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Autore: I Fiori del Male    27/11/2013    2 recensioni
ATTENZIONE: SEGUITO DELLA ONE SHOT "LA SPERANZA DI UN FUTURO MIGLIORE."
"Rue Mellark osserva il sentiero inesistente dietro di se: un impressionante intrico di rami e foglie che non lascia alcuna visibilità."
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Peeta Mellark, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il passato stravolto e il possibile futuro'
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Rue’s farewell
 
P.S. Vi consiglio di ascoltare, mentre leggete, proprio "Rue's farewell" di James Newton Howard


 
Malgrado sia piena estate, l’aria che filtra nei miei vestiti e accarezza l’intero Prato è gelida come quella che porta neve in inverno, qui al distretto dodici.
Vedo tante, troppe teste nel mio raggio visivo, tutte rivolte verso il palco di cemento che ormai da tanti anni domina la scena in questo periodo. Vorrei poter dire dall’alto dei miei trentacinque, quasi trentasei anni, di non aver più nulla a che fare con questo; tuttavia non posso.
Fa sempre male, vedere tutti questi bambini in attesa di fronte alla possibilità della morte e udire con estrema chiarezza il pianto solo in parte celato delle mamme e dei padri che si trovano quaggiù, ai margini dell’inferno, insieme a me.

Effie Trinket fa il suo ingresso in scena ed io sussulto, perché lei è tutto ciò che mi è rimasto di familiare qui. Il tempo si è portato via tutto quel che conoscevo, sfiorandomi a malapena.
Lei invece sembra esserne stata investita in pieno: la sua pelle è grigia; gli occhi spenti; le membra visibilmente tremule anche per me che sono così lontano da lei, adesso. E’ come se fosse stata prosciugata di tutti i suoi colori. Ricordo di aver pensato qualche volta, in passato, che la sua allegria fosse inappropriata per il ruolo che ricopriva.
Poi, nel corso dell’edizione della memoria, la vera Effie è venuta alla luce: sempre allegra e modaiola e aggiornata su tutti i pettegolezzi di Capitol City, ma più umana. Ricordo la sua espressione durante quella settantacinquesima mietitura, in netto contrasto con i colori sempre sgargianti del suo abito, e ricordo di aver compreso il concetto di sopravvivenza, applicato su di lei: che altra scelta avrebbe potuto prendere allora? Decise di giocare secondo le regole della capitale, cosa in cui noialtri trovavamo invece tanta difficoltà,  e sono sicuro che lo fece per tentare di dissimulare quella nostra aria troppo ribelle, per farci sopravvivere un po’ di più. Era la nostra guida in quel mondo tanto odiato.
“Morale su e un bel sorriso”. Non era una presa in giro, solo un avvertimento.
Oggi vorrei fosse la stessa persona di prima. Vorrei che molte cose fossero rimaste le stesse di un tempo, vorrei nutrire ancora speranza come una volta.
 
- Benvenuti, benvenuti, benvenuti! –
 
È come se d’un tratto qualcuno avesse alzato bruscamente il volume: Effie sta imitando se stessa, e non è che un pallido, misero scorcio della donna che era. Non posso guardarla, così alzo gli occhi al cielo e scopro che c’è qualcos’altro di familiare rimasto qui:
 
Il grigio plumbeo di questa giornata è identico a quello degli occhi di Katniss.  Era un colore misterioso: non potevi capire se fosse triste o felice, per farlo dovevi contare sull’istinto. Era come cercare un ostacolo nella nebbia più fitta tenendo sempre conto della possibilità di sbatterci contro. Sorrido al ricordo. Era un lato di lei che mi metteva sempre in difficoltà. Lo apprezzo come non mai, oggi che lei non c’è più.
 
- ... abbiamo un video, direttamente da Capitol City! –
 
L’enorme schermo dietro Effie s’illumina. Sono passati quindici anni, so bene cosa mi aspetta, e desiderare di esser cieco come a volte mi accade, non serve a nulla: nel buio i ricordi sono più vividi e perciò più dolorosi.
 
