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Autore: Val_Ser    26/11/2013    6 recensioni
«Devo coprirmi tutta?»
Sal esitò. Vienna lo osservava senza pietà, con gli occhi di una bambina troppo cresciuta. La mano dell’altro era ferma dietro il suo orecchio, le dita ancora immerse nei lunghi capelli. Ma che aspettava? Stava gelando, buon dio.
«Sal?»
~
Era la prima volta che la toccava. Era solo il suo orecchio, solo i suoi capelli. Non era marmo, non era una pietra. Era carne viva e tremante per il freddo, sotto il suo tocco. Era pelle. Era Vienna.
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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A Elle, che mi ha dato l'ispirazione.
A chiunque abbia l'orgoglio di Sal,
e il cuore di Vienna.

 
Fibra di vetro 

            Vienna.
 
            I suoi genitori dovevano essere stati pazzi a chiamarla in quella maniera. Era ridicolo, un po’ come quelli che appioppavano alle figlie nomi come Paris o London. O almeno, lo aveva pensato all’inizio.
            Poi aveva scoperto che Vienna non era una capitale come le altre, sicuramente meno conosciuta e anche meno apprezzata. Era la tomba di Mozart, la cucina della Sachertorte e l’istruzione di Gustav Klimt. Oltre una serie di coordinate geografiche, luoghi d’interesse e bellezze turistiche, Vienna era il suo nome e non poteva esistere altro modo per indicare lei.
            Vienna aveva lo sguardo di chi non conosceva altro che ogni cosa,  gli occhi di chi la mattina si svegliava prima ancora di bere un caffè. Aveva sciarpe colorate ma sentiva freddo lo stesso, si sporcava di gesso e non se ne curava, parlava con tutti e non sembrava dire mai niente di consistente.
 
            Sal non l’aveva neanche guardata, era solo un’altra matricola dell’Accademia, probabilmente una di quelle che aveva scelto quella strada per ripiego o senza un vero interesse.
Per lui, la scultura aveva la priorità su tutto. Riponeva tutta la bellezza nella steatite, nell’argilla, nell’alluminio, nel legno. Amava le statue più dei rilievi, odorava le resine fino a sentirne il profumo per tutta la giornata, il suono delle smerigliatrici copriva –fortunatamente– il chiacchiericcio dei compagni.
            Sal lavorava e studiava perché amava dare un senso al materiale grezzo con le proprie mani. Plasmava la bellezza attraverso la tecnica ed un occhio allenato. Talvolta, gli piaceva immaginare la gente come pezzi di marmo da incidere, scolpire, levigare e lucidare. Non aveva dubbi che, nella maggior parte delle persone, ci fosse un fondo, una verità, un qualcosa che attendeva soltanto una mano esperta che li portasse alla luce.
 
            Vienna, da subito, gli era apparsa tutta lì. Nulla di che e nulla di più rispetto a ciò che si vedeva ad un primo sguardo. Era carina, certo, aveva un viso un po’ aguzzo ma delicato. Però, pensava Sal, si riduceva ad una proporzione genetica di caratteri somatici. Un’azione del caso. E allora rideva tra sé e sé, mentre la ragazza perdeva tempo piuttosto che lavorare.
 
            L’avrebbe voluta ignorare ma aveva una voce troppo particolare per non farci caso: un po’ nasale, in un punto indefinito tra un timbro acuto e uno grave.
            Quel giorno, Sal stava scolpendo un mezzobusto. Faceva spesso esercizi autonomi dagli altri. Voleva saper creare qualsiasi cosa volesse, a proprio piacimento, senza usare modelli e immagini di riferimento. Quel viso di donna era sterile. Non mostrava nulla. Avrebbe potuto scolpire una potnia e avrebbe sicuramente avuto una resa migliore.
            E Vienna parlava. Parlava incessantemente.
            Forse doveva modificare il naso. Era troppo lungo. Forse allargare un po’ qui e dare una levigata qua.
            Vienna parlava ancora.
            La fronte. L’attaccatura dei capelli era storta, forse. Forse? Sapeva sempre cosa modificare e perché. Era storta, sì o no?
            Vienna. Vienna.
            Dio, perché non taceva una buona volta? Sal avrebbe voluto isolarsi da tutto e da tutti. O zittire quegli idioti che stavano ridendo ad una sua battuta. Non avevano toccato neanche uno scalpello, quella mattina. Indecente. Potevano fare i loro comodi fuori da quel posto, c’era gente che stava cercando di lavorare.  La fronte, era sicuramente quella. Anche il naso sarebbe parso diverso, con una fronte diversa. Era un lavoro da fare al millimetro.
           

