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Autore: Norgor    04/12/2013    7 recensioni
Mentre fuggiva in lamenti strazianti, ripensava alla fragranza della corteccia di un albero del suo Distretto, al sesto compleanno di suo fratello minore trascorso nel bosco, al calore del suo camino nelle giornate d’inverno.
A tutto quell’affetto e a quell’amore famigliare che improvvisamente parevano scomparire insieme al sangue della ferita. A tutta quella felicità e libertà che ora invece avevano lasciato spazio alla paura e allo smarrimento.
Aveva iniziato ad urlare, lo sapeva. Se ne rendeva conto.
La sua vista si era annebbiata in modo confuso, e dalle palpebre pesanti oramai scorgeva solamente un turbinio indistinto di sfumature grigiastre che la facevano sentire in trappola.

Johanna Mason e la storia del primo bambino che riesce a entrare nel suo cuore.
Johanna Mason nel gioco più strano a cui abbia mai preso parte.
Johanna Mason | District 7 | One shot | Rating arancione.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Blight, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Compassion.

 
 
 
 

 

Erano trascorsi appena tre giorni dall’ingresso nell’Arena, ma già le spalle di Johanna erano stanche di portarsi dietro tutto quel peso, e le sue gambe tremavano per la fatica in spasmi insistenti.
  Possibile che non ci fosse una sola cazzo di pozza d’acqua da quelle parti? Possibile che tutto il bosco fosse sprovvisto di un cazzo di fiume? Era da più di una quarantina ore che non bagnava le labbra secche e non rinfrescava la gola, tanto che perfino sbuffare per l’indignazione era diventato un procedimento troppo complicato.
  Il suo passo, solitamente silenzioso e felpato, ora produceva un insolito scricchiolio indistinto che metteva in allarme tutte le ghiandaie imitatrici nei paraggi. Il sole era allo zenit e si ostinava a picchiare ferocemente fra le fronde degli alberi, illuminando tutto ciò che incontrava con rifulgenti bagliori dorati.
  Dal canto suo, Johanna non si preoccupava più di passare inosservata. Anzi, approfittava di quel momento di quiete per riempire tutta la capitale di colorite bestemmie e giganteschi insulti. Ogni tanto si premurava di sferrare qualche calcio alla corteccia di un albero,oppure di abbattere qualche scoiattolo con la sua ascia da quattro soldi. Perché doveva essere necessariamente tutto così noioso? Perché non poteva sfogarsi un po’ liberamente?
  I suoi occhi velati di disprezzo si soffermarono su un cespuglio di erbe particolari, il cui color pesca spiccava in mezzo a quella moltitudine grigiastra e pallida che lo circondava. All’olfatto parevano commestibili, ma non si può dire che avessero un aspetto tanto appetitoso. Ad ogni modo, non ebbe mai il tempo per assaggiarli.
  « Esci fuori » ordinò sprezzante con tono fermo e deciso, un sorriso sarcastico dipinto sul volto. « Subito ».
  Con un fruscio di foglie e rametti una figura minuta apparve da dietro la sequoia più vicina, un’espressione incerta a ornarle il viso. Un ragazzino dallo sguardo perso stendeva a bocca aperta e la osservava intimorito.
  « Che c’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua? » Johanna serrò le braccia attorno ai fianchi in un cipiglio scocciato e esterrefatto. « Che cosa vuoi? »
  Il ragazzino non si era ancora mosso, e a giudicare dalla sua reazione non si aspettava minimamente di essere scoperto. Come poteva fare adesso? Come fuggire da quella situazione?
  « I-io… » esitò con voce spezzata, un groppo in gola provocato dalla paura.
  « Tu cosa? » sbuffò lei seccata. « Mi stavi per caso seguendo? Hai idea di cosa potrei farti, brutto nanetto insolente? »
  In realtà Johanna non avrebbe voluto rispondere così, anche perché era consapevole di aver mandato beatamente al diavolo tutta la strategia che aveva attuato finora. Ma decisamente non era giornata, per lei.
  « M-mi chiamo Michael » mugolò lui, puntando lo sguardo verso terra.
  « Beh, io invece no. Contento, adesso? »
  Johanna aggrottò la fronte infastidita e voltò le spalle al ragazzino, proseguendo per la sua strada come se niente fosse successo. Non aveva intenzione di restare a guardare quel moccioso, ma se solo avesse provato a seguirla si sarebbe ritrovato un’ascia conficcata nel petto.



