida sulla mia spalla, facendo saltare, con un grido, il nervo del braccio.
Quando i miei occhi tornarono a cercare quelli della ragazza in una disperata ricerca di conforto, il verde delle sue iridi si era già spento, e lei era già caduta nel sonno che pareva portarsi appresso da quando era arrivata lì.




__________________________

Note d'autore
Sto perdendo sempre di più il senso della realtà e sappiate che la colpa è unicamente del libro su cui mi hanno obbligata a studiare. Ma è bbbbello e quindi amen.
E niente, volevo ringraziare le anime pie che si sono fermate a leggere e quelle che hanno recensito. Vi voglio bene 

E comunque le note d'autore io non sono in grado di farle. Sono note-fobica. Per favore, non bastonatemi per questo. Bastonatemi sulla fanfiction, che mi farebbe giusto bene.


Un abbraccio,

Lechatvert


   
 
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