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Autore: Miss Kon    01/12/2013    0 recensioni
Allora iniziamo subito: allerta NONSENSE.
Detto ciò: la storia riprende un piccolo -e ipotetico- stralcio della prigionia di Mayuri nella Tana dei Vermi.
"“Hey!”
La voce era roca e sgarbata, con quella punta di arroganza tipica di persone rozze e cafone. Esattamente la miscela di caratteristiche che gli rendevano noioso chi ne era dotato e, suo malgrado, l'ascoltatore doveva ammettere che, da quelle parti, molti lo erano.
Ma il cafone, che aveva avuto il cattivo gusto di esalare quell'unica sillaba, sembrava ora voler tacere.
E quegli occhi dorati, gli occhi dell'interlocutore, si ritrovarono a palesare di nuovo la noia."
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Piccolo avvertimento: l'inizio storia è un po' lento, zoppicante, me ne rendo conto, ma in parte è voluto, il tentativo è quello di rendere una sensazione un'ambientazione opprimenti per naura.
Vi dico anche già che quando Mayuri finalmente prende la parola la scrittura, opportunamente, cambia.
Ma ho anche già chiacchierato torppo, meglio lasciarvi alla lettura, enjoy!






Gabbia.


“Clang”
Il suono secco della serratura che scattava scacciò per un attimo il silenzio il quale, quasi fosse un insetto indispettito, si premurò di tornare quanto prima.
Un paio di occhi dorati rotearono verso l'alto, a guardare il soffitto muffoso, mentre il suono di passi lenti e trascinati di faceva strada in quel corridoio stretto.
“Hey!”
La voce era roca e sgarbata, con quella punta di arroganza tipica di persone rozze e cafone. Esattamente la miscela di caratteristiche che gli rendevano noioso chi ne era dotato e, suo malgrado, l'ascoltatore doveva ammettere che, da quelle parti, molti lo erano.
Ma il cafone, che aveva avuto il cattivo gusto di esalare quell'unica sillaba, sembrava ora voler tacere.
E quegli occhi dorati, gli occhi dell'interlocutore, si ritrovarono a palesare di nuovo la noia.
“Da oggi sono stato assegnato qui, sarò la nuova guardia mi chiamo Yamashita Kazuma”
Per un istante, anzi per un briciolo d'istante, l'ascoltatore sembrò dare un qualche segno di interesse e, per la prima volta dall'arrivo della guardia, le iridi dorate si staccarono dal soffitto.
Ma l'attenzione svanì subito e l'interlocutore, con una sfacciataggine degna quasi di una bambino pestifero, voltò la faccia dall'altra parte, verso il muro, ponendo il suo interesse quanto più possibile distante da chi aveva appena parlato.
La guardia, indecisa se valutarlo come un'idiota o semplicemente uno che voleva rendersi un inferno una vita già misera, sentì un moto di rabbia formicolargli in petto.
Sarebbe esploso in improperi, degni del suo aspetto di rozzo gorilla con ampie disfunzioni celebrali, se una voce melliflua e cadenzata non lo avesse interrotto pietrificandolo.
“Inutile...”
Un brivido corse lungo la schiena della guardia, che strinse istintivamente i pugni.
La bocca spalancata come un pesce, mentre l'interlocutore per la seconda volta si decideva a voltarsi verso di lui.
In mezzo alla pelle pitturata del volto spiccava una specie di smorfia che enfatizzava l'aspetto eccentrico del prigioniero,
“La tua presenza qui è inutile” scandì piano, con lo stesso tono con cui aveva esordito “Almeno quanto la tua presentazione”
Kazuma a quelle parole non riuscì a contenersi e un tremore, palesazione tanto di paura viscerale quanto di rabbia impulsiva, lo colse. Per un attimo vide rosso e mosso da un impeto infantile rovesciò il vassoio, collocato in attesa del pranzo sul tavolo di fronte alla cella, facendo piombare a terra le cibarie del prigioniero e le posate.
