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Autore: Angeline Farewell    29/11/2013    5 recensioni
Cross-over Thunderfrost-Hiddlesworth
[...]Con Chris dimenticava persino quella parte fosse mai esistita, non aveva mai sentito come un’urgenza imprescindibile quella di mostrare il suo profilo migliore, mai.
Poi si erano baciati sotto un cielo troppo grande ed un sole troppo caldo, e non una volta aveva pensato fosse stato inopportuno, non una aveva pensato avessero qualche rotella fuori posto entrambi, o lui soltanto, perché baciare Chris era stato come ritrovare la coperta azzurra che non sapeva di aver perduto.[...]
[Questa storia va letta come naturale seguito di Såsom i en spegel, rimando quindi alla lettura della storia per la comprensione degli eventi.
La storia tenta di seguire il filo degli avvenimenti realmente accaduti fino al 17 Aprile 2011, data della Premiere australiana di Thor, da quel momento in poi, è tutto da considerare una mia totale invenzione. Nel primo capitolo, ulteriori ragguagli e warning.
]
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Samskeyti '
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Åtta
 
 

Atto VIII, Preludio.

Il fumo acre di legna bruciata aveva raggiunto e coperto ormai persino la parte alta della cittadella, il palazzo reale sembrava aleggiare su miasmi scuri come un tetro presagio.
Dalla piazza d’arme si sentiva il clangore delle armi che cozzavano contro le armature, i soldati erano pronti per un ordine che non arrivava. Sapevano il principe fosse riuscito a trovare l’intruso, sapevano lo stesse combattendo e sapevano che la loro presenza era dunque inutile. Ma si tenevano pronti ed avevano paura, perché intere legioni di loro compagni erano stati feriti o arsi come tizzoni da un fuoco che sembrava senza origine e senza fine, sapere fosse stato un unico uomo a creare quel gorgo demoniaco di fiamme che aveva reclamato tante vite per il Valhalla non li faceva sentire sicuri. Nemmeno sapere il possente Thor l’avesse trovato mitigava il terrore che scorreva sotto le corazze e la pelle.
Molti avevano timidamente sollevato lo sguardo verso il palazzo reale, verso la balconata che rimaneva vuota, per fortuna. Ma sapevano il re fosse lì, dietro quei tendaggi pesanti, assiso al trono forse ad osservare lo scontro nella sua infinita saggezza.

Ed infatti era lì, con la sua regina seduta al fianco che guardava insieme a lui uno scontro che non poteva più tenerle nascosto, un passato che era ritornato tutto insieme senza lasciarla sconvolta, ma con gli occhi tristi e asciutti.

Frigga aveva preso la mano di Odino e l’aveva stretta forte.

“Non puoi dirmi di poter accettare.”

“No, non lo accetto.”

“O di capire.”

“Non lo capisco.”

“Allora perché, come puoi essere tanto tranquilla.”

“Non lo sono, i nostri figli si stanno ammazzando tra loro.”

“Facevano di peggio.”

“Forse. È probabile tu abbia ragione. Ma il peccato era tenuto segreto da pace, forse felicità. Ora guardali, sono di nuovo insieme, ma c’è solo sangue a riempire un vuoto.”

“Tu avevi visto?”

“Aloni. Le stelle dipingono fatti, non sanno combinare i colori dei sentimenti.”

“Perché non hai fatto niente?”

Frigga aveva sospirato profondamente. Non v’era accusa nella voce di Odino, solo stanchezza, dunque non s’era adontata per la domanda, ma aveva preferito raccogliere i pensieri un momento ancora prima di rispondere.

“Come si affrontano i fantasmi? Quello che avevo intravisto era solo uno dei tanti futuri possibili, solo uno dei mille modi in cui i fili delle loro vite avrebbero potuto intrecciarsi.”

“Hanno scelto quello più orribile.”