            «Non ci credo!»
           

            Freddo. Un momento freddo. La mano di Sal, guidata da impulsi nervosi evidentemente collegati alle orecchie, fece un balzo a quel grido improvviso. Sal sbagliò. Non era la prima volta, certo, ma nessuno lo aveva mai indotto all’errore.
            Sal si era girato verso Vienna. Era seduta su un tavolo, tra i mezzibusti e i modelli di animali. Sembrava sbellicarsi dalle risate come mai prima d’ora. Noncurante delle occhiatacce che gli studenti di scultura le stavano mandando, continuava il suo cicaleccio con un’amica.
            Sal ricordava di aver fremuto come mai prima nella sua vita, di aver respirato a pieni polmoni, di aver posato la raspa. Aveva stretto i pugni. Si era diretto verso di lei. Vienna lo aveva visto arrivare e aveva chiuso la bocca –oh, Dio, grazie!–, causando anche il silenzio della sua amica –un miracolo, praticamente–.
            «Hai finito?» aveva chiesto Sal, il tono decisamente sprezzante.
            Vienna, per tutta risposta, aveva fatto un cenno col mento alla sua figura. «E tu, hai finito?»
            Si erano guardati. Una sfida tra un’espressione dura e una scanzonata. Oh, se l’aveva odiata. Era nel posto sbagliato, la ragazza. Sal avrebbe potuto prendere la prima punta diamantata e ficcargliela in mezzo agli occhi, to’, giustizia è fatta; invece le lanciò un ultimo sguardo prima di girarsi, sfilarsi il camice da lavoro, afferrare una sigaretta dal pacchetto gettato nella borsa e uscire.
 
            Uscì dal laboratorio di scultura per ritrovarsi sotto il pallido sole di settembre. Odiava le ragazze dei primi anni. Credevano di essere arrivate, senza avere idea di quello che le avrebbe attese negli anni successivi. Si ritrovavano a poche settimane dagli esami a scolpire come impazzite e a maneggiare strumenti che non avevano imparato a padroneggiare. Sal non pretendeva che avessero tutti la sua ispirazione, la sua vocazione. Il rispetto per chi intendeva fare di quello il proprio lavoro, però, gli spettava per diritto divino.
 
            Aveva fumato la sigaretta seduto per terra, sulle piastrelle di cotto, in mezzo alle sculture finite che attendevano una sistemazione in qualche expo o mostra di qualsiasi genere. L’aveva spenta nel posacenere lì vicino, con nessuna voglia di tornare dentro. O almeno, voleva tornare a scolpire, sì, ma senza quella rompicoglioni intorno.
 
            Aveva scolpito per tutto il pomeriggio. Non si era accorto che avevano acceso le luci e che era rimasto solo lui. Il custode stava per chiudere. Era passato il crepuscolo già da un po’.
            Fece un passo indietro e osservò la sua donna. Era bella, sembrava uscita da un quadro di qualche pittore italiano rinascimentale. La torsione del collo era gradevole, le superfici erano perfettamente levigate. Sorrise. Era bello avere soddisfazioni tali dopo tanti sacrifici. L’avrebbe incluso nel progetto finale per la laurea.
            Con il pensiero alla tesi, appallottolò il camice nella borsa, indossò la giacca pesante e si voltò.
            Boom.
Di nuovo. Era inquietante.
            Vienna era lì, davanti a lui, diversi centimetri più in basso. Non sembrava così piccolina, seduta sul tavolo. E dire che aveva un ottimo occhio per le proporzioni lui.
            «Che ci fai ancora qua?»
            Vienna allungò il collo per guardare dietro di lui. «È carina.»
            Sal sbuffò, roteando gli occhi.
            «Ohi, dico sul serio. Poi, se sei abituato a commenti su ‘quanto sia plastico quello’ e ‘la definizione di quel dettaglio’, bo’… no, non è cosa mia.»
            Considerando la gomma che stava masticando mentre diceva quelle parole, aveva appena battuto il record personale nel rendersi il più detestabile possibile. Sal coprì la scultura con un telo, lanciò un’occhiata a Vienna, la superò e uscì dal fabbricato.
 
