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Autore: methadope    01/12/2013    0 recensioni
Lilian era morta, bruciata nell'incendio che le aveva portato via i genitori quando aveva solo tre anni, e dalle ceneri era rinata Morgause.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Puzza, c’era puzza, ma la piccola Lilian non riusciva a capire cosa fosse. Solo qualche anno dopo avrebbe capito che fosse puzza di morte, di cadaveri. Qualcuno le aveva pettinato i riccioli ramati, e le aveva fatto indossare un vestitino nero di velluto. Camminava, mezza nascosta dietro la gamba dell’uomo, guardandosi intorno, spaventata ed incuriosita dalle statue con fattezze di angeli. Trovava assurdo che un bambina così piccola dovesse già affrontare quella situazione, indossare un vestito nero ed assistere al funerale dei propri genitori. Oscar Potts poteva essere considerato il migliore amico di Sibyl Adler fin dai tempi del liceo. Era stato il suo testimone al matrimonio, e le aveva tenuto la mano mentre metteva al mondo la piccola. La chiamata era arrivata nel cuore della notte: era stato svegliato dalla suoneria assordante, abitudine che aveva preso nel periodo in cui Sibyl era in procinto di partorire, era Mark migliore amico di Eric. Un incendio, probabilmente dovuto ad un corto circuito avevano detto i pompieri, le vittime erano tre: Sibyl, Eric ed il gatto, la piccola Lilian era stata tirata fuori dal padre quando ancora l’incendio non aveva causato grossi danni. Ed adesso si trovava li, a quel funerale, circondata da sconosciuti. La famiglia di Sibyl era morta, e quel giorno, a quel funerale i partecipanti erano tutti personaggi di un mondo che non lo comprendeva e Lilian era sulla linea di confine. Le ultime volontà dei due coniugi erano state rivelate la mattina: avevano deciso di comune accordo che la bambina sarebbe stata affidata alla famiglia O’Gallagher, amici di vecchia data della famiglia di Eric. Oscar, convinto che in caso di morte Lilian sarebbe stata affidata a lui, mascherò il suo disappunto e la sua delusione dietro un sorriso di cortesia. Sapeva che lui, che era un soldato, non si sarebbe potuto occupare al meglio della piccola, non avrebbe potuto soddisfare tutti i suoi bisogni, ed era giusto che crescesse con una famiglia normale. Con un sospiro accarezzò la testolina della bambina, mentre il prete si accingeva a concludere l’elogio funebre. Non sapeva che aspetto avessero i componenti della famiglia, ma sapeva che erano stati informati e Lilian sarebbe stata presa da loro il giorno stesso, quindi non si sorpresa quando udì una giovane donna dai lunghi capelli corvini, schiarirsi la voce per ottenere attenzione da parte di Oliver. –Io sono Belladore De Lanchale, e questo è mio marito Bryce O'Gallagher. Siamo qui per la bambina.- sorrise, intimidita, forse, dal suo sguardo duro. Non si era nemmeno reso conto di essersi piazzato davanti la bambina, come a volergli fare da scudo. –Io sono Oscar Potts.- fece un cenno del capo, e la donna si vide costretta ad abbassare la mano, rendendosi conto che non gliel’avrebbe mai stretta. –Sibyl ed Eric mi hanno parlato molto di te.- continuò, cercando di smorzare la tensione. –Che sorpresa, loro invece non mi hanno mai parlato di voi.- replicò stizzito, senza abbandonare la posizione di difesa. Tutti quegli anni nell’esercito gli avevano fornito un educazione che difficilmente sarebbe svanita. –Senti, amico. Lo so che tutta questa situazione non ti piace. So che sei molto legato alla bambina ma noi andiamo bene per lei. Arriveranno i primi bisogni, la scuola… Sappiamo che non vuoi avere niente a che fare con noi, ma in questo momento noi siamo il meglio per lei. Quando compirà diciotto anni sarà libera di andarsene da casa nostra e venire a vivere con te.- iniziò il marito, che fino a quel momento aveva lasciato carta bianca alla moglie. –Potrai vederla quando vuoi, non te lo impediremo, ma lascia a me e a mia moglie il compito di prenderci cura di lei.- l’uomo non trovò nessuna argomentazione abbastanza valida per poter ribattere. A malincuore dovette ammettere che avevano ragione. Si voltò verso Lilian, che aveva osservato la scena impaurita e piuttosto confusa. –Lily, adesso questi due signori ti porteranno con te. Andrai a stare nella loro casa grande, e giocherai con i loro figli.- le sorrise, addolcendo lo sguardo severo. La bimba lo fissava, se fosse possibile, con ancor più paura, e si aggrappò al suo braccio. –Lily, mi dispiace. Io non posso prendermi cura di te, non sono come la tua mamma ed il tuo papà, ma loro si.- si voltò verso i due che, timidamente, si erano avvicinati alla bambina. Lilian si lasciò prendere in braccio da Belladore, gli occhi lucidi e rossi per il pianto. Lo fissava, aspettando un suo gesto, aspettando che quelle braccia che la stringevano diventassero quelle di Oliver, ma quello non accadde. Si ritrovò ad osservare la schiena di quello che per lei era sempre stato lo zio Oz. Negli anni a venire, l’unica cosa che ricordò di quel giorno furono le parole nitide di Oscar mi dispiace, mio piccolo giglio, ed un singhiozzò che rimbomba nella sua mente ogni volta che chiude gli occhi.