“Dici? Amore mio, io ho visto, molto più di quel che potrà mai vedere Heimdallr nell’infinito dei suoi occhi senza tempo. Conosco ognuna di quelle possibilità e per tutte ho tremato. Quando mi hai messo quel fagottino tra le braccia, tanti e tanti secoli fa, io ho saputo. Sapevo sarebbe stato l’usignolo che avrebbe provato a tramutarsi in cuculo solo per bruciare e poi risorgere come serpente.”

“Frigga…”

“No, ascoltami. Si colpiscono ancora, abbiamo tutto il tempo prima di dover dire addio ad uno di loro. O a entrambi.”

E la voce di Frigga sì, in quel momento, nascondeva un velato rimprovero al Signore dei Cieli. Perché una moglie perdona il marito, ma per una madre è più difficile assolvere un padre.

 

Atto VIII, Scena I.

“Non è colpa sua, non fargli del male.”

Il mortale non smetteva di ripetere quelle parole come un mantra, dopo ogni colpo Loki riuscisse a mandare a segno, dopo ogni colpo riuscisse ad evitare.

E Loki avrebbe voluto urlargli di stare zitto, ma non riusciva a risolversi a farlo, perché una volta additato, sarebbe stato costretto a riconoscere la realtà della sua esistenza e ricordare quello che era stato.

Loki non voleva ricordare nulla oltre il presente di quello scontro.

Thor non aveva emesso un fiato prima di attaccarlo e Loki ne era stato tanto deluso da aver probabilmente abbassato l’asticella del suo controllo abbastanza da far riemergere l’altro da qualunque angolino buio si fosse nascosto. Era arrabbiato: con il mortale, con Thor, con Asgard, con se stesso.

Sigurð bruciava, il regno bruciava e non vi era una sola ragione plausibile – o visibile – al mondo perché stesse succedendo. Nessuno sapeva tranne Loki stesso, e Odino. Che non avrebbe parlato, che non avrebbe fatto nulla oltre mandare suo figlio a correggere i suoi errori.

Era arrabbiato. Si concentrava sulla sua rabbia per non cedere ai ricordi di altri scontri consumati tra quegli stessi alberi ora combusti, altro sudore versato e mischiato su quelle stesse pietre ora coperte di fuliggine e morte.

Ma ogni colpo era una lacrima che non poteva versare e Loki lo sapeva bene.

Thor continuava a non parlare, si limitava ad affondare fendenti che non andavano mai davvero a segno, ad evitare quelli di Loki, che volevano essere mortali, ma senza reale convinzione.

Loki non sapeva come avessero finito per gettare le armi e prendere a colpirsi a mani nude in un corpo a corpo tanto serrato da sfiorare l’osceno.
Erano rotolati al suolo sulla cenere ancora rovente e nessuno dei due vi aveva badato, Thor sovrastava Loki come una barriera, ma non v’era più nulla di rassicurante in... No, quello era un pensiero del midgardiano, non di Loki.

Va’ via.

Ma non smetteva e gl’impediva di usare la sua magia quanto avrebbe voluto. E Thor gli era addosso e lo teneva fermo contro le rovine della bellezza di Asgard. Di quello che erano stati.
Si battevano e si ferivano, ma nessun colpo sembrava poter essere quello definitivo e il tempo sembrava essersi dilatato in un unico lunghissimo istante senza fine né principio: sembrava si stessero battendo da sempre eppure che avessero appena cominciato.

Thor continuava a colpire e colpire il nemico che aveva di fronte, un mago potente eppure solo un ragazzo troppo pallido e sottile. Non gli aveva dato modo di parlare, ma sentiva la mancanza di quel suono, non l’aveva guardato negli occhi ma desiderava scoprire di che colore fossero, capire se il lampo di smeraldo che l’aveva salutato quando era giunto fosse solo frutto della memoria di Sigurð. Lo colpiva, ma il tempo gli aveva insegnato l’odore della guerra e a riconoscerlo persino tra le pieghe della pace: i suoi muscoli si tendevano e si piegavano senza voglia al ruolo per cui erano stati scolpiti, Mijölnir giaceva inutilizzato dove l’aveva lasciato, pregava la sua armatura si disfacesse ancora un poco come gli abiti del suo rivale, perché l’odore che riempiva l’aria non era fuoco e non era guerra e non era sangue.

