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Autore: Water_wolf    02/12/2013    6 recensioni
{ Percy/Nico perché a Natale puoi | Accenni Percy/Annabeth }
Niente semidei e genitori divini incavolati, solo New York, un brusco cambio di routine, Nico-gatto e tanto amore per Perry Johnson.
«Il suo nome è Nico, non Di Angelo. E il mio» inasprì la voce, dando enfasi alla frase, «è Percy, Percy Jackson, chiaro?»
«Cristallino, Perry Johnson.»
Il moro irrigidì le spalle e giustificò la sua azione futura pensando: non è colpa mia se la stupidità dilaga sulla Terra.
♣♣♣
Percy sentì la schiena andare a fuoco, sgretolandosi come un pezzo di carta sotto la fiamma di un accendino. Gridò.
♣♣♣
«Questa è una visione pessimista del mondo.» «Questa è una visione realista del mondo» lo corresse Nico.
♣♣♣
«Posso baciarti, Percy?»
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Bianca di Angelo, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Blurred

Percy si tirò su la sciarpa fino al naso, notando che sua madre aveva avuto ragione un’altra volta. L’aria, di sera tardi, era più tagliente coi capelli bagnati dopo l’allenamento in piscina e bisognava coprirsi bene se non ci si voleva ammalare.
Le luci natalizie illuminavano le vie e coglievano in flagrante qualche pupazzo di Babbo Natale che stava scalando il balcone di un appartamento. La neve del giorno prima era ammassata in blocchi ai lati delle strade, anneriti dallo smog e dalla cenere delle sigarette che la gente gettava a terra con noncuranza.
La punta delle sue scarpe da ginnastica blu era bagnata, segno che il ragazzo non stava praticamente badando a dove i piedi lo stavano conducendo. Faceva quel percorso tre volte alla settimana, conosceva ogni segreto di quei luoghi. La fermata della metropolitana distava pochi metri, lo sapeva nonostante il lampione avesse smesso di funzionare, gettando nel buio i vicoli più nascosti.
Percy si voltò all’improvviso, attirato da un gemito. Sarà un gattastro randagio, si disse, scrollando le spalle.
Il rumore di un cassonetto che si rovesciava a terra sembrò confermare quella sentenza. Il ragazzo si riavviò la zazzera nera, sentendo le punte dei capelli congelate.
Pensò a sua madre e a come lo avrebbe apostrofato, sventolandogli davanti al naso il capello che gli aveva comprato, appunto,  per il ritorno dall’allenamento serale d’inverno. Ma Percy, oltre a godere di una salute di ferro che non aveva mai messo in discussione, era parecchio sbadato.
Scese il primo gradino della scala che lo portava all’interno della metropolitana, quando gli sembrò di udire un’esclamazione soffocata e una risatina sadica. Si fermò, indeciso.
Continuare per i fatti suoi, arrivare a casa e riempire lo stomaco oppure spendere neanche un minuto per controllare che il gatto in questione ci fosse davvero?
Al diavolo, sbuffò e si girò, dirigendosi verso il vicolo.
«Ehi, micetto…» chiamò, modulando il tono di voce. «Vieni da zio Per-»
Le parole gli morirono in bocca.
Un ragazzo dai capelli neri scarmigliati era sull’asfalto, sovrastato da uno più grosso e robusto di lui, accerchiato da altri tre compagni, che osservavano come in trance la scena. Percy non vedeva bene, ma sapeva che la persona a terra era più giovane di lui di qualche anno e che stava indossando un giubbotto da aviatore rovinato. Strinse i pugni, serrò le labbra e i denti scricchiolarono.
«Levategli le mani di dosso» esordì, scandendo ogni sillaba come se fosse un colpo di pistola. «Non provate a torcergli un altro capello.»
I bulli si voltarono, sorpresi. Si ripresero in fretta, però, e uno di loro lo schernì: «Altrimenti cosa fai, bello? Chiami la mammina?»
Il ragazzo a terra provò a dire qualcosa, ma quello sopra di lui lo colpì con un calcio nelle costole.