 
******


  Con un sibilo acuto e agghiacciante Johanna scagliò l’ascia affilata contro l’estremità del tronco di un acero apparentemente morto. Che nervi. 
  Aveva passato tutto il giorno a setacciare la selva rigogliosa, ma a quanto pare non c’era nessuno specchio d’acqua da quelle parti. Cosa cazzo avrebbe potuto fare adesso? Morire di disidratazione sarebbe stato il colmo per una che invece fremeva dalla voglia di sgozzare gole e tagliuzzare ossa.
  Senza alcuna difficoltà si arrampicò su un albero particolarmente folto e si nascose fra i suoi rami possenti, imprecando contro tutte le telecamere che fossero nei dintorni.
  Fra non molto l’inno di Panem sarebbe risuonato per tutta l’Arena, ma a lei non avrebbe potuto importare di meno. Sul cielo sarebbero apparsi ragazzi che per lei erano solo volti fluttuanti nel nulla. Persone senza nome e senza vita. D’altronde, perché avrebbe dovuto importarle? A loro per caso importava di lei?
  Invece non fu l’inno di Panem a penetrarle nelle orecchie, bensì un urlo disumano proveniente da non molto lontano. Merda, pensò.
  Aguzzò lo sguardo verso l’orizzonte, finché non udì diverse risate di scherno aleggiare fra gli alberi della foresta. I Favoriti. Avevano trovato con chi divertirsi.
  In un impeto di rabbia scattò in piedi, gli occhi piccoli iniettati di sangue, le vene ribollenti di furore assassino. Ne aveva abbastanza di fare la ragazzina deficiente davanti alle telecamere. Perché Blight aveva voluto che lei adottasse una simile strategia? 
  Saltò sul terreno con un’indomita agilità e tese le orecchie verso la fonte dei rumori. Le grida erano aumentate di volume e apparentemente più vicine. L’idea che fosse in corso un massacro a pochi passi da lì la riempì di pura adrenalina. Quanto avrebbe voluto prendere parte alla lotta. Uccidere. Sporcarsi le mani di sangue.
 
I suoi piedi si mossero rapidamente e, prima che se ne rendesse conto, le sue gambe erano già partite a gran velocità verso il luogo del combattimento.
  Il vento potente le scompigliava i capelli, che le ondeggiavano sulle spalle in un groviglio indistinto. Il sorriso sadico che le adornava il viso lasciava spazio ad uno sguardo feroce e mietitore di vittime. Uno sguardo che la stupida e indifesa ragazzina del sette non avrebbe mai dovuto avere.
  
Frenò il passo con uno scricchiolio amplificato e abbassò la testa verso terra. Il viso scavato di Blight le apparve nella mente, con quel suo ghigno deluso e quell’espressione abbattuta che volevano dire solamente una cosa. Johanna, stai mandando a monte tutto. Sei una cogliona.
  Ma cosa le era saltato in mente? Perché aveva deciso di compiere una tale sciocchezza?
  Quando ormai i passi rapidi dei tributi erano a pochi metri da lei, una nuova ondata di panico la investì da capo a piedi. Perché si era lasciata sopraffare dalla sua indole animalesca?
  « Cazzo » imprecò mentre i primi cespugli davanti a lei iniziavano a muoversi con lievi fruscii. Dove poteva andare? Perché rimaneva ferma e immobile senza fare niente?
  
Neanche il tempo di pensarlo, che un ragazzino lentigginoso comparve dallo spiazzo buio dinnanzi a lei, le urla dei Favoriti che rimbombavano poco lontano. Immediatamente lo riconobbe come il bambino odioso e seccante che aveva scacciato quella mattina. Il suo cuore perse un battito.
  Non poteva lasciarlo lì così. Altrimenti come avrebbe potuto portare avanti la strategia? Già stava perdendo credibilità; le poche carte che le rimanevano ancora in mano avrebbe dovuto giocarle al meglio.
  
I suoi occhi celesti erano impregnati di dolore e tristezza, e le sue labbra formulavano un flebile “ti prego” sussurrato fra i soffi del vento.
  Johanna si guardò intorno nel tentativo di pianificare una fuga, mentre la sua mente era invasa dal desiderio di allontanarsi da lì il più velocemente possibile.
  « Dai, muoviamoci! » esclamò irritata, spingendo con forza il ragazzino che arrancava a corto di fiato. I due presero a correre fra i rovi intricati della foresta che ora pareva tanto oscura e misteriosa e carica di terrore.
  Il tempo sembrava scorrere a velocità doppia e dopo neanche un minuto il bambino dava sempre più segni di cedimento e le urla divertite dei Favoriti parevano sempre più prossime. Erano fottutamente spacciati.
  
Johanna cercò di mantenere la calma, ma le sue braccia fremevano per la rabbia e l’ansia.
  Era stata una stupida. Perché mai si era lasciata coinvolgere in un casino del genere?
  
Con espressione infuriata prese il ragazzino per il colletto e insieme si nascosero fra due cespugli abbastanza rigogliosi, il fiato sospeso e le orecchie spalancate. Da dietro le foglie secche i suoni erano ovattati e i passi affrettati dei Favoriti producevano un’eco abbastanza sordo.
  Johanna aveva i muscoli in tensione e le sue iridi erano dipinte di una sensazione mista a paura e adrenalina. Cosa ci faceva lì distesa a terra, pur essendo consapevole di saper tenere testa ad ognuno di loro? Perché doveva fare per forza la figura della cretina davanti a tutti ogni santa volta?
  In un sibilo tagliente i Favoriti arrivarono sullo spiazzo di terreno e altrettanto in fretta se ne andarono con passi pesanti ma veloci. Di fianco a lei, il bambino aveva lentamente smesso di tremare e aveva ripreso a respirare regolarmente.
  Fu un suono inusuale a distrarre l’attenzione di Johanna. Il continuo rimescolamento di un liquido racchiuso in una borraccia metallica. Sollevò lievemente lo sguardo mentre un ragazzo alto e muscoloso superava la loro posizione con una maschera di furia dipinta in viso.
  I suoi occhi brillarono di una luce intensa. AcquaOra sapeva dove trovarla.
  Fece per uscire allo scoperto, ma rimase in disparte appena vide che l’ultima del gruppo stava giungendo sul posto, in mano un coltello affilato, ai lati dello zaino due grandi borracce.
  Johanna non ci pensò due volte. Non gliene importava più niente della strategia, non le importava più niente di apparire debole e stupida, non le importava che probabilmente sarebbe stata presa di mira dagli altri tributi.
  A quella traiettoria di lancio non mancava mai il bersaglio fin da quando aveva sette anni.
  Fu fin troppo facile scagliare l’ascia pesante e farla conficcare nell’incavo del collo dell’ignara Favorita, la quale si accasciò al suolo ancora prima di riuscire a chiamare aiuto.
  Il ragazzino ancora disteso a terra trasalì in un espressione spaventata. Johanna lo ignorò e senza tanti complimenti recuperò l’arma impregnata di sangue dal corpo esanime della ragazza, mentre il cannone sparava in un colpo fermo e deciso.
  « È meglio se ti muovi, sai. Quelli non sono tipi amichevoli » fece lei indicando il punto in cui i Favoriti erano scomparsi. « Probabilmente saranno già sulle nostre tracce ».



