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Autore: Hisfreckles    02/12/2013    4 recensioni
Sta ancora ridendo quando lo sente per la prima volta. Un suono leggero, appena più forte dello sciabordio delle onde, che man mano diventa più forte, più chiaro, più sbagliato.
[Accenni Annie/Peeta]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Annie!» la voce del bambino arriva alle sue spalle. I piedini che leggeri scendono le scale, mentre allegro corre da lei, che, poggiata alla finestra osserva il via vai di gente che cammina tre le strade del distretto.
«Buongiorno, Sam»
Annie non può fare a meno di sorridere alla vista del fratellino. Ha i capelli spettinati e i vestiti disordinati per la fretta di far iniziare quella giornata.
«Su Annie, sbrigati, stanno per arrivare!» le tira una mano perché si alzi, e Annie ride mentre di fa trascinare fuori dal bambino. 
Il sole di febbraio scalda dolcemente l’aria invernale, regalando una giornata abbastanza tiepida anche per gli standard del distretto. O forse a rendere piacevole la giornata è l’aria di festa e i sorrisi stampati sui volti di ogni abitante del quattro, persino i pacificatori che marciano per le strade ricoperte di un sottile quasi perenne strato di sabbia, sembrano meno minacciosi oggi.
La ragazza continua ad osservare suo fratello che ancora le tiene la mano, guidandola attraverso le vie del distretto. Osserva il suo sorriso entusiasta mentre le racconta del disegno che ieri ha fatto a scuola, e che darà al loro papà una volta tornati a casa, e del bel voto che gli ha dato la maestra. Potrebbe quasi mettersi a saltellare fino al porto per la felicità, in realtà lo sta facendo già. Cerca di godersi le risate e la gioia che c’è nell’aria che come sempre sa di salsedine, cerca di non pensare al fatto che tra meno di quattro mesi, la stessa aria sarà pregna di preoccupazione, angoscia e terrore.
Sta ancora ridendo quando lo sente per la prima volta. Un suono leggero, appena più forte dello sciabordio delle onde, che man mano diventa più forte, più chiaro, più sbagliato.
Clomp. Clomp. Clomp. Clomp.
Annie cerca di capire da dove arrivi. Sembra quasi rumore di passi, seguito da qualcosa che viene trascinato.
Clomp. Clomp. Clomp. Clomp.
Continua, ma Annie non capisce, sa solo che c’è qualcosa che non va.
Prende la mano di suo fratello con urgenza. Devono scappare, ma quella scivola via, come se fosse solo un’ombra, un fantasma, un eco di una vita ormai passata.
 E’ tutto completamente sbagliato, quel rumore, suo fratello, lei.
Non è possibile. Quello che sta succedendo non è reale.
Vuole che finisca, che la lasci in pace.
Che cosa succede?
Vuole scappare.
Si accascia su se stessa, improvvisamente troppo debole anche per stare solo in piedi. I capelli ricadono sul suo viso, nascondendo le lacrime che calde le cadono lungo il viso, le mani che con forza premono sulle orecchie, nel vano tentativo di non sentire più nulla. Urla. Urla perché è tutto inutile. Perché è l’unico modo per non sentire nulla. Perché è l’unico modo di far zittire la sua testa.
Quando riapre gli occhi, la luce quasi la acceca. Quella luce bianca che si riflette sulle pareti, anche esse immacolate, e fa male agli occhi venti quattro ore al giorno. Ormai non ricorda neanche che più che significhi giorno, ma non è sicura che l’abbia mai saputo.
I passi continuano, rimbombano fuori dalla sua cella, nel corridoio.
Clomp. Clomp. Clomp. Clomp.
Una porta si apre, quella adiacente alla sua, seguita da un rumore sordo, di qualcosa che è stato lasciato cadere, abbandonata a se stessa senza interesse. Qualcosa … o qualcuno.
Annie si stringe un po’ più se stessa. Sarebbero venuti a prenderla presto, ne era certa.
La porta si richiude automaticamente con un bip, nessuna serratura, né interna né esterna. Poi i passi svaniscono tornando indietro, dovunque esso sia.
«Peeta!»
La voce di Johanna rimbomba attraverso i muri.
«Peeta, non chiudere gli occhi, rimani sveglio»
Annie porta di nuovo le mani alle orecchie. Johanna continua ad urlare, imprecando contro la capitale, contro i pacificatori, contro il presidente. Poi un’altra porta si apre, e il silenzio cala di nuovo.
Quando si rende conto che non verrà più nessuno, gattona lentamente fino al campo di forza che separa le due celle.
Il ragazzo geme mentre cerca di mettersi a sedere contro il muro. Ha il viso contratto a causa del dolore, ma Annie riesce comunque a notare ferite che prima non c’erano, una chiazza piuttosto ampia di sangue  bagna i capelli biondi proprio sotto la tempia, così come le labbra e il collo.
Annie si lascia cadere per terra. Vorrebbe fare qualcosa, ma l’unica cosa che le è concesso, è guardare, così chiude di nuovo gli occhi, prima che le voci tornino per portarla via.
Passano ore, minuti, secondi, non lo sa con certezza, non sa più cosa sia il tempo.
«Annie» la voce è quasi un sospiro, ma abbastanza forte da richiamarla da quel mondo che la ragazza s’era costruita dietro le palpebre nel corso degli anni. Apre gli occhi verde acqua con estrema lentezza. L’unico spiraglio di bellezza, in quella cella asettica, a cui Peeta si aggrappa ormai da settimane. Aveva perso il conto delle volte in cui si era ritrovato a fissare quegli occhi grandi e vuoti, cercando di leggere la storia dietro di essi. La storia dietro quello che sapevano tutti, quella prima della sua mietitura, prima di veder morire il suo compagno di distretto, prima di perdere il senno.