            Pace, finalmente. Non solo aveva disturbato per tutto il giorno, facendo giusto degli schizzi preparatori per chissà quale scemenza che intendeva scolpire, ma era anche rimasta lì. Non l’aveva proprio sentita, tanto era stato concentrato.
            Sal si chinò sulla catena della bici, aprendo il lucchetto e montandovi su. Il rumore di passi affrettati gli fece chiudere gli occhi e sospirare pesantemente.
            «Ora che c’è?»
            Vienna stava davanti a lui. Lo fissava con gli occhi spalancati, continuava a masticare, le mani in tasca. «Non dimentichi niente?»
            «Cosa?»
            «Il bacio dell’addio.»
            Sal roteò gli occhi. «Vabbè.» Cominciò a pedalare. Qualcosa di leggero lo colpì sulla testa e fu costretto a frenare bruscamente. Guardò per terra. «Ma sei scema?» Il pacchetto di sigarette attendeva di essere raccolto dal suolo.
            Vienna lo raggiunse sorridente, il passo allegro. «Ti era caduto. Prego, eh.»
            Sal raccolse il pacchetto, infilandolo con forza nella borsa. «Non sperare in un ringraziamento. Oggi hai proprio rotto.»
            «Oggi ho fatto come tutti gli altri giorni, ti sei accorto di me solo adesso.»
            «Ne avrei fatto a meno» replicò Sal.
            Vienna alzò le sopracciglia, sorridendo un po’ di meno. «Accidenti, che paura. Devi essere pieno di amici, tu, eh?»
            Ma perché stava ancora perdendo tempo con quella? «Certo che fai delle osservazioni proprio stupide.»
            «E che ci posso fare, magari sono stupida.» Vienna sorrise ampiamente. Aveva una fessura tra gli incisivi davanti.
            Sal scosse la testa. «Ciao.»
            Ma non riuscì ad allontanarsi nemmeno allora.
            «Che fai, mi lasci qui?»
            «Dio mio, sei esasperante!» sbottò Sal. «Sei tu che hai deciso di rimanere fino a quest’ora. Le lezioni sono finite da un bel po’.»
            «E quindi?» chiese Vienna, stringendosi nelle spalle. «Lavori bene, ti stavo guardando. Il minimo che tu possa fare, ora, è accompagnarmi alla metro. La prendi anche tu?»
            Sal la guardò ad occhi spalancati. «Dici sul serio?»
            Vienna annuì. «Sai, la metro, ventunesimo secolo… non ti ho mica detto di prendere un elicottero.»
            «Dici sul serio di riaccompagnarti?»
            «Certo. Se poi incontrassi uno stupratore assassino mi avresti sulla coscienza per il resto della tua vita. Forza, muoviti, che devo essere a casa per cena.»
            Sal smontò dalla bici. Non era tipo da certe galanterie ma decise, per qualche motivo, di accontentarla. Altro che grezza, quella lì era a tanto dall’essere semplicemente rozza e maleducata. «Se ti accompagno, da domani puoi evitare di berciare tutto il tempo durante le ore di laboratorio?»
            Vienna, qualche passo avanti a lui, si girò ridendo. «Ah-ah! Muoviti!»
            Sal sospirò. “E sia, allora.”
 
 ~
 
            Non avevano parlato mentre andavano a prendere il mezzo, e Vienna aveva continuato a berciare, ma un po’ di meno e a voce un po’ più bassa. A Sal bastava quello. Non poteva permettersi uno studio privato e quel tiepido mormorio continuo, in fondo, gli faceva piacere.
           

            Vienna aveva cominciato a studiare sul serio, e lui andava avanti per la propria strada. Poteva tollerare benissimo le sue occhiate fugaci e i suoi lunghi sguardi davanti alle sculture che produceva. Era bravo, aveva talento, e ancora abbastanza giovane da non essere pretenzioso sul genere di pubblico che attirava.
           

            «Mi serve una modella» le disse un giorno, sovrappensiero. Era febbraio. Non si erano davvero parlati da quel giorno in cui avevano camminato insieme. Non sapeva neanche perché glielo stesse dicendo. Si trovavano fuori dal laboratorio, Sal in pausa sigaretta e Vienna intenta a messaggiare sul suo telefono.
            «Ah.» Era stato l’unico commento della ragazza.
            Sal forse si aspettava qualcosa di più. «Ma non ho i soldi.»
            «E quindi?» rispose Vienna, nel suo solito modo. «Lo faccio io.»
            Sal la guardò. Vienna guardò Sal. Scoppiarono a ridere, senza un motivo preciso. Erano belle le loro risate insieme, avevano un’armonia che Sal non avrebbe mai immaginato prima di quel momento.
            «Davvero» continuò Vienna. «Non ho problemi a posare nuda, vestita, o come ti pare.»
            «Vestita» precisò Sal, guardandosi le scarpe. «È il massimo, visto che non ho un centesimo.»
            Vienna aveva riposto il cellulare nella tasca dei jeans, stringendosi una sciarpa color corallo intorno al collo. «Non fare il ragazzino. Se ti servo nuda, poserò nuda.»
            Sal aveva sorriso. Gratis, nuda e vagamente interessante dal punto di vista estetico. Si chiese come dovesse essere senza tutti quegli strati di lana, se avesse qualche curva in più o fosse magra come appariva. Forse l’avrebbe scoperto presto, perché no.
            Si sedette per terra, accanto a lei, ma non troppo vicino. Le parlò del progetto. Vienna, per la prima volta da quando la conosceva, parve illuminarsi. Era una bella idea, certo che lo era, è mia. I dettagli, le pose, le angolazioni. Parlarono senza sosta per un’ora. Sal, finalmente, scese a compromessi con quella voce unica al mondo.
            «Allora è deciso. Appena fa più caldo, fuori città. Basteranno una decina di foto, casomai dovessi avere bisogno di riferimenti.»
 
