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Autore: noemicastle    05/12/2013    3 recensioni
Perché tutti, passando davanti alla vetrina del suo laboratorio di pasticceria, si sentivano più felici dopo aver visto le sue opere d’arte fatte di zucchero e aver dato una sbirciata all’interno osservando l’espressione assorta di Peeta.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lentamente, Peeta cominciò a tranquillizzarsi dopo uno degli innumerevoli incubi sugli Hunger Games. Si era appena svegliato, la maglietta fradicia di sudore si attaccava alla sua pelle e sentiva il cuore battere nel petto come se volesse uscirne.

Non poteva andare avanti così, ogni notte urlava il nome di Katniss, sognando di perderla. Uno degli incubi più frequenti riguardava gli ibridi dell’arena, quelli che gli avevano ridotto la gamba a un complicato meccanismo metallico che funzionava in tutto e per tutto a un normale arto, pagato da Capitol City per non far sfigurare un vincitore. La raggiungevano prima che salisse sulla cornucopia e la uccidevano lentamente dilaniandola fino allo stremo, proprio come avevano fatto con Cato.

Chissà se lui è mai stato innamorato di qualcuno come io amo Katniss, pensò.

La cosa peggiore che può capitare è amare e non essere amati e Peeta conosceva alla perfezione quella sensazione di vuoto e allo stesso tempo di frustrazione che si insinua nei pensieri di tutti i giorni.

Come sempre, Peeta si alzò dal suo letto troppo morbido rispetto a quello su cui aveva dormito per quasi diciassette anni e aprì le ante dell’armadio in camera. La maggior parte degli abiti erano stati creati di sicuro per un vincitore che avrebbe seguito la moda capitolina e di conseguenza non erano proprio fatti per lui. La sua attenzione venne catturata da una maglietta arancione tramonto, il suo colore preferito. Una cosa positiva in quel guardaroba almeno c’era.

Finì di vestirsi e uscì da casa, per andare in pasticceria. La sua vita dopo la prima arena era diventata monotona durante il giorno e terrificante durante la notte. Non aveva una vera e propria occupazione che lo distraesse da tutti i suoi problemi, ma trovava la pace quando stava in mezzo alla farina e la glassa dei dolci. Rimaneva ore e ore davanti alle superfici colorate che gli si presentavano e dava vita ad arabeschi e forme che apparivano contorte a tutti tranne che a lui.

Da sempre aveva avuto l’innata capacità di trovare tranquillità dove c’era caos, amore dove c’era odio e bianco dove c’era nero. La sua positività urtava Katniss, realistica e con i piedi per terra. Quante volte Haymitch gli aveva ripetuto: “Potrebbe vivere anche cento anni, ma non ti meriterà mai.”

Secondo lui non era vero. Per come si erano messe le cose, forse era il contrario. Tutte queste qualità in sé non le aveva mai viste, ma agli occhi di tutti Peeta incarnava il ragazzo perfetto, gentile, premuroso e sognatore nonostante il mondo in cui viveva. Perché tutti, passando davanti alla vetrina del suo laboratorio di pasticceria, si sentivano più felici dopo aver visto le sue opere d’arte fatte di zucchero e aver dato una sbirciata all’interno osservando l’espressione assorta di Peeta.

L’aria fredda della notte lo fece rabbrividire e si strinse più forte nel suo maglioncino. Il ragazzo aprì la porta del laboratorio, annusò l’aria che profumava di cannella e zenzero chiudendo gli occhi e cercando di far entrare il più possibile dentro di sé quegli aromi familiari. La cannella gli ricordava il marrone del cioccolato, il marrone della corteccia degli alberi e il marrone dei capelli di Katniss. Basta, pensò piuttosto innervosito.

Nella fatica e nella concentrazione non pensava più alla ragazza che sembrava essere innamorata di lui e che poi gli aveva detto di voler dimenticare tutto quello che era accaduto. Questi pensieri facevano montare in lui la rabbia del rifiuto e allo stesso tempo la delusione dell’essere stato preso in giro. Una lacrima scese sulla sua guancia come per esprimere quello che gli succedeva dentro. Peeta era in continua tempesta con se stesso. Si sentiva inadeguato e soprattutto indesiderato.