***

- Morg! Scendi, c’è Jordan! – urlò la madre dal piano inferiore, senza però ricevere risposta. Sorrise al figlio, e dopo aver scrollato le spalle si diresse verso la camera di Morgause. Bussò, una volta, due volte, e dopo essersi preoccupata eccessivamente, decise di entrare nonostante la figlia non le avesse dato il permesso di farlo. Morgause era stesa sul letto, le cuffie ed un piccolo mp3 nelle mani, regalo di Haydan, il fratello maggiore. Si sedette sul letto troppo grande per una bambina di sei anni. – Tesoro, c’è Jordan. – sillabò quando Morgause si rese conto della presenza della madre nella stanza. Annuì, e con un gesto meccanico spense quell’aggeggio, arrotolò le cuffie in modo che non si attorcigliassero. Da un mese a quella parte aveva smesso, nuovamente, di rivolgere la parola ai componenti della famiglia. Era già successo una volta, appena arrivata a casa, aveva sempre un espressione diffidente, e non parlava con nessuno. Era Marzo quando la portarono via da Oscar Potts, e passò tre mesi senza aprire bocca. Passava le giornate nella sua stanza o nel giardino, sempre da sola. La situazione cambiò solo quando Jordan tornò a casa dopo aver frequentato il suo ultimo anno di liceo in una scuola privata. Jordan O’Gallagher era il secondogenito, e aveva sentito parlare di Morgause solo tramite le chiamate e gli sms che scambiava regolarmente con la famiglia. Era piuttosto felice di avere una bambina in giro per casa O’Gallagher, che fin dagli albori aveva data alla luce esclusivamente figli maschi. Fu amore a prima vista, bastò uno sguardo per renderli inseparabili. Morgause aveva preso l’abitudine di dormire nel letto di Jordan, e anche lui, a volte, si azzardava a condividere il letto della bambina, nonostante fosse molto restia a condividere i suoi spazi. Ed ora avevano raggiunto una situazione di stallo: lei non gli rivolgeva più la parola. Il motivo? Fayette Mayfield, detta Faye, la nuova fidanzata di Jordan. Si erano conosciuti all’ospedale, dopo una brutta caduta da cavallo e aveva perso la testa per lei, e ovviamente, aveva iniziato a passare gran parte del suo tempo con la giovane. Jordan, inizialmente non aveva capito cosa stesse accadendo, si limitava a scrollare le spalle, abituato agli sbalzi d’umore della sorellina. – Scendi a salutarlo? – chiese Belladore, speranzosa. Era preoccupata, ed un po’ tutti l’avevano notato. Annuì, nuovamente, e dopo essersi sistemata la gonna bianca, porse la mano a sua madre, che la strinse e la guidò lungo le scale che le avevano sempre fatto paura. Jordan le aspettava seduto sul divano, rideva ed indicava una foto ad una ragazza che non aveva mai visto. Morgause si fermò sull’ultimo gradino, concentrata, scrutando quella scena. Inclinò la testa di lato e socchiuse gli occhi, a volte anche sua madre restava sorpresa dalle doti e dall’intelligenza di Morgause che era ancora una bambina. Un lampo di comprensione passò negli occhi verdi, ma fu solo un attimo, prima che tornassero ad essere di quel verde gelido che ricordava tanto il colore di una tempesta. Non aveva ancora distolto lo sguardo dalle loro mani intrecciate, il modo in cui lui la guardava e come lei