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Autore: Fanelia    29/11/2013    5 recensioni
Questa storia parte dalla fine del manga/anime che dir si voglia e sviluppa una what if, anche su alcune informazioni lette in rete sul Final Story. E' una what if in cui uno dei protagonisti soffre di amnesia a causa di un incidente e solo grazie al ritorno nella sua vita del suo grande amore, ricomincerà a riappropriarsi di frammenti del proprio passato.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RICONOSCIMI

 
Capitolo XXXVIII - La fine e l’inizio
 
"Massimo segno della fine, è il principio."
-Carlo Dossi
-

Se ripensava a tutto ciò che le era accaduto nelle ultime ore, faticava a crederci.
Il suo mondo era andato sgretolandosi, pezzettino dopo pezzettino e lei era rimasta immobile, a guardarlo andare in frantumi.
Poi, dentro di sé, qualcosa era scattato e aveva deciso che doveva allontanarsi. Era l’unico modo per potersi riappropriare della propria vita, mettere dello spazio, quanto più spazio possibile fra loro e lei, soprattutto, fra lui e lei.
Giunta al porto, si era chiesta se anche il destino ce l’avesse con lei. La nave su cui si era imbarcata era il Mauretania e, così come tanti anni addietro, si era ritrovata a ripercorrere la stessa tratta, sulla stessa imbarcazione dove aveva conosciuto lui.
Era partita con un’idea precisa riguardo la destinazione, perché voleva tornare proprio lì, nei luoghi dove avevano trascorso una felice estate e dove il loro rapporto era andato approfondendosi, prima dell’orribile trappola tesa loro da Iriza.
Le pareva così strano trovarsi nuovamente su quello stesso transatlantico. Era passato davvero diverso tempo, eppure tutto pareva essere rimasto immutato nel tempo.
Aveva quasi paura mentre, lentamente, si dirigeva nel punto preciso dove il suo scialle aveva deciso di prendere a svolazzare per poi atterrare ai piedi di quello strano ragazzo.
Le aveva ricordato Anthony; per un istante aveva scambiato quell’insolente, per il dolce Anthony.
Le dispiaceva non essersi potuta recare a Lakewood proprio adesso che aveva ricordato, per poter rendere omaggio al suo carissimo Anthony e a Stear, ma la necessità di scappare, di allontanarsi, era stata troppo forte.
Rivisse mentalmente il loro primo incontro, quando aveva visto Terence con lo sguardo perso, concentrato su chissà cosa, e poi ne aveva intravisto le lacrime che lui aveva prontamente negato di aver versato.
Un misto tra amarezza e malinconia la assalì e si sentì soffocare. Non si era resa conto che le lacrime le stavano rigando le guance.
Non era riuscita a trattenerle. Amava Terence, ne era certa, lo aveva sempre amato, ma era difficile poter perdonare e dimenticare. C’erano troppe cose che non sapeva, ma non era pronta a conoscerle.
Essere messa al corrente di ciò che lui aveva vissuto con Susanna, capire perché mai tutti le avessero mentito… era decisamente troppo per lei in quel momento.
Asciugò le lacrime e tornò nella propria cabina.
Non aveva intenzione di lasciare che i ricordi avessero la meglio.
Se si lasciava sopraffare dal passato, dai sentimenti, non sarebbe sbarcata in Inghilterra perché, probabilmente, si sarebbe tuffata in acqua nel tentativo di tornare indietro a nuoto.
Doveva essere forte, lo doveva a sé stessa.
Fu una lunga, lunghissima traversata. Cercò di distrarsi, partecipando alle varie cene e spettacoli che si tenevano a bordo, ma era difficile, troppo difficile tenere la mente a bada e non permetterle di vagare e di annegare nel dolore.
Era sicura di aver scelto per il meglio e, quando finalmente sbarcò a Southampton, tutte le sue certezze trovarono un’ennesima conferma. Respirare l’aria della città, nonostante non avesse fatto altro che riportare nuovamente alla mente il momento dello sbarco, quando con lo sguardo aveva cercato e seguito “quel ragazzo”, le aveva regalato una strana sensazione di tranquillità. In cuor suo non poteva essere certa che Terence non sarebbe partito alla volta del vecchio continente per cercarla e riportarla a casa, ma qualcosa le diceva che avrebbe avuto tempo a sufficienza per elaborare quel dolore che sentiva dentro.
Il viaggio in treno, direzione Edimburgo, non poté non ricordarle Patty ed Annie.
Si chiese come stesse la sua amica, si erano sentite davvero poco dal giorno dell’incidente. Chissà se aveva dimenticato, se era riuscita a guarire da quel dolore insormontabile per la perdita del suo Stear.
Lei stessa aveva faticato a dimenticare Anthony, o meglio, a lasciarlo andare, e solo grazie a Terence era riuscita davvero a dirgli addio.
Solo il ragazzo era riuscito a farle capire che era giusto andare avanti e che Anthony avrebbe voluto solo felicità per lei, e di certo non che rimanesse a piangerlo per il resto dei suoi giorni.

Giunta a destinazione, si fece consigliare una piccola pensione dove poter soggiornare. Fu alquanto fortunata, perché la pensione “ Romeo’s” aveva un camera libera e lei l’affittò a tempo indeterminato. Quella sua richiesta stupì l’albergatore che fu però così discreto da evitare di impicciarsi degli affari di quella giovane e bella donna.
La stanza non era molto grande, disponeva di un letto, un armadio e una scrivania con sedia. Era tutto ciò che le serviva.

Era ormai tardi per quel giorno, così decise di cenare presso la pensione e ritirarsi in camera. Una sana dormita forse l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.
Non era pronta per affrontare “la Scozia” e tutto il carico emotivo che quella terra portava con sé.
Decise che, l’indomani mattina, si sarebbe recata in centro per comprare dei vestiti, del restoera partita in tutta fretta e non aveva potuto portare molto con sé.
L’avrebbe presa con tranquillità e, non appena si fosse sentita pronta, avrebbe affrontato i “loro” luoghi. Il solo pensiero di essere tornata lì, bastava a farla fremere, a metterla in agitazione.
Non aveva mai trascorso un periodo bello e spensierato come era stata quell’estate per lei, motivo per cui aveva scelto proprio quel luogo.