«Zitto, Di Angelo.»
Percy avanzò nel vicolo.
«Altrimenti» riprese le fila del discorso, «sarete voi a implorare me di chiamare un’ambulanza.»
Si levò un “oooh” che di paura aveva quanto il sale nel cappuccino. Il ragazzo dai capelli neri riuscì a ritirarsi sul gomito e, con respiro affannoso, mormorò: «Vattene, Percy… n-non metterti in mezzo… non c’entri nulla, ed è meglio se ne resti fuori.»
«Di Angelo ha ragione. Vai a quel paese e lasciaci in pace, Perry» lo prese in giro il bullo che sovrastava il più piccolo; gli altri batterono le mani e fischiarono.
Percy abbassò il capo, furente, fece qualche passo verso l’adolescente robusto e replicò, sprezzante: «Il suo nome è Nico, non Di Angelo. E il mio» inasprì la voce, dando enfasi alla frase, «è Percy, Percy Jackson, chiaro?»
«Cristallino, Perry Johnson.»
Il moro irrigidì le spalle e giustificò la sua azione futura pensando: non è colpa mia se la stupidità dilaga sulla Terra. Serrò le nocche e, mentre ribadiva il proprio nome, colpì il bullo con un gancio destro in pieno volto.
Quello barcollò, ma si mantenne in piedi; al contrario, Percy gridò di dolore nella sua testa quando aprì e richiuse la mano.
Probabilmente mi sono fatto più male io di quel bastardo.
«Bene, fratello, ora è il mio turno» asserì lo spaccone robusto colpito.
Caricò il pugno e lo avrebbe centrato in pieno stomaco, se Nico non si fosse messo in mezzo, rialzandosi di scatto. Percy indietreggiò, slittando sulla neve sciolta, sbilanciato dal ragazzino che si era accasciato su di lui.
Il duro asfalto gli inviò una fitta di dolore dal coccige lungo l’intera spina dorsale. Nico era un peso bagnato sul suo grembo, le mani arrossate per il freddo rivolte a palmo aperto verso il cielo, immobili. Il gruppetto di spacconi proruppe in una risata sguainata.
Percy prese la testa del più giovane tra le sue mani, schiaffeggiandolo piano sulle guance per farlo rinvenire e pregando che lo facesse. Due buchi neri si schiusero, accogliendo il pacifico oceano di quelli del più grande.
Stava per sorridergli, ma il ragazzo che sembrava essere il capo della banda si intromise. «Come siete teneri, volete che vi lasciamo soli, piccioncini?»
Risero.
Percy fissò intensamente Nico, che annuì e arrancò via da lui, lasciandolo libero di alzarsi. Una frase rombò prepotentemente nella mente del nuotatore, mentre si liberava della sciarpa e scioglieva le spalle.
Io salvo te, tu salvi me, okay?


New York era una città pericolosa, Percy lo sapeva bene, ma non sia pensa mai che le sciagure colpiscano proprio te, tra tutti i suoi abitanti finché la sorte decide che è arrivato il momento di stravolgere la tua esistenza e metterti alla prova.
Sally Jackson doveva già essere a casa, e il fatto che non fosse così stava preoccupando il figlio. Sua madre non era lui, sua madre non era mai in ritardo, a meno che ci fossero buoni motivi e, nel caso, avvisava. Sempre.
Così, quando il telefono fisso squillò, Percy smise di scavare un buco nel pavimento a furia di fare avanti indietro e rispose. Poi, annuì più volte, senza riuscire a smettere, attaccò e si mise a correre giù per le scale.
Sapeva arrivare praticamente dappertutto coi mezzi pubblici, ma prima gli serviva qualcuno. Anzi, gli serviva del sangue. A Positivo, per l’esattezza. Percy credette di essere davvero perseguitato dalla iella, perché comprendeva quando potesse risultare assurdo un ragazzo che chiedeva in giro “sei A Positivo?”, aspettandosi un “certamente, quanti litri ti servono?”.