 
******

 
  « Come hai detto che ti chiami? » grugnì brusca Johanna, setacciando attentamente le erbe che incontrava sul suo cammino, nel tentativo di procurarsi qualcosa per cena. Ogni tanto voltava lo sguardo e si scrutava intorno circospetta. Alla fine i Favoriti avevano esplorato la foresta tutta la notte, ma loro due erano riusciti a cavarsela e si erano rifugiati in una lugubre rientranza di una caverna.
  « Michael » rispose lui dopo una ventina di secondi, la vocina esile e stridula che la infastidì non poco.
  «Beh, Michael, vedi di non starmi addosso, capito? » sbottò con fare frettoloso. Non aveva intenzione di provare compassione per i deboli, aveva chiuso con i metodi cortesi ed educati.
  Lui la osservò di sottecchi mordendosi il labbro, un’ombra di timore che gli illuminava lo sguardo.
  « Mi stavo chiedendo… » incominciò titubante, i denti che tremavano. Il silenzio seguente, carico di tensione, si prefissò come un fastidioso ronzio nella mente di Johanna, che fin da subito percepì qualcosa di inusuale, qualcosa di sbagliato.
  « Che cosa? » azzardò con’espressione stufata e cipiglio infastidito. Possibile che non riuscisse mai a terminare una frase di senso compiuto?
  
« Diventeresti mia alleata? »
  Il viso di Johanna si tinse di una nota di incredulità. Ma quanto poteva essere patetico? Neanche fossero stati dei bambini che decidevano di fidanzarsi tanto per fare. Come poteva dare peso ad una richiesta del genere? Aveva tanta voglia di scoppiargli a ridere in faccia, di mostrare quanto poco le importasse della sua paura, quanto poco le importasse di lui e quanto poco le importasse di tutta quella merda.
  Ma poi cosa avrebbe fatto? Lo avrebbe ucciso? Di certo ne sarebbe stata capace, ma così facendo avrebbe potuto dire addio a tutta la falsa che aveva portato avanti fino a quel momento. Che fare? 
  In preda all’indecisione, Johanna puntò lo sguardo verso le montagne innevate che si stagliavano in tutta la loro maestosità poco lontano. Per l’ennesima volta, il viso brusco e burbero di Blight le apparve nella mente e ivi si stabilì come un’impronta fissa.
  Socchiuse gli occhi ricordandosi ciò che il mentore le disse poco prima di salire sull’hovercraft.
  « Sei una ragazza molto persuasiva, Johanna. Sei la più furba, lì dentro. Vedi solo di sapere contro chi puntare l’ascia ». 
  Le prime scie del tramonto facevano capolino dall’orizzonte e illuminavano tutto il paesaggio di un’accesa tonalità aranciata. Volse lo sguardo verso il ragazzino che trepidante non aveva distolto gli occhi dalla sua figura, attendendo con ansia una risposta, ginocchia tremanti e viso ansioso.
  Un raggio timido di sole gli investì la fronte e schiarì i suoi capelli rossastri. Johanna sorrise in quella che probabilmente era un’espressione compassionevole.
  « Certo, perché no? »


 
******

 
  Perché russava la notte. Perché rimaneva sempre indietro e produceva un rumore inaudito quando camminava. Perché continuava a riempirla di domande stupide e prive di logica. Perché rideva e scherzava nonostante la paura governasse quel luogo carico di tensione e angoscia. E perché puzzava.
  Ecco perché no.

  Ciononostante, Johanna era più che sicura di aver fatto la scelta migliore. O perlomeno, per ora non si era ancora totalmente pentita di averlo accettato come alleato, ed era già qualcosa.
  I giorni insieme al suo nuovo compagno trascorrevano lenti e monotoni in un’atmosfera totalmente piatta e priva di azione. Erano rimasti in dieci nell’Arena, ed era da quattro giorni che non si udiva un cannone echeggiare in aria. Gli Strateghi dovevano essere alquanto impazienti, la loro sete di sangue ai massimi livelli.
  « Ehi, Joh » la appellò Michael, comparendo da un fitto cespuglio spinoso. Johanna storse il naso e tentò di trattenersi all’udire quel nomignolo fastidioso che le era stato affibbiato. Cosa aveva fatto di male per meritarsi una simile tortura?
  