Nel frattempo, a New York, Albert e Terence si erano adoperati per cercare Candy nei luoghi in cui credevano potesse trovarsi. I ripetuti tentativi, falliti, si rivelarono solo un motivo di frustrazione ulteriore, specie per il giovane attore.
Era contento che la stagione teatrale fosse agli sgoccioli, perché aveva potuto chiedere di essere sostituito, senza creare grosso scompiglio.
Più passavano i giorni e più si preoccupavano per lei. Certo, Terence avrebbe voluto poter chiarire con lei, ma il pensiero che si trovasse chissà dove, con la sola certezza di essere stata tradita dalle persone che amava, non lo faceva stare tranquillo.
Non lo sfiorò nemmeno lontanamente l’idea che lei potesse trovarsi in Scozia. Nessuno di loro pensò a quella terra lontana, forse perché teatro del loro amore, cosa da cui lei stava fuggendo.
Passarono ben quattro settimane, prima che Terence ricevesse notizie su Candy e proprio da una persona che mai e poi mai si sarebbe aspettato.
Furono quattro settimane in cui l’attore non si diede pace e continuò a cercarla, sperando in un colpo di fortuna.
Il suo cuore era ridotto in brandelli, lacerato dal dolore per quell’ennesima separazione, dal dolore per la sua assenza.
La consapevolezza di essere la causa della fuga di Candy non lo aiutava certo e contribuiva solo a farlo sentire peggio.
Si maledisse diverse volte per non avere insistito con Albert, per non aver fatto pressioni affinché le venisse detta la verità e, diverse volte, si era trovato a pensare che forse meritasse tutta la sofferenza che stava provando.
Sapere che Candy probabilmente soffriva più di lui era per lui motivo di tormento ed era una cosa che avrebbe voluto farsi perdonare, se mai avesse avuto la fortuna di rivederla. Non poteva credere al destino crudele che gliela aveva fatta incontrare nuovamente, per poi strappargliela in una maniera così insensata.
Era ormai metà luglio, mancavano due settimane al matrimonio di Cornwell, quando Terence ricevette una telefonata: era sua madre.
“Tesoro, non so se tuo padre inizi a risentire dell’età che avanza ma, parlando al telefono con lui poco fa, mi ha raccontato di trovarsi in Scozia per una breve pausa.”
“E cosa ci trovi di strano?”
“Se non fossi certa che abita a New York e che non ha motivi per essere in Scozia, forse non avrei riso tanto, ma tuo padre mi ha raccontato di aver visto una ragazza che gli ha ricordato moltissimo Candy. Si trovava nei pressi del castello e, quando lui ha cercato di parlarle, lei è scappata via.”
“Ne sei sicura?” chiese lui sull’orlo di una crisi di nervi. Possibile che avesse scartato l’idea e che avesse sbagliato?
“Perché me lo chiedi? Scusa, Candy non è a New York?”
“No mamma. È una storia lunga. E non posso stare a raccontartela proprio adesso. Ma poco più di un mese fa, le è tornata la memoria. Il giorno dopo è sparita.”
“Perché non mi hai raccontato nulla?” gli chiese lei preoccupata e stupita.
“Perché non volevo farti preoccupare. Ma se mio padre dice di aver visto una ragazza che le somiglia… devo verificare.”
“ Mi ha detto di avere indagato, per curiosità. Il comportamento bizzarro della giovane ha destato i suoi sospetti. E dire che ho dubitato di lui. La ragazza in questione soggiorna al Romeo’s e si è registrata col nome di May McEntyre.”
“Grazie mamma! Ora scusami ma ho una nave da prendere!” disse eccitato.
Non poteva illudersi che fosse lei, di averla ritrovata, ma aveva bisogno di una speranza, seppur minima.
Era la prima volta che aveva forse un indizio e non poteva certo non verificare di persona. Telefonò ad Albert per metterlo al corrente.
“Vengo con te.”
“Ti prego, lascia che vada solo. So che temi che possiamo litigare e che lei possa decidere di non tornare. So anche che vorresti chiarire con lei. Ma Albert, sai meglio di me che è scappata prima di tutto da me. Lascia che provi a rimettere a posto le cose. Ti prometto che, a costo di sparire per sempre dalla sua vita, te la riporterò. Fidati di me.”
“Terence non ne sono sicuro.”
“Per favore. E, ti prego, finché non sono certo che si tratti di lei, non avvertire Annie ed Archie. Non vorrei trovarmi il damerino fra i piedi.” ammise sincero.
“Ok, faremo come dici tu. Ma promettimi di chiamarmi non appena l’avrai vista. E Terence, sii cauto. Ti prego, cerca di mantenere la calma. Per quanto sono certo che si aspetti di vederti arrivare prima o poi, considera che probabilmente potrebbe non essere ancora pronta.”
“Non ho intenzione di forzarla in alcun modo. Ma cercherò di fare quanto in mio potere per riportarla a New York.” ripeté giocherellando con quella scatolina di velluto, che per anni era stata riposta nel cassetto della sua scrivania.
La mise nella valigia e, chiamato un taxi, si recò al porto.
Una nave sarebbe salpata quello stesso pomeriggio e lui non aveva tempo da perdere. Doveva correre da lei, farla ragionare, farle capire. Doveva almeno provare a ribadirle quanto l’amasse, quanto stupido fosse stato a mentirle… perché era stata una decisione errata, ne era certo, lo era stato fin da principio.
Ma ormai aveva sbagliato e avrebbe fatto davvero di tutto, per cercare di poter rimediare. Era certo, certissimo che sarebbe stata una lunghissima traversata, ma almeno avrebbe avuto il tempo di pensare a quanto voleva dirle.
Nonostante ci avesse riflettuto per oltre un mese, non era ancora certo di quali carte giocare. Sarebbe stato onesto con lei e le avrebbe aperto il suo cuore.
Era pronto a raccontarle tutto di lui e di Susanna, pronto a spiegarle perché tutti le avevano mentito.
Non era certo che lei sarebbe rimasta ad ascoltare, ma doveva perlomeno provarci.