~
 
            Erano solo loro due, in un prato sconfinato. Il cielo era totalmente sprovvisto di nuvole ma il vento freddo, invisibile, soffiava tra loro due, annunciando una resa futura del bel tempo.
           

            Era perfetto. Sal non smetteva di sorridere. Vienna lo guardava e sorrideva a sua volta. Era strano, Sal, alle volte. Troppo serio, troppo concentrato. Ma aveva pur sempre ventidue anni. A quell’età, a meno che non fossero psicopatici, tutti i ragazzi amavano divertirsi, in qualche maniera, e quella era la sua.
            «Sei sicuro che non ci vede nessuno?» chiese, sfilandosi il giubbotto.
            Sal non la sentì, armeggiando con la macchina fotografica.
            «Sal!»
            «Eh?» Sal alzò gli occhi scuri verso di lei. Aveva la barba di due giorni. Doveva essere stato sveglio a fare schizzi e progettare, prevedibile.
            «Dico, non è che passa qualcuno e mi trova così?»
            Sal rise. Aveva una bella risata. Aveva abbandonato il tono acido con cui le parlava all’inizio. Era ancora distaccato, ma era il suo carattere. Vienna era contenta anche solo della risata che riusciva a strappargli, di tanto in tanto, volontariamente o no.
            «Ci stai ripensando?»
            Vienna sbuffò. «Col cavolo. E poi voglio vedere che faccia farà il professore quando vedrà che quel bel pezzo di marmo sono io.»
            «Non lo farò in marmo» borbottò Sal, aggiungendo un obiettivo alla macchina. «Troppo tempo. Un mese.» Si esprimeva sempre a monosillabi quando stava facendo qualcosa. Era proprio un uomo, capacità di fare più cose contemporaneamente pari a zero.
            «Sbrigati, che sto gelando.»
            «Spogliati.»
            Vienna dovette trattenere una risata. Nei suoi tre anni di attività sessuale, fino ad allora, nessuno le aveva impartito quell’ordine in maniera così netta. Imploravano tutti un po’, mugugnavano, imprecavano. Sal riusciva a desessualizzare qualsiasi cosa. C’era da chiedersi se un così bel ragazzo non fosse…
            «Sei ancora vestita?»
            Vienna alzò gli occhi al cielo, non per l’esasperazione ma con la ferma intenzione di maledire quel luogo troppo a nord per spogliarsi in mezzo al nulla in un periodo ancora così lontano dall’estate. Lanciò la sciarpa dentro lo zaino, scalciò via le scarpe –speriamo di ritrovarle in quest’erba maledetta!– e sfilò i pantaloni. Via anche il maglione. Guardò Sal, aspettandosi di trovarlo a fissarla, invece continuava a smanettare con quel dannato affare.
            Vienna non sapeva cosa desiderava ottenere. Ma sì, forse un’occhiata le sarebbe bastata. Un lieve apprezzamento, un cenno di lusinga. Non che ne avesse bisogno, ma lei era fatta così, punto.
            Mentre pensava quelle cose, Sal la guardò. Distante, come sempre.
            «Non vorrei metterti in imbarazzo, ma avevamo detto nudo totale.»
            «Prima passami il coso.»
            Sal sorrise, un sorrisetto a metà. Di tenerezza o di sfida, Vienna non avrebbe saputo dirlo. «Ti vergogni.»
            Vienna gli fece il verso. «Ti vergogni! Sì, certo. Fa freddo, andiamo.»
            «È così, ti vergogni» ripeté Sal.
            Stava tentando di provocarla? Era un blando approccio, quello? Come no. Sal che faceva approcci. Forse solo alla Nike di Samotracia, ma probabilmente avrebbe fatto qualche commento sulla testa mancante (cosa che, molti uomini, avrebbero metaforicamente apprezzato).
            Vienna non si lasciò intimorire. Tolse le mutande e il reggiseno, rimanendo nuda davanti a lui. Era così che la voleva, no? «Potrei avere il mio telo, signor maniaco? Fa freddo per chi non ha addosso il cappotto.»
            Sal scosse la testa, uscendo fuori dalla borsa un lenzuolo bianco. Era leggerissimo e trasparente, ma quando Vienna se lo pose intorno alle spalle, stringendone i bordi per coprirsi meglio, sembrò caldo come una coperta invernale.
            «Manca molto?» chiese, avvicinandosi a lui.
            Sal si scostò, indicando con la testa un punto davanti a sé. «Controvento, mi raccomando.»
           

