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Autore: _vally_    04/05/2008    3 recensioni
Episodio 2x23; Cuddy chiede ad House di farle le iniezioni per la cura della fertilità. Questa storia è nata come un ipotetico seguito della scena in cui Cuddy va nell'ufficio di House, e lo ringrazia per le iniezioni, lasciando però intendere che non era lì solo per quello...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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4 – Sui tuoi passi

 

“Ero ormai sicuro che le avrei detto di si.”

“Ma l’hai fatta andare via senza dirle nulla.”

“Già.”

“Hai idea di come si senta, House? La conosci, dev’esserle costato tantissimo chiederlo a te.”

“Cosa intendi dire?”

“Che non sei la scelta più semplice.”

“Ma sono la migliore.”

Non poteva vederla, ma era sicuro che stesse sorridendo.

“Comunque, non sei la sua unica scelta.” Lapidaria.

Qualche istante di silenzio.

Fu House a romperlo: “Tutto qui?”

“Cos’altro dovrei aggiungere?”

“Mi aspettavo qualcosa di più brutale.”

“Vuoi che ti insulti?”

“Se volevo il consiglio del grillo parlante, non avrei speso i soldi di un’interurbana. Basta un squillo e Wilson mi richiama.”

La sentì fare un respiro profondo.

Probabilmente si stava lentamente passando la cornetta da una mano all’altra, mentre raddrizzava la schiena.

La conosceva bene, poteva prevedere ogni suo singolo movimento.

“Sei un idiota.”

Finalmente.

“Scusa?” sapeva che provocarla era superfluo ora che la miccia era stata accesa, ma le vecchie abitudini sono difficili da far passare.

“Ho detto che sei un idiota.” la donna scandì bene le parole, alzando leggermente la voce. “Senza dubbio Lisa ha scelta, ma il punto non è questo.”

“E qual è il punto?”

“Il punto è che sei tu a non avere scelta.”

House sapeva che sarebbe stata schietta, era per questo che l’aveva cercata, ma fu comunque colto di sorpresa da quella frase.

Nessuno dice mai la verità, e quando te la trovi davanti la sorpresa può esser così grande da ammutolirti.

“Lisa è la tua unica possibilità di diventare padre.”

“Non si tratta di diventare padre, si tratta di prendere qualche mio spermatozoo e impiantarlo nei suoi ovuli. So che è poco poetico, ma è quello che accadrà.”

“E’ quello che tu temi che accada. Temi di essere solo un donatore. Temi di creare qualcosa su cui poi non avrai il controllo.”

“I miei spermatozoi?!”

“Un figlio su cui non avrai nessun diritto.”

Silenzio.

“Ha qualche consiglio legale da darmi, avvocato?” il suo solito sarcasmo era inquinato da una nota d’apprensione.

“Chiarisciti subito con lei. Non pensare di rivendicare qualche diritto di paternità dopo la fecondazione, sarebbe inutile nel caso non fosse stata fin da subito d’accordo.”

House sbuffò, stordito da sensazioni nuove e forti, che lo confondevano.

Lo facevano sentire così lontano da ciò che era sempre stato convinto di essere.

“Il tuo ego smisurato si sta rendendo conto che ha bisogno di un erede per dar pieno sfogo al tuo delirio di onnipotenza. Stai tranquillo House, non è sensibilità, è solo che vuoi vivere per sempre, ed avere un figlio è l’unico modo per avvicinarcisi.”

Era sicuro che non fosse quello che realmente pensava, ma lei sapeva che era l’unica spiegazione che avrebbe accettato.

Tutto quel parlare di lui lo stava mettendo a disagio, e decise che era arrivato il suo turno di essere schietto e spietato:

“E’ meglio fare un bambino per un delirio di onnipotenza che per risanare un matrimonio noioso.”

“Il mio matrimonio non è noioso, e se lo è non lo sarà più tra un paio di mesi.”

Una mezza ammissione; House non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto.

“Sei già al settimo mese?! Scommetto che sei ingrassata almeno venti chili e ti senti uno schifo…peccato che alla tua età il corpo non ha speranza di recuperare la linea di un tempo...”

“Ho preso cinque chili e sto benissimo. Quando Gregory nascerà potrai venire a controllare di persona, così Mark potrà darti qualche consiglio sulla paternità.”

“Gregory?! Chiamerai tuo figlio Gregory? Stai scherzando?” Autentica costernazione nella sua voce.