E l’altro rispondeva colpo su colpo con quel suo corpicino così sottile, inutile su Asgard, ma sentiva la sua rabbia sotto la pelle e sentiva di poterne riconoscere l’impronta e persino l’origine. Perché?

Thor sentiva le vecchie ferite riaprirsi per lo sforzo dello scontro, sotto la forza dei colpi ricevuti, eppure sentiva montare dentro una calma che non percepiva più da tanto tempo. Era come essere giunto alla fine del viaggio, come se tutti gli scontri che aveva cercato, i mostri che aveva combattuto, fossero stati semplici passi per arrivare lì, in quel momento, sul suolo devastato di una foresta a pochi passi da casa per affrontare un ragazzo all’apparenza innocuo, come può esserlo la fiamma in un camino d’inverno. E come davanti alla brace di un focolare sentiva di poter finalmente smettere di cercare: era giunto a casa.

Ma quel ragazzo era il nemico, che fosse dunque impazzito del tutto? Che la rabbia senza senso, il vuoto che sentiva nella testa e nel petto avessero infine intaccato irrimediabilmente la sua ragione?

“Perché?”

Aveva disubbidito a suo padre e al suo re, ma la voglia di sapere era stata troppo grande: perché portare tanta distruzione insensata, dato che il cuore della cittadella non sembrava essere tra i bersagli del mago?
Ma non aveva osato guardarlo, pur se ne sentiva l’alito caldo inumidirgli una guancia. Pur se l’odore di quel sangue gli scivolava nelle vene quasi volesse prendere il posto del suo.

“Il mio cuore ha appetiti che non puoi nemmeno sperare di concepire, e la mia rabbia è tanto profonda da non poterne sfiorare il fondo. Se non posso saziare i primi, non mi resta che riempire la seconda.” (1)

E Thor aveva rabbrividito. E l’aveva guardato negli occhi.

Non si era nemmeno accorto quando aveva perso del tutto il controllo e il cielo aveva preso a grondare. Nessuno dei due si era mosso nonostante i tuoni sembravano voler spaccare la volta, respiravano sangue, fango e acqua e Thor aveva stretto impercettibilmente la presa sul collo di un nemico che non sapeva chiamare. Il suo avversario aveva gli zigomi lividi, il viso pesto e lacero, ma le sue labbra spaccate e sanguinanti erano piegate in un mezzo sorriso di scherno.
Thor non riusciva a fare altro che fissarlo, ormai erano entrambi zuppi e la cenere non lasciava che il suolo filtrasse a dovere la pioggia.

Il suo cuore aveva preso a battere tanto forte da poter esplodergli nel petto e, per un momento, era tornata la vecchia sensazione di vuoto incolmabile, la rabbia indescrivibile che gli faceva cercare  qualcosa che forse non esisteva se non in un angolo cieco del suo sguardo. E quegli occhi verdi come le foglie che non c’erano più lo fissavano come se potessero scavargli dentro e strappargli dal petto il nucleo stesso della paura che era all’origine di tutto.

Un fulmine si era fatto strada nell’aria esplodendo al suolo poco lontano da loro e la terra aveva tremato, e Thor stringeva di nuovo Mijölnir e la sua rabbia cieca tra le dita. E aveva colpito.

Quando aveva riaperto gli occhi il cielo aveva smesso di piangere e urlare.

Il suo martello aveva scavato un buco profondo diversi centimetri nel suolo non più fradicio, ma secco e spaccato dal calore dell’arma.