Si ritrovò all’entrata della Goode High School a fermare ogni studente o insegnate che gli capitasse a tiro. Sapeva che Annabeth poteva essere rimasta lì per dare ripetizioni o finire qualche corso supplementare, e la aspettò impaziente, con la domanda già sulle labbra.
Ma la ragazza, per quanto lo rendesse felice tutti gli altri trecentosessantaquattro giorni all’anno, quel pomeriggio gli disse che probabilmente era B Negativo, facendogli crollare il mondo addosso.
Sì, decise, era proprio sfigato.
Finché un “di che gruppo sanguineo stavi parlando?” lo fece voltare di scatto.
«A-a Positivo» rispose. «Per mia madre. Sei-»
«Sì» troncò la domanda l’altro. «Non avevi fretta?»
Percy piantò in asso Annabeth, che di quella faccenda aveva capito poco e niente, e trascinò di peso lo sconosciuto alla più vicina fermata dell’autobus. Arrivarono all’ospedale in tempo record e Percy credette che le infermiere avessero impiegato più tempo a fare quella trasfusione di quanto ne aveva utilizzato lui a presentarsi lì.
Un’infinità di tempo dopo –quindici minuti erano decisamente un’eternità- poté far visita a sua mamma. Lavorava troppo, gliel’aveva sempre detto, era ovvio che se poi lo si aggiungevano livelli di ferro piuttosto bassi, un taglio,  poche piastrine e un mese in ritardo di assicurazione, in situazioni impreviste qualcosa poteva degenerare.
Finché non ottenevano l’okay degli assicuratori –e non l’avrebbero ottenuto, lo sapevano entrambi, se non pagavano-, solo una trasfusione volontaria era la soluzione.
Percy uscì dalla stanza, raccomandando alle infermiere di far riposare sua madre tutto il tempo necessario, e si lasciò cadere seduto su una sedia di plastica del corridoio, esausto.  Ogni fibra del suo corpo gridava riposo.
Accanto a lui, si accomodò il ragazzo A Positivo. Percy non l’aveva nemmeno degnato di un’occhiata durante il viaggio, non gli aveva chiesto il nome né altro. Era un ingrato.
Si riavviò i capelli, studiando la fasciatura bianchissima sul suo braccio. Indossava una semplice maglietta a maniche corte nera, jeans slavati e teneva un giubbotto da aviatore logoro sulle ginocchia. Tutto di lui sembrava appartenere all’oscurità, dal vestiario, al colore dei capelli, agli occhi, due labirinti neri.
«Ehi» si schiarì la voce. «er… solo… grazie per quello che hai fatto.»
Abbozzò un sorriso. L’altro fece un gesto vago con la mano.
«Di niente, è già gratificante di suo fare qualcosa di buono per il prossimo.»
Si scambiarono un’occhiata. Il nuotatore gli porse il palmo aperto.
«Percy Jackson.»
«Nico Di Angelo» si presentò, stringendogliela.
Calò un silenzio imbarazzato.
Percy non era bravo con le parole, era dislessico, dopotutto, ma sentiva di dover parlare ancora.
Prese il coraggio a due mani ed esordì: «Credo che ti sarò debitore in eterno, Nico. Mia mamma è tutta la mia famiglia, senza di lei» rabbrividì vistosamente, «senza di lei, la polizia troverebbe un cadavere nell’East River. È un po’ come se avessi salvato me. Capisci?»
Nico annuì.
«Facciamo così –visto che detesto i discorsi melodrammatici come questo» propose. «Io salvo te, tu salvi me, okay?»
«Okay» sorrise Percy.



Accolse il primo pugno nel suo palmo, ma il secondo non mancò il bersaglio e gli mozzò in due il respiro. Il bullo caricò una ginocchiata, dando l’idea a Percy che avesse fatto risse da quando era nato. Riuscì a sottrarsi e colpì al volto il suo avversario, prima che due dei tre seguaci lo sollevassero di peso per le ascelle e lo incollassero al muro.
Scalciò e si dimenò, con l’unico risultato di ottenere un gancio dal terzo bullo per farlo stare tranquillo. Si scoprì a ringhiare, digrignando i denti, come un lupo rabbioso.
