Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Ricorda la storia  |      
Autore: chilometri    02/12/2013    1 recensioni
Tu come stai?
Come vivi?
Ti trovi bene?
Riesci a respirare senza sentire il bisogno di me?
Genere: Angst, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
okn

 

 

Cliccate l'asterisco per la musica.

*

 

 

Ieri mi hai chiamato, avevi la voce bassa e un po’ roca. All’inizio credo di non averti nemmeno riconosciuto perché quattro mesi, sette giorni e troppi minuti passati lontani da te, mentre mi dicevi che “ti voglio bene” e mi stringevi a te, la tua voce era diversa.
Me la ricordo bene, dato che ogni movimento, ogni singola parola e ogni motivetto cantato ed ogni sbaglio sussurrato a bassa voce, è rimasto fermo sulla pelle come i tatuaggi, quelli che ti stancano e vorresti strapparteli via di dosso ma non puoi, perché sono incisi su di te.
Ieri mi hai chiamato, sentivo il respiro basso trapassare la cornetta e arrivare dritto vicino al mio orecchio, ed in quel momento, lo dico nella mia testa e mai ad alta voce, avrei voluto averti lì perché lo sai bene che quell’unica volta in cui sono rimasta a dormire da te, in cui avevo pianto così tanto che pensavo mi si sarebbe sciolto il viso, l’unica cosa in grado di calmarmi era stato il ritmo lento, regolare, tranquillo del tuo fiato.
Ti avevo detto che il tuo profumo mi ricordava la menta, “ma a te non piace nemmeno, la menta.”
“Touchè”, era stata la mia risposta e avevo cercato la tua mano e ti avevo stretto forte e tu mi avevi detto che non mi avresti mai lasciato e che mi avresti sempre protetto e me lo avevi promesso e guardaci ora.
Ieri mi hai chiamato ed erano le due e vent’otto di notte, ti avrei persino risposto male ma sono quattro mesi, sette giorni e troppi minuti dalla tua assenza che non riesco più a dormire.
Sei stato in silenzio per qualche secondo, ho pensato che fosse uno scherzo, ma avevo letto il tuo nome sullo schermo e quando avevo schiacciato il tasto “rispondi”, mi ero pentita.
Sai quante volte ho pensato di cancellare il tuo numero di telefono dalla mia rubrica e quante volte mi sono data della stupida? Non sono mai stata così coraggiosa. 
Non ho mai avuto la forza di cancellarti in modo così definitivo, così netto dalla mia vita, sarà perché tu non ci sei mai uscito e sei rimasto incastrato tra quello che eri e quello che vorrei tu fossi per me.
Ieri mi hai chiamato, stava piovendo forte e, un’ora prima, avevo scostato la tenda della finestra per controllare se ci fossero stelle.
Ma c’era solo vento, freddo e gocce d’acqua e io ho chiuso tutto perché non voglio nemmeno guardarle, se non ci sei tu ad indicarmi tutte le costellazioni, e a dire che “guarda – indicavi la stella più luminosa – quella è Karen.”
Io ti ho guardato male, la prima volta, tu hai riso e io ho alzato un sopracciglio. “Karen è stata la mia prima cagnolina.”
Ti ho guardato ancora – non ne ho mai avuto abbastanza –, ho pensato che non era possibile che tra tutte le ragazze più alte, più snelle, con più carattere e con un sorriso più bello, con un senso dell’umorismo spiccato, Dio avesse scelto di legare te, che dedicava le stelle al suo primo animale domestico, a me, che nemmeno ricordo l’età dei miei genitori e questo fa di me “una cattiva ragazza, ecco cosa sei.”
Ieri mi hai chiamato, io mi sono messa seduta sul letto e ho aspettato.
Con te è sempre stato così.
Aspettavo i tuoi sorrisi e le tue carezze, e la tua voce che mi registrava uno di quegli stupidi messaggi vocali.
“Buonanotte”, era tutto quello che dicevi, ma era il modo in cui lo dicevi, lo canticchiavi e mi avevi detto che un giorno mi avresti spiegato il perché.
Non c’è mai stata una spiegazione.
Né per quello, né per il fatto che sei scappato, salito sul primo aereo che ti ha portato lontano da me, né per i numeri delle ragazze che hai salvato in rubrica, né per null’altro. Sei andato via con i tuoi motivetti che rimanevano nella mia testa che a chissà a quante altre hai cantato. Ma avevi solo questo.
Mi hai lasciato solo questo.
Ieri mi hai chiamato, dopo troppo tempo, e io fremevo dalla voglia di ascoltarti ma tu non parlavi.
“E allora?”, ho sospirato nella cornetta e non avrei voluto perché io sono orgogliosa e testarda e ti odio così tanto perché fai crollare le mie difese, non importa quanto io lotti, quanti scudi indossi, tu hai sempre la meglio.
“E allora mi dispiace.”
Io ho riso ed ho chiuso gli occhi, avevo addosso ancora il vestito rosso che avevo usato qualche ora prima alla festa di compleanno di Candice.
Te la ricordi, Candice, Luke? La mia migliore amica? Quella che ti ha urlato addosso ogni volta che litigavamo, perché a me, a volte, mancava la voce? Ha diciassette anni, ora, è cresciuta ed è diventata bellissima.
Tu come stai?
Come vivi?
Ti trovi bene?
Riesci a respirare senza sentire il bisogno di me?
Perché io non ci sono ancora riuscita.
 