« Vieni un po’ a vedere » fece con un mero sorrisetto. Pareva decisamente più tranquillo da quando poteva contare sull’aiuto di qualcuno. Anche se si trattava di quello della piccola e incapace ragazzina del Distretto Sette. 
  Johanna sbuffò in silenzio e cercò di reprimere quella sensazione di inadeguatezza che la invadeva ogni volta che veniva chiamata così. Nella sua ignoranza, Michael le faceva un po’ pena, a volte.
  Con passo annoiato e strascicato si avvicinò al ragazzino, il quale stava ancora fissando rapito qualcosa oltre la coltre di cespugli che si stagliava dinnanzi a loro.Cosa poteva averlo affascinato in tal modo?
  « C’è qualche prob… »
  « Shh! » la interruppe bruscamente, un vivido bagliore che gli attraversava lo sguardo. 
  Johanna imprecò disgustata e si girò verso il cuore della steppa. Un sussurro le morì in gola.
  Al centro dello spiazzo, in una buca poco profonda, stava un coniglio dal soffice pelo biancastro, le orecchie leggermente sollevate e il muso che sporgeva alla ricerca di qualcosa. Le sue zampette candide si muovevano rapidamente nel silenzio più assoluto, mentre i suoi scuri occhi grandi scrutavano l’ambiente in un atteggiamento circospetto.
  « Non è bellissimo? » si compiacque Michael con sguardo sognante.
  Sinceramente non le importava quanto bello potesse essere. Per lo più si premurava di nascondere la bisaccia con dentro i pochi viveri che le rimanevano per cena,  con l’ansia che quell’odioso animale potesse rubarne il contenuto.
  Michael in un fruscio indistinto fuoriuscì dal torpore dell’arbusto e si diresse lentamente verso il coniglio, sotto lo sguardo incredulo di una Johanna con il sopracciglio alzato. Cosa aveva intenzione di fare? Perché perdeva tempo per certe cose?
  
Con l’ennesima espressione scocciata, Johanna si portò le mani ai fianchi e si esibì in uno dei suoi caparbi brontolii.  Ne aveva abbastanza, decisamente.
  
« Si può sapere che intenzioni hai? » sbottò allibita.
  Michael aveva preso in braccio il coniglietto paffuto e ora lo stava accarezzando con dolci movimenti. Il piccolo animale lo osservava incuriosito accoccolandosi sul suo petto per niente villoso. In quella situazione alquanto delicata, sotto i raggi soffusi del tramonto, pareva un bambino di sei anni cresciuto troppo in fretta.
  « È meglio se ci muoviamo » commentò lei dopo un po’, mentre si guardava attorno preoccupata. « Non è il posto migliore dove perdere tempo, questo ».
  Mentre si incamminava verso il margine della foresta, avvertiva l’ascia pesante sbattere leggermente contro la sua schiena sudata. Le ghiandaie imitatrici disperdevano il loro soave canto con sonori cinguettii che contribuivano a mandarla in bestia ancora di più. Quando mai aveva deciso di allearsi con uno sfigato dodicenne? Cosa le era saltato per la testa? Era impazzita, forse?
  
« Sai, Michael » cominciò con tono freddo e distaccato, la punta di acidità che scaturiva dalle sue parole taglienti. « Potresti smetterla di fare il bambino piagnucoloso, non trovi? » 
  Johanna si voltò con un sorriso sprezzante, ma l’unica cosa che vide davanti a sé fu la lunga serie di ombre infangate che aveva lasciato sul sentiero  bagnato. E adesso dove cazzo si era cacciato?
  
Come per risposta, un urlo agghiacciante si estese per tutta l’Arena e parve ricoprire l’atmosfera di un manto di cupo terrore e oscura paura. Il cuore di Johanna perse diversi battiti, mentre la sua mente si fermava e cercava di rimanere attiva.
  Impiegò diversi secondi per incitare le gambe a muoversi, in un impeto di follia. Michael era in pericolo. Ed era quantomeno ovvio che lei dovesse salvarlo.Johanna era sicura di non aver mai corso così velocemente in tutta la sua vita, sta di fatto che quando arrivò sul luogo ebbe il bruciante desiderio di non essersi mai mossa.
  Michael piangeva dalla disperazione e faceva di tutto per cercare di fuggire, mentre un coniglio bianco dalle zanne mastodontiche tentava di ucciderlo con i denti appuntiti. Spinta dall’adrenalina e dall’istinto di sopravvivenza, Johanna si fece largo fra le piante e si diresse verso l’alleato, una sola parola che le rimbombava in testa come mille colpi di cannone. Ibridi.
  Nella foga della corsa si rese conto dell’odio smisurato che provava verso Capitol City, ma al contempo dell’inusuale eccitazione che quel momento le stava regalando. E si disprezzò da sola.
  Come poteva solo pensare di trarre godimento da quelle situazioni? Era per caso un mostro?
  Le sue mani si aggrapparono al minuscolo braccio di Michael come se fosse l’ultimo appiglio prima della profondità di un dirupo. Nel tentativo di portarlo in salvo, si accorse di quanto in realtà quegli esseri non assomigliassero per niente a dei conigli.
  Le zampe erano rugose e scheletriche, le orecchie a punta leggermente flaccide e prive di tutta quella peluria che le ricopriva pochi minuti prima. Johanna non riuscì a trattenere un verso di disgusto.
  « Ma quanto potete fare schifo? » sputò in preda al rancore, strattonando il ragazzino con tutta la forza che aveva in corpo. Le sue mani erano scivolose, ma al contrario la presa delle creature si faceva più rigida e resistente. Come ne sarebbero potuti uscire?
  