La sua famiglia l’aveva accolto a braccia aperte il primo giorno del suo ritorno, ma era diventata sempre più fredda nelle settimane successive. La madre gli aveva rivolto uno dei pochissimi gesti d’affetto della sua vita, si potevano sufficientemente contare sulle dita di una sola mano, per poi tornare alle vecchi abitudini di maltrattamento. Al posto degli schiaffi c’erano parole dette nel modo sbagliato e nei suoi occhi si leggeva avidità quando portava qualche soldo per far andare avanti il panificio dei genitori. Come poteva continuare a vivere in quel modo? Sentirsi un peso per tutti lo rendeva triste e senza uno scopo. L’unico amico, se così si poteva definire, era Haymitch.

Peeta sfornò delle focaccine alle mele e cannella da portargli per colazione, come tutte le mattine. Veniva ricambiato solitamente delle sue premure con sorrisi riconoscenti e compagnia, che non guastava mai. Lasciò che i dolcetti si raffreddassero e li mise dentro un cestino di quelli che a Capitol City chiamavano “da picnic”.

Che cosa fosse un picnic, Peeta l’aveva imparato da Effie. Era come il giorno in cui la sua famiglia festeggiava i compleanni, se cadevano in giorni in cui non si lavorava come quello della mietitura, si riunivano nel Prato e mangiavano un pezzo di pan dolce a testa. Ovviamente i capitolini avevano un pasto molto più sostanzioso, ma il concetto non cambiava.

Chiuse momentaneamente la pasticceria e si avviò lungo la strada del Villaggio dei Vincitori. La sua casa era occupata solo da lui, così trascorreva la maggior parte del tempo a cucinare in laboratorio e il restante da Haymitch. La porta di fronte era di Katniss, ma non era mai entrato neanche per pochi secondi. Finalmente si trovò di fronte alla villetta dell’ex mentore e trovò l’uscio aperto.

Ormai era diventata un’abitudine per Haymitch lasciargli aperto la porta perché si conosceva abbastanza da sapere che se anche fosse andata a fuoco la casa, lui non se ne sarebbe reso conto a causa della continua ubriacatura. Il suo record da sobrio apparteneva alla durata degli Hunger Games di quell’anno, ma appena tornato a casa con entrambi i suoi tributi, aveva ripreso in mano la bottiglia e aveva affogato tutti i pensieri e gli incubi nel liquore forte del Forno.

Haymitch era appoggiato con la testa sul tavolo, la mano destra faceva da cuscino improvvisato, mentre la mano sinistra reggeva un coltellaccio di quelli da macellaio.

Ma non ha paura di farsi male da solo, pensò Peeta.

Sapeva che per svegliare il mentore, doveva chiamarlo con calma evitando urla che lo avrebbero fatto scattare in piedi fendendo l’aria con l’arma. Gli incubi li combatteva avendo sempre qualcosa che avrebbe potuto usare se non fossero stati semplici sogni, ma realtà. Non si fidava più di nessuno da quando era tornato a casa vincitore anni prima.

“ Haymitch. Svegliati, dai. Ho portato le focaccine da colazione.”

Nessun segno di volersi alzare appariva sul volto dell’uomo che continuava a russare beatamente.

"Haymitch. Non costringermi a trattarti male.”

Peeta mise delicatamente una mano sulla spalla dell’uomo e pensò che dopo lo avrebbe dovuto convincere a farsi una doccia e a riordinare casa sua che sembrava un porcile. Il ragazzo si rese conto che sulla maggior parte dei mobili si era depositato uno spesso strato di polvere e si chiese da quanto tempo Haymitch non puliva o semplicemente si appoggiava su un mobile che non era il tavolino con strati di macchie causate dall’alcol del liquore che cadeva durante le sue bevute. Dopotutto non era quello con la vita peggiore di tutte.

“Haymitch, seriamente. Ho altro da fare oggi, non posso stare qui a lungo.”

Dalle labbra dell’uomo uscì un gorgoglio che significava “mi sto svegliando” e Peeta continuò a parlare con lui sapendo benissimo che forse le parole che arrivavano alle sue orecchie erano un terzo di quelle che diceva realmente.

“Ti ho portato le focaccine mela e cannella. Mangia e poi ti fai un bagno caldo e lungo. Ti radi quella barba e riordiniamo tutto. Non posso sopportare di vederti ridotto così.”
“Ehi frena ragazzo, dammi il tempo di capire chi sono e dove sono.”

Haymitch aveva alzato a mala pena la testa e lo osservava con occhi assonnati e stanchi.

“Non puoi stare così ancora per altre settimane.”