«Avanti, Chad, a te il primo round!» incalzò un membro della banda diretto al capo.
Chad –taglio militare, spalle robuste e cervello piccolo- si fece avanti, scrocchiandosi le nocche con fare minaccioso. Percy fremette, ma non si diede per vinto; lui poteva ancora farcela, doveva farcela.
Il pugno che avrebbe fracassato il suo cranio si abbatté contro i mattoni del blocco di appartamenti, quando il ragazzo spostò semplicemente la testa. Sbalorditi e assordati dall’ululato di dolore di Chad, gli aguzzini allentarono la presa su Percy che, sferrando un calcio all’inguine al bullo che gli stava davanti, riuscì a liberarsi. Ansimò forte, il fiato che si condensava in nuvolette bianche nella fredda aria serale.
Un membro della gang si munì di una spranga di ferro, raccolta da chissà dove, e sghignazzò come un coyote affamato. Il metallo si abbatté duro contro le braccia che Percy mise a protezione della faccia, strappandogli un gemito di dolore.
Il ragazzo si difese dal secondo assalto, afferrando la spranga e tirandola a sé, colpendo in pieno viso colui che la teneva. Quello crollò a terra, svenuto, il naso rotto. Percy si fece passare da una mano all’altra la spranga, guardando con disprezzo il ragazzo esanime sull’asfalto.
«Percy! Attento!» gridò Nico, cercando di rimettersi in piedi.
Il più grande si voltò nella sua direzione, brandendo la spranga come una mazza, proprio quando Chad lo colpì in pieno petto e lo sbalzò contro il muro con una mossa da giocatore di rugby.
Percy sentì la schiena andare a fuoco, sgretolandosi come un pezzo di carta sotto la fiamma di un accendino.
Gridò.
La visuale gli si riempì di puntini rossi e gialli che danzavano frenetici davanti ai suoi occhi.
La testa ciondolò sul petto.
I rumori gli giungevano ovattati, distanti chilometri e chilometri.
Chad lo agguantò per il giubbotto, costringendolo in piedi, nonostante le gambe non lo reggessero. Mugugnò qualcosa, poi tossì, un angolo della bocca si sporcò di sangue.
«Avresti dovuto startene da parte, Perry Johnson. La banda risolve i problemi all’interno della banda, chi si intromette fa una brutta fine.»
Il dolore fece recuperare un po’ di lucidità a Percy, nonostante avesse ancora lo sguardo offuscato.
«Allora perché non vedi di risolvere le difficoltà che hai col mio nome?» provocò, accennando un sorriso di scherno.
Il pugno che Chad gli diede sembrò volergli trapassare lo stomaco, e Percy era sicuro che ci sarebbe riuscito se avesse continuato così. Cercò di pensare a come uscire da quella situazione, ma tutto ciò su cui riusciva a soffermarsi più di quattro secondi di seguito erano il battito furioso del suo cuore, la promessa fatta Nico e la luce del lampione che si era riacceso.
No, realizzò, non è quello. Sono i fari di un’auto.
Un’idea, dapprima sfocata, man mano sempre più delineata, si fece strada nella sua mente. Molto probabilmente non avrebbe funzionato, ma confidava nell’alto tasso di stupidità di quella banda. Scoppiò a ridere, facendo rimbombare il suo riso folle per tutto il vicolo. Chad provò a farlo tacere, ma Percy persistette.
Nico lo guardò, confuso. Gli scoccò un’occhiata che voleva dire “stai al gioco”.
«La vedi questa luce, mh?» domandò, sfacciato. «Sai che cos’è?»
Il capo del gruppo strinse i pugni sulla sua giacca.
«Sono i fari della volante della polizia che ho chiamato prima di intromettermi. La aspettavo da un po’, ma almeno è arrivata.»
«Sta mentendo» intervenne un membro della gang.
Percy scosse la testa, lasciandosi andare in un’altra risatina che aveva dell’isterico.
«Ti piacerebbe.»