Candy aveva trascorso delle lunghissime e complicate settimane.
Aveva dovuto lottare contro il suo buonsenso che le suggeriva di chiamare e tranquillizzare la sua famiglia, ma non voleva avere contatti con loro, non era ancora pronta a rispondere alle loro domande e, tantomeno, ad ascoltare le loro scuse.
Non era sciocca, era certa che avessero pensato di agire nel suo interesse, ma era decisamente difficile accettarlo e farsene una ragione.
Era stato faticoso ma, lentamente, e dopo una grossissima opera di convincimento, era riuscita a visitare i luoghi dove aveva trascorso del tempo con Terence.
Era stato doloroso per lei rivivere tutte quelle emozioni, ricordarsi di quell’acerbo e nascente amore, dei primi sussulti del suo giovane cuore e di quella paura, che l’attanagliava, perché sentiva qualcosa di così forte e totalizzante, che riusciva a spaventarla. Era troppo inesperta per poter definire quel sentimento che bruciava nel suo cuore, con la parola giusta. Forse aveva capito che era amore, del resto, non si era ritrovata a strillare un “Terence ti amo” su quella dannata banchina del porto di Southampton, quando lui se n’era andato, lasciandola a Londra? Quindi, sapeva di amarlo ma sarebbe troppo difficile ammetterlo. Preferì non ripensare a quel momento così doloroso e soffermarsi sul presente. Era inutile rivangare il passato, inutile caricarsi un altro dolore sul cuore.
La parte più difficile fu quando decise di recarsi nei pressi del castello del Granchester.
Non era certa che ci fosse ancora, nonostante fosse altamente probabile.
Ci pensò su diverse volte, ritornando sui propri passi, prima di riuscire a raggiungerlo. Si fermò ad osservare quell’edificio che sembrava rimasto fermo nel tempo, immutabile. Che bei pomeriggi aveva trascorso con Terence, quando si era offerto di darle lezioni giornaliere di pianoforte, quando, quel pomeriggio della festa in bianco, si erano ritrovati ad asciugarsi davanti al fuoco del camino, soli, in una situazione tanto imbarazzante quanto emozionante. C’era stato un momento in cui aveva sperato che lui facesse qualcosa e poi, quando quel qualcosa non era avvenuto, si era ritrovata a sorridere felice, perché lui aveva rispettato i suoi tempi.
Dopo che lo aveva schiaffeggiato, doveva aver capito che non era pronta per definire ciò che c’era fra di loro, cosa di cui si sarebbe pentita amaramente in seguito.
Per più di un anno sarebbe rimasta ad attendere le sue lettere e a dover fantasticare, leggendo fra le righe, di quell’amore di cui non avevano mai avuto modo di parlare, che non avevano mai avuto modo di dichiararsi apertamente.
Era troppo assorta fra i suoi pensieri per accorgersi di quella figura che le si era avvicinata quasi furtivamente.
“Signorina, posso aiutarla?” quella voce… non poté non fare un salto nel passato e, quando si girò, si trovò faccia a faccia col duca.
“No, mi scusi.” aveva farfugliato facendo per andarsene, ma il duca l’aveva incalzata con altre domande. “Mi scusi se glielo chiedo ma ci conosciamo? Ha un viso a me noto … Sa, se non pensassi che è impossibile… sa, mi ricorda molto una giovane ragazza che incontrai tanti anni fa a Londra… quei suoi occhi verde smeraldo… non li ho mai dimenticati.”
“ Mi spiace, si sbaglia. Ed ora mi scusi.” cercò di salutarlo alla bene in meglio, voleva solo scappare.
Non pensava di imbattersi in qualcuno, tantomeno nel duca e, di certo, non pensava che lui l’avrebbe riconosciuta qualora l’avesse rivista, specie a distanza di così tanto tempo.
Eppure il duca non era riuscito a dimenticare i suoi occhi, perché quello sguardo aveva qualcosa di magico, era impossibile dimenticare la determinazione e la forza di quegli smeraldi.
Candy era rincasata in lacrime, scossa e col cuore che le batteva a mille. In cuor suo aveva temuto di poter essere riconosciuta da qualcuno al castello, ed ora che era successo, non sapeva cosa aspettarsi.
Non sapeva se Terence e suo padre avessero o meno ripreso i rapporti e non sapeva se aspettarsi una visita. Era molto probabile però che Terence si sarebbe presentato alla sua porta. E comunque, mancavano solo due settimane al matrimonio di Annie ed Archie e doveva decidere se tornare e presenziare oppure no.
Sapeva di dover partecipare, il problema era che non si sentiva pronta.
Poteva tornare e fare finta di nulla? No di certo. Poteva tornare e discutere con loro, con tutti loro, prima del matrimonio? Nemmeno.
E allora, l’unica soluzione, era quella di rimanere lì. Le sarebbe spiaciuto mancare al matrimonio, sarebbe stata una cosa che probabilmente Archie ed Annie non le avrebbero mai perdonato, ma ormai aveva capito che di cose da perdonare e di situazioni scomode, la vita era piena.
Non era riuscita ad arrivare a grosse conclusioni in quel periodo di solitudine. Aveva continuato a pensare e ripensare alle stesse cose, eppure di una cosa era certa, la sua famiglia le voleva bene.
Era stata una sciocca a pensare il contrario, così com’era stata stupida a prendersela con Terence. In quel momento, la rabbia per tutte le bugie, per il tradimento, per quello stupido gioco di riconquista che aveva intrapreso il giovane, non le avevano lasciato vedere oltre. Doveva avere i suoi motivi per avere agito così e lei avrebbe dovuto ascoltarli.
Non aveva niente su cui rimuginare, niente su cui ragionare, niente su cui basare le proprie decisioni, se non illazioni e erronee idee che si era fatta da sé e che probabilmente era erronee.
Poteva però riassumere semplicemente il proprio timore: non era pronta a tornare perché non sapeva come affrontare né la sua famiglia, né tanto meno l’uomo che amava. Non sapeva cosa dire loro.
Ed era di certo uno di quei casi in cui il silenzio sarebbe stato solo deleterio.
Candy non poteva sapere che, sballottato dalle onde dell’oceano,un giovane uomo, dagli occhi color zaffiro, si stava arrovellando su come scusarsi con lei.