Un’ombra di perplessità trasparì dal volto del mentore che rispose: “Cosa ti interessa? Continua la tua vita normalmente e lascia stare questo vecchio ubriacone alle sue brutte abitudini.”

Nascose lo sguardo contro il braccio e lasciò cadere il coltello per terra. Peeta era abituato alla distanza che metteva tra loro due Haymitch, ma a volte si dimenticava i modi rudi del mentore e ci rimaneva male. Si risentì delle sue parole. Dopotutto aveva avuto la gentilezza di preparargli qualcosa e di cercare di renderlo presentabile, anche se di problemi ne aveva già abbastanza senza pensare ad altri.

“Scusa se uso il mio tempo per stare con te. Ma attento, se continuerai così, non ti rimarrà più nessuno che ci tiene a te a parte quella stupida bottiglia sul tavolo.”

Prese il cestino con le focaccine e uscì sbattendo la porta. Non era un ragazzo di quelli che si arrabbiano per niente, perciò in pochissimi avevano avuto l’occasione di vederlo montare su tutte le furie. Camminò, o meglio corse, per la via principale del Villaggio dei vincitori, senza una meta precisa. In testa un’ondata di pensieri lo travolse e pensò che non sapeva dove andare. Si fermò in mezzo alla piazza di fronte al Palazzo di giustizia con la testa bassa e gli occhi puntati al suolo.

Che cosa sto facendo, si disse.

Tornò indietro sui suoi passi quasi deciso a riparare con Haymitch, ma si fermò ai lati di un vicolo per osservare Katniss e Gale che passavano di fronte a lui. Nonostante la tristezza della loro vita, sembravano felici.

Perché non posso essere ammesso anche io tra di loro?

La treccia di Katniss era portata sulla destra della testa e scendeva a incorniciare il suo viso. I suoi abiti erano quelli che usava per la caccia, quelli con cui l’aveva sempre vista quando portava gli scoiattoli al forno del padre e quelli del giorno in cui le aveva regalato il pane. Le aveva salvato la vita, ma lei aveva ricambiato trovandolo mezzo morto e rischiando di essere uccisa da Clove al festino. Sfoggiava il suo sorriso migliore, quello che condivideva solo con Gale.

Dopo anni passati a osservarla da lontano, tutto a un tratto si sentiva stranamente stupido nel guardarla nascondendosi ai lati di una strada. Con orrore si accorse che Gale aveva notato il suo sguardo, Peeta era pronto a fare retromarcia e sfuggire anche allo sguardo truce di Katniss. Ma si accorse con altrettanto orrore che lui non le disse niente, come per tenere tutta l’attenzione su di sé e non sul ragazzo del pane. Ormai l’intero Distretto 12 sapeva della gelosia di Gale, ma per le telecamere il ragazzo era un cugino di Katniss sviando così i pettegolezzi.

Come posso amarla nonostante non mi guardi nemmeno, pensò cupamente.

Si ricordava alla perfezione il giorno in cui la vide per la prima volta e se ne innamorò. Le aveva raccontato la storia del suo amore durante gli Hunger Games convinto di lasciare una traccia dentro il cuore della ragazza, ma poco dopo la vittoria aveva capito benissimo come stavano le cose ancora prima che Katniss le chiarisse definitivamente.

Aspettò di non averli più a portata di vista e si dileguò dalla parte opposta rispetto a Gale e Katniss, facendo finta di passeggiare fino a casa sua. Aprì la spessa porta di mogano e si precipitò su per le scale fino alla camera che usava come sala di pittura.

I suoi quadri raccontavano per la maggior parte scene tratte dall’esperienza dell’Arena, ma uno in particolare era il suo preferito ed era parere di tutti quelli che l’avevano visto che quello fosse l’opera più bella di Peeta. Ritraeva un bosco nella penombra mattutina, con una leggera nebbia che saliva dal terreno umido di rugiada tipica dell’estate. Peeta poteva quasi immaginarsi all’interno del quadro. Chiudendo gli occhi, poteva sentire il fischiettio delle ghiandaie tra gli alberi e l’odore intenso e pungente del pino, del terriccio mischiato a foglie secche e corteccia. Dava un senso di pace.

Trovata la tranquillità, Peeta prese una delle sue tele bianche e, senza indugio, cominciò a tracciare i tratti di un viso. Quasi senza rendersene conto, si ritrovò davanti ad un ritratto di Katniss.

Non riesco a dimenticarla, si disse.

