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Autore: Aine Walsh    30/11/2013    3 recensioni
C’erano solo due ragazzi, Annie e Finnick, isolati dal resto del mondo come se fossero tenuti prigionieri all’interno di un’enorme gabbia di vetro, circondati da nient’altro che fosse il freddo, la neve, il ghiaccio o i battiti accelerati dei loro cuori.
«E se domani venisse estratto il mio nome?».
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Counting stars

Lately, I’ve been, I’ve been losing sleep
 Dreaming about the things that we could be

«Sei davvero sicuro che il ghiaccio non si spacchi?». Sdraiata con le mani poggiate sull’addome, le gambe appena sollevate e gli occhi rivolti al cielo sopra di lei, Annie non riuscì a trattenersi ancora e parlò, spirando una nuvoletta bianca di condensa, mascherando quel lieve senso di inquietudine con il dubbio.
«Hai forse paura, Cresta?» ridacchiò beffardo Finnick, supino accanto a lei.
La ragazza sbuffò. «Certo che no; voglio solo evitare di finire come un merluzzo congelato, tu che ne pensi?».
«Penso che puoi stare tranquilla, lo stagno è abbastanza piccolo e il ghiaccio che lo ricopre è più spesso del dovuto, per cui non c’è il rischio di finire ibernati prima del nostro tempo. Poi vorrei ben dire, non metto mica a repentaglio la mia vita in questo modo».
Annie sorrise, dandogli una gomitata al braccio. «Mi sembra un ragionamento molto coerente».
«Ahi!» esclamò Finnick, massaggiandosi l’arto dolorante. «Come osi sfidare me, ragazzina? Sai chi sono io? Io sono…».
«Il più grande idiota del Distretto 4, non si discute!».
La fissò stupefatto con le labbra dischiuse. «Tu non hai affatto idea del grosso guaio in cui ti sei cacciata» sibilò con una buffa voce minacciosa, come a fare una parodia di se stesso, mentre si tirava su a sedere. Sollevò un pugno ed Annie strizzò immediatamente gli occhi, chiudendoli, ridendo divertita perché sapeva che il ragazzo non sarebbe mai stato in grado di colpirla. E così fu: la mano di Finnick scese e si fermò ad accarezzarle dolcemente i capelli scuri.
Il gesto, inaspettato e semplice eppure tanto deciso e intimo, unito alla stretta vicinanza dei loro due volti imbarazzò Annie a tal punto da spingerla scioccamente ad allargare le distanze improvvisando un: «Era un crepitio, quello?».
Finnick si sollevò appena e diede un’occhiata intorno. «No, è tutto a posto. – confermò, tornando a sdraiarsi – Per favore, puoi ripetermi di non essere spaventata?».
«Fidati, la possibilità di fare un bagno è l’ultimo dei miei pensieri, al momento. Non è questo a preoccuparmi» rispose con un brusco tono serio. Un attimo dopo avrebbe tanto voluto non aver pronunciato quell’ultima fatidica frase, la stessa che si portava dietro con angoscia da quando aveva compiuto dodici anni, la stessa che l’aveva duramente tormentata e afflitta nell’ultima settimana e nella giornata appena trascorsa. Solo Finnick, nel breve lasso di tempo che stavano trascorrendo insieme, era riuscito per un po’ a distrarla da quell’ammasso di orrore e paura che covava dentro di sé.
«Immagino di no» mormorò mesto il ragazzo, scorrendo lo sguardo da Annie al nero della notte. Le stelle continuavano ad accendersi lentamente, una ad una, come tanti fari in porti lontani. Improvvisamente il vento era diventato più gelido e tutti i suoni intorno a loro (il fruscio delle foglie nei rami, la caccia notturna degli animali nascosti tra le fronde, le risa di qualcuno in lontananza) erano spariti nel nulla, lasciando il posto ad un opprimente e penetrante silenzio.
C’erano solo due ragazzi, Annie e Finnick, isolati dal resto del mondo come se fossero tenuti prigionieri all’interno di un’enorme gabbia di vetro, circondati da nient’altro che fosse il freddo, la neve, il ghiaccio o i battiti accelerati dei loro cuori.
«E se domani venisse estratto il mio nome?» sussurrò la mora con gli occhi verdi pieni di lacrime, non seppe dire se per il gran freddo o l’agitazione sempre crescente.
«È improbabile, ci sono ragazze con molti più biglietti di te».
«Tu avevi quattordici anni e non mi risulta che fossi molto a rischio, in questo senso».
«È diverso, questo non vuol dire che tu…».
«Non è diverso! È la stessa cosa, Finnick!» urlò di punto in bianco, mentre le lacrime iniziavano a scendere copiose giù per le sue guance arrossate. «So come funziona e so di non potermela cavare! Non ho nessuna abilità speciale, non sono in grado di fare niente che possa salvarmi la vita in casi estremi, capisci?».
«Nemmeno per me è stato facile, ma sono qui. Sono qui e sono sicuro che nel giro di un anno saremo ancora qui, esattamente come siamo ora, a ridere come stavamo facendo giusto qualche minuto fa».
«Non ci giurerei troppo» dichiarò la giovane, nascondendosi il volto tra le mani.
Finnick sentì il cuore ridursi a un misero pugnetto di cenere e un senso di impotenza si impossessò totalmente di lui. C’era già passato, sapeva meglio di chiunque altro che quei Giochi l’avevano profondamente cambiato, ma Annie… non poteva rischiare che accadesse lo stesso anche a lei. Lei era così vera, così sincera: gli Hunger Games l’avrebbero annientata. Ma cosa avrebbe potuto fare lui per impedire l’ennesimo massacro, per aggirare la logica perversa di Capitol City?  Non valeva nemmeno la pena darsi una risposta.
Tirò a sé la ragazza, le prese con delicatezza il viso tra le mani e si avvicinò fino a far sfiorare appena le loro fronti. Era parecchio difficile parlare con il nodo che gli serrava la gola, ma il bisogno di rassicurarla era ancora più forte. «Guardami. Annie, Guardami. Sono il tuo mentore: non permetterò che ti accada niente di male, lo giuro. Fidati. Hai tutte la carte in regola per vincere, in caso dovessi andare. Fidati di me».
«Mi… mi fi-fido» affermò convinta, battendo i denti.
«Vedi le stelle, Annie? Guarda come brillano. Quando ero piccolo mamma mi raccontava che stanno sempre lì, immobili. È vero che non le vediamo durante il giorno, ma questo non vuol dire che non ci siano. Ci fissano, ci sorvegliano, in un certo senso. Ecco, è assurdo da dire, ma fai conto che io sia come la tua stella. Non andrò mai da nessuna parte, lo prometto».
Finnick la strinse forte ed Annie si rannicchiò contro di lui, poggiando il capo sul suo petto. Sapeva già di essere una concorrente dei Settantesimi Hunger Games, ne aveva la piena e concreta certezza e nessuno avrebbe potuto farle cambiare idea prima della Mietitura del giorno successivo; eppure, adesso, era come se non importasse più. Sia che vi prendesse parte, sia che restasse al sicuro a casa, che morisse o tornasse, sapeva che Finnick era dalla sua parte, che da tanto lo era e che probabilmente lo sarebbe stato per sempre.
«Abbiamo ancora troppe cose da fare perché io ti lasci andare così presto. Dobbiamo prima finire di contare le stelle».



Lost in the City of Angels!

Prima di tutto, lasciatemi dire che sto avendo problemi con l'editor e che, quanto prima, vedrò di dare una forma "estetica" migliore a questa storia, partendo dalla grandezza del font.
Secondo, maaaaacciao :3
Erano secoli che volevo tornare in questa sezione, ma ispirazione e tempo scarseggiano ç_ç
Mi ci sono voluti due giorni immobilizzata a letto per concepire questa storia, pensate un po'...
Non ho molto da dire, è solo una piccola e trascurabile fic nata dal mio continuo bisogno di scrivere sempre di Annie e Finnick perchè... cè. Sono loro. Diamo giustizia a questi poveri sfigati che mi fanno soffrire tanto! ç_ç
Per quanto riguarda la frase finale, avete notato che non ho specificato l'interlocutore? Ampia libertà di scelta a voi lettori (se ci siete), hell yes!
Adesso vi mollo; starò anche male, ma ho ugualmente una fame da lupi.
A presto, spero! :D

A.

P.S.: Sono in piena fase da sclero dopo Catching Fire... per chi volesse allegramente unirsi alla mia folle follia, sapete dove trovarmi ^^

 

  
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