ricambiasse lo sguardo. Belladore sospirò, l’ennesimo sospiro della giornata. Conosceva quella bambina da soli tre anni, ma aveva una personalità così forte che era impossibile ignorarla. La donna azzardò un passo nella direzione del figlio, sperando la bambina la seguisse. Morgause lasciò la mano della madre, ed affrontò l’ultimo scalino da sola. Affiancò la donna e la seguì fino al salotto, dove i due si erano ammutoliti. L’aiutò a sedersi sulla poltrona rossa, dove si accoccolava quando Jordan ed il padre giocavano a scacchi. – Ciao, Wendy. – Jordan le sorrise dolcemente, chiamandola con quel nomignolo affettuoso. Morgause si limitò ad osservarlo, senza ricambiare il saluto o aver dato segno di averlo sentito. – Lei è Fayette, volevo presentarti la mia fidanzata. – sorrise. Il nervosismo era palpabile, ma la bambina non la degnò nemmeno di uno sguardo. Tutta la sua attenzione era stata attirata dalla scacchiera poggiata sul tavolino, e con un balzo scese dalla poltrona, andandosi a sedere sul tappeto, davanti al tavolino. – Scusatela, oggi non è di buon umore. – Belladore fece una piccola pausa, e si sedette dove prima c’era la figlia. – Sono felice di rivederti, Faye. A cosa devo questa visita? – la piccola di casa Mayfield distolse lo sguardo dalla bambina, che trovava particolarmente spaventosa. – Ehm… Oh si. Io e Jordan volevamo festeggiare per il posto che mi hanno offerto in America per una specializzazione. – si strinse nelle spalle, sorridendo al ragazzo. – E quando ti trasferisci? – chiese interessata. Era consapevole che le relazioni fossero difficili da mantenere, soprattutto quando diventava particolarmente difficile comunicare quando era troppa la distanza che divideva la coppia. – Aspetterò che Jordan finisca il College. Ha deciso di venire con me… Non è fantastico? – la voce squillante si spense in un silenzio nervoso. –Uhm… Ho detto qualcosa che non va? – chiese guardando le persone che si trovavano nella stanza. Sia Jordan che Belladore avevano notato che Morgause si fosse irrigidita ed avesse smesso di giocare con gli scacchi. Si aspettavano una reazione, ma conoscendo la bambina non sapevano esattamente quale sarebbe stata. Successe tutto molto velocemente: Faye si ritrovò ad urlare per il dolore, Morgause aveva iniziato a tirarle le pedine degli scacchi con l’intenzione di farle del male. Sia Belladore che Jordan si alzarono per andare ad aiutarla, non prima di averle lanciato un occhiata seria. Anche lei si avvicinò a quello strano gruppo, poggiando la mano su quella di Jordan, che con un occhiataccia la scansò, senza rendersi conto di averla ferita. Si poteva insultare Morgause, la si poteva ignorare, ma quello che lei non tollerava era la negazione di un contatto. Era, forse, la cosa che la feriva di più, e vedersi ricevere un gesto del genere dalla persona a cui teneva di più in quella casa la faceva stare male, e voleva che quella stupida, che catalizzava tutta l’attenzione del fratello sparisse. Con ultimo sguardo ferito si diresse verso le scale, che salì a fatica, e dopo aver sbattuto la porta si raggomitolò nel letto. L’ultima cosa che sentì fu Faye che urlava: - Tua sorella è un mostro! -