Era stato un viaggio estenuante, la tensione e l’ansia crescente non lo avevano reso certo più semplic ed il tempo, quel dannatissimo tempo che gli era sempre stato nemico, ancora una volta non era stato dalla sua parte.
Sembrava non volere scorrere, le ore sembravano non voler passare mai.
Quando arrivò al porto di Southampton gli fece una strana impressione rimettere piede in Inghilterra.
Certo, vi era tornato diverse volte a causa del lavoro, ma non si era mai concesso una distrazione, una gita fuori porto, perché tutto in quella terra lo faceva pensare a lei. Mentre viaggiava in treno, ancora incerto su cosa dirle, non poté non riportare alla memoria quella favolosa vacanza in Scozia.
Sarebbe potuto partire per l’America con sua madre, se solo avesse voluto e, invece, aveva trovato una più che valida ragione per rimanere lì e rimandare il proprio sogno di diventare attore di qualche tempo.
Ricordò il pomeriggio della festa in bianco e di come l’avesse presa in giro col risultato di riuscire a rubarle un abbraccio, facendole credere che ci fossero i fantasmi. Sorrise di quel ricordo di un tempo così gioioso, così leggero, spensierato, perché non avevano certo idea di ciò che li attendeva.
Giunto in città, cercò una sistemazione.
Per quanto non avesse intenzione di rimanere a lungo e sperasse i poter ripartire con Candy quello stesso giorno o, al massimo, il giorno successivo, aveva bisogno di una doccia ristoratrice e di mettersi in ordine.
Non voleva presentarsi da lei in quello stato, specie perché si prefiggeva di fare ciò che non aveva potuto a New York, la sera della prima di Romeo e Giulietta.
Non faticò a trovare una stanza dove sistemarsi e in men che non si dica, era già per strada, diretto verso la pensione presso la quale lei forse soggiornava.
Aveva il cuore in gola, le pulsava talmente forte da rimbombargli nelle orecchie e da fargli sentire deboli le gambe. Aveva paura di perderla definitivamente, paura di non riuscire a farle capire, o semplicemente paura che lei non potesse accettare e non volesse andare avanti. Da come si era comportata, non poteva certo negare di essere ancora innamorata di lui ma Terence sapeva bene quanto potesse essere testarda la sua Tutte Lentiggini. Perso fra i mille pensieri, non si rese nemmeno conto di aver già raggiunto la pensione. Entrò e chiese della signorina May McEntyre.
“Non sarei autorizzato a rilasciare certe informazioni.” gli rispose l’oste, e le sue parole furono seguite da un semplice gesto, da parte dell’attore, che bastò ad aprirgli tutte le porte. Gli bastò sfilare una banconota dal portafogli e porgerla all’uomo perché gli indicasse in che stanza si trovava la giovane.
Prima di salire le scale respirò a fondo: poteva essere l’ultima chance di riparare a tutto ciò che nella vita era andato storto.
Dall’esito di quella visita dipendeva il resto della sua vita. Avrebbe potuto sprofondare negli abissi più neri o vivere una vita rischiarata dal sorriso della sua Tarzan. Salì le scale lentamente, con estrema concentrazione, come se stesse camminando su un pavimento di cristallo. Arrivò al primo piano e girò a sinistra.
La prima stanza in quel corridoio era la sua. Se non fosse stata lei, avrebbe fatto una bella figuraccia, ma poco importava.
L’oste gli aveva confermato che la ragazza non era ancora uscita, motivo per cui bussò alla porta certo di ottenere una qualche risposta.
Il “ Chi è?” che provenne da quella stanza, gli confermò che era lei. L’aveva trovata. Avrebbe riconosciuto la sua voce in mezzo a mille, e anche il suo cuore, visto che aveva cominciato a dilettarsi in capriole.
Terence non fece in tempo a rispondere che la porta si aprì, per poi si richiudersi velocemente. Una Candy, in parte stupita, aveva aperto la porta per poi richiuderla una frazione di secondo dopo.
Passò forse un minuto, prima che quella porta venisse nuovamente aperta. Candy non era particolarmente sorpresa di quella visita. Si era aspettata di doverselo trovare di fronte, prima o poi, solo che, per quanto se lo aspettasse, non era certo pronta.
Sgridò il proprio cuore che aveva preso a battere in maniera incontrollata e le mani che le tremavano. Sapeva che doveva riaprire quella porta, perché lui non se ne sarebbe andato tanto facilmente, motivo per cui respirò a fondo, cercò di calmarsi come meglio poteva, chiuse gli occhi per un istante per darsi forza e aprì nuovamente.
Incrociare quei due zaffiri e quello sguardo intenso le fece provare nuovamente le farfalle allo stomaco.
“Sono felice di averti trovata.” esordì lui senza mezzi termini. Si era ripromesso di non lasciare che fossero i suoi soliti silenzi a parlare per lui. Non poteva permettersi di sbagliare, permettersi di lasciare che lei fraintendesse, doveva chiarire tutto.
La risposta di Candy non arrivò, semplicemente perché non sapeva che dire.
“Siamo stati in pena per te, Annie era molto spaventata.”
“Come vedi sto bene.” si limitò a rispondere lei, freddamente.
“Possiamo parlare?”
“Dimmi pure.” rispose lei senza accennare a farlo entrare.
“Posso entrare?”
“Possiamo parlare anche qui.”
“Se è quello che vuoi.” Lei si limitò ad annuire, certa che se fossero stati fra quelle quattro mura, al riparo da sguardi ed orecchie indiscrete, probabilmente sarebbe capitolata e tutte le sue buone intenzioni sarebbero finite nel dimenticatoio.
Da come le batteva il cuore, da come sentiva gli occhi pungere e le lacrime premere per uscire, dalla brama che provava di volerlo abbracciare e non lasciarlo andare via mai più, ebbe l’ennesima conferma dei propri sentimenti nei confronti di quel giovane arrogante. Sì, era il solito arrogante: come poteva pensare di presentarsi da lei e risolvere tutto con delle semplici scuse?
“ Ho tante cose da dirti. Vorrei spiegarti che so di avere sbagliato, che tutti noi lo sappiamo. Ma vorrei anche che sapessi che mi sono trovato davanti a qualcosa di già stabilita e non ho potuto fare diversamente.”
“Potrei sapere cosa stai cercando di dire? Sii più chiaro perché non ho molto tempo da dedicarti.”
“Quando ci siamo rivisti la prima volta, a teatro, è stato davvero difficile per me.”
“Ah, davvero? E dire che non mi era parso. Ma del resto, che sciocca, sei un bravo attore, chi meglio di te potrebbe mentire?”
“Lo pensi davvero? All’improvviso rivedo Albert che non vedevo da anni, mi informa di non essere solo e poco dopo, dopo avermi dato un bizzarro avvertimento dicendomi che qualcuno non si ricordava di me, eccoti nel mio camerino e mi guardi come un estraneo. Secondo te è stato facile, reggergli il gioco? E quando ho saputo del tuo incidente, credi che non ne sia rimasto sconvolto?” si fermò notando che lo sguardo di lei era perplesso, come se le mancasse qualche pezzo del puzzle.
“Stai dicendo che hai scoperto quella sera della mia amnesia e del mio incidente?” chiese lei riuscendo a mala pena a contenersi. Possibile che non avesse capito nulla? Possibile che avesse tratto conclusioni affrettate?
“Esatto. Sarei corso da te se avessi saputo.”
“Ma perché non me lo hai detto?”
“Perché Albert mi ha chiesto di continuare la farsa che avevano cominciato. Quando ti sei risvegliata e non ricordavi nulla, hanno pensato di evitare di dirti…” - pausò, respirò e poi riprese, era troppo faticoso e doloroso riprendere quell’argomento- “ di parlarti di noi. Io stavo ancora con Susanna e loro hanno deciso di tacerti quanto era accaduto.”
“Ma perché? Non pensi che avrei preferito sapere? Se non avessi mai ricordato, mi avreste privato di una della cose più importanti della mia vita!” disse lei non riuscendo a filtrare quell’ultima frase che andò ad urtare violentemente contro il cuore di lui, rompendolo in mille mezzi e, allo stesso tempo, regalandogli un’immensa felicità.
Sapere che riteneva quello uno dei periodi più importanti, non poteva non farlo gioire, perché era così anche per lui.
“Volevamo raccontarti la verità quando hai cominciato a ricordare. Ma dopo l’incidente a cavallo, e quando abbiamo visto quanto ti aveva scioccata ricordare Anthony, anche il tuo dottore ci ha consigliato di agire con cautela. Ti giuro Candy, che avrei voluto dirti tutto e subito. Per me è stato un supplizio starti accanto dovendo fingere, dovendoti mentire… dovendoti nascondere i miei sentimenti. Per me non è cambiato nulla Candy, sono rimasto lo stesso, il mio cuore è rimasto lo stesso, così come i miei sentimenti.”
“Non dirlo. Non voglio che tu lo dica.”
“Ma perché? Vuoi che continui a mentire? Non mi hai chiesto tu di dirti come stanno le cose? Mi spiace non aver mantenuto fede alla promessa, non aver mai ricambiato Susanna come mi avevi chiesto, ma il mio cuore si è rifiutato di farlo. Ho vissuto nel ricordo di noi, di quei pochi momenti felici che abbiamo vissuto insieme… solo il pensiero di te, di noi mi ha dato la forza per continuare…” si fermò nuovamente, ponderando cosa aggiungere. Non era il caso di mettere altra carne al fuoco, eppure voleva dirle tutto prima di potersi inginocchiare davanti a lei.
“ Stai dicendo che non l’hai mai amata? Ma se sei tornato da lei dopo…” si interruppe rendendosi conto che stava sfiorando un argomento delicato.
“Sì, sono tornato da lei, e l’ho fatto per te. Solo una tua visione, in quel teatro diroccato…” trovò il coraggio di cominciare lui, ma lei lo interruppe.
Doveva dirgli la verità. Così come pretendeva dagli altri, non poteva non essere onesta con lui.
“Ero io in quel teatro. Non sai, non immagini il male che mi abbia fatto vederti ridotto così. Ho dubitato delle scelta presa e sono scappata, prima che il mio cuore avesse la meglio e mi costringesse ad avvicinarti, a parlarti.” le lacrime avevano cominciato a scorrere, ma non se ne curava. Non si vergognava di come si sentiva e, del resto, non era la prima volta che Terence la vedeva piangere.
Lei entrò nella stanza e lui la seguì, richiudendosi la porta alle spalle. Avevano decisamente bisogno di un po’ di intimità per affrontare quell’argomento. L’idea che lei lo avesse visto ridotto ad un derelitto, lo spaventava e se ne vergognava.
Non aveva creduto, nemmeno per un istante, che potesse essere realmente lei e aveva dato la colpa ai fumi dell’alcol per quella visione; eppure quella stessa visione lo aveva rimesso sulla retta via.
Lei lo aveva redento ancora una volta, salvandolo.
Entrambi rimasero in silenzio per qualche istante, quello stesso silenzio che veniva solo rotto dai singhiozzi di lei, che aveva bloccato il tentativo di Terence di abbracciarla, per darle conforto. Era consapevole che il contatto fisico con lui le avrebbe fatto perdere quell’ultimo barlume di razionalità a cui si stava aggrappando.
Troppe informazioni in troppo poco tempo e un sovraccarico emotivo a cui non era certa di poter sopravvivere.
Lui non aveva mai amato Susanna, non aveva mai dimenticato lei ed ora erano lì a discutere sul tempo perduto, su un passato che non sarebbe mai stato restituito loro, invece che approfittare della nuova opportunità che il presente stava regalando ad entrambi.
Incerto su come riprendere il discorso, pensò di cambiare argomento.
“Pensi di tornare per il matrimonio di tuo cugino? Annie ci tiene molto. Voleva addirittura spostarlo per aspettarti.”
“ Dici davvero?” chiese lei come stupita. Di cosa si stupiva, era ovvio che Annie non volesse sposarsi senza la sua testimone, senza la presenza di una persona che aveva considerato da sempre come una sorella, oltre che come la sua migliore amica.
“Certo. Ma non dovresti meravigliarti.”
“Forse hai ragione. Ero così intenta a pensare a quanto mi sento ferita da dimenticarmi degli altri. Volevo essere egoista e pensare a me stessa.”
“Ma la mia Candy non è mai stata egoista. Non ne è capace.” “Potevo imparare.” “Sono certo di noi.” le disse sorridendole.
“Torniamo a casa?” le chiese poi, allungando una mano nella sua direzione, per poi  aggiungere – “C’è una nave che parte stasera. Mi sono informato. Potremmo farcela, sempre ammesso che tu voglia partire.”
“Prima che ti presentassi qui, ero certa che ti avrei cacciato a malo modo. Certa che non sarei tornata a casa. Ma forse, comincio a capire che, per quanto abbiate sbagliato, lo avete fatto per proteggermi. Non posso non essere arrabbiata, non posso dimenticare, ma non posso non tenere conto delle vostre paure, delle vostre motivazioni. Non posso dimenticare che sei venuto fino a qui solo per chiedermi scusa.”
“È un sì?” domandò lui speranzoso e lei annuì.
Era talmente felice che avrebbe voluto stringerla a sé, ma lei non era ancora pronta.
“Che ne dici di fare la valigia? Ti aspetto e poi potremmo passare a prendere le mie cose e prendere il primo treno.”
“Va bene. Se vuoi puoi prendere un tè mentre sistemo… cercherò di fare in fretta.“
Terence la lasciò sola con i suoi bagagli. Non aveva voluto tornare al proprio hotel, lasciandola sola, per paura di tornare e non trovarla. Gli era parso strano che si fosse arresa senza troppe difficoltà, credeva che avrebbero litigato a lungo e che lei non lo avrebbe ascoltato.
Certo, non avevano ancora chiarito la questione che più gli stava a cuore, e cioè, loro due, ma ci sarebbe stato tempo.
Non poteva metterle fretta e, sulla nave, avrebbe avuto diverse ore per tentare di affrontare quel discorso che gli stava così tanto a cuore.
Non ci volle molto tempo prima che lei si presentasse al piano di sotto, con una piccola valigia. Aveva pensato e ripensato a ciò che stava per fare, poi aveva deciso di non pensare perché non riusciva a fare altro che crearsi nuovi dubbi, nuove domande a cui certo lei non avrebbe potuto rispondere. Avrebbe parlato con Albert, Annie ed Archie, concedendo loro il beneficio del dubbio. Era la scelta giusta, ne era consapevole.
Prima o poi avrebbe dovuto anche affrontare il discorso in sospeso fra lei e Terence, ma non si sentiva pronta, ogni cosa a suo tempo.
Quando incrociò i suoi occhi, mentre scendeva le scale per raggiungerlo, il suo cuore saltò un battito. Poteva raccontarsi tutto ciò che voleva, ma sapeva di amarlo; almeno a sé stessa non poteva mentire. Poteva dissimulare, fingere con lui, ma non con il proprio cuore. Come negare ciò che sentiva?
Silenziosamente raggiunsero l’hotel dove Terence aveva affittato una camera. Ritirò il suo bagaglio, saldò il conto e poi presero un taxi.
Non dovettero attendere molto il treno e, quel silenzio irreale che era calato fra di loro, fu presto sostituito dal chiacchiericcio degli altri passeggeri. Terence aveva cercato di prendere la valigia di Candy per potergliela portare ma lei, con un gesto brusco, non glielo aveva permesso.
“Pensi di rimanere in silenzio per tutto il tempo?”- gli chiese lei all’improvviso, poi aggiunse-“È un viaggio lungo, potremmo anche affrontarlo separatamente, se credi.” “Veramente stavo rispettando il tuo, di silenzio.” rispose lui sbalordito. Non credeva che volesse sentirlo blaterare ancora.
“Come stanno Albert e Karen?”
“Abbastanza bene. Preoccupati per te. Karen si è trasferita a Villa Andrew, Albert si rifiuta di cercare un’altra casa fino a quando non tornerai.”
“Mi spiace. Mi spiace che la mia decisione abbia influito e influenzato la loro vita. Spero che non me ne vogliano.”
“Perché dovrebbero? Albert sa meglio di me che abbiamo sbagliato.” disse Terence notando alcuni sguardi fissi su di lui. Non poteva certo aspettarsi di passare inosservato, sapeva di essere un viso noto anche in quello sperduto continente.
“Che succede?” gli chiese lei notando che era distratto. “Credo che qualcuno mi abbia riconosciuto. Ci sono un paio di ragazze che mi fissano da un po’!”
“Dimentico sempre che ormai sei famoso.” rise lei. Quella risata gli scaldò il cuore e lo riportò in vita.
“E’ bello vederti e sentirti ridere. Sai, ho temuto di non vedere più quel bel sorriso, di non vedere più i tuoi begli occhi e le tue stupende lentiggini. Mi sono mancante.” disse nascondendo una verità dietro ad una presa in giro, come suo solito.
“Sei sempre stato invidioso delle mie lentiggini; speravo te ne fossi fatto una ragione in tutto questo tempo.” scherzò lei.
Poi, d’improvviso cambiò espressione. Com’era possibile che le bastava stare con lui per dimenticare tutto e com’era possibile dimenticare con tanta facilità tutto il dolore? Si stava comportando e, si sentiva, come se nulla fosse accaduto. Scherzavano e ridevano come avevano sempre fatto.
“Anche tu hai l’impressione di essere tornata indietro nel tempo?” disse lui come leggendole nel pensiero. Lei si limitò ad annuire e, nuovamente, il silenzio calò fra di loro.
Il viaggio fino al porto di Southampton fu lungo e imbarazzante. Scambiarono ben poche parole e, solo una volta giunti presso la biglietteria, Candy sembrò tornare al presente. “Vorrei prenotare una cabina per me e mia moglie.” disse Terence.
Ottenne così una cabina matrimoniale in prima classe.
Il Mauretania. Ancora una volta quel piroscafo. Possibile che il destino si beffasse di loro? “Tua moglie? Ti ha dato di volta il cervello?”
“E come pensi che avremmo potuto giustificare la cabina matrimoniale?”
“Bastava prenderne due singole.”
“Non ci ho pensato.” rispose lui sincero. Non lo aveva nemmeno sfiorato l’idea di poter prendere due singole.
“Perché sei il solito impulsivo. Sappi che dormirai sul divano.”
“Va bene, non ti preoccupare.” rispose lui quasi strappandole di mano la valigia. Fu strano per entrambi poter passeggiare fra i piani di quella nave, era la stessa sulla quale si erano conosciuti, era la stessa sulla quale Candy aveva rapito il cuore di Terence.
Non poterono evitare di guardarsi e di rallentare, come per poter inspirare profondamente quell’aria di ricordi che sembrava avvolgerli.
Si sistemarono nella loro cabina e, una volta partiti, Candy volle fare un bagno.
Terence la lasciò da sola. Rientrò dopo un po’, quando lei era ormai pronta. Passò circa un’ora prima che Terence rientrasse e Candy rimase sola con i suoi pensieri. L’aspettavano quattro giorni di viaggio, doveva pensare a cosa dire alla sua famiglia, ma era troppo impegnata a chiedersi come tenere a bada sé stessa, i propri sentimenti e Terence. Sarebbe stata un’impresa, un’ardua impresa.
Lo lasciò solo, in modo che potesse fare un bagno, e si incamminò, senza neppure saperlo, verso quel ponte, quello stesso ponte.