La testa del suo nemico giaceva a qualche centimetro di distanza, intatta, solo una bruciatura sulla guancia denunciava avesse sentito il colpo.
Un silenzio irreale era calato su Asgard e tra loro, Thor continuava a tenerlo schiacciato al suolo e a fissarlo senza rendersi conto dello stupore che lo vestiva, incredulità che poteva leggere anche negli occhi dell’altro.

Occhi che sembravano essere sbiaditi, limpidi come acqua e altrettanto chiari. Sbarrati in uno stupore deluso, amareggiato. Rassegnato.

“Se non si può avere quel che si desidera, tanto vale distruggerlo, giusto. E tu non sai nemmeno cos’è che rimpiangi, non è così, Odinson?”

E Thor avrebbe voluto poter trovare la forza di colpirlo davvero e strappargli quella lingua velenosa dalla bocca. O chiudergliela come non avrebbe mai dovuto nemmeno considerare.

 

Atto VIII, Scena II.

“Cosa vuoi che faccia? Che dimentichi quello che io ho visto? Che li lasci fare, li lasci a rotolarsi come animali insudiciando il trono e la nostra famiglia?”

“Non ho detto questo, ma non è una decisione che puoi prendere da solo.”

“Sono il loro re!”

“Ma sei anche un padre. Non si può giustificare il modo in cui si amavano, ma come accettare il modo in cui si odiano?”

“Lui non è uno di noi, non lo è mai stato fin dall’inizio. Tu puoi vedere il futuro degli uomini nelle stelle, ma io quel futuro devo poterlo offrire a quegli stessi uomini: e cosa può donare o proteggere un trono senza onore e senza vergogna? Abbiamo un unico erede, uno solo, Frigga. Thor dovrà sedere su questo scranno e guidare i Nove, e come potrà farlo con un serpente che gli sussurra all’orecchio?”

“Tu dai per scontato la colpa sia da cercare unicamente in Loki.”

“E in chi altri? È un manipolatore e un bugiardo. E io non ho generato un depravato!”

“Allora forse l’ho concepito io.”

Tra loro era calato un silenzio denso come ambra, e come tale sembrava dovesse cristallizzare quella muta accusa che galleggiava tra loro, perché qualunque cosa Odino potesse dire, erano genitori di figli entrambi amatissimi, e insieme non si erano accorti dove la loro diversità li aveva portati ad incontrarsi.

“Non era così che dovevano andare le cose. Riesce a metterci l’uno contro l’altra anche senza parlare, dal giorno in cui l’ho raccolto. Non avrei mai dovuto farlo.”

“Sai di mentire eppure continui sapendo sia inutile. Ascoltati, non riesci nemmeno a pronunciare il suo nome insieme alle minacce. Tu non vuoi che Loki muoia come non lo voglio io e non lo vuole Thor, eppure hai mandato proprio lui ad affrontarlo e-”

“È il difensore dei mondi, è suo compito fermare un pericolo imminente. Ed è stato un suo errore, deve imparare ad affrontarne le conseguenze e a correggerli.”

“E cosa succederà quando scoprirà cosa è successo, cosa gli hai fatto fare? Cosa succederà quando l’avrà ucciso e non sarà comunque abbastanza soddisfatto da aspettare il trono, preferendo farsi macellare inutilmente su un pianeta sconosciuto? Dimmelo, Odino, quando avrà corretto il suo errore, come gl’impedirai di commetterne di definitivi?”

Il Padre degli Dei aveva sospirato pesantemente. Oltre le vetrate la pioggia aveva cominciato a cadere con violenza, segno che l’ira di Thor stava raggiungendo l’apice. E lui non sapeva come sentirsi, perché Frigga aveva ragione, su di lei il suo incantesimo aveva avuto tiepide seppur malaugurate conseguenze, ma su Thor aveva prodotto effetti nefasti: quante volte aveva rischiato di perdere un arto o, peggio, la vita lontano da casa? Odino aveva sempre saputo cosa – o meglio chi – stesse cercando, quale vuoto stesse tentando di riempire, ma non poteva accettarlo: preferiva un erede monco all’infamia di quel che desiderava.

