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Autore: GretaJackson16    06/12/2013    1 recensioni
Sherlock lunatico, prima sorridente e poi astioso.
John dolce come il miele, romantico e innamorato fino al midollo.
Greg e Mycroft che si vedono troppo spesso e di nascosto.
E la signora Hudson che sopporta tutti quanti e li consola quando bisticciano
Beh, credo che questi siano gli ingredienti perfetti per un bel pasticcio "San Valentinesco"...
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“John e Sherlock stanno insieme.”
Quando la signora Hudson si è sentita dire questa frase quasi era scoppiata a piangere dalla felicità, baciando i suoi coinquilino su entrambe le guance. Si era poi chiesta tra sé e sé perché non si fossero fidanzati anni fa, visto che si amavano palesemente da molto tempo, vivevano insieme e praticamente non si mollavano tutto il giorno; invece, quei due testoni, avevano aspettato che uno dei due cadesse da un tetto e sparisse per tre anni prima di dichiararsi e stare insieme.
Finalmente, dopo aver visto il dottore appassire come un fiore senza acqua (in quel momento la sua acqua stava viaggiando per il mondo per sgominare l’organizzazione di Moriarty), lo vedeva di nuovo vispo, allegro, gentile con tutti e di nuovo al fianco del consulente investigativo.
Eh sì, Mrs Hudson era davvero felice per loro.
Peccato però che Sherlock dovesse sempre combinarne una delle sue...



John Watson si era svegliato di buon umore.
Il sole fuori era alto, poche nuvole offuscavano l’azzurro del cielo di Londra, Baker Street sembrava più silenziosa e pacifica del solito e aveva il suo splendido e aitante compagno accant-
Alt. Fermi tutti.
Il suo splendido e aitante compagno sopra citato non era lì accanto a lui.
Ora completamente sveglio, il dottore si mise a sedere tra le coperte stropicciate, ancora seminudo dalla sera prima.

Dio, Sherlock...”
Mmmh... Ah!”
Ti amo, Sherlock. Ti amo.”

Oh sì, ricordava molto bene la splendida serata che aveva passato, e ricordava ancora meglio com’era stato bello vedere il suo caro consulente investigativo (sia mai che lo chiamasse detective...) addormentarsi accucciato contro di lui, mentre lui gli accarezzava i ricci scuri.
Sorrise istintivamente a quel ricordo, mentre si alzava e si vestiva.
Non doveva andare in ambulatorio, aveva la giornata libera.
Stiracchiandosi si diresse in cucina, per prepararsi un bel tè; chissà, se aveva fortuna, forse avrebbe trovato qualche biscotto in fondo ad una credenza priva di parti di corpi umani.
Mentre l’acqua per il tè era sul fuoco, John allungò il collo per vedere se trovava Sherlock: in salotto non c’era. Magari era andato in bagno. In quei giorni anche i criminali sembravano essere a riposo, quindi non avevano casi.
Fatta la sua piccola colazione (senza biscotti, il massimo che aveva trovato erano dei pollici sotto vuoto), si appuntò mentalmente di andare a fare la spesa, altrimenti quella sera non avrebbero mangiato; avrebbero...più altro avrebbe, perché non era tanto sicuro che Sherlock avrebbe fatto qualcosa di sconvenientemente umano come nutrirsi.
Da quando stavano insieme, John era riuscito a farlo dormire qualche ora in più e lo stava abituando anche a mangiare più spesso. Non molto, certo, ma trattandosi di Sherlock Holmes quelle erano conquiste.
Bussando alla porta del bagno e non ricevendo risposta, John, con una punta di dispiacere, constatò che evidentemente il suo compagno era uscito. Sospirò: peccato, avrebbe voluto trascorrere quella giornata tranquilla osservando Sherlock viaggiare nel suo Mind Palace sul divano, oppure rimanendo a leggere il giornale sulla poltrona mentre il consulente osservava chissà cosa con il suo amato microscopio.
Quando aprì il giornale sui fatti del giorno, quasi si stupì di non trovare qualche articolo su un caso molto complicato risolto da Scotland Yard con la collaborazione di Holmes (Sherlock si arrabbiava sempre e sbuffava infastidito, dicendo che “i giornalisti potevano risparmiare inchiostro e scrivere solo ‘risolto da Sherlock Holmes’). Il ricordo gli strappò un sorriso.
Si ritrovò a leggere chissà come una rubrica di cucina che trattava dei tradizionali biscotti al cioccolato per San Valentino.
Un attimo...San Valentino?
Osservando la data sul giornale, le sue perplessità svanirono.
13 Febbraio.
Oh cazzo, domani è San Valentino!
La notizia, non così eccezionale rispetto al solito, lo sconvolse più che altro perché non ci aveva minimamente pensato. Gli anni precedenti comprava delle rose o dei cioccolatini, faceva il carino con la ragazza di turno (perché il suo sorriso carino, quello che sfoggiava in occasioni speciali, per farsi perdonare o per chiedere scusa al posto di un certo consulente investigativo, conquistava tutti) e finiva lì.
Ma quell’anno...beh, quell’anno aveva qualcuno di speciale accanto, qualcuno che amava con tutto il cuore, qualcuno che probabilmente le rose le avrebbe usate per verificare il tempo che impiegavano ad appassire, mentre il cioccolato lo avrebbe vivisezionato, studiato al microscopio e poi buttato via.
Holmes sicuramente vedeva quella festività come ‘una trovata pubblicitaria e consumistica’, esattamente come il Natale, il Capodanno e tutte le altre feste comandate, ma non gli importava.
Amava Sherlock, lo amava davvero, e da bravo romantico avrebbe trovato qualcosa degno di lui.

