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Autore: berenis    27/11/2013    4 recensioni
«Papà, mi racconti ancora la tua storia?»
«Ancora? Ma sarà la decima volta che la ascolti!» mia figlia mi tira per la manica della giacca invitandomi a sedere sul divano accanto a lei.
«Ti prego, mi piace tanto» continua con la sua vocina e quegli occhi da cerbiatta che ogni volta m’impediscono di dirle di no.
«E va bene! Però questa volta comincerò da quella famosa estate…»
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Al mio prof di italiano,
senza il quale questo racconto non
avrebbe mai preso vita e alle mie
compagne di classe, delle quali tutti i
personaggi femminili portano un nome.
 
Capitolo 1.


«Papà, mi racconti ancora la tua storia?»
«Ancora? Ma sarà la decima volta che la ascolti!» mia figlia mi tira per la manica della giacca invitandomi a sedere sul divano accanto a lei.
«Ti prego, mi piace tanto» continua con la sua vocina e quegli occhi da cerbiatta che ogni volta m’impediscono di dirle di no.
«E va bene! Però questa volta comincerò da quella famosa estate…»
 
 
Erano le due del pomeriggio di quel caldo ventitré giugno che aspettavo con ansia, e finalmente era arrivato il momento di partire.
Quello era il giorno in cui avrei lasciato a casa i miei problemi e mi sarei portato dietro uno zaino pieno di allegria.
Mi guardai allo specchio e cercai di sistemare i miei capelli ricci in modo che andassero tutti nella stessa direzione, anche se sapevo per certo che in ogni caso, per quanto avessi potuto provarci, non sarebbero mai stati fermi nel modo in cui li volevo io.
Non c’era niente che mi piacesse di me. A partire dal mio nome. Per non parlare del il mio fisico, dei miei occhi castani, del mio sorriso fin troppo ampio per i miei gusti, delle terribili fossette che mi si formavano sulle guance quando sorridevo. Mia sorella Sara invece le adorava, ed io mi chiedevo sempre come facesse.
«Gabriele, scendi! Dobbiamo andare!» sentii urlare da mia madre dal piano inferiore.
Non risposi. Guardai per l’ultima volta la persona riflessa sulla superficie cristallina di fronte a me, poi mi voltai e uscii dalla stanza, consapevole del fatto che più mi guardavo per cercare di eliminare ciò che odiavo, più avrei trovato difetti e non ci sarei riuscito.
«Oh, eccoti. Sei sempre l’ultimo! Hai preso tutto?» mi domandò mia madre indaffarata a sistemare le ultime cose prima della partenza.
«Sì, mamma» risposi usando il mio solito tono di voce piatto e privo di emozioni.
L’unico motivo per cui, a diciassette anni, continuavo ad andare in vacanza con i miei genitori, tra l’altro sempre nello stesso posto, era Arianna.
L’avevo conosciuta al Sant’Angelo Village quattro anni prima.
Io andavo lì già da due estati e mi ero fatto parecchi amici. Poi, un giorno, appena mi vide arrivare, Andrea mi corse incontro e mi disse che Martina, una delle ragazze del gruppo, si era portata con sé un’amica: Arianna.
Lei non ebbe problemi. Era bella, divertente e con un sorriso mozzafiato.
Ma non uno di quelli comuni, di quelli facili da immaginare. Lei aveva quell’infinità di sfumature particolari dietro al suo sorriso di cui tutti scrivono ma che nessuno ha mai visto davvero. Nessuno tranne me, ovviamente.
Aveva i capelli castani e due occhi che mi ricordavano tanto la primavera: verdi, come le foglie che crescono dopo un lungo inverno.
Ecco, forse era così che potevo definirla. Arianna era la primavera del mondo.
Passai un periodo terribile quell’anno. Persi completamente la voglia di studiare e fui bocciato. I miei genitori s’infuriarono e mi portarono in vacanza con loro solo perché non avevano nessun altro a cui affidarmi e di certo non mi avrebbero lasciato a casa da solo. In più, come se non bastasse, la ragazza con cui stavo da poche settimane, Margherita, mi lasciò per un altro, che in seguito scoprii essere il mio migliore amico. Persi due persone a cui volevo bene in un colpo solo. Quando conobbi Arianna, mi dimenticai di tutti i miei problemi, e da quel momento, ogni volta che era vicina a me, fu sempre così. Quando ero con lei e con gli altri del gruppo, al Sant’Angelo, io ero un’altra persona. Non quella che si guardava allo specchio e si faceva mille paranoie, ma quella spensierata e felice che si godeva l’estate con i suoi amici.
Sentii il clacson dell’Alfa Romeo di mio padre e mi affrettai a salire in macchina accanto a Sara sui sedili posteriori.
Per fortuna il viaggio da Milano a Cavallino Treporti, in provincia di Venezia, non era tanto lungo. Avrei dovuto combattere contro la noia per circa tre ore e mezzo, ma sarei stato aiutato dal mio fedele compagno: l’iPod.
La macchina partì, io m’infilai le cuffie nelle orecchie e cominciai già ad immaginare come sarebbe stato rivedere il mio gruppo di matti.
Lì avevano tutti la mia stessa età. Solo mia sorella e due sue amiche erano di tre anni più grandi.
Arianna ed io eravamo migliori amici da sempre; io la adoravo.
Una volta mi confessò di esserle sembrato da subito il più simpatico di tutti. Infatti, quando eravamo lì, stava sempre con me.
Ero ansioso di rivederla. L’estate era l’unico momento in cui ciò era possibile, perché durante il resto dell’anno non ci riuscivamo: lei abitava a Venezia.
Il viaggio trascorse tranquillo finché il mio iPod non si scaricò – ero stato uno stupido a non metterlo a caricare durante la mattinata – e cominciai a tartassare tutti quanti chiedendo in continuazione dove fossimo e quanto mancasse.
«Abbiamo già superato Venezia, per fortuna» rispose dopo un po’ mia sorella con tono seccato.
La ringraziai e tornai a guardare fuori dal finestrino.
Passò ancora un po’ di tempo prima che scorgessi l’insegna del Sant’Angelo Village e sul mio viso comparve immediatamente un enorme sorriso.


Ciao a te che stai leggendo.
Grazie per essere arrivato fino qui. Devi sapere che questo è un racconto che mi ha commissionato il mio professore di italiano, poiché era al corrente del fatto che scrivevo. Mi ha messa alla prova, e il risultato è che il mio scritto gli è piaciuto e ha deciso di pubblicarlo su una rivista online di cui è direttore. Sono così contenta che ho pensato: e perché non provare a metterlo anche su efp? Magari piace a qualcuno.
E così ho fatto. Ci ho provato. Perciò, a te che sei arrivato fino qui chiedo: che te ne pare?
Ti avverto che essendo un racconto, sarà molto breve. Conto di stare più o meno in una decina di capitoli, senza prologo ed epilogo, perché questa storia non li ha.
Anche se siamo solo all'inizio, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi!
Al prossimo capitolo,
v.
   
 
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