Chad lo fissò, furioso; lo staccò dal muro e lo gettò a peso morto sull’asfalto. Nico accorse verso di lui, ma un bullo lo colpì con un calcio alle reni, costringendolo a stare lontano.
La luce si fece più intensa e Percy ne approfittò per incalzare: «Forza, non vorrete che la mammina vi debba pagare la cauzione, vero?»
I ragazzi robusti si scambiarono un’occhiata e, per non rischiare, decisero di dileguarsi.
«Non è finita qui, Di Angelo. Guardati le spalle, Jackson» minacciò, sollevando il compagno svenuto e allontanandosi in fretta dal vicolo.
Percy aspettò qualche istante prima di sospirare, passarsi una mano nei capelli e ridacchiare, divertito.
«Hai davvero chiamato la polizia?» chiese Nico, appoggiandosi al muro per rialzarsi.
Percy scosse la testa, raccogliendo la sciarpa che aveva lasciato a terra.
«Pensavo fossi un gatto» ammise, porgendo una mano al più giovane.
Nico accettò, riconoscente, indicò col mento la fermata della metropolitana e spiegò: «C’è un telefono pubblico, qualcuno può venirci a prendere.»
Percy annuì, camminando fianco a fianco con lui, che zoppicava leggermente. Anche il nuotatore sentiva la schiena protestare per ogni movimento brusco e lo stomaco gli doleva da impazzire, ma decise di concentrarsi su altro, cercando di dimenticarsi di tutti i colpi che aveva subito.
Scesero le scale con l’eleganza di due ubriachi, raggiunsero una cabina con un telefono pubblico e, inserendo qualche spicciolo, Percy chiamò sua madre. Dovette allontanare la cornetta dall’orecchio quando le spiegò il motivo di quella telefonata. Dopodiché, uscirono dalla metropolitana e aspettarono l’arrivo di Sally Jackson all’aperto.
Nico si sedette sul marciapiede, incurante della neve e del freddo, dato che i suoi vestiti erano già bagnati. Percy voleva chiedergli chi erano quei tizi e perché lo stavano picchiando, ma preferì aspettare che fosse lui a vuotare il sacco.
«È successo per Bianca» esordì il più piccolo, stringendosi dentro il suo giubbotto d’aviatore.
L’altro si fece attento.
«Mia sorella Bianca» precisò. «Che è morta.»
Percy ignorò le fitte che gli inviava la schiena e si sedette accanto a lui, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Overdose… sai, non era un tagliata bene e…» Si passò una mano sul viso, mentre Percy si stringeva a lui. «Non è bastato loro la sua vita, vogliono soldi per la dose. Soldi che non gli darò, e non solo perché non voglio.»
«Denunciali» disse di getto Percy.
Nico alzò lo sguardo su di lui, scosse lievemente la testa e mormorò: «Non servirebbe a niente. Bianca è già morta e il mio caso non vale la pena di essere preso in considerazione.»
«Questa è una visione pessimista del mondo.»
«Questa è una visione realista del mondo» lo corresse Nico.
Bloccò l’obiezione di Percy con un gesto perentorio della mano.
«Non discutiamone ancora, va bene? Ti ringrazio per quello che hai fatto.»
Si alzò, si sistemò i jeans e si allontanò. Percy rimase seduto sul marciapiede, osservandone l’andatura zoppicante per via delle percosse.
«Ehi!» lo richiamò, ma Nico continuò a camminare. «Io salvo te, tu salvi me, okay? Ricordi?»
Il ragazzino continuò imperterrito per la sua strada. Percy si alzò di scatto e gridò: «Ricordi!?»
Gli corse dietro, lo afferrò per una spalla e lo fece voltare, costringendolo a guardarlo dritto negli occhi. Lo sentì tremare sotto la sua presa.
«Hai estinto il tuo debito, Jackson, okay. Non voglio crearti altri problemi.»