La mano destra di Johanna corse verso la scure metallica appesa alla cinghia e pochi secondi dopo già la brandiva con una maestria impeccabile. Era la continuazione del suo braccio, qualcosa di fin troppo famigliare al suo tocco, una parte di lei. E di sicuro la parte meno pericolosa.
  Nonostante le costasse molto ammetterlo, oramai si era affezionata a quel bambino che si dimenava impazzito davanti a lei. Era la cosa più vicina ad un amico che avesse mai avuto. Era il fratellino che stava a casa davanti al televisore e che probabilmente la stava osservando proprio in quel momento.
  Con uno strattone molto potente e qualche falciata netta e sicura, il coniglio assassino mollò la presa ferrea e Johanna non esitò a trapassargli la testa in due.
  Con un ghigno soddisfatto, si voltò verso il ragazzino che era ancora accasciato a terra con la mano premuta contro il braccio e un’espressione sofferente in viso. La spruzzata di lentiggini era ancora più visibile, sotto tutto quello strato di sporcizia e croste di sangue.
  Johanna era in procinto di aiutarlo ad alzarsi, quando un roco grugnito la costrinse a rivolgere l’attenzione al lato opposto della foresta. Trasalì velocemente in un cipiglio inaspettato.
  Una schiera di conigli infuriati si avvicinava allo spiazzo di terra in cui si trovavano loro, gli occhi rossi minacciosi e il muso contratto in un ghigno malefico.
  Il suo sguardo si dipinse di un furore sadico.
  « Non avete proprio niente da fare, eh? » biascicò brandendo l’ascia affilata e incrostata di sangue sporco. Lo zaino infangato le pesava sulle spalle e le solleticava la nuca, mentre il vento le accarezzava i capelli unti e puzzolenti.
  Cosa aspettavano ad attaccare? Perché rimanevano semplicemente immobili senza fare niente?
  « J-joh… » farfugliò lievemente Michael, in volto una vera e propria maschera di puro orrore.
  «Cosa c’è? » si innervosì lei, puntando il suo sguardo freddo contro di lui. Michael sollevò lentamente il braccio ferito e indicò un punto imprecisato verso il cuore del bosco, nel mezzo dell’oscurità.
  Un indistinto e ancora lontano coro di voci le giunse alle orecchie come uno schiaffo in pieno viso. Oh, no. Perché loro? Perché proprio adesso?
  
« Merda! » esclamò senza pensarci, una scia di paura che le attraversava gli occhi impregnati di odio. Con un movimento repentino sollevò il corpo esile del compagno e insieme cercarono di allontanarsi da lì il più rapidamente possibile.
  Michael era parecchio indebolito di forze e pareva sul punto di svenire da un momento all’altro.
  « Svegliati, cazzo. Non è questo il momento per morire » riuscì a dire lei fra un gemito e uno sforzo. « Se devi proprio andartene, aspetta dieci minuti! »
  I conigli erano scomparsi dalla loro visuale, ma in compenso le rumorose eco dei passi pesanti dei Favoriti erano più nitide e distinte di prima. Entro pochi minuti li avrebbero raggiunti, e allora sarebbe stata la fine.
  A Johanna parve che fosse trascorsa un’eternità da quando, quel giorno nebuloso di maggio, era stata estratta come tributo. Le parve che fossero passati secoli da quando aveva discusso con Blight sulla strategia da utilizzare. Anni dal suo ingresso nell’Arena.
  Ma tutto ciò perse valore quando un pugnale argentato le finì dritto nel fianco, facendola piegare in due per il dolore acuto e penetrante. Il sangue fuoriuscì a fiotti rossastri e un sapore ferroso riempì l’aria di un odore metallico di putrefazione.
  Con mano tremante si tastò la ferita, e per poco non cacciò un urlo disumano.
  Il viso contratto in una smorfia di furia, Johanna raggruppò le forze che le erano rimaste e avanzò a tentoni insieme a Michael verso il margine della foresta, cercando una strenua resistenza contro i Favoriti che ormai le erano alle calcagna. Mentre fuggiva in lamenti strazianti, ripensava alla fragranza della corteccia di un albero del suo Distretto, al sesto compleanno di suo fratello minore trascorso nel bosco, al calore del suo camino nelle giornate d’inverno.
  A tutto quell’affetto e a quell’amore famigliare che improvvisamente parevano scomparire insieme al sangue della ferita. A tutta quella felicità e libertà che ora invece avevano lasciato spazio alla paura e allo smarrimento.
  Aveva iniziato ad urlare, lo sapeva. Se ne rendeva conto.
  
La sua vista si era annebbiata in modo confuso, e dalle palpebre pesanti oramai scorgeva solamente un turbinio indistinto di sfumature grigiastre che la facevano sentire in trappola.
  Dove si trovava? Era ancora viva? Riusciva ancora a respirare?
  
Johanna non capiva più niente. L’unica cosa di cui era ancora sicura stava nel contatto doloroso con la spalla del suo alleato, che intanto piangeva e tremava.
  Poco prima di crollare a terra priva di sensi, avvertì la presa agghiacciante di una mano muscolosa penetrarle nelle ossa.
  Poi il buio. 