Passò forse un’ora, ma non se ne accorse. Era troppo persa a guardare l’orizzonte, troppo impegnata a pensare, riflettere, ricordare, troppo impegnata a cercare una buona ragione per non perdonare, per non andare avanti, per allontanare quel giovane che aveva amato per così tanto tempo. Eppure non riusciva a trovare una motivazione valida, almeno non per il suo cuore. La mente le suggeriva che aveva sofferto tanto per lui ma il suo cuore, quello le diceva che lui era l’unico che lei avrebbe mai potuto amare.
Se voleva una vita senza amore, una vita mediocre, avrebbe dovuto allontanarlo per sempre. Se voleva vivere una vita felice e piena, doveva lasciarlo rientrare nel suo cuore, doveva concedere al loro amore una chance.
Era talmente presa da non rendersi conto che qualcuno le si era avvicinato.
Sentì sussurrare, molto vicino all’orecchio, un “ Ero certo di trovarti qui” e quasi sussultò. Era il suo Terence. Quella voce che amava tanto, quegli occhi blu che erano in grado di farle battere il cuore così forte, quel modo di fare irriverente e sfacciato che la irritava e che tanto amava…
“Mi sono chiesto se non fosse un segno del destino, sai? Il Mauretania, intendo.”
“Me lo sono domandata anche io all’andata, visto che la fortuna ha voluto che fosse il mio piroscafo anche durante la mia fuga.”
“È strano trovarci nuovamente qui insieme.”
“Sì.” si limitò a rispondere lei.
Sembravano entrambi sopraffatti dai ricordi e incapaci di distinguere il pssato dal presente. “Sei stato davvero antipatico quella sera.”
“ E tu invadente. Tu e quelle buffe lentiggini.”
“Ma se eri invidioso! Che sbruffone!”
“Ah, la Signorina Tarzan Tutte Lentiggini.”
“Se non la finisci potrei anche darti uno schiaffo.” finse lei sollevando una mano a mezz’aria. Lui stette al gioco e le bloccò il polso in una presa dolce ma forte allo stesso tempo.
Fissò gli occhi in quelli di lei e la guardò per in istante che sembrò durare per sempre.
Il cuore gli batteva velocemente, le mani cominciavano a sudargli e gli mancavano le parole. Mentre si faceva il bagno, aveva ripetuto mentalmente, almeno un centinaio di volte, cosa le avrebbe detto. Era sembrato facile quando era da solo, ma in quel momento, e con quegli occhi di brace fissi su di lui, era più difficile del previsto.
Le lasciò il polso.
Si fermò a guardare l’orizzonte e poi senza guardarla cominciò a dirle tutto.
“Ti amo. Credo di averti amato sin da quando ci siamo incontrati su questo piroscafo.”
Lei si voltò incredula, quelle parole, non si aspettava di sentirle, non così presto, non in quel momento. Lui si voltò verso di lei e proseguì.
“Sai che quando incontrai mia madre in Scozia, mi chiese di partire con lei?”
“ E tu che le rispondesti?” chiese lei, interrompendo quel mutismo in cui pareva essere caduta.
“Che avevo trovato una cosa più importante del teatro, qualcosa, o meglio, qualcuno, che mi interessava più di quel mio sogno. Eri tu Candice. Sapevo di amarti, anche se ero troppo giovane per ammetterlo, per dichiararmi, per fartelo capire.”
Le lacrime cominciarono a percorrerle le guance. Per quanto non avrebbe voluto mostrargli la sua debolezza, mostrargli come fosse inerme davanti a lui, non aveva saputo controllarsi. O forse non aveva voluto.
“Ho atteso per anni, ho rimpianto per anni di non avertelo detto, fino alla sera in cui… beh, ricordi.”
Lei si limitò ad annuire mentre cercava di placare le lacrime ed asciugarle.
Lui avrebbe voluto accarezzarle le guance e cancellare quelle tracce salate ma, se l’avesse sfiorata, l’avrebbe baciata e non le avrebbe mai detto tutto quello che voleva lei sapesse.
“Ti avevo mandato un biglietto di sola andata per New York e non era stato un errore. Avrei voluto chiederti di rimanere con me. Di sposarmi.” disse tutto d’un fiato, per paura che, se si fosse fermato anche solo per riprendere fiato, non avrebbe mai trovato il coraggio per continuare.
“Ti amo! Non ho mai smesso e non smetterò mai. Mi hai reso un uomo migliore, mi hai insegnato ad amare. Se sono quello che sono lo devo a te.” aggiunse prima di inginocchiarsi, poi tirò fuori dalla tasca quella scatolina di velluto, mentre lei lo guardava sorpresa.
Non riusciva a decifrare il suo sguardo, non capiva se era contenta o infastidita.