Ho stretto le ginocchia fasciate dalle calze al petto, ho respirato più forte, poi “tutto qui?”
“Non basta?”
Mi dai questa risposta e mi rendo conto che stai bene, che vivi alla grande, magari sei riuscito a trovare un lavoro nel tuo fottuto mondo della musica, ti trovi da Dio, direi, e respirare ti sembra anche più facile, senza di me che vivo persino di questo.
“Sono quattro mesi, Luke, quattro mesi e sei sparito senza motivo, dovevi... dovevamo. – Respiro.
“Avevamo tutti quei progetti, quei sogni nel cassetto, quelle scritte sui muri dai fare e i tatuaggi e mi avevi promesso che mi avresti portato al mare d’inverno, che mi avresti fatto bere la birra e che mi avresti baciata fino a star male. Ti dispiace? A me dispiace di più e-”
“E mi manchi, mi manchi da morire.”
“A quanto posso sentire, vedo che vivi ancora, e anche piuttosto bene.”
“Mi dispiace.”
“Lo hai già detto.”
“Voglio ancora portati al mare e voglio scrivere ancora tutte quelle stronzate sui muri rovinati della nostra città di merda. Lo sai che sono scappato per quello. E voglio ubriacarmi con te e dirti che sei bella, perché a quel punto dovresti dirmi “sei ubriaco” – ed hai imitato la mia voce – ed io continuerò, con voce smielata, “domani io non sarò ubriaco, ma tu sarai ancora bellissima”, me la ricordo la foto che hai salvato sul telefono. Diceva questo, vero? O qualcosa del genere. Cioè. Ascolta, mi manchi. E più di tutto, voglio ancora baciarti e te lo giuro, metto lo stesso profumo da quando sono andato via perché quando tornerò voglio che tu mi dirai che so ancora di menta.”
Ho stretto la cornetta tra le dita, i capelli disordinati e il trucco che si è sciolto e tu sai bene perché. “Ma tu quando torni?”
Te l’ho chiesto a bassa voce, la mano sinistra a intrappolare nel pugno la cornetta perché era l’unica cosa con cui potevo prendermela.
“Io torno presto.”
“E se ti dicessi che io non ho più voglia di... te?”
Sei rimasto in silenzio, Luke, e spero tu abbia soppesato il peso delle mie parole, e spero che tu abbia capito che hai fatto un casino e che mi hai fatto male.
Da morire.
O da morire vivendo, che è anche peggio.
Sai, ci ho pensato tantissime volte.
A te, intendo.
Ci penso anche ora, mentre rimugino alle parole che hai detto dopo, ci ho sempre pensato, anche la prima volta in cui ho capito di sentire qualcosa nei tuoi confronti, che avresti fatto male. Che mi avresti fatto male.
Che i tuoi occhi chiari non gli avrei scordati così facilmente, che le tue labbra piene ma non carnose – come ti dicevo sempre – avrei voluto baciarle sempre, che i tuoi capelli coperti dai beanie che non avrei più potuto rubarti mi sarebbero mancati; è stato allora che ho capito che ne valevi la pena.
Tu ne vali sempre la pena, le lacrime, il dolore, le frasi di Tumblr che rebloggo pensando a te, le foto sui muri e sulla mia bacheca che ti dedico, ne vali la pena quando mi alzo la mattina e penso che tu non ci sei, che è vero, ma che potresti tornare, che è falso ma a me non importa perché ho bisogno di te per andare avanti.