 
******


  Un punto bianco si distinse in lontananza nella sua mente; si ingigantiva lentamente come se fosse una soffusa luce al neon di una camera d’ospedale. Forse è lì che si trovava in quel momento. In un ospedale.
  Il rumore flebile della natura le giungeva ovattato alle orecchie, in un cupo ronzio che le invadeva il cervello. Piano piano scopriva di avere le dita, le mani, gli occhi. Riusciva a respirare e a muoversi. Riusciva a ricordare ciò che era successo.
  
Il cranio pareva trapassato da incessanti scariche elettriche, vuoto ma estremamente pesante. Il fianco sinistro era tutto un livido, e la ferita profonda era sul punto di riaprirsi.
  Johanna emise un lamento di dolore e successivamente mise a fuoco ciò che la circondava, mentre tutte e due le gambe tremavano senza sosta. Dove cazzo era? Come ci era arrivata lì? Cosa era successo?
  
« È meglio se stai ferma ».
  Una voce delicata e sensibile le perforò l’udito danneggiato e le rimbombò incessantemente in testa. Dopo qualche secondo si ricordò del ragazzino seccante che era suo alleato, e che per sua (s)fortuna era ancora vivo.
  Subito nella sua mente si formarono mille quesiti, mentre la confusione regnava sovrana e contribuiva a farla impazzire. Più si sforzava di ricordare, più ogni tassello del puzzle diveniva indistinto e difficile da comprendere. Rammentava la fuga dal bosco, dai conigli, dai Favoriti. Poi un improvviso acuto dolore al fianco e niente di più.
  « C-cosa? » mormorò scuotendo la testa nel tentativo di recuperare la ragione. Sentiva la debole vocina di Michael a scatti, come se si trovasse in un’ampia bolla di vetro, lontana migliaia di chilometri da lui.
  « Ho detto che non ti devi muovere » ripeté pacato, mentre con mani esperte modellava un impacco di erbe e lo applicava al taglio che correva lungo la sua anca sinistra. Una sensazione si sollievo e serenità la pervase da capo a piedi, mentre sentiva l’effetto della medicazione agire sui suoi arti indolenziti.
  « Senti » azzardò Johanna mentre si osservava intorno infastidita, « quanti giorni sono passati da…? »
  Le parole le morirono in gola al ricordo dei conigli dai denti aguzzi che avevano incontrato nella foresta.
  « Tre giorni e mezzo, circa » rispose Michael, un’espressione concentrata e uno sguardo pensieroso. « Siamo rimasti in sei nell’Arena ».
  L’affermazione buttata lì di getto provocò in lei una serie di reazioni inaspettate. Erano già diciotto i volti che si era vista passare davanti? Possibile che a malapena si fosse accorta delle morti di gran parte dei suoi avversari?
  
«Che cosa è successo? Chi è rimasto? »
  Una miriade di domande senza risposta si affollavano nella sua mente già danneggiata nel caos più assoluto.
  Michael interruppe ciò che stava facendo e le riservò un’occhiata triste ed esausta.
  « Beh » esitò con il labbro tremante, come se il solo ricordo di quello che aveva vissuto potesse in qualche modo fargli del male, « non appena sei svenuta, sono arrivati gli ibridi e ci hanno accerchiati. I Favoriti erano in tre, e hanno iniziato a lottare contro di loro. Nella confusione generale sono riuscito a prenderti e ad allontanarmi quanto bastava per far perdere le nostre tracce ».
  Johanna ascoltava distrattamente, mentre le ghiandaie imitatrici tubavano indisturbate sui trespoli dei loro nidi. Era stata scortata in salvo da un basso e lentigginoso dodicenne? Ora si che aveva fatto la figura dell’idiota. Ora sì che probabilmente era sulla bocca di tutti.
  
« Contro gli ibridi è morto il ragazzo dell’Uno » continuò, «quindi, a parte noi due, la ragazza dell’Uno e il ragazzo del Due, rimangono solo due tributi che non conosciamo ».   
  E improvvisamente, Johanna si rese conto di quanto fosse vicina la fine. Di quanto mancasse poco alla proclamazione del vincitore. E comprese che la loro alleanza non sarebbe potuta durare ancora per molto.
  Ma lui ti aveva salvato la vita, Johanna. Come avevi intenzione di ripagarlo?
  
« Vediamo di resistere ancora un po’ » disse mesta dopo cinque minuti di tensione silenziosa. Non era di certo il momento adatto per pensarci.



 
******

 
  « L’ho trovata! » esclamò entusiasta Michael, alzando il pugno in aria in un cenno di esaltazione. « Ho trovato l’erba di cui parlavi ».
  Johanna tremò seccata, chiedendosi quanto ancora avrebbe dovuto sopportare quel moccioso. Un moccioso che era riuscito a guadagnarsi un posto nel suo cuore di pietra. 
  L’ascia riposta accuratamente nella cinghia e lo sguardo tagliente, si mosse verso di lui con lieve impazienza, mentre il sole del primo pomeriggio schiariva le tonalità scure del bosco tenebroso.
  « Ma davvero? » lo schernì con un mezzo sorriso. « Cavoli ».
  Johanna gli strappò il fascio di mano e lo ripose dentro la bisaccia malridotta che oramai si portava dietro da due settimane. Erano rimasti solo in quattro, ed era già da un paio di giorni che si alzava tutta sudata la mattina presto, chiedendosi incessantemente se la sera avrebbe dormito ancora accanto a Michael, o se invece uno dei due non avrebbe più visto un tramonto.
  « Ce la faremo » la incitava lui ogni tanto, quando la beccava con lo sguardo triste e abbattuto.
  Lei ogni volta rispondeva con tono maleducato e menefreghista, più verso se stessa che verso di lui. Gli incubi l’avevano già colta prima di uscire dall’Arena, e ogni notte la sorprendevano più crudi e meschini che mai. Ferite sanguinanti e conigli giganteschi. 
  Quando ripresero a camminare, la mente di Johanna si riempì di nuovi e tartassanti timori. Dove stavano andando? Sapevano quello che stavano facendo? Ma soprattutto, per quanto tempo ancora avrebbero parlato di un “noi” anziché di un “io”?
  