Quando lo vide inginocchiarsi ed estrarre una scatolina di velluto, la sua mente andò il tilt. Non riusciva a ragione, non riusciva a pensare, l’unica cosa che aveva nella mente era un “Sì” che avrebbe voluto urlare a pieni polmoni, ma che rischiava di rimanerle intrappolato in gola.
“Puoi perdonarmi? Puoi darmi un’altra possibilità? Mi faresti l’onore di diventare mia moglie?” le domandò lui speranzoso e timoroso.
Temeva che lei lo rifiutasse, temeva che la vita gli sbattesse nuovamente la porta in faccia. Passò forse un minuto prima che lei dicesse qualcosa.
Non si erano accorti della moltitudine di spettatori che si era radunata e che li stava fissando, curiosa e ansiosa di vedere come sarebbe andata a finire quella storia. In molti avevano riconosciuto in Terence, l’attore di Broadway, motivo per cui c’era una vero e proprio folla che li circondava.
Guardava quell’anello che l’attendeva lì, il suo dito fremeva per poterlo indossare. Poi si sorprese, la sua bocca si mosse come se non fosse collegata con la sua mente, forse il suo cuore ebbe la meglio sulla ragione, perché poté udire distintamente la propria voce proferire un timido e sussurrato “Sì.”
Lui si alzò e le mise l’anello al dito; era talmente emozionato che gli occhi gli si erano velati di lacrime e le mani gli tremavano.
L’attirò a sé. La guardò intensamente prima di ripeterle un “Ti amo.“ al quale finalmente anche lei rispose.
“Ti amo anche io Terence. Non ho mai smesso, nemmeno quando non ricordavo. Non ho nulla da perdonarti, abbiamo sbagliato entrambi. Sarà un onore per me poter essere tua moglie.” ammise lei, mentre lo fissava intensamente.
Quelle sue parole furono interrotte da un bacio che rischiava di toglierle il respiro.
Mentre nuove lacrime, stavolta di gioia, di emozione, e anche di paura, le bagnavano il viso, finalmente le loro labbra si incontrarono in un vero e proprio bacio. Erano talmente assorti che non si erano resi conto dello scroscio di applausi che li aveva avvolti.
Si baciarono ripetutamente prima di accorgersi di avere diversi occhi indiscreti puntati addosso.
Quando Terence se ne rese conto, la sollevò da terra, la prese in braccio e la riportò fino alla loro cabina. “Che fai? Ci guardano tutti!”
“Lasciali guardare! Sai perché ci guardano? Perché sono invidiosi di quanto sono fortunatoLa donna più bella al mondo sta per diventare mia moglie.” disse lui poggiandola in terra.
Candy ridacchio, le suonava così strana quella parola.
“Tua moglie…” disse quasi sussurrando. “Oh sì, la signora Granchester.” le disse lui come se dirlo rendesse più reale quel suo gesto impulsivo. Lei gli prese la mano e continuarono a camminare verso la loro cabina. Non sapevano nemmeno loro dove stavano andando, si stavano solo allontanando da quella folla di curiosi, eppure entrambi i loro cuori li stavano spingendo in un posto dal quale avrebbero potuto chiudere il resto del mondo all’esterno. Entrambi guardarono la porta della cabina.
Candy arrossì al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere.
Terence le strinse la mano e la guardò intensamente. Solo quando lesse che anche lei lo desiderava quanto lui, la baciò con passione, mentre apriva quella porta.
La sollevò nuovamente da terra e la portò dentro in braccio.
“Come vuole la tradizione, mogliettina mia.” le disse scherzoso.
Lei lo zittì con un nuovo bacio che venne seguito da un altro ed un altro ancora. La porta si richiuse alle loro spalle, lasciando all’intimità tanto attesa quella giovane coppia che si era ritrovata ed era finalmente libera di amarsi.
Avevano affrontato avversità e moltissimi problemi, ma il loro amore era sopravvissuto a tutto, era stato più forte di tutto.
Una vita radiosa li attendeva ora che finalmente avevano avuto il coraggio di lasciarsi alle spalle il passato e buttarsi a capofitto nel presente.
Finalmente il destino che li aveva separati li aveva riuniti e, questa volta, sarebbe stato per sempre.

