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Autore: Sorella_Erba    04/05/2008    5 recensioni
«Di grazia, Farrell. Tu che passi tutte le tue notti con un uomo, cosa saresti?».
Lo guardo sbattendo più volte le palpebre, come un bambino che ascolta il suono di una parola mai udita prima.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di cominciare a leggere, vi do un avvertimento, ragazzi. E' la mia prima Colin/Jared XD
Ho iniziato ad appassionarmi da qualche mese a questa coppia - chiamiamola pure effettiva. Loro due, tanto stanno insieme. Me lo sento! -, subito dopo aver visto Alexander. Il film Galeotto, yep. Ho contagiato persino Giù, la mia metà!
Spero sia di vostro gradimento!



Nail black polish - Colour on his nose.

La zona che Jared – più di tutte le altre – preferisce di casa mia, è il davanzale della finestra della camera da letto. Non so se sia il panorama tranquillo e verdeggiante che vanta ad attrarlo, o magari il comfort dei cuscini che ho sistemato sulla panca sotto suo consiglio; regolarmente, quando mette piede in casa, si fionda qua dentro senza tanti complimenti.
Un saluto sussurrato in un abbraccio veloce.
Niente baci, niente sesso. Non subito almeno.
Ormai ci ho fatto il callo. Prima di concedersi ad altri, Jared ha bisogno di trascorrere del tempo in compagnia di sé stesso.
Sulle prime, mi bastava aggrottare la fronte, ostentando un’espressione incuriosita mentre marciavo verso il salotto per sedermi a guardare delle partite di calcio in tv.
La curiosità, alla fine, prese il sopravvento.
Ricordo di aver trovato la porta della mia camera socchiusa, quel giorno, e tanto mi fu sufficiente per scorgerlo seduto sulla cassapanca con la schiena ricurva. Tanto sforzai gli occhi che riuscii a capire il motivo di quella posizione.
Ne rimasi basito.
E lo sono ancora, ovvio.
È da allora che ho cominciato a chiamarlo ‘checca’.
Una volta mi lasciò a pranzare da solo da Joan’s perché gliel’avevo detto con naturalezza impressionante e un sorriso galante sulla bocca. Per giunta, Joan’s è il suo ristorante preferito.
Lui però continua a farlo lo stesso, imperterrito, per dispetto. E sempre a casa mia.
Adesso si trova con le gambe comodamente allungate sulla panca e il braccio destro disteso sulla base della finestra. La mano è aperta, col palmo rivolto ad accarezzare il legno; l’altra tiene fra due dita un pennellino intinto di liquido nero.
Sbatto gli occhi, inspirando rudemente, con una spalla poggiata alla cornice della porta.
L’odore che infesta la stanza – la mia stanza, la stanza in cui dormo - è disgustoso, non c’è altra definizione.
«Che olfatto sottile, Farrell».
Ghigna, il bastardo. Sa che m’infastidisce, eppure continua. Mi lancia uno sguardo veloce, accorgendosi del mio naso arricciato; poi cala gli occhi e riprende il lavoro.
«Femmina mancata, ecco cosa sei», sibilo in tono velenoso. Per risposta, ho un mugugno divertito.
«Dici che dovrei tingermele di viola? Di questo passo, il nero potrebbe iniziare a stufarmi».
Alza la mano destra, fissandosi il pollice. Storce la bocca sottile in una smorfia.
Riflette sullo smalto da usare? Per Dio.
«Dico io, non ti basta smaltarti quelle unghie? Vuoi anche un colore che sia alla moda?».
Sono schifato, leggermente schifato. Magari lo starà intuendo dalla mia espressione, che per un fugace momento ha messo a fuoco.
Jared scuote il capo e alza gli occhi al cielo.
Invoca Dio, lui, quando dovrei essere io a farlo.
«Sei un uomo, Jay. Un uomo», rimarco, facendo cenni verso di lui. «E, secondo te, un uomo si tinge le unghie?».
A questa domanda, Jared inspira a fondo e sospira. Mi punta di colpo le iridi bluastre addosso, scrutandomi con un’intensità tale che sembra volermi carbonizzare con i soli occhi.
Mi sento sciogliere, ma sostengo il suo sguardo con la stessa durezza.
Jared apre le labbra e prende fiato.
«Fattelo dire, Colin», scandisce. «Tu non capisci un cazzo».
La mia espressione dura si scioglie come ghiaccio al sole. Lui se ne accorge e sorride, trionfante, ritornando a smaltare.
Intinge la punta del pennello nella boccetta di smalto. Dalla punta intinta scivola via una goccia. La vedo cadere, crollare, precipitare.
La. Vedo.
La sua caduta s’infrange su uno dei cuscino della cassapanca, macchiandolo.
Se Jared si voltasse esattamente in questo istante, riderebbe di me. I lineamenti del mio viso sono contratti dal dolore.
Sono afflitto e no, non riesco più a contenere la mia angoscia.
«Per Dio, Leto!», sbotto esasperato, allargando le braccia. «E attento con quel coso!».
«Che…?». Lui ci mette un po’ ad alzare la testa.
Guarda me con puerile interesse, per poi abbassare gli occhi sul suo misfatto.
Dischiude di poco la bocca. «Ops».
Mi ritrovo a digrignare i denti con rabbia. Mi scosto dalla cornice della porta in un balzo.
«Grande, checca, grande!», inveisco e inizio a marciare per la stanza, gli occhi rivolti al soffitto. «Sei il solito, Jared… ah, per Dio!».