Non poteva dimenticarla. Aveva ancora impresso nella mente il profumo dei suoi capelli, la decisione della mano che lo accarezzava sul viso per spostargli le ciocche dalla fronte e la morbidezza delle sue labbra adagiate sulle sue. Perché aveva dovuto rovinare tutto rivelando le sue reali intenzioni? Perché aveva finto, ferendo i suoi sentimenti? Solo Katniss poteva dirgli cosa era successo, cosa aveva di sbagliato per non meritare nemmeno la sua attenzione? La cosa peggiore di tutte era che l’indomani sarebbe iniziato il tour della vittoria e lui e Katniss avrebbero dovuto fare gli innamorati felici quando non c’erano ne amore ne felicità.

Sentì bussare alla porta e corse giù ad aprire, sperando fosse la ragazza dai capelli castani, ma si ritrovò davanti Haymitch. Aveva un’aria più pulita e ordinata del solito, forse per scusarsi del suo comportamento.

“Ehi ragazzo, ehm, io volevo… volevo scusarmi per prima. Sai non sono molto bravo con queste cose…”

Peeta, che subito era indifferente all’arrivo di Haymitch, sentì una parte del suo cuore cedere all’evidente imbarazzo del mentore.

“Senti Haymitch, non voglio essere pressante. Sei stato il mio mentore e ora ti vedo come mio amico. Mi dispiace quando mi impegno per te e poi mi tratti male.”

L’imbarazzo di Haymitch salì ancora di più e il mentore si ritrovò desolato a guardare per terra. Nessuno lo aveva mai considerato da quando pochi anni prima era rimasto da solo e aveva cominciato a bere. Ma ecco qua che un ragazzo di nemmeno diciassette anni lo considerava come un amico. Sentì lo sguardo di Peeta su di sé e alzò gli occhi osservando il ragazzo indeciso sul da farsi.

Peeta sorrise e disse: “Dai entra.”

Haymitch si pulì le scarpe sullo zerbino ed entrò sicuro sul percorso per il soggiorno. Peeta lo aveva riempito con alcune delle sue tele e alcuni libri all’apparenza molto vecchi.

Li aveva trovati dentro uno scatolone nella cantina del panificio, nascosti dentro ad una cassa panca chissà da quanti anni. Di sicuro erano sfuggiti alla mano esigente dei capitoli. Era riuscito a capire che erano abbastanza vecchi da arrivare dal periodo precedente a Panem, prima degli Hunger Games. Raccontavano storie fantastiche di posti esotici e tempi remoti che facevano viaggiare Peeta con l’immaginazione. Li aveva riletti centinaia di volte e non se ne stancava mai.

“Ragazzo, sai vero cosa comincia domani?”

Peeta annuì lentamente continuando a fissare lo scaffale con i libri.

“Mi dispiace per come sono andate le cose tra te e Katniss.”
“Credimi, dispiace anche a me. Credevo di farcela.”

Haymitch appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo per dimostrare di aver capito il problema.

“Come ti ho già detto, potrebbe vivere centinaia di volte e continuerà a non meritarti.” “Lo so, me l’hai già detto.”

Peeta non continuava a capire il senso del discorso, Haymitch ripeteva sempre le solite cose.

“Ho visto come si comporta Katniss con te, ma è meglio per voi che continuate con la storiella degli innamorati dopo quello che ha fatto durante l’arena. So quanto la ami.”

Non poteva sapere quanto lui la amava. Per lei, Peeta avrebbe donato la vita, se le avessero detto che poteva finalmente essere felice. Anche se questo voleva dire che si doveva fare da parte. Perché Peeta pensava che se si ama veramente una persona, bisogna trovare il coraggio di lasciarla andare e di farle seguire la propria strada.

Come posso ancora amarla?

*spazio autrice*
Ciao di nuovo a tutti. Eccomi tornata con una oneshoot a tema Hunger Games. Ho visto che tanti hanno letto anche quella precedente e sono contentissima delle recensioni tutte positive. Questao piccolo scorcio della vita di Peeta tra un'edizione e l'altra degli Hunger Games mi è venuta per caso, sentendo "Unconditionally" di Katy Perry. Credo che Peeta si sentisse esattamente così nei confronti di Katniss quando la canzone dice "I will love you unconditionally". Bene dai, fatemi sapere e continuate ad osservare la mia pagina perchè prossimamente pubblicherò una storia intera ispirata agli Hunger Games con la collaborazione di un'altra scrittrice di Efp. A presto :)
  
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