Fu una lunga ed intensa traversata per Candy e Terence.
Ebbero modo di riscoprirsi, crescere insieme e di riprendere la loro storia da non avrebbero mai dovuto interromeperla.
Quando il Mauretania finalmente attraccò nel porto di New York, Candy pareva pensierosa. “C’è qualcosa che ti preoccupa?” le chiese Terence, leggendo in quel suo silenzio prolungato. “Pensi che cambierà qualcosa?”
“In che senso?”
“Ora che stiamo tornando alla vita di tutti i giorni.”
“Cosa dovrebbe cambiare?”
“Non lo so ma è sempre andato tutto storto…”
“Shhhh.” la zittì gentilmente lui poggiandole un dito sulle labbra.
“Se nemmeno la lontananza ed il passare degli anni è riuscito a mettersi fra di noi, se abbiamo superato tutte queste prove, non credi che non ci sia niente che possa separarci?” “Forse hai ragione. Lo spero tanto. Ma non posso non aver paura.”
Terence le diede un lieve bacio sulle labbra e lei si lasciò rapire da quel forte sentimento che li legava.
“Ti ho convinta?” le chiese sfoderando un sorriso malizioso.
“Credo seriamente che dovrai impegnarti di più.” lo stuzzicò lei.
“E’ una sfida? Lo sai che non mi tiro mai indietro.” scherzò lui, anche se infondo era sincero. “Puoi promettermi che faremo di tutto perché le cose non cambino?”
“Signorina, ma le cose devono cambiare. Prima di tutto devi diventare mia moglie. E poi… beh, non credi sia ora di mettere su famiglia?”
“Dici sul serio?”
“Non hai mai pensato ad avere dei figli?”
“Certo. O forse no. Cioè, non senza di te.” ammise lei arrossendo.
Lui le prese il viso fra le mani, lo sollevò leggermente affinché lei potesse guardarlo negli occhi.
“Tutte le volte che pensavo a dei figli sapevo che eri l’unica da cui avrei voluto averne. Ti ho desiderato come madre per i miei bambini per tutti questi anni.”
Lei sorrise e lo baciò a sua volta.
“Lo sai che ti amo?” gli chiese lei, una domanda retorica.
“Tu ricordarmelo ogni giorno.” le rispose lui serio.
“Lo farò.”
La prese per mano e si incamminarono lungo la banchina.
“Sei pronta per tornare a casa?” “Forse.”
Terence si fermò di scatto costringendo Candy a fare la stessa cosa.
“Ci sono io al tuo fianco. Non permetterò mai più che ti accada nulla. Te lo giuro.”
“Lo so. Mi hai sempre protetta, sin dai tempi della scuola. È anche per questo che ti amo. Hai sempre messo il mio bene davanti a tutto.”
“Ho anche commesso molti errori.”
“E altrettanti ne ho commessi io. Ma abbiamo deciso di voltare pagina e lasciarci il passato alle spalle.”
“ La mia vita è ricominciata da quando sei tornata a farne parte.”
“Non vedo l’ora di essere tua moglie.” rispose lei cercando di trattenere le lacrime che le stavano appannando la vista. Non voleva piangere, era felice e non voleva che le lacrime rovinassero quel momento prezioso.
“Ti amo Candy. Ti amo così tanto che fa quasi male.” le confessò lui. Lei lo guardò prima di aggiungere altro.
“ Promettimi solo che staremo insieme per sempre.”
“Per sempre.” rispose lui prima di poggiare le labbra su quelle della sua futura moglie.
Una nuova consapevolezza pervase entrambi.