            Vienna obbedì. Le aveva ripetuto più o meno un milione di volte in che posizione mettersi. Il vento era abbastanza forte da rendere possibile la posa ideata. Afferrò i bordi del lenzuolo, lo tese davanti a sé. I lembi inferiori le sfioravano le gambe. Lo alzò fino all’altezza del proprio viso, poi un po’ più in su. Con un movimento rapido, saltò al suo centro, coprendosi interamente con il cotone leggero.
            Sal le diceva come muoversi. Lei eseguiva.  C’era un che di poetico in tutto quel contrarre i muscoli e distenderli per formare un’altra figura. Si chiese come dovesse apparire, come dovesse apparirgli. Una ragazza dalle nudità semi coperte, i capelli al vento, quasi grottesca con quel telo addosso. Andarono avanti per mezz’ora, ma a Vienna parvero solo cinque minuti. Stava per togliersi il lenzuolo di dosso quando sentì Sal venire verso di lei. Scoprì il viso.
            «Aspetta, vorrei un’ultima foto.» Reggeva la macchina fotografica in una mano, mentre con l’altra le sistemava i capelli. Vienna lo guardava immobile, lasciando che lui facesse ciò che meglio credeva.
            «Devo coprirmi tutta?»
            Sal esitò. Vienna lo osservava senza pietà, con gli occhi di una bambina troppo cresciuta. La mano dell’altro era ferma dietro il suo orecchio, le dita ancora immerse nei lunghi capelli. Ma che aspettava? Stava gelando, buon dio.
            «Sal?»
 
~
 
            Era la prima volta che la toccava. Era solo il suo orecchio, solo i suoi capelli. Non era marmo, non era una pietra. Era carne viva e tremante per il freddo, sotto il suo tocco. Era pelle. Era Vienna.
           

            Vienna. Che nome assurdo, Vienna. Che persona assurda. Aveva un’incredibile carica, forse erotica, nuda di fronte a lui. Ancora più erotico era lo strato sottile di tessuto che li separava. Poteva intravedere le sue forme, sotto quel velo di Maya. Cosa sarebbe successo se l’avesse spostato, tirato via bruscamente?
            Sarebbe stata Vienna, Vienna e basta.
           

            «Un’ultima foto» ripeté Sal. Temeva che la voce lo traesse in fallo. Non esitava davanti alla materia inerme, impossibile da decifrare se non attraverso la bravura e lo studio: doveva vacillare adesso?
            “Materia inerme” pensò, mentre le copriva il volto col lenzuolo. Vienna allargò appena le braccia, affinché non scivolasse via. “Non materia viva.”
            Attesero entrambi.
            Sal attese più a lungo. Sal attese se stesso. Un po’ di coraggio, forse, o un attimo di sfrontatezza.
           

            Cercò le labbra di Vienna con le proprie, attraverso il cotone. Cercò i suoi fianchi con le mani. Non la strinse troppo forte. Forse le persone non erano dure come la pietra, forse potevano collassare per un atto di forza impetuosa. Sentì Vienna irrigidirsi, poi farsi calda, poi farsi ancora più viva, poi ricambiare.
            Non scoprì il volto. Erano surrealtà pura. Non si fondevano tra di loro, rimanevano anime separate in un punto unico di contatto.
            Sal si chiese perché. Non c’entrava niente con lui, con la scultura, con l’amore puro che provava per la polvere di gesso che cadeva sul pavimento dopo un lieve sfregamento.
            Mentre rotolavano entrambi sul prato, peso contro peso, si rese conto che il marmo era una pietra fredda, non dava alcun calore. Vienna, di qualsiasi materia fosse composto il suo corpo, bruciava come l’inferno.
 