«Be’» iniziò Percy, il tono irritato, «pensavo che un salvataggio comportasse una sorta di amicizia, dopo. Invece, mi chiami ancora per cognome, nonostante mi abbia parlato di una situazione difficile come la morte di tua sorella. Che cosa vuoi, Nico? Posso essere tuo amico, ma solo se anche tu lo vuoi. Se do fiducia, ne voglio altrettanta in cambio.»
Nico tentò di fuggire dagli occhi cristallini di Percy, senza riuscirci. Il più grande lo scosse, l’altro deglutì.
«Io… io voglio te» rivelò tutto d’un fiato, rialzando il capo.
Non lasciò tempo a Percy di riprendersi dalla sorpresa e domandò in un sussurro: «Posso baciarti, Percy?»
Il più grande rimase pietrificato, la mano congelata sulla spalla di Nico, gli occhi color oceano sgranati. Se in superficie poteva risultare calmo, dentro uno tsunami di emozioni lo aveva lasciato con l’acqua alla gola.
Sentì il fiato caldo del ragazzo sul suo collo, le sue labbra a fior di pelle dalle sue. Le sfiorò delicatamente, avvertendo un brivido corrergli lungo la schiena, e le assaggiò.
Aveva sempre pensato che baciare un uomo fosse diverso, più crudo o ruvido, come carta stagnola, ma quelle labbra erano morbide quanto quelle di Annabeth, se non di più.
Nico si sottrasse al contatto, abbassando il capo. Percy lo fissò, incapace di interpretare quello che stava vivendo.
Sapeva solo che quel bacio era un punto sfocato nella sua giornata, una sensazione indefinita che assomigliava molto alla fame. Si rese conto che voleva provarla ancora, quell’emozione sconosciuta, e che gli piaceva.
Prese il mento di Nico nella sua mano, lo sollevò e accompagnò le sue labbra sulle proprie. Le loro lingue si sfiorarono, si abbracciarono e si intrecciarono. Percy abbassò le difese, accettando quel contatto come il più bel regalo che gli fosse mai stato fatto.
Le sue mani si strinsero attorno ai fianchi di Nico quando il fiato mancò a entrambi. Il suono di un clacson li riportò bruscamente alla realtà. Percy si voltò, avvicinandosi all’automobile e venendo stritolato dall’abbraccio di Sally Jackson, che non riusciva a smettere di mormorare “oh mio Dio”.
«Mamma.» Percy la prese per le spalle, tentando di calmarla. «Mamma, sto bene. Davvero.»
La donna sembrò rincuorarsi un po’, lo prese per mano e lo condusse verso la macchina. «Andiamo a casa, forza» incitò.
Il ragazzo salì sul sedile anteriore e fu subito affiancato da sua madre, che fece ripartire il motore. Percy si rilassò, stendendo i muscoli, e guardò fuori dal finestrino.
Nico Di Angelo camminava con la testa incassata nelle spalle, senza aspettarsi che qualcuno si ricordasse che lui esisteva.
Percy fece segno a Sally di fermarsi poco davanti a lui, attirò l’attenzione del più piccolo con un fischio e gli fece segno di avvicinarsi.
«Sali dietro, avanti. Ti diamo uno strappo a casa, okay?»
Non c’era spazio per un rifiuto in quell’invito.
Nico ci pensò su qualche attimo, si scostò i capelli neri dalla fronte e sorrise.
«Okay.»

Angolino dell'autrice
Buonasera a tutti!
Inizio col dire che se avete voglia di insultarmi perché è Pernico, vi avviso che, di norma, anche io sono per la Percabeth. Ma l'idea di Percy e Nico... uhm, mi allettava troppo. Sono una multishipper, yep ^y^
So che Annabeth non va alla Goode, ma mi serviva lì in quel momento, quindi passatemela. Chad non esiste, ma non penso che un normale bulletto possa chiamarsi "Crono", quindi... nome random! ^^"
Spero di essere rimasta IC per tutti, anche per Bianca morta. RIP
Il titolo non mi piace, trovo che faccia emeritamente schifo. I consigli a riguardo sono i benevenuti!
Eeeeee non so più cosa dire, perciò non vi tedierò oltre. Peace and love a tutti


Water_wolf

 
  
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