Lo sguardo del carcerato tornò a puntarsi verso il soffitto e quel gesto, già palese di suo, fu accompagnato da un teatrale gesto della mano che palesò in maniera estrema quanto la guardia annoiasse in carcerato.
Il vassoio, in metallo, che con il suo oscillare aveva fatto da sottofondo per tutto il tempo al dialogo, finalmente si fermò.
Il silenzio sembrò aver fretta di tornare e calò simultaneo tra i due.
Per un attimo sembrava che si fosse ristabilito l'ordine naturale di quel luogo.
Ma le iridi d'oro tornarono a posarsi sull'uomo, che ancora furente ricambiò lo sguardo.
“Ti riconfermi inutile anche nei tuoi gesti” mormorò il carcerato tornando a fissare la parete ammuffita che gli stava sopra la testa.
La guardia sentì la rabbia prevalere nettamente sulla paura e a quelle parole sgranò gli occhi mentre le guance gli si infiammavano.
Osservò con rabbia crescente quell'essere che impassibile continuava a guardare verso l'alto, sempre con quella maledetta espressione di noia in faccia.
Yamashita, preda di una cocente irritazione, prettamente dovuta al quel comportamento fece scorrere velocemente i suoi occhi verso il pavimento, dove, sparpagliato malamente, giaceva quel che restava del pranzo del prigioniero.
E in mezzo alla rabbia ebbe un guizzo di lucidità.
Storcendo la bocca in una smorfia che ricordava un ghigno nervoso, con il volto ancora in fiamme, tornò a guardare il prigioniero.
“Di quel cazzo che ti pare, comunque vada per tua stessa colpa non mangerai oggi e, forse, neppure domani”
Le parole dell'uomo, dette con tono alto -quasi stridulo-, risuonarono in quelle mura percorrendo, quasi fossero spettri, tutto il corridoio disperdendosi progressivamente.
Il carcerato con fare, probabilmente volutamente, lento, spostò il suo sguardo dalla volta dell'interlocutore.
“Confermo: inutile.” scandì piano, quasi stessi sillabando quelle parole ad un'idiota. E forse era davvero così.
“Inutile tu come persona e inutile è anche la tua azione.” proseguì “Anche se resto senza cibo posso sopravvivere per diverso tempo, la fame e la sete non sono fattori che mi possono piegare”
Pian piano, mentre parlava, la mano accompagnava le sue parole con gesti lenti e a volte quasi meccanici. Tra la pelle pallida e quelle movenze a tratti sembrava un'inquietantissima bambola viva.
“Vedi...”
Scandì ancora, prendendosi una pausa, mentre si avvicinava di un passo alla grata che dava sul corridoio.
La grossa catena che partiva dal muro e lo incatenava per la caviglia, tintinnò mentre lui si muoveva, trascinandola sul terreno compatto.
Yamashita arretrò istintivamente, come un topolino di fronte a un gatto. “Non mi interessa se sono in una gabbia o meno. Sono più libero io, di te” mormorò toccandosi la tempia con l'indice, gli occhi fin troppo aperti.
La guardia lo guardò inorridita.
“Mostro” esalò, con un tono tra il disperato e il feroce.
Maryuri lo guardò, gli occhi via via più spalancati, con quel fare inquietante che sembrava piacergli tanto.
“Morirai qui dentro!”
Latrò ancora la guarda, nel disperato tentativo di farsi forza e di ignorare la paura che gli aveva messo addosso.
“Parla pure! Dì quel che vuoi! Ma marcirai qui! In questa prigione”
L'uomo arricciò le labbra in un raccapricciante sorriso, poi portò la mano ad altezza del viso, con l'indice ben sollevato.
“Dimmi” esordì serafico “Di quale gabbia preferisci trovarti all'interno anziché all'esterno?”
E il silenzio tornò a calare tra quelle mura.

“È una bella prigione, il mondo.”
Amleto

  
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