Ho contratto l'evanescenza
negli alveoli asfittici
di un melodramma in scatola,
un ciglio masticato in dissolvenza,
una sinapsi disgiunta di lenzuola dislocate
ad abdicare sui letti atomici
di un letargo nucleare;
il mio scheletro che migra
negli inchiostri demoliti
di soli cimiteri acustici.
L'infinito č frammentario
tra le carni consunte
che a cocci si disarticolano
spioventi,
tra le prosopopee increspate
di una pelle vuota:
una psicosi siderale
che circola
come emoglobina intestinale
mentre cadono cieli
nelle fosse biologiche
di un'apoteosi empirica.
Il delirio nostalgico
di un'overdose onirica
ai margini
di una grafite smussata
che sulle mie fauci rotte
non sputa il marchio
della sua livida assenza;
soltanto briciole
di una vertigine insapore,
un proiettile incolore
che non si muove.