Qualcuno una volta gli aveva detto che gli occhi erano lo specchio dell’anima, lui non ci aveva mai creduto.
Per lui erano molto più che un semplice specchio, erano una porta. Ora ne aveva una conferma: con un solo sguardo, era riuscito ad entrare in quegli occhi spenti, ma così incredibilmente luminosi, era riuscito ad entrare nella sua anima, e ne era certo, l’aveva vista. Aveva visto l’oceano. Quello vero, niente a che vedere con la brutta copia che gli strateghi avevano cercato di replicare, e che compariva a volte tra i suoi ricordi confusi.
«Parlami del mare» dice all’improvviso.
Gli occhi della ragazza si spalancano per un instante e Peeta si chiede se non abbia completamente sbagliato ad aprire bocca. Ma Annie prende un gran respiro, rilassa i muscoli  mentre chiude le palpebre e comincia a parlare. Peeta la imita, sistema meglio la protesi e poggia di nuovo la testa contro il muro.
Prova ad immaginare tutte le cose che Annie descrive minuziosa, tralasciando i pacificatori e i posti di blocco e i porti grigi e la paura di non rivedere più i propri cari una volta partiti per il mare. Si concentra sui dettagli più piccoli: la luce del sole che luccica sulle onde, la luna lattea che domina la distesa scura, le montagne che in lontananza lasciano il posto all’acqua, la sabbia che leggera si lascia guidare dal caldo vento d’estate; di quella volta in cui avevano dormito sulla spiaggia per assistere alla schiusa di alcune  uova di tartaruga che avevano nascosto ai pacificatori e di come la luce del sole sorgente illuminava i piccoli mentre si avventurano incerti verso il mare.
Gli racconta del giorno in cui suo padre è tornato a casa dopo aver passato sei mesi su un peschereccio, l’ultima volta che ha fatto ritorno a casa prima di sparire per sempre inghiottito da quella distesa bellissima e letale. Dettagli quasi insignificanti, ma che a lei sanno di casa.
«Vorrei poter avere una tela e dei colori» si lascia sfuggire il biondo, gli occhi ancora chiusi e la mente ancora nel distretto quattro. Avrebbe voluto dipingere quello che, solo ora si rendeva conto, non avrebbe mai avuto la possibilità di vedere con i propri occhi: il sorriso malinconico di Annie, i suoi capelli ramati mossi dalla brezza, la luce del tramonto che lambisce la sua pelle.
Il silenzio torna ad impregnare l’aria come l’odore del sangue a cui non si abitueranno mai. Un silenzio che in realtà è solo apparente, perché le urla di Johanna che non hanno mai smesso di echeggiare nelle loro orecchie, ora sembrano anche più forti di prima. Il ragazzo si chiede cosa possa far cedere così una ragazza come Johanna, ma sa bene che qualunque cosa sia, non si fermeranno finché non implorerà perché lo facciano o, molto più probabile, non arrivino sul punto di ucciderla.
«Peeta, ho paura»
Anche lui ha paura, forse una paura diversa, più simile a quella di Johanna, ora che non ha più una famiglia e che Katniss lo ha tradito, ma era comunque paura.
Annie si abbraccia le gambe un po’ più strette al petto, trema, ma non può sapere se per il freddo o per la paura.
E’ allora che Peeta si rende conto che quello non è il posto giusto per la ragazza del mare, lei non c’entra nulla in tutto questo. Una persona come lei non può essere ritenuta una vincitrice, a stento si poteva definire una sopravvissuta, lei era troppo buona e fragile per Capitol. Lui e Annie erano molto più simili di quanto pensasse: era colpa di Finnick se si trovava lì, come era colpa di Katniss se lui si trovava lì. E in quell’istante sentì per la prima volta l’impulso di proteggerla, perché lei meritava molto di più di quello. Meritava di essere trattata bene, e amata e curata.
«Andrà tutto bene, usciremo da tutto questo, e appena saremo liberi mi dovrai mostrare il mare».
Cerca di confortarla, di confortare entrambi, ma a malapena crede alle sue stesse parole.
La ragazza accenna ad un sorriso e Peeta drizza la schiena per osservarlo meglio, imprimerlo a fuoco nella sua mente.
«Tu però mi dovrai fare una torta»
Cerca quasi di trattenere una risata, e Peeta comincia davvero a pensare che, dopotutto, non potrebbe trovarsi in un posto migliore, perché lì aveva conosciuto lei.
«Affare fatto» dice con un sorriso soddisfatto.
«Affare fatto» annuisce lei.
 
 

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Ok, devo dire che ho sempre shippato questi due (non come gli everlark, quella è un transatlantico, gli aneeta sono più una barchetta che li segue (?)), ma mi sono fatta parecchi filmini … e si può capire.
Nasce tutto dalla frase di Peeta ‘Sii carino con lei, Finnick. O sarò tentato di portartela via ‘e ovviamente dalla torta nuziale che Peeta ha fatto nel tredici.
Speculazioni, tante speculazioni.
Annie forse è ooc, non saprei dirlo, Peeta è confuso, hanno appena iniziato il depistaggio, e sta cominciando a credere davvero a quello che gli dicono.
Credo di aver finito.
Grazie mille a chi leggerà e soprattutto a chi lascerà una recensione.


  
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