Probabilmente avrebbero incontrato nuove difficoltà, ma l’importante era che avrebbero vissuto il tutto insieme, senza separarsi mai più. Insieme per sempre, come avrebbe dovuto essere sin da quel trentun dicembre del 1912. Insieme per sempre, nella buona e nella cattiva sorte.



NdA:
Oh mammina, siamo giunti alla fine! Manca solo l'epilogo.
Allora, spero di non avervi deluse. Sinceramente, trovavo superfluo l'inserire tutto il chiarimento con il resto della famiglia, mi premeva farla chiarire con il suo Terry e dare loro una speranza in un futuro migliore.
Nell'aggiustare l'HTML ho dovuto rileggere il capitolo e vi confesso di essermi emozionata.
Un'altra avventura che termina, con l'augurio a Terence di essere davvero felice.
Ringrazio chi mi ha sostenuta, sia silenziosamente che "rumorosamente" ( AH AH AH) e, vi ricordo, non boicottatemi l'epilogo.
Per la mia Tappeto di Fragole, rimanete sintonizzati.
Vi ricordo la mia pagina FB: I soliloqui di AlbionMay e... ragazze, se credete che ne sia valsa la pena, vi sprono a inserire la mia storia fra le ricordate o, se volete farmi l'onore, fra le preferite, così che possa mantenere la visibilità acquisita.
Grazie ancora a tutte!

 
   
 
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