***

- Buongiorno Gwen! – un urlo rimbombò per la mensa. Era domenica, la prima domenica di quel nuovo anno e la maggior parte degli studenti ne aveva approfittato per dormire, troppo abituati ai ritmi estivi senza alcun tipo di impegno o dovere. Morgause Gwendolyn Lilian O’Gallagher era un tipo piuttosto abitudinario, raramente riusciva a sconvolgere l’orologio biologico, quindi anche quel giorno il suo corpo si era svegliato alla sei, aveva fatto una doccia e dopo essersi vestita era scesa a colazione. Essendo Settembre il cielo era limpido, e la temperatura attuale permetteva a tutta la popolazione di Dublino di lasciare la giacca nell’armadio. In mensa trovò alcune matricole, tutti eccitati per il loro primo giorno di riposo: per un attimo credette veramente di essere passata inosservata a quell’essere che aveva l’ardire di definirsi la sua migliore amica. – Buongiorno a te, Rosye-Posey. – scavalcò la sedia, accomodandosi accanto a lei. – Come mai già sveglia? – chiese servendosi una tazza di te fumante. – Aspetto una lettera importante. – la vide sorridere maliziosa, con la coda dell’occhio. – Come si chiama? – chiese, addentando, poi, un biscotto al cioccolato. – Non lo so, non ha voluto rivelarmelo. Lui si fa chiamare Athos, ed io Milady. – le sopracciglia di Morgause si arcuarono, lasciando spazio ad un espressione dubbiosa. – Non puoi capire, mio tesoro. – ridacchiò, ma si bloccò dopo qualche secondo, additando i postini che riponevano con cura la posta nelle giuste buche. Rose afferrò la lettera, per meglio dire la strappò dalla mano del postino, e la lesse avidamente. Morgause prese a girare il the con il cucchiaino, non notando che anche nella sua casella vi era una lettera. –Anche tu hai un amico di penna? Perché non ne so niente? – con un sospiro esasperato le tappò la bocca, ma di quanto era eccitata continuò a parlare contro il palmo della sua mano. – Posso lasciarti, o continuerai a parlare? – sbottò irritata. Rose, che sapeva bene quanta poca pazienza possedeva l’amica, decise di tacere. Morgause prese con riluttanza la lettera e dopo averla aperta iniziò a leggerla:

Mia piccola Wendy,
sono nove anni che conviviamo in questa situazione. Ti riufiuti di rispondere ai miei messaggi e alle chiamate. La cosa mi addolora, perché tu sei la mia sorellina, quella che durante la notte m rubava la coperta, quella che mi costringeva a leggere e rileggere le favole babbane. Non puoi odiarmi veramente per quello che è successo così tanti anni fa, a malapena mi rivolgi la parola quando sei a casa. Mi dispiace… Non sono solo le mie scuse il motivo per cui ti scrivo questa lettera: io e Faye ci sposeremo a Natale. So che probabilmente la mamma ti avrà già informata, ma volevo comunque dirtelo io stesso. Mi farebbe piacere che tu partecipassi e che chiarissi la situazione con la donna che mi rende immensamente felice.
Con affetto il tuo Peter.

Rose, che si era sporta per poter leggere la lettera, fissava Morgause preoccupata. Sapeva quanto fosse labile la recinzione che si era costruita intorno per non uccidere Fayette e Jordan. Quella forse era la centesima lettera che il fratello adottivo le aveva spedito in quei cinque anni di scuola, e mai nessuna era sopravvissuta più di qualche minuto. La vide estrarre un piccolo accendino, e la lettera prese fuoco riducendosi in cenere. – Jordan ha il potere di abbassare il Q.I dell’intera famiglia. E’ in America con la sua anima gemella, che si preoccupi di lei anziché stressarmi. – ringhiò, sbattendo i pugni sul tavolo. I postini rimasti nella stanza sobbalzarono. – Vedi? Anche i postini si spaventano! – con espressione irata si alzò, facendo voltare qualche testa nella sua direzione. –Aspetta! – urlò Rose, rincorrendola, mentre si dirigeva in biblioteca. – Andrai al matrimonio, vero? E’ tuo fratello Gwen! – sbottò notando l’espressione dell’amica. – Potrebbe anche essere il Ministro in persona. Non ho intenzione di festeggiare un unione che non approvo! – e detto questo non parlò per la mezzora seguente. Rose le tenne compagnia, mentre lei sfogliava il libri con forza, con il pericolo che le pagine si staccassero dal libro. Fu la vibrazione del suo telefono a mettere fine a quella quiete fittizia. – Oh Dei! Ti prego. Ha veramente l’ardine di tartassarmi? – sbottò prendendo tra le mani il celllare:

Quindi? Mi passi il compito di letteratura? Ti prego Judsie, sono il tuo migliore amico!


Morgause inclinò la testa, rileggendo con confusione il messaggio. Alzò la testa, puntando gli occhi verdi verso la sua migliore amica, leggendo ad alta voce quel messaggio – Beh, rispondi. Digli che ha sbagliato. – Scrollò le spalle e decise di rispondere:


Credo che tu abbia sbagliato messaggio. Di certo non mi chiamo Judsie e non ti avrei mai passato il compito.


Inviò il messaggio per poi lasciar cadere il telefono sul tavolo con un tonfo. – Quindi chi era? – chiese la voce curiosa di Rose. – Non ne ho idea. – le rispose, tornando a scrivere il suo tema. Dopo diversi minuti il cellulare vibrò, scatenando la curiosità di Rose che tentò di prendere il cellulare prima di Morgause.