“Certo che sto scherzando! E’ una bambina, il nome non l’abbiamo ancora deciso.”

Stronza.

Una carezza e uno schiaffo al suo ego, così repentini.

“Mmm. Fammi sapere quando nasce, Cameron ti scriverà un biglietto.”

“Credo che ci sentiremo prima.”

“Non contarci, Stacy.”

Click.

 

 

“Ero sicura che mi avrebbe risposto di si.”

Wilson la fissava senza il coraggio di dire nulla.

Aveva bisogno che Cuddy gli fermasse della carte, ed era sceso nel suo ufficio pochi minuti prima, ma aveva la sensazione di essere chiuso in quella stanza con lei da ore.

L’aveva trovata strana, e gliel’aveva detto.

Lei aveva negato.

Lui aveva insistito.

E così facendo, aveva rotto una diga.

Non aveva ancora pianto, ma gli occhi lucidi e la pelle arrossata gli facevano temere che sarebbe successo da un momento all’altro.

Gli aveva raccontato del suo progetto di avere un bambino, del progetto di averlo da House.

Era esterrefatto.

L’aveva ascoltata senza dire nulla, sperando che lei scambiasse quel silenzio per rispetto, mentre in realtà era incredulità.

Non poteva davvero credere che Cuddy, la Cuddy razionale che lui conosceva da anni, volesse un figlio da House.

L’irresponsabile, cinico, egoista House che entrambi conoscevano.

Era una pazzia.

Cuddy, però, ne parlava come se fosse l’opportunità migliore che avesse, ed era così determinata che non ebbe il coraggio di fermarla.

“Cosa ne pensi?”

La domanda, fatta a bruciapelo, lo colse alla sprovvista.

“Io…non so Lisa, è una cosa tua, vostra. Molto personale…” tentò di sviare.

“Non girarci attorno. Voglio sapere cosa ne pensi.”

Il suo tono era tornato quello di “Cuddy direttrice dell’ospedale”: era un ordine.

“Io credo…” distolse lo sguardo da lei, tormentato dal dilemma sull’essere sincero o accondiscendente. “Credo che il fatto che la tua scelta sia caduta così spensieratamente su House, sia una cosa strana.”

Sincero.

“Spensieratamente?! Hai idea di quanto ci ho messo per decidermi a fargli quella domanda?!” Cuddy appoggiò i palmi delle mani sulla scrivania, protendendosi verso di lui, in un modo che ricordò a Wilson un animale pronto ad attaccare.

Ma aveva iniziato e non aveva intenzione di fermarsi. “Appunto Lisa, tu ci hai messo tanto per trovare il coraggio di chiederglielo. L’idea di avere House come donatore, però, è stata impulsiva, e non mi sembra che tu ci abbia ragionato davvero, valutandone i pro e i contro…”

“Sarebbe solo un donatore.”

“Un donatore che lavora per te e che vedrebbe crescere suo figlio sotto i suoi occhi.”

Lisa aprì la bocca per replicare, ma la richiuse dopo pochi istanti, senza produrre nessun suono. Si lasciò andare nuovamente contro lo schienale della sedia, distogliendo lo sguardo dall’oncologo.

“Non credo che House verrà travolto dal desiderio di paternità.” lo disse senza guardarlo, la testa voltata vero un punto imprecisato alla sua destra.

Sapeva di essere su un territorio pericoloso; di essere vulnerabile.

“Io credo invece che è proprio quello che tu speri.”

Lisa tornò a guardare Wilson negli occhi, questa volta con aria di sfida.

“Io vorrei che un bastardo, egoista e misogino facesse da padre a mio figlio? Voglio solo che mi faccia da donatore!”

“E’ pieno di donatori anonimi che…”

“Lui è geneticamente perfetto!” lo interruppe lei, decisa.

“Bè, non solo geneticamente… Sono comunque molto lusingato. Continua pure.”

Wilson riconobbe House ancora prima che parlasse, leggendo l’espressione disorientata sul viso di Cuddy, che non riuscì a fermare la sua ultima frase per tempo.

L’oncologo si voltò, facendo girare la sedia sulle ruote. “Buongiorno House.”

Il diagnosta gli rivolse un rapido sguardo, per poi tornare a fissare Cuddy.

“Ci sto, ma voglio riconoscere il bambino. Fammi sapere.”