~
 
            Vienna chiuse gli occhi, avvolta nel lenzuolo come un baco da seta nel bozzolo. Era tutto un po’ meno freddo. Sal si stava coprendo col cappotto nero, lasciando le gambe scoperte in balia del vento.
           

            «Ci credi nell’ispirazione?»
            Faceva sempre domande del genere, dopo il sesso, e gli altri la guadavano sbigottiti. Sal non fece nulla del genere. Si limitò ad osservare le nuvole che ormai erano giunte fino a loro, ombreggiando i loro corpi.
            «Non sempre. Devi saper produrre anche senza ispirazione.»
            Vienna annuì. Capiva bene quello che intendeva. Lei faceva l’esatto contrario, ma comprendeva il suo punto di vista. «Sei stato ispirato, oggi.»
            Sal rise. «Non ci credo.»
            «Nemmeno io.»
           

            Silenzio. Era bello parlare con Sal, ma era anche bello sentirlo solo respirare. Era strano, troppo strano per lei, che di stranezze ne aveva abbastanza da bastare per una decina di persone. «Ti ho ispirato io questo progetto?»
            «No.»
            «Però adesso è meglio, no?» lo stuzzicò Vienna.
            Sal si lasciò sfuggire un’espressione beata. «Be’, non metterò questo nel progetto.»
            «E perché no?»
            «Non saprei cosa rappresentare. Non c’è molto da rappresentare.»
            Vienna si mise a sedere. Lo guardò accigliata «Non ti è piaciuto?»
            Sal scosse la testa. «Sono cose diverse. Tu non separi la scultura dal resto?»
            «Non ho nulla da separare.» Vienna non capiva cosa intendesse. Perché doveva sempre parlare di scultura, quel benedetto ragazzo?
            Sal annuì. «Ecco, è più o meno la stessa cosa, ma inversa.»
            «Come noi.» Vienna si distese sul suo petto. Sal non la scostò, come temeva avrebbe fatto, ma posò una mano sui suoi capelli, accarezzandola lentamente. «Siamo un po’ simili, sai? Però radicalmente diversi.»
            «È la cosa più intelligente che ti abbia sentito dire in tanti mesi» scherzò Sal.
            Vienna sorrise, chiudendo gli occhi. «Ero seria quando ti dicevo che magari sono stupida. A volte mi ci sento. Stupida, intendo.»
            «Non sei stupida.» Sal fece una pausa. Vienna aprì gli occhi. In quel silenzio stavano cercando entrambi qualcosa da dire, una giustificazione, una spiegazione. «Sei semplice, a volte. Non prenderla sul personale. È solo che non fai tanti giri per arrivare ad un punto preciso.»
            «Per me va bene» disse Vienna. Era così, doveva andarle bene. Non era nulla di cui vergognarsi.
            «Anche per me va bene.»
 
            Vienna si alzò. Lo guardò negli occhi, sorrise. Sorrise con lo spazio tra i denti, i capelli scompigliati e lo sguardo luminoso. «Sai cosa? Farò finta che io sia stata la tua musa, per oggi.»
            Sal inclinò la testa. «Perché dovresti?»
            «Perché non dovrei?»
            Sal sorrise, attirandola verso di sé. «Ma sta’ zitta» le mormorò, a fil di labbra.
 
~
 
            Vienna era lì, tra i panneggi del velo e la pelle lucida. Fibra di vetro.
            Era lei. Lei era fibra di vetro.
 
            Aveva sanguinato e sudato per lavorarla. Era un materiale dannatamente costoso, soprattutto per le sue finanze, e aveva richiesto più tempo di quanto avesse pensato.  Resistente, tossica e dai risultati stupefacenti.
 
            La vera Vienna era stata sfuggente, nelle settimane successive a quel pomeriggio. Sal l’aveva cercata tra i volti degli altri studenti, per ricordarsi un’inclinazione del viso o qualcosa che migliorasse la sua opera. L’aveva incontrata per breve tempo, in intervalli ridotti. Non avevano parlato di quello che era successo. Sembrava che stessero volontariamente fuggendo dalla realtà dei fatti ma in quel momento si sarebbero rivisti esclusivamente alla pari, da scultore a scultrice, forse da amico ad amica.
 
            Non c’era un professore che non si fosse congratulato con lui. I suoi compagni di corso gli davano pacche sulle spalle, annuendo soddisfatti. Sal amava quel modo di rapportarsi, sincero e onesto. Apprezzava i loro lavori ma non riusciva a staccare gli occhi dal proprio.
 