*

Aveva programmato una serata speciale, apposta per loro, lontano da tutto e da tutti, lontano da Lestrade e da Mycroft (quei due si vedevano troppo spesso, non gliela raccontavano giusta...), lontano da criminali e pazzi serial killer, lontano dal Mind Palace e dalle parti umane in frigo.
Aveva prenotato un tavolo appartato in un ristorante discreto ma elegante, come piaceva a Sherlock, con un mazzo di fiori al centro e vino pregiato; aveva noleggiato un vestito elegante e indossato il suo miglior sorriso; aveva ripulito l’appartamento, facendo attenzione a non spostare troppo le cose di Sherlock, rendendolo più presentabile; aveva implorato Greg di non chiamarli quella sera, almeno che qualcuno non attentasse alla vita della Regina o tentasse di portare via il Big Ben.
Sherlock non si era visto per tutto il giorno, quindi non aveva potuto dedurre nulla di ciò che aveva preparato, perché quando era tornato erano ormai le tre di notte e lui dormiva tranquillo.

*

John, la mattina del 14 Febbraio, si svegliò con quella carica di adrenalina che sentiva prima di una battaglia in Afghanistan.
Era pronto.
Si sentiva in forma, pronto ad affrontare gli occhi indagatori del suo coinquilino.
Quando entrò in cucina, notò una chioma nera sbucare dalla spalliera del divano, segno che Sherlock era già sveglio. Con un sorriso smagliante, si diresse da lui, posandogli poi un bacio delicato sulle labbra e una carezza gentile tra i capelli spettinati.
“Buongiorno, Sherlock.”
“Mmmh.” mugugnò in risposta.
“Di buon umore, vedo.”
“I criminali stanno regredendo mentalmente, John. Come faccio ad essere di buon umore?”
Il dottore si sedette accanto al suo corpo sdraiato sul divano, continuando a sorridere. “Dovrei essere triste perché oggi non è ancora successo qualcosa di così grave perché Scotland Yard abbia bisogno di te?” chiese.
“Sì.”
“Mi dispiace, non ci riesco” ridacchiò, lasciandogli di bacio fra i capelli.
Sherlock lo studiò con i suoi occhi verde-azzurri, alzando un sopracciglio.
“Non sono io quello di buon umore, a quanto vedo.”
“Oggi sento che sarà una bella giornata, tutto qua.” rispose solo, continuando a sorridere.
Il momento di calma fu interrotto dal rumore dell’acqua che bolliva sul fuoco, attirando il dottore, che preparò il tè per entrambi. Quando furono ognuno sulla propria poltrona, a bere placidamente il loro Earl Grey, John propose un giro per la città per spazzare via la noia del suo compagno.
Ovviamente quella gita era già nei programmi del dottore, che ormai si sentiva la controfigura di James Bond, nelle vesti della spia che manipola la sua vittima.

*

La mattinata passò girando per Londra.
Stranamente, anche Sherlock sembrò apprezzare quell’idea, e John ne era così felice che gli venne da piangere.
C’era riuscito! Stava facendo felice Sherlock Holmes!
Non credeva di poter provare tanto amore e felicità tutti insieme.