Perdonami, ma i postumi della sbornia si fanno ancora sentire. Mi dispiace, chiunque tu sia.


Con uno sbuffo, rilesse la frase, cercando di capire per quale motivo si dovesse bere fino a ridursi in questo stato pietoso.


Beh, addio sconosciuto molestatore di amici.


Inviò il messaggio, giocherellando con il telefono, ormai troppo deconcentrata per riuscire a scrivere qualcosa di sensato. – E’ un sorriso quello che vedo sul tuo dolce faccino? – chiese Rose mezza nascosta dietro un libro per difendersi da un possibile attacco, che chissà per quale motivo non riuscì comunque a schivare.


Ven. 22 Novembre.

(4:10 p.m.)
Buon pomeriggio, mio piccolo giglio.

(4:30 p.m.)
Teodore, ti prego. Non hai niente di meglio da fare?

(4:45 p.m.)
Niente di niente, mio piccolo bocciolo.

(5:00 p.m.)
Ti odio. E sappi che smetterò di risponderti. Quindi evita di continuare a scrivermi. Perdi solo tempo.


Dom. 24 Novembre.

(8:00 a.m.)
Sono curioso.

(8:30 a.m.)
Sai che novità. Su cosa ti stai interrogando oggi?

(9:00 a.m.)
Non so cosa mangiare a colazione.

(9:30 a.m.)
Ricordami perché ti scrivo ancora.

(10:00 a.m.)
Perché rendo la tua vita meravigliosa, Lily.

(10:30 a.m.)
E’ Lilian. Saresti tu a renderla meravigliosa?

(11:00 a.m.)
Decisamente. Sono un’aitante giovane pieno di speranze. E tu, chiamami Teddy.

(11:30 a.m.)
Questo messaggio trasuda egocentrismo. Mi sta gocciolando sui jeans.

(12:00)
Posso venire ad aiutarti?
(1:00 p.m.)
Lily?
(1:30 p.m.)
Lily era uno scherzo!

(2:00 p.m.)
Hai un senso dell’umorismo bizzarro.

(2:30 p.m.)
Ma tu mi ami comunque.


Mart. 26 Novembre.

(7:00 a.m.)
Buongiorno splendore. Interrompo la tua mattinata terribilmente noiosa con una notizia dell’ultima ora.

(7:30 a.m.)
Hai fatto sesso?

(8:00 a.m.)
Non mi sembra che io e te abbiamo fatto sesso, lo ricorderei.

(8:15 a.m.)
Porco.

(8:30 a.m)
Si, ti amo anch’io.



- Morg? Trovo inquietante il fatto che tu stia sorridendo al professore di letteratura.- Morgause si riscosse, guardando per l’ultima volta il telefono che teneva tra le mani. –Non è niente, Rosey-Posey.- sbuffò, e senza farsi vedere nascose il tutto dentro la borsa. –Niente, da qualche mese a questa parte ha un solo significato: Teddy.- Rose si sorprese nel vedere l’amica arrossire, ma non se ne curò. Quasi tutti erano ormai a conoscenza di questa fitta corrispondenza che intercorreva tra quei due ragazzi. Era iniziato tutto per sbaglio, un errore del destino, un messaggio sbagliato per la persona sbagliata. Teddy era un ragazzo londinese, all’ultimo anno. Un ragazzo dalle grandi qualità, sempre attorniato da amici e, oltre alle doti ed ai meriti guadagnati negli anni, aveva molti pregi, come l’altruismo, il gene dell’eroe, la gentilezza e tante altre virtù che le sue ammiratrici non mancavano di elogiare. Morgause, o meglio Morg, ma per lui Lily, era una ragazzina dai lunghi capelli rossi e gli occhi verdi – che a parer di tutti avevano il colore dello smeraldo, ma non avendone mai visto uno non potevano confermare – al terzo anno, e per tutti era la strana ragazza della biblioteca. I più coraggiosi, quelli che sfidavano la sorte osservandola insistentemente, studiandola attentamente la chiamavano Morg l’inavvicinabile, per via della sua riservatezza. L’unica persona che aveva l’onore di ricevere delle vere attenzioni era Rose Lovelace, la sua amica. No, non l’avrebbe mai definita migliore amica, a tutti diceva che tra di loro intercorreva un rapporto di civile confidenza, ma ormai aveva iniziato a non correggere quelle persone che le definivano inseparabili. Ma effettivamente era questo ciò che erano, dove andava Morgause c’era Rose e viceversa e le loro liti diventavano leggenda. –Noto con entusiasmo che le tue doti deduttive sono nettamente migliorate. Da cosa lo deduci?- l’amica ridacchiò, cercando di non farsi udire dal professore. –Oggi stavi quasi per cadere mentre prendevi il telefono, ti si illuminano gli occhi.- si morse il labbro per non scoppiare a ridere davanti all’espressione di totale imbarazzo di Morgause. –Non è vero, hai iniziato ad immaginarti le cose.- sillabò, continuando a prendere appunti. –Questa cosa mi confonde.- sospirò, senza alzare gli occhi dal foglio di pergamena. –Dovreste incontrarvi, secondo me.- Rose vide come le spalle dell’amica si irrigidirono. –E non iniziare con la solita storia del tanto non gli piacerei.- Morgause rimase in silenzio, riflettendo sulle parole di Rose, mentre l’altra la fissava, cercando di capirla, perché la loro amicizia era fatta così e Rose capiva da sé. –Tu sai com’è fatto, e lo sa anche lui. Sarebbe stato impossibile rimanere anonimi, lo sai bene. Quindi perché non vi incontrate?- la campana che avvisava gli studenti ed i professori del termine delle lezioni suonò in quel momento. –Non posso, Rosey-Posey, lo sai.-