« Ferma! » proruppe Michael trattenendola per un braccio.
  Johanna si voltò confusa verso di lui, mentre la sua mano già correva verso la scure legata alla cintura.
  « Cosa c’è adesso? » sbuffò.
  « Non senti niente? » insisté lui, i riccioli pel di carota che gli accarezzavano le sopracciglia folte. Johanna si fermò e tese le orecchie, gli occhi compressi in una smorfia di concentrazione. Lo scrosciare sordo e ovattato di rametti spezzati e fogliame strappato invase la tranquillità idilliaca della zona.
  I due non fecero neanche in tempo a voltarsi che una figura indistinta fuoriuscì dal nascondiglio con un ruggito guerresco, scuotendo la lancia appuntita da tutte le parti. I suoi capelli dorati ondulavano dappertutto in un groviglio disordinato, pezzi di legno e foglie secche.
  Non appena si fermò in posizione di combattimento, gli occhi neri come la pece, le guance infossate e scavate nell’osso, Johanna non riuscì a trattenere una risata.
  « E tu chi saresti? Il fantasma del Natale passato? »
  La ragazza come risposta grugnì con i denti digrignati e si avventò sui due avversari con tutta la forza di cui disponeva. Nel tentativo di schivarla, Johanna percepì l’odore di carne umana e fango che la ricopriva da capo a piedi. Una sola parola le si formò nella mente. Cannibale.
  « Bleah! » si lasciò scappare con voce incredula. « Tu sì che fai proprio schifo! »
  Le due si attaccarono all’unisono in un cozzare di metallo che echeggiò per tutto lo spiazzo di terreno, facendo tremare perfino le radici degli alberi. Il volto di Johanna si dipinse di una maschera di furia, mentre finalmente si cimentava in quello che adorava fare. Voleva ucciderla, voleva vedere la sua testa mozzata che rotolava sul terreno bagnato.
  Il clamore delle armi ammutoliva addirittura le ghiandaie imitatrici, che ora assistevano alla scena in un silenzio fastidioso e innaturale. Talvolta la ragazza bionda emetteva qualche rauco verso, e Johanna si costringeva a voltare lo sguardo per non vomitarle addosso.
  Michael, intanto, era rimasto a bocca aperta per lo spavento e ora tentava di escogitare un modo per tirarli fuori da quella situazione. Come avrebbe potuto distrarla e costringerla a voltarsi?
  
Osservava la zuffa fra le due ragazze, quando un lampo di genio gli balzò in testa e gli schiarì le idee.
  Con rapidi movimenti frenetici recuperò il sasso più appuntito che aveva vicino e senza pensarci due volte si tracciò un lungo taglio poco profondo sull’avambraccio.
  Subito avvertì il sangue caldo colare dalla ferita e dipingergli il gomito di una tonalità rossastra.
  « Ehi tu! » gridò con un impeto di coraggio che finora non aveva mai avuto.
  La ragazza si voltò adirata con espressione animale e lo squadrò con uno strano bagliore negli occhi.
  Michael mise in evidenzia il suo braccio sanguinante. « Hai fame? »
  Johanna lo osservava come stralunata, mentre tratteneva per il cappuccio la nemica che non aveva smesso di contorcersi. Per l’ennesima volta, che intenzioni aveva? Voleva suicidarsi?  Voleva farla finita una volta per tutte?
  
La bionda con uno scossone potente si liberò dalla sua stretta e prese a correre infuriata verso l’indifeso Michael, che a suo cospetto pareva ancora più piccolo e minuto di quanto non fosse.
  Johanna scrutava la scena con un cipiglio incredulo ad adornarle il viso sporco, ma a dirla tutta non ci mise molto a capire il piano del suo alleato.
  Non si lasciò sfuggire l’occasione; senza neanche bisogno di prendere la mira centrò l’avversaria nel punto in cui si trovava il cuore, mentre diverse urla si udivano per tutta l’Arena e il cannone risuonava nell’orizzonte.  
  I due compagni si guardarono a lungo negli occhi, e poi scoppiarono entrambi a ridere in un coro di voci stridule e squillanti.
  « Sapevo che avresti capito! » squittì lui con un sorriso a trentadue denti.
  Johanna accennò una smorfia divertita, lo sguardo luccicante. Ma intanto, nel profondo del suo cuore, si domandava se avesse fatto la scelta giusta, e se non fosse stato meglio aspettare cinque secondi, guadagnando due cannoni invece di uno. 



 
******
 

  La volta celeste era trapuntata di stelle luminose che insieme parevano formare una eterna scia luccicante. Johanna era raggomitolata nel sacco a pelo insieme a Michael, sospesa sul ramo spesso di un albero centenario. Era soprattutto in quei pochi momenti di quiete, in cui le era concesso di perdersi nel cielo, che ripensava a casa sua, alla sua famiglia, alla sua vita prima della Mietitura.
  Il sorriso dolce e rassicurante di sua madre in una giornata di primavera. La battuta sempre pronta di suo padre dopo un’intensa giornata di lavoro. Lo sguardo vispo e sveglio di suo fratello, così simile a quello del ragazzino sdraiato di fianco a lei.
  