Comunque, quando ieri alle due e vent’otto di notte, mentre pioveva e tu avevi la voce roca e bassa e sei rimasto in silenzio ancora, mi hai risposto che “se tu non mi volessi più, questo sarebbe un problema.”
Non ti ho risposto.
“E più problematico ancora sarebbe il fatto che la linea su questo aereo fa schifo e che se davvero hai trovato qualcun altro, questo viaggio di ritorno che sto facendo non avrebbe senso.”
Ho perso un battito.
“Quale aereo e che viaggio.”
Ti ho sentito sorridere nella cornetta, “ho delle bombolette e delle birre e un costume e persino dei contatti per qualche tatuatore. Ho anche le labbra screpolate, credo che sentano la mancanza delle tue.”
Ne ho persi più di dieci.
“Mi aspetti?”
Mi hai chiesto.
“Come sempre.”
Ti ho risposto.
Poi ho riattaccato ed ho seppellito la faccia nel cuscino ed ero così felice perché tu hai questo effetto cosìnegasitivo su di me e non ci potevo nemmeno credere e in quel momento erano spariti tutti i paroloni che volevo urlarti contro.
Ieri mi hai chiamato alle due e vent’otto di sera, ed ora sono le tre e venti due di pomeriggio, io sono all’aeroporto e ti sto aspettando.
E’ quando vedo il tuo capello di paglia blu spuntare tra gli altri – sei cresciuto così tanto, Luke –, è quando corro verso di te, è quando lasci a terra la valigia, è quando apri le braccia, è quando mi aggrappo a te perché mi sono sentita affondare per tutto questo tempo, è quando sento il profumo di menta invadere la mia mente, è quando le tue labbra davvero screpolate toccano le mie, che mi rendo conto che sei qui.
Io davvero non so quanto tempo siamo stati così, non so quante voci intorno a me hanno pronunciato frasi che non ho ascoltato, non so se ti han fregato la valigia o se ti ho sgualcito la maglia, ma a me, davvero, non importa.
“Mi hai aspettato davvero”, mi dici, poi e mi guardi negli occhi e mi sei mancato così tanto.
Ti sorrido.
Hai preso la valigia e mi hai stretto forte la mano nella tua, e adesso che siamo stesi sulla spiaggia e fa un freddo cane e abbiamo tre bottiglie di birra aperte al nostro fianco, te lo giuro e te lo scrivo sulla sabbia che “ne vali la pena.”

 

 

 




Note.

Vi sono mancata?

Forse no, perché non mi sono mancata  nemmeno io, ma.

Questa... cosa, come potete benissimo notare, è praticamente nata dal nulla e dal vuoto e dai miei scleri di ieri all'una di notte ahahah

Non so se possa piacere - *coro di no, again* -, se vi intrighi, se vi faccia schifo, ma, in ogni caso, magari fatemelo sapere, uhm?

Un abbraccio forte forte da una chilometri che spera di non sparire più,

<333

 

Ps. Scusate il pessimo banner, ma ho dovuto farlo a modo mio e con le mie risorse ahahah

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: chilometri