Merc. 25 Dicembre.

(11:00 a.m.)
Buon Natale, Lily.

(1:00 p.m.)
Buon Natale, Teddy.


Mart. 31 Dicembre.

(11:00 p.m.)
Buon Anno, Soren.

(12:03 a.m.)
Buon Anno a te, meraviglia.



Fa troppo freddo, pensò la giovane Rose, stringendosi nel mantello. Era Febbraio, e la pressione degli esami si avvertiva sempre di più. Aveva visto le gemelle Skylar scoppiare a piangere durante la lezione di Matematica per un compito andato male. La professoressa era allibita, e non sapeva come comportarsi: ristabilire l’ordine o consolare le giovani ragazze? Rabbrividì e si accostò alla finestra. Con un gesto rapido accese la sigaretta che teneva tra le labbra sottili. –Sai che fa male fumare? Dovrei sequestrarti il pacchetto.- Teddy sorrise, avvicinandosi a lei. –Non lo farai, perché solo io ho le risposte alle tue domande su Morg.- lo vide sospirare e passarsi una mano sul volto. –A volte dimentico che tutti la chiamate Morg, è come se parlassimo di due persone diverse.- Rose lo fissò, comprensiva. Dal giorno di Capodanno, Morg aveva interrotto la loro corrispondenza, lasciando che le lettere si ammassassero nella sua stanza. –Perché l’ha fatto? Io… Credevo di piacerle.- Rose gettò la cicca nel cestino con un gesto stizzito. –Le piaci, ed anche tanto. Ma ha paura che tu non riesca ad apprezzarla, con tutte le sue manie ed i suoi atteggiamenti.-

Dom. 12 Aprile.

(10:00 a.m.)
Quando finirò con gli esami mi arruolerò. Non so’ nemmeno se lo vuoi sapere, ma te lo dovevo dire.

(11:00 a.m.)
Tuo padre sarà contento.

(11:30 a.m.)
E’ tutto quello che hai da dire? Lily è l’esercito. Non ci potremo vedere. Non ci potremo sentire per quattro anni!

(11:45 a.m.)
Ecco perché volevo mettere fine a tutto questo. Volevo impedire che entrassero in gioco i sentimenti.

(12:10 p.m.)
Non sei una macchina, Lily. Ti è permesso provare sentimenti. Non saresti debole.

(12:40 p.m.)
Non posso. Mi dispiace.


Lun 1 Giugno.

(8:00 a.m.)
Lils, ti prego.

(8:10 a.m.)
Non posso.

(8:20 a.m.)
Lily, ti prego. Incontriamoci.


(10:00 a.m.)
Dove sei?!

(10:30 a.m.)
All’entrata.

(11:00 a.m.)
Arrivo.


(12:20 p.m.)
Non sono arrivata in tempo.

(1:00 p.m.)
Tranquilla.

(2:00 p.m.)
Mi dispiace.

(3:00 p.m.)
Non preoccuparti.

(4:00 p.m.)
Addio, Teddy.

(5:00 p.m.)
Addio, Lilian.
   
 
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