            Vienna era diventata un soffio di vento e aria ferma, nel turbinio delle vesti bianche e nei lineamenti che si confondevano col tessuto. Era incredibile anche per i propri standard. Tre metri di lunghezza, due di altezza. Una diagonale di stupore.
 
            Ma Vienna, lei dov’era?
            Voleva che lo vedesse.
            Voleva dirle che lei aveva portato a quello. Voleva ringraziarla, renderle omaggio come avrebbe ritenuto più giusto. Si sarebbe spogliato lui, quella volta. Era stata la delicatezza dei suoi arti, la sinuosità delle forme ad infondere la vita nella materia.
            Vienna era lì, davanti a lui, ma non era accanto a lui.
            L’esame sarebbe cominciato a breve.
            Stava parlando con un suo amico quando lo vide guardare oltre le sue spalle. Sal seguì il suo sguardo. Con Vienna, entrò una morsa alla gola.
 
            Non credette ai suoi occhi.
 
            No.
  
~
 
            Cosa è.
 
            Mi stai guardando, adesso. Ora che non sono io quella nuda, l’unica nuda davanti a te. Guardami. Adesso.
 
            Perché. Vienna, perché?
 
            Non fare quella faccia. Non lo sapevi, ma perché avresti dovuto? Sii contento, per una volta. Io sono oltre quello che crei tu. Io esisto al di là del tuo talento.
 
            Sono io. Sono io. Mio dio, ma da quando scolpisce in questa maniera?
 
            Ti riconosceranno.
 
            Mi riconosceranno.
 
            E quella sono io. Non è possibile. Come hai fatto? Ho voglia di scolpire, adesso. Sal, scolpisci me, mentre io scolpisco te.
 
            Dovevi dirmelo. Non so… io non lo so. Perché hai usato me? Io ho chiesto il permesso. Io avevo delle fotografie. Io pensavo a te. Tu sei sparita mentre io lavoravo, e alla fine hai fatto qualcosa di stupefacente. Non… non è giusto.
 
            Sal, buon dio, guardami. Sal. Stacca gli occhi da questo te stesso. Guarda me. Guardami.
 
            Riesci a farmi arrabbiare come nessun altro. Potessi ucciderti ora, lo farei, stanne certa.
 
            Guarda ME, CAZZO, GUARDA ME.
 
            Ti odio, Vienna.
 
            Diceva di separare, come no. Quella sono io e quello è il mio seno. Chi pensa di prendere per il culo?
 
            Ti odio, ti odio, ti odio.
 
            Capirà che sono arrabbiata solo guardandomi in viso. Devo calmarmi. Sal, ti prego. Vieni, e dimmi qualcosa.
 
            Sono io che tengo in mano lo scalpello. Io che decido.
 
            Vieni qui. Fai un passo avanti.
           
            Tu sei esattamente fibra di vetro. Sei velenosa, Vienna. Sei infida.
 
            Capiscimi. Parlami, e capirai perché l’ho fatto. Non riesci a sopportare che ci sia qualcuno che ti sia così vicino e sia così diverso. Perché?
 
            Vienna, ora basta. 
 
            Basta, hai vinto. Va bene, genio, sto venendo io a parlarti. Non te lo aspettavi, vero?
 
            Bene, vedremo cosa hai da dire.
 
            Puoi anche smettere di fare quella faccia.
 
            Togliti quell’espressione o ti prendo a schiaffi.
 
~
 
            «Ciao.»
            Sal non rispose. Guardava oltre Vienna. Guardava se stesso. Sembrava un Apollo e un Dioniso, allo stesso tempo. C’era qualcosa di estremamente sbagliato in quella rappresentazione.
            «Ciao» ripetè Vienna.
            «Che cosa significa?» chiese Sal. Aveva la voce tagliente, quasi inorridita.
            «Sei tu.»
            «Lo vedo.»
            Vienna sospirò, guardando in basso, accigliata. Possibile che dovesse essere così testardo? «Non me ne frega niente» disse dopo un po’. «Posso essere stata solo una scopata dopo un po’ di lavoro, ma a me quel giorno sei piaciuto.»
            «Questo non c’entra niente.»
            «E quello allora?» sibilò Vienna, indicando la scultura di Sal. «Perché tu sì e io no? Io posso fare ciò che voglio.»
            «Sei una bambina, Vienna.»
            «E tu sei un cretino.»
            Gli occhi di Sal brillarono di ira. Vienna non l’aveva mai visto così. Era imprevedibile. Non sapeva mai con chi aveva realmente a che fare.
            «Mi sa che ora te ne penti, di avermi scopato oltre che scolpito.»
            «No. Mi pento di averti scolpito e basta.»
           