Erano rimasti in tre. Solo due ostacoli per poter riavere indietro la sua vita, solo due ostacoli per poter riabbracciare la sua famiglia.
  « Joh ».
  Michael si era rigirato nel sacco a pelo e ora la guardava con occhi dolci, in un modo in cui non aveva mai guardato nessun’altro in vita sua. Con uno sguardo che si riserva a una madre, a una sorella maggiore. A qualcuno di cui ti puoi fidare. 
  « Dimmi » lo incitò lei, accarezzandogli il viso delicato.
  Michael aggrottò la fronte e spalancò gli occhi in un’espressione terrorizzata.
  « Ho paura, Joh ».
  Johanna sorrise comprensiva e gli scostò un paio di riccioli dalla fronte, mentre non distoglieva il suo sguardo dalle iridi profonde di lui.
  « Non devi » rispose pacatamente. « Dormi pure tranquillo, finché ci sono io non ti accadrà nulla di male ».
  Michael si esibì in un timido sorriso compiaciuto e si voltò dall’altra parte, sprofondando in un sonno senza incubi.
  Johanna giocherellava con il manico di un coltello, gli occhi chiusi e l’espressione tesa. Di tanto in tanto osservava il visino di Michael, e le tornava in mente tutto ciò che avevano passato insieme e tutto ciò che lui aveva fatto per lei. L’aveva soccorsa quando era svenuta. L’aveva curata quando si era ferita. L’aveva aiutata in più di un’occasione. Il timido ragazzino del Distretto Sei si era rivelato un degno alleato, alla fin fine.
  E lei cosa aveva fatto in cambio?
  L’aveva ucciso.

  
Con espressione fredda e sguardo rigido, Johanna puntò il pugnale verso il petto del bambino addormentato, e senza pietà gli squarciò l’addome in mille pezzi.
  Nel silenzio generale, riusciva a sentire ogni membra spezzarsi, ogni organo distruggersi, ogni vena rompersi in due sotto il suo contatto doloroso.
  La sua era una morte lenta e atroce, soffocata nel sonno, priva di grida ma colma di sentimenti contrastanti.
  A Johanna parve di impazzire. Mentre la sua mano si muoveva in un taglio profondo, la sua mente si riempiva di urla disconnesse, gettandola in una sensazione di pura follia.
  Il ragazzino lentigginoso che si fidava completamente di lei ora aveva iniziato a scuotersi e produrre rauchi gemiti, ma oramai il coltello era andato troppo in profondità, e la sete di sangue di Johanna era divenuta troppo spietata per riuscire a fermarsi.
  Era più forte di lei. E ne traeva anche godimento.
  
Le lacrime le solcarono le guance, ma Johanna non ritirò la mano, che anzi continuava ad affondare nel petto poco virile del ragazzino. Ripensava al suo sorriso, al suo sguardo, al suo modo di camminare. Ma la ferita continuava a ingrandirsi, e l’eccitazione le scorreva ancora nelle vene.
  Allora era vero. Era un mostro. Era un mostro di Capitol City.
  Ma aveva forse altra scelta? Aveva mai avuto altra scelta?
  
Questo non lo sapeva. L’unica cosa che in quel momento le sembrava di sapere consisteva nell’odore di morte che aleggiava attorno al sacco a pelo verdastro e che le inebriava i sensi.
  Il tempo scorreva lentamente in un turbinio di emozioni. Johanna urlava, si dimenava, si strappava i capelli, consapevole di quello che stava facendo.
  Il suo sguardo sadico e manipolatore osservava i resti del corpicino dilaniato di Michael in un misto di superiorità e incredulità. E quando lo sparo del cannone risuonò nell’aria, il suo cuore parve sprofondare nell’oblio delle tenebre.
  Per sempre. Che cosa aveva fatto? Come aveva potuto? Perché?

 
 
Perché non si vince, provando compassione. 











 
Tana di Norgor.
Ritorna sul grande schermo, il deficiente per antonomasia.
E, giusto per variare, con una storia priva di senso.
Lasciatemi compiacere in pace.(?)

Che dire?
Piccola piccola, ma piccola OS sull'avventura di Johanna nell'Arena come me la sono sempre immaginata io.
E sì, con sempre intendo proprio che non me la sono mai immaginata così. MAI.

Comunque, ho cercato in tutti i modi, in tutti i mari e in tutti i laghi di mantenere Joh al massimo dell'IC.
Un personaggio completo dalla psicologia approfondita: sadico nel suo umorismo sarcastico.
Ho cercato di far combaciare tutti i tasselli della sua storia e creare qualcosa di nuovo e innovativo e-spero- quantomeno decente. 

Riconfermandomi come idiota che pubblica dopo mezzanotte, vi lascio così perché già la storia è lunga di suo, e annoiarvi è l'ultima cosa che voglio fare.
D'accordo, la chiudo così perché non so cos'altro accidenti scrivere. ewe
Meglio prevenire che curare.

Spero la leggiate in tanti e la appreziate. :3
Fatemi sapere cosa ne pensate per recensione, my darlings. <3

Kisses.
Norgor.
   
 
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