Non voglio immaginarmi la sua bocca arricciata, né la sua fronte aggrottata dal cruccio.
«Colin, santo cielo, ne stai facendo una tragedia greca!», alza la voce anche lui, mollando il pennello, che imbratta pure il legno chiaro del davanzale.
È troppo. Mi si stringe lo stomaco.
«Guarda, guarda!», piagnucolo, avvicinandomi a lui. «La mia finestra, il mio cuscino!».
Afferro il cuscino per l’arricciatura del bordo e lo scuoto davanti al suo viso.
Quando lo rimetto al suo posto, con un sospiro pesante, Jared mi osserva impressionato. Se possibile, i suoi occhi sembrano ancora più grandi.
«Sei un idiota, tu», mormora. «Un idiota totale».
Mi porto le mani alla testa; le dita si immergono nei capelli, e chiudo gli occhi.
«Io odio lo smalto». Sembra quasi una giustificazione. «E tu lo sai».
Va bene, lo è.
Per l’ennesima volta in quei pochi minuti, Jared scuote la testa seccamente. Intinge il pennello nella boccetta e si china nuovamente sulla mano, a completare l’opera.
È più forte di me. Ce l’ho sulla punta della lingua.
«Checca», cadenzo con forza.
L’ho detto.
Sento di poter fare anche lo spelling, per evidenziarlo ulteriormente.
Jared apre bocca, senza guardarmi.
Lo percepisco. Sta per dire una di quelle sue frasi che fanno restar secchi, privi di risposte degne da ribattere.
«Di grazia, Farrell. Tu che passi tutte le tue notti con un uomo, cosa saresti?».
Lo guardo sbattendo più volte le palpebre, come un bambino che ascolta il suono di una parola mai udita prima.
È stato acido, lo sapevo. Più stronzo di quanto mi aspettassi. Lo risapevo.
Boccheggio, grattandomi la nuca.
«Non tutte», rispondo esitante. L’ho detto in un pigolio. Ho sbagliato.
Jared sorride, perfido. Il suo sorriso mi apre il cuore, ma in questo momento la voglia di sbriciolargli tutti quei denti lucidi e perfetti con un sol pugno prevale su ogni altro sentimento.
«Diciamo pure la maggior parte». Annuisce e si schiarisce subito dopo la gola.
Cerca di trattenere una risata, lo noto, mentre smalta l’unghia del mignolo con un’accuratezza degna di una donna.
Le mie sopracciglia si inarcano e stringo le labbra, mordicchiandole con gli incisivi.
Jared inclina la testa verso destra a lavoro finito. Solleva di poco la mano e la fissa; lo vedo accigliarsi prima di passare sotto il pennellino dello smalto anche le unghie dell’altra mano.
Lo ammetto: mi fa pena.
Vederlo qui, affacciato alla finestra, coi capelli ondeggiati dalla frescura serale, a tinteggiarsi tutto contento le dita delle mani.
A casa mia.
Cosa non si fa per fare scena…
Ma, tutto sommato, mi piace. Forse più del dovuto, devo ammetterlo.
Mi faccio pena anch’io, adesso. Misero me.
Mi siedo per terra, accoccolandomi vicino a lui e posando il mento sulla cassapanca imbottita. Per l’esattezza, sul cuscino macchiato.
Jared non mi dice nulla; mi ha appena lanciato un’occhiata di sottecchi.
Piego la bocca.
Penso sempre più di sembrare un bambino, davvero: guardo Jared come se fosse qualcuno molto più grande e raziocinante di me, qualcuno da ammirare. Quasi fosse un padre.
Mi correggo, una madre. Dopotutto, si sta smaltando le unghie, per Cristo.
È calmo, non gli leggo in viso un minimo cenno d’irritazione. Eppure abbiamo appena litigato.
Solitamente, alla fine di un battibecco, esce a fare un giro per sbollire la rabbia, sbattendosi il portone di casa alle spalle, e mi lascia dentro a marcire fra i sensi di colpa. Inutile dire che, al suo ritorno, mi abbasso persino a domandargli scusa e a baciarlo per primo.
È l’unico, efficace metodo che lo convince a venire a letto con me.
Con un brontolio soddisfatto, Jared si raddrizza e sorride alle sue mani.
«Belle, eh?», attacca compiaciuto.
Nere.
Unghie nere. Così fottutamente nere.
«Uhm, no. Non credo che mi stancherò mai del nero».
Rimango zitto. È il miglior provvedimento per non andare in bianco.
«Ci vediamo di là. Ho fame!», dice.
Avverto all’improvviso il fastidioso odore dello smalto divenire piuttosto forte. Dei brividi di disgusto mi scrollano le spalle.
Prima di chiudere la boccetta nera, Jared mi ha lasciato sul naso una scia di smalto.
Smalto nero, per Dio.
Si alza dalla panca e mi abbandona lì, sul pavimento. Lo guardo attraversare in pochi saltelli la stanza, felice.
Sta per sparire oltre la porta, nel corridoio, quando si ferma un istante e rivolge il viso a me.
Sorride ancora, bello come sempre.
«C H E C C A», sillaba, divertito.
Si dilegua per andare in cucina, bastardo come non mai.
Ora capisco il suo fastidio. Eccome.





! Traccia: Smalto. Interno di un palazzo. Corridoio. Davanti ad una finestra.
[Il palazzo è magicamente diventato una casa. Ma dettagli XD]
Ah, dimenticavo: Colin Farrell e Jared Leto non mi appartengono, né conosco i loro caratteri. One shot scritta senza scopi di lucro.




A Giù.
Hai bisogno di un motivo valido?
Sono rimasta a corto, I'm sorry.





   
 
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