            Vienna sentì il vuoto nello stomaco. Quelle parole, dette da Sal, erano quanto di più grave potesse esserci. Ma era lei la più forte, in quel momento. Il suo ‘essere in torto’, secondo lui, la rendeva comunque in vantaggio. «È solo una scultura, Sal.»
            «Cosa pensavi che fossimo?» sbottò lui, cercando di mantenere il tono di voce basso. Una piccola folla si era radunata attorno alla scultura di Vienna. «Amanti? Amici? Cosa?»
            «Dimmelo tu. Stai reagendo così male per niente, in fondo.»
            Sal scosse la testa. Vienna non capiva. Era l’esclusività di quel momento. Era stato solo suo. Lei aveva partecipato, era stata essenziale, ma era solo e unicamente suo. Se ne era appropriato di giorno e di notte, aveva pensato a quella pelle senza riuscire a tirarla fuori dai propri pensieri, cosicché aveva dovuto incidere tutto, ogni minimo particolare.
           

            «Per me è diverso.»
            «Lo pensi tu.» Vienna gli si avvicinò. Sollevò il suo viso con un dito. Sorrise. Aveva fatto un buon lavoro, la scultura gli somigliava davvero tanto. «Sono semplice, no? Allora, semplicemente, ti chiedo: Sal, per favore, accetta che tu sei stato per me di ispirazione tanto quanto lo sono stata io con te.»
            Sal afferrò delicatamente la mano di Vienna. Era calda. Non era fibra di vetro. Era una persona. Perché la gente non poteva essere un materiale e basta? Perché la gente respirava, era viva? Era più facile credersi il dio di ciò che non poteva contestarti che essere uomo tra tanti uomini. «E questo cosa significherebbe?»
            Vienna sorrise. «Sono una persona quanto lo sei tu. In questo non siamo diversi. Traine le tue conclusioni.»
 
            Sal si voltò. Guardò la Vienna enorme e plastica che aveva creato. Aveva paura. Aveva paura che non potesse controllarla, che non potesse controllare se stesso. Lo capì in quel momento. Teneva ancora la sua mano nella propria.        
            Il tatto gli suggeriva un calore umano. La vista gli dava la sicurezza di quello che aveva tenuto su un piedistallo, nella maggior considerazione, per dare un senso alle sue paure.
 
            La gente lo spaventava.
 
            Vienna, nella sua imprevedibilità, lo spaventava.
 
            Poteva decidere di forgiare se stesso come in una fucina, ma il mondo intorno a lui avrebbe continuato ad essere diverso. Non marmo, non argilla o fibra di vetro, solo vivo.
 
            Si girò verso Vienna. Sorrideva. Aveva una sciarpa verde, leggera. Le donava molto.
            Trasse le proprie conclusioni.
            Sorrise anche lui, forse a stento, ma ci riuscì.
            Strinse la mano di Vienna.
 
            In un attimo, anche la pietra cominciò a respirare.









A/N: Ciriciao bambini.
Dunque. Taglio corto perchè è l'una e mezza di notte e ho scritto questa storia in preda ad una vis scribendi che insomma, poche altre volte nella vita. Come avete trovato nella dedica, ancora una volta, bisogna ringraziare Elle Sinclaire, per avermi promptato tutto ciò. In realtà era un prompt aperto, un'immagine a caso (la prima a sinistra nel banner). E i personaggi sono usciti fuori.
Non ho molto su cui dilungarmi. Vienna e Sal sono semplicemente loro, purtroppo mi trovo a corto di parole sui entrambi i caratteri. Rimangono ancora un mistero, probabilmente non li ho approfonditi come avrei voluto ma li amo tanto e spero piacciano anche a voi.
L'ultima frase, tra l'altro, la considero la più esplicativa della storia. Interpretatela come meglio credete, se pure io, l'autrice *gongolo un po' a questa parola* do piena libertà di movimento, pensiero e cambiamento ai miei pg, voi siete più che leggittimati a fare altrettanto.
Epiteto formulare: grazie per essere arrivati fin qui, mi fa piacere se avete letto altre mie storie e un salutino timido a chi mi legge per la prima volta. Aggiornerò il prima possibile Complementari e pubblicherò sicuramente una OS (o una mini-long, devo decidere) prima di Natale, non ne abbiate a male ma per ora sono un po' piena di impegni :) E un cupcake virtuale a chiunque recensisca. Oh, se mi mandate l'indirizzo ve lo mando sotto casa, non scherziamo. 
A presto <3

 
   
 
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