Senza lasciare il tempo a nessuno di replicare, si voltò, lasciando la stanza.

Wilson e Cuddy si fissarono qualche istante in silenzio.

“Il mondo gira al contrario.” mormorò l’oncologo, congedandosi.

Le fece solo un cenno con la testa, lasciandola sola.

 

Lisa rimase a fissare la porta immobile per un tempo che le sembrò infinito.

Poi sollevò una mano, portandosela lentamente al collo, e incominciando a massaggiarsi la nuca distrattamente.

I pensieri lontani anni luce da quell’ufficio.

Non riusciva a capire cosa le stava succedendo.

Niente panico, niente ansia; solo un calore che le si stava diffondendo dentro.

Una sensazione nuova.

I pezzi di un puzzle che tentava di risolvere da tutta la vita, e che ora si allineavano magicamente, al ritmo di poche parole.

Voglio riconoscere il bambino.

Una madre, una bambino.

E un padre.

Un elemento così ovvio, ma a cui non aveva mai pensato coscientemente.

Lei sperava che House volesse fare da papà a loro figlio, Wilson aveva ragione.

La considerava, però, solo un’illusione da tener lontano dai suoi pensieri.

Mai ci aveva pensato davvero.

Mai.

House.

Un uomo che pensava solo a se stesso, che tentava in ogni modo di raggirarla, umiliarla, prendersi gioco di lei; un uomo che dipendeva da un farmaco ed era arrabbiato con il mondo.

Questi erano pensieri razionali, che avrebbero dovuto farla preoccupare.

Allora perché continuava a sentire solo quella piacevole sensazione di calore che si espandeva dentro di lei, inesorabile?

Rapita dalle sue stesse sensazioni, non lo sentì avvicinarsi.

Quando si rese conto di non essere più sola, House era già seduto sulla scrivania, accanto a lei: il ginocchio a pochi centimetri dal suo braccio, il piede che dondolava e il bastone elegantemente appoggiato in mezzo al tavolo, sopra tutti i suoi documenti da firmare, le sue cartelle da controllare.

“Allora?” la guardava serio.

“Va bene.”

Continuò a fissarla serio, come a cercare un “ma” sul suo volto.

Non li avrebbe trovati.

“Ti darò l’indirizzo della clinica, puoi andare anche senza appuntamento.”

House non le rispose.

Lisa aspettò qualche istante poi, tentando di nascondere il tremolio della sua mano, prese un foglietto della scrivania, e scrisse rapidamente l’indirizzo.

Glielo porse, ma l’unica reazione che ottenne da House, fu un sorrisino, che le fece venire i brividi.

Senza molte cerimonie, infilò il foglietto nella tasca della giacca di lui e si alzò, trovandosi finalmente all’altezza del diagnosta, che aveva seguito i suoi movimenti senza dire o fare nulla. Solo la sua gamba che dondolava imperterrita.

“Fammi sapere quando avrai fatto la donazione. E poi…avremo molte cose di cui parlare, ma non ora. Scusa, ma sono un po’ scossa.” le ultime parole le disse quasi sussurrando: odiava mostrare il suo lato vulnerabile ad House.

La afferrò per un braccio quando armai pensava che sarebbe riuscita a girare intorno alla scrivania senza sorprese.

La attirò contro di sé.

House era ancora seduto sulla scrivania, e così per la prima volta lo poté guardare negli occhi senza alzare la testa. Era una cosa banale e stupida, ma le sembrò di vederlo da una nuova prospettiva.

“Hai intenzione di baciarmi?” gli chiese, con tono di sfida.

“No.” rispose House, non prontamente quanto avrebbe voluto; quella domanda così diretta non se l’aspettava, e distrusse i suoi piani.

“Bene.”

“Bene.”

Lasciò il braccio della donna, che indietreggiò di un passo, prima di voltarsi verso la porta.

“Cuddy.”

Lisa si voltò, con sguardo interrogativo.

“Mi servirebbe una tua foto nuda, o almeno in bikini. Mi sembra scortese pensare a Carmen Electra mentre faccio metà di nostro figlio.”

Gli sorrise, senza rispondere nulla.

Uscì dal suo ufficio sapendo che quando sarebbe tornata House non sarebbe stato più lì, ma le parole “nostro figlio” avrebbero aleggiato nell’aria ancora per molto tempo.

  
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