*

Quando, dopo un pranzo da Angelo, erano tornati a casa, il sorriso di John sembrava essersi stanziato per sempre sul suo viso, mentre Sherlock si era fatto stranamente silenzioso.
Forse sta elaborando la giornata nel suo palazzo mentale. si disse.
John non se ne preoccupò, e lo lasciò riflettere in pace.
Con un libro in mano e il compagno accanto, si mise tranquillo sulla poltrona, mentre Sherlock si stendeva sul divano.
Dopo dieci minuti, il consulente investigativo ruppe il silenzio.
“John, oggi che giorno è?”
Non era una domanda da Sherlock Holmes. Per niente. Quindi doveva essere una domanda rivolta al suo cervello umano, suppose il dottore.
“È il 14 Febbraio.”
“San Valentino.”
“Non è da te sottolineare l’ovvio.”
Sherlock ignorò il tono ironico, alzandosi a sedere e puntando i suoi occhi perforatori sul suo coinquilino.
“Mi hai portato in giro come un cagnolino perché oggi è San Valentino.”
Non era una domanda, sembrava quasi un’accusa.
E John ne fu ferito.
“Tu non sei un cagnolino. Eri annoiato e così siamo andati a visitare Londra, è la città in cui vivi e che adori.”
“Sembravi conoscere fin troppo bene il percorso che avremmo fatto.”
“Magari l’ho pensato al momento.”
“Non sei così intelligente.”
John lo sapeva, non doveva prendersela per quelle parole perché lui era fatto così, ma non poté fare a meno di far incrinare il suo sorriso.
“Volevo solo farti stare bene, Sherlock. Tutto qui.” si giustificò, la voce sempre più flebile.
Il consulente sembrò ignorare lo stato d’animo del dottore, sbuffando e assumendo uno sguardo freddo.
“Questa sera non ho intenzione di uscire. Se vuoi passare il San Valentino in compagnia, perché non vai a cercarti una bella ragazza? Ora vado a controllare i miei esperimenti.” sentenziò, poi si alzò, facendo svolazzare la sua vestaglia, sparendo in cucina, alle prese con il suo microscopio.
Così il sorriso di John si poté dire finalmente sparito.

*

Quando, un’oretta dopo, Mrs. Hudson salì per salutare i suoi coinquilini, trovò un Watson sconsolato e con degli occhi tristi che non gli vedeva da tempo (precisamente da quando un certo consulente investigativo era ‘risorto’ dopo tre anni) e il suddetto consulente in cucina che faceva cose strane e chimiche che lei neanche si azzardava ad immaginare.
“John, caro, cos’è successo?” chiese dolcemente, avvicinandosi al dottore quasi accasciato sul divano.
Lui alzò gli occhi spenti su di lei (quanto tempo che non li vedeva così...aveva davvero sperato di non vederli più così), facendo un sorriso tirato, che sul volto di quel dottore sempre affabile e gentile stonava molto.
“Nulla, signora Hudson. Non è successo...nulla.”
Sembrava che anche parlare fosse molto faticoso per lui, uno sforzo disumano. Si stava ancora chiedendo cosa aveva sbagliato.
Shelock aveva sorriso, divertendosi con lui in giro per Londra, deducendo tutto della gente e facendo arrabbiare un paio di camerieri di un bar dov’erano stati, facendo morire dalle risate John.
Sherlock era felice. Poi era arrivato il gelo e lo aveva trattato male.
Rivivendo la splendida mattina che avevano passato non ci trovava nemmeno una pecca, una parola spagliata, nulla di nulla.
E allora perché era tanto arrabbiato?
Cos’ho sbagliato?
Si sentiva colpevole di neppure lui sapeva cosa, e sentiva un tremendo bruciore al petto, lì dove c’era il cuore, perché non avrebbe potuto passare la serata che aveva pensato con la persona che amava.
Scosse la testa, mentre la signora Hudson, palesemente triste,ritornò nel suo appartamento con la promessa di andare a trovarli con dei biscotti. “Non c’è nulla che può far tornare il buon umore come dei buoni biscotti appena fatti!”
Sorrise per la gentilezza di quella dolce vecchina, mentre chiudeva gli occhi e si chiedeva ancora una volta perché non poteva essere felice e basta.

*

Più tardi, fece la cosa più stupida che potesse decidere di fare: andò a chiedere spiegazioni a Sherlock Holmes, impegnato a trafficare con chissà quali agenti chimici in cucina.
“Vorrei capire dove ho sbagliato.” esordì, entrando nella stanza.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Beh, mi hai trattato male, quindi presumo che sia un motivo.”
A quell’affermazione Sherlock sembrò infuriarsi ancora di più.
“Io non ti ho trattato male, ho solo cercato di farti notare la situazione imbarazzante in cui mi hai messo.”
“Quale situazione?”
Sherlock sbuffò di nuovo. “Non so cosa tu stia pensando, ma io non voglio festeggiare la vostra stupida festa degli innamorati come un idiota!”
“V-Vuoi dire che non...?” balbettò, non riuscendo neanche a fare una frase di senso compiuto.
“Non ti ho mai detto di amarti.” E quella frase bastò per fermargli il respiro. “Ti ho detto che mi piaci, quindi non ti allargare, e poi odio queste inutili feste consumistiche.”
Perché?
Sono sbagliato?
Non ti tratto abbastanza bene?
Sono troppo stupido?
Troppo poco interessante?
...Perché?
“Io vado a fare una passeggiata” riuscì a dire John, dopo minuti di silenzio che gli parvero ore. “Se vuoi mangiare qualcosