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Autore: Ivola    01/12/2013    13 recensioni
[ Johanna/Finnick, perché Catching Fire mi ha messo strane idee in testa♥ ]
Johanna reclinò la testa sullo schienale del divanetto di pelle e accavallò le gambe, lasciando che il già corto vestito cremisi le scoprisse ancora di più le gambe.
L’avrebbero anche potuta vedere nuda, lì dentro, non le importava.
Erano tutti pervertiti, sadici, stupidi e finti.
L’avevano vista spogliarsi nell’arena quando il suo mentore le aveva inviato una tuta che non fosse stata strappata a brandelli come la precedente, l’avevano vista spogliarsi quando per disperazione si era gettata nel ruscello per lavarsi del sangue non suo, e, soprattutto, l’avevano vista spogliarsi delle proprie maschere, delle proprie difese e della propria dignità. Erano stati a guardare senza nemmeno accennare a volerla aiutare. L’avevano guardata come si guarda della merce in vendita, con freddo interesse.
Johanna era nuda. Lo sapeva, lo sentiva.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Finnick Odair, Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: E, boh, sono andata a vedere Catching Fire e ho notato tanta Johannick. E' più forte di me, li shippo a morte.
Questa one-shot è divisa in due parti: la prima accenna al primo incontro dei due, avvenuto secondo me in uno di quei festini che organizzano a Capitol, e la seconda è ambientata qualche mese dopo, quando il Presidente Snow uccide tutte le persone care a Johanna perché lei non si è voluta prostituire come invece ha fatto Finnick.
Non mi fa impazzire, ma avevo voglia di scrivere qualcosa. Fatemi sapere che ne pensate, se vi va♥
Si ringrazia pandamito per il betaggio, perché solo lei mi può aiutare a orari improbabili. Zei bela, battona.









 
Nuda.


Johanna strinse la presa sul finissimo bicchiere di cristallo e mostrò il sorriso più falso che il suo repertorio potesse offrire.
« Bevi, cara, bevi » la esortò uno degli strateghi con un’espressione inebetita. « Così potrai rimpinzarti fino alla noia! »
Annuì con finto entusiasmo, ma, quando quello si voltò per salutare calorosamente uno dei suoi colleghi, la ragazza fece colare il liquido sul pavimento rivestito di moquette blu notte, lasciando che si creasse una grossa macchia vicino ai suoi piedi. Posato il bicchiere su un tavolo poco lontano, si allontanò dalla calca per andare a sedersi su un divanetto nella più che gradita solitudine. Si liberò in pochi istanti delle scarpe dotate di tacchi vertiginosi, e le scagliò con insofferenza in un angolino sperduto, badando bene che nessuno facesse caso a lei; anche se risultava abbastanza difficile, considerando che proprio lei – Johanna Mason, diciassette anni, Distretto Sette – era la vincitrice dei settantunesimi Hunger Games.
« E che vincitrice! » aveva commentato Caesar Flickerman durante l’intervista del giorno prima. « Nessuno si aspettava che la fragile fanciulla dagli occhi di cerbiatto potesse vincere i Giochi. »
Al ricordo di quelle parole le salì spontanea una risata fredda. Quei capitolini erano uno più stupido dell’altro, nessuno di loro avrebbe immaginato che quella della ragazzina debole fosse tutta una strategia per salvarsi la pelle.
“La fragile fanciulla dagli occhi di cerbiatto” l’aveva soprannominata Caesar. Johanna rise, questa volta senza contenersi, con una nota più isterica.
Già, aveva vinto. La sua ascia aveva decapitato il maschio del Distretto Uno e… boom! L’ultimo cannone dell’arena aveva segnato la fine di quel favorito tutto muscoli e niente cervello e contemporaneamente anche il suo trionfo.
Johanna reclinò la testa sullo schienale del divanetto di pelle e accavallò le gambe, lasciando che il già corto vestito cremisi le scoprisse ancora di più le gambe.
L’avrebbero anche potuta vedere nuda, lì dentro, non le importava.
Erano tutti pervertiti, sadici, stupidi e finti.
L’avevano vista spogliarsi nell’arena quando il suo mentore le aveva inviato una tuta che non fosse stata strappata a brandelli come la precedente, l’avevano vista spogliarsi quando per disperazione si era gettata nel ruscello per lavarsi del sangue non suo, e, soprattutto, l’avevano vista spogliarsi delle proprie maschere, delle proprie difese e della propria dignità. Erano stati a guardare senza nemmeno accennare a volerla aiutare. L’avevano guardata come si guarda della merce in vendita, con freddo interesse.
Johanna era nuda. Lo sapeva, lo sentiva.
Eppure non avrebbe permesso a Capitol City di strapparle anche la pelle.
« Vedo che siamo allegri, stasera » le disse una voce calda poco lontana.
La ragazza alzò lo sguardo verso il proprio interlocutore, accennando ad una smorfia di fastidio. Avrebbe preferito di gran lunga rimanere da sola. « Finnick Odair » fece laconicamente, nel riconoscerlo.
« In persona » assentì l’altro, sedendosi accanto a lei con un aperitivo tra le mani che non aveva ancora assaggiato. « Perché stavi ridendo? » le domandò poi con un sorriso accattivante e incuriosito al contempo.
« Non trovi divertente, » chiese retoricamente Johanna, « che queste persone si dilettino nel vomitare per poi cercare di mangiare tutto il possibile? »
Finnick scosse la testa ridacchiando. « Dipende dai punti di vista. »
Johanna stirò le labbra. « E qual è il tuo punto di vista? » Non che le interessasse davvero, ma voleva cercare di capire se quel ragazzo fosse il classico favorito montato oppure se stesse abilmente nascondendo lo stesso ripudio che provava lei nei confronti di Capitol City.
« Questo è un segreto » le disse, prima di bere in un solo sorso il contenuto del suo bicchiere.
« Non mi piacciono i segreti » biascicò la ragazza alzando un sopracciglio.
« Tu non ne hai? »
« No » rispose. « Non più. »



Finnick la adagiò quanto più delicatamente possibile sul letto, dopodiché la coprì con una coperta anche se lei continuava a dimenarsi nervosamente dalla sua presa.
« Li odio tutti! » gridò ancora Johanna, afferrando i lembi del lenzuolo con rabbia. « Tutti! » ripeté, singhiozzando come una bambina.
Finnick tentò di abbracciarla, ma quella si scostò bruscamente da lui, preferendo affondare il viso sporco di trucco sciolto tra i palmi delle mani. Palmi che una volta erano pieni di calli – segno del suo lavoro nei boschi del Distretto Sette – ma Capitol City l’aveva privata anche di quelli, donandole una pelle liscia e morbida come quella di un neonato, una pelle non sua.
« Li… hanno… uccisi » pianse. « Li hanno uccisi, Finnick! » urlò, e l’altro constatò che i sedativi non avevano ancora fatto effetto. Le prese il volto tra le mani, e solo allora Johanna alzò lo sguardo su di lui. A Finnick parve di essere trafitto da una lama: se anche Johanna piangeva, allora Capitol City doveva averla ferita per davvero.
La diciassettenne si decise finalmente ad accettare un po’ conforto e si lasciò cingere le spalle dalle sue braccia rassicuranti. Inabissò il viso nel suo petto, e Finnick stette ad ascoltare i suoi singhiozzi senza proferire parola. Era inutile, d’altronde. Non c’erano parole per curare un dolore così profondo.
Johanna aveva una madre, un padre, due fratelli maggiori e qualche amico. Ma il Presidente Snow li aveva fatti uccidere tutti, senza pietà, quando Johanna si era rifiutata di vendere il proprio corpo a qualche capitolino.
Erano riusciti a denudarla del tutto, alla fine. Le avevano tolto ogni cosa.
Finnick le accarezzò piano la schiena, notando quanto fosse fragile sotto il suo tocco. Le passò una mano tra i lunghi capelli castani e solo allora quella cominciò a calmarsi, lasciando che i sedativi iniettateli facessero effetto.
Johanna si assopì tra le sue braccia e lui la fece distendere sul materasso, passandole le dita su una guancia rigata, tracciando con i polpastrelli il percorso delle sue lacrime.
« Sta’ tranquilla » mormorò senza troppa convinzione, riflettendo sul fatto che una quantità infinita di donne fosse passata per quel letto, ma mai nessuna sarebbe stata come Johanna, mai nessuna avrebbe dormito lì senza prima essere stata servita a dovere. « Non sarai mai una loro proprietà. »
Detto ciò, le posò un bacio sulla fronte imperlata di sudore freddo e uscì dalla stanza.





   
 
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