Eccola, Katniss. Bella e coraggiosa, ma solo per finta:  dietro la sua maschera da guerriera io posso vedere le lacrime che ha versato, la debolezza che la caratterizzava e non l’ha mai abbandonata. Mi offrono una fugace immagine di lei appena morta e la mano destra, quella con cui ho preso a pugni il cameraman che la riprendeva, comincia a far male di nuovo; così il mio cuore.
E poi c’è Prim, finita agli Hunger Games tre anni dopo la morte di sua sorella. Mi fanno vedere anche lei, e sono certo che Snow e Alma Coin possono vedermi in questo momento, mentre tento disperatamente di non versare una sola lacrima per la loro soddisfazione. La piccola Prim è partita piena di speranze e di coraggio, ma al suo posto è tornata solo la spilla, in qualche misterioso modo. So per certo che il presidente e la sua vice non avrebbero mai permesso che tornasse qui.
Ricordo come lei fosse convinta che Rue, alla sua prima mietitura, sarebbe stata scelta con un sorteggio truccato. Beh, oggi è giunto il momento di scoprirlo.
 
Lo schermo torna finalmente nero e silenzioso, mentre Effie si appresta a infilare la mano nella boccia di vetro contenente i nomi delle ragazze del dodici. Noto con tristezza che è molto più grande di quelle degli anni scorsi: costringerci tutti a fare almeno due figli prima dei trent’anni sta dando i suoi frutti.
Per quanto mi riguarda, Capitol non ha alcuna speranza di vedermi mettere al mondo un altro figlio. Non esiste donna nella mia vita cui sarei capace di donarmi con sincerità, ormai.
 
Effie tira fuori un bigliettino, dopo aver vagato con la mano all’interno della boccia per un tempo lunghissimo, come a sperare che qualcuno intervenisse impedendole di tirare fuori un altro nome. Lo apre lentamente, quasi senza guardarlo. Nel Prato è sceso ora il più profondo silenzio.
 
La vedo diventare se possibile ancora più spenta, più grigia. I suoi occhi sono improvvisamente vacui come quelli dei morti ed è dall’oltretomba che proviene la sua voce, quando finalmente si decide a parlare.
 
- Rue Mellark. –
 
Silenzio. Tutto è fermo e immobile. A questo punto, la folla di ragazzi dovrebbe aprirsi da qualche parte per indicare a mia figlia la strada verso l’inferno, ma so che non sarà così. Un angolo della bocca si solleva inevitabilmente in un sorriso e passa poco prima che io scoppi definitivamente a ridere.
 
Grazie, Gale.
 
 
 
 
Rue Mellark osserva il sentiero inesistente dietro di se: un impressionante intrico di rami e foglie che non lascia alcuna visibilità.
 
Ha provato con tutte le sue forze a smettere di piangere, ma proprio non riesce. Le lacrime continuano a scendere copiose e così ha deciso di non curarsi nemmeno di asciugarle. Non ha che dodici anni ma già vorrebbe che quelle scie umide le scavassero il viso, per non lasciare che il tempo le faccia dimenticare, un giorno, quello che suo padre ha fatto per lei.
 
Gale, alle sue spalle, la osserva senza parlare. Accanto a lui c’è Rory e ci sono anche Vick e Posy. Tutti stanno pensando la stessa cosa: quella bambina, girata così di spalle, con la treccia scura pendente sulla schiena, è una miniatura di Katniss. Per Gale è qualcosa di più, un vero e proprio ricordo del giorno in cui lui e la sua migliore amica s’incontrarono la prima volta ai margini di quello stesso bosco. Quasi si aspetta di vederla trafficare con una sua trappola per conigli, quasi la chiamerebbe Catnip, ora.
Eppure sa che ci sarà qualcosa di discordante ad aspettarlo, quando la chiamerà e si volterà verso di loro senza nemmeno curarsi di nascondere le lacrime. Sarà la sua pelle chiara, saranno i suoi occhi azzurri come il cielo sereno. E non farà male vederli per via di un amore non corrisposto, ma perché rappresentano momenti in cui Katniss è stata davvero felice, momenti che non avrà mai più l’occasione di vedere.
 
- Papà starà bene? – chiede Rue con la voce tremante, senza voltarsi. Gale sa bene che quella è un domanda retorica. Nel distretto dodici a quell’età non si è più bambini e non sono più concesse illusioni, ma Rue gliene sta chiedendo una in prestito; qualcosa che la aiuti a voltare le spalle al pezzo di foresta appena percorso per intraprendere una nuova strada con un po'’ di speranza.  Così annuisce, abbozzando la parvenza di un sorriso e stupendosi amaramente di come la mascella, a fare quella smorfia, gli faccia male tanto non è più abituato a tendere i muscoli in quel gesto.
 