“Non succederà. Mi assicurerò che non succeda.”

E Frigga si era alzata dal trono ed allontanata da lui, sembrava non voler più guardare lo scempio di due figli che si amavano tanto da distruggersi. Si era diretta ad una delle finestre laterali e Odino l’aveva raggiunta, non l’avrebbe mai detto ad alta voce, ma non voleva vedere quel sangue versato.

“Il ragazzo è ancora vivo.”

“Cosa? Di chi parli?”

“Il ragazzo midgardiano. Loki sta usando il suo corpo, ma lui è ancora vivo. Soffre molto, ma c’è ancora.”

“Non soffrirà ancora a lungo.”

“E’ dunque questo che siamo? Asgard aveva giurato di proteggere i mondi e i loro abitanti e prendiamo la vita di due midgardiani innocenti?”

“Non avrebbero dovuto-”

“Cosa, esattamente? Volersi bene? Non era nostro diritto intervenire, non era tuo diritto interferire nelle loro vite. Quel che facevano o avrebbero fatto di loro stessi non doveva riguardare nessun altro che loro. Invece hai strappato due figli innocenti alle loro madri.”

“Sei troppo sentimentale e non è con il cuore che si comandano i frutti di Yggdrasil. Accadrà quel che deve accadere.”

“Quel che tu hai deciso debba accadere.”

Un boato era risuonato in lontananza fino al palazzo, le pareti e il pavimento avevano vibrato per un secondo, così come i lampadari avevano preso ad oscillare tintinnando.

Aveva smesso di piovere. Odino e Frigga avevano smesso di parlare, forse di respirare.

Finchè la regina non era corsa verso il trono e vi si era seduta su Hliðskjálf senza fiato, con gli occhi vanamente chiusi a tentare di proteggersi da quel che avrebbe visto.
Odino non si era mosso né sembrava avere intenzione di farlo, se ne stava immobile davanti alla finestra che mostrava il cielo cupo ma di nuovo asciutto, e si limitava a guardare sua moglie che si era sciolta in lacrime. Singhiozzava e Odino, in quel momento, si chiese per un istante cosa avesse fatto.

“Non è successo. Non è successo, non è morto. Non puoi costringerlo.”

La rabbia per il sollievo di sua moglie era durata la frazione di un istante, ed era stato il re a provarla. Il padre aveva nascosto il sollievo dietro una maschera e si era avvicinato al trono, alla donna che amava da millenni e che da altrettanti anni era la sua più fidata amica e confidente.

“Se non posso costringerlo, non so più cosa fare.”

Frigga gli aveva preso una mano e l’aveva stretta forte, portandosi il palmo alle labbra, l’aveva invitato a sedersi, a guardare anche lui i due ragazzi immobili e confusi, che come lui non sapevano cosa fare. L’aveva invitato a sentire il loro dolore e la loro angoscia, a percepire quella dell’anima del mortale che ancora cercava risposte e l’altra metà del suo cuore.

“Riporta tutto com’era. Tu puoi farlo.”

“E a che sarebbe servito tutto questo?”

“A darci una lezione.”

“Non posso comunque accettare quel che faranno di nuovo.”

“Possiamo affrontarli in altro modo. Possiamo cercare di capire il perché.”

“E come?”

“Abbiamo alle spalle secoli di cambiamenti cui non abbiamo preso parte, forse è il momento giusto per aprirci e cercare di cambiare le cose parlando, senza combattere.”

“Quale tempo vuoi che scelga?”

“Quello giusto. Anche i mortali meritano la loro opportunità, hanno trattato bene i nostri figli. Se lo meritano.”

 

 

 

 

Note:

(1)“I have love in me the likes of which you can scarcely imagine and rage the likes of which you would not believe. If I cannot satisfy the one, I will indulge the other.”  - Mary Shelley, Frankenstein.
Ho solo parafrasato una delle più belle rappresentazioni del “mostro” siano mai state scritte.

   
 
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