- Tuo padre starà bene, Rue. – risponde quindi lui. Lei si volta, annuisce e ricominciano tutti a camminare, ma d’un tratto un fruscio li fa arrestare di nuovo, allarmati. Tutti volano a nascondersi fra i grossi cespugli.
 
Da un groviglio di foglie fuoriesce una donna sulla trentina. E’ alta e magra, i capelli biondo grano un po’ sporchi le pendono sulla schiena, fermati in una treccia sfatta identica a quella della piccola Rue. Tiene un arco tra le mani e due faretre pendono dalle spalle.
Gli occhi, azzurri e luminosi, scintillano fieri contro i raggi del sole.
 
- Uscite fuori, non voglio farvi di certo del male! – esclama, ridacchiando. E’ una risata argentina che stringe in una morsa il cuore di Gale. Fuoriesce dal suo nascondiglio, guardandola con gli occhi e la bocca spalancati.
 
- Prim ... sei tu?! –
 
Primrose annuisce, mentre le lacrime già le solcano le guance. Ci sarebbero tante cose da dire, mentre l’eco delle sue stesse risate, il ricordo dei giochi con Gale, il sapore di fragola dei baci di Rory tornano da un tempo lontanissimo, ma non riesce ad avere occhi che per la bambina che ha di fronte.
 
Rue la fissa di rimando mentre le torna alla mente la voce di suo padre e i racconti della sua gioventù. Sa chi è quella donna e non può non pensare al tono grave che la voce di suo padre assumeva ogni volta che ne parlava,che raccontava della mamma e della sua sorellina più piccola, ferme davanti alla vetrina del vecchio forno del nonno.
 
- Rue ... – sussurra Prim, senza lasciarle il tempo di dire o fare qualsiasi cosa.
 
- Gale, lei è ... –
 
- Le somiglia tanto, vero? –
 
Prim annuisce, asciugandosi le lacrime col dorso di una mano.
 
- E’ Katniss con la pelle e gli occhi di Peeta. – sussurra. Si avvicina e s’inginocchia davanti a Rue, sussultando quando si accorge della spilla d’oro fissata sul petto.
 
- Sei la zia Prim. – afferma Rue, sicura. Prim annuisce, raccogliendo con l’indice una delle lacrime della bambina e abbracciandola.
 
 
 
Stringo una mano su ciascuna spalla; sento le ossa spigolose sotto le dita. So già cosa accadrà, ora. Hanno bisogno di me per guidare questi nuovi tributi, e sarà proprio uno di loro a vincere, così da potermi uccidere quando mi rifiuterò di dire loro dov’è finita mia figlia.
 
Quando la porta del palazzo di giustizia si chiude alle nostre spalle, una mia mano sparisce nella tasca della giacca. Giù in fondo, la superficie liscia, setosa di una piccola perla bianca attende di carezzare le mie dita.
 
Nel periodo in cui eri stato catturato Katniss non aveva altro modo per dormire se non passarsi quella perla sulle labbra. Credo rappresentasse per lei un forte legame con te che eri così lontano ...
 
La voce di Prim, da un tempo ormai lontanissimo mi ricorda il significato che questa perla ha per noi, Katniss. Oggi sei più lontana che mai, anche con questo grigio dei tuoi occhi che riempie il cielo. Può bastare questo a unirci di nuovo? Puoi sentirmi? Se mi senti, proteggi nostra figlia e sappi che presto arriverò anch’io.
 
Non vedo l’ora di baciarti di nuovo.
 
 
*Angolo autrice*
 
Eccomi qua, con una nuova One shot. Presto conto di aggiornare anche What if, se qualcuno di voi la segue ;)
Avete capito ogni cosa di questa storia? O è risultata confusionaria? Non dovrebbe essere accaduto, se avete letto prima “la speranza di un futuro migliore”, come segnalato nell’avviso. Mentre scrivo, ho già deciso di raccogliere queste due e altre storie in una raccolta che tra poco creerò e che forse renderà tutto più chiaro ;)
Grazie mille per aver letto questa storia :D E grazie come sempre a Matita Gialla, per il betaggio :)
Un bacio, e possa la buona sorte sempre essere a vostro favore ;)
 
Una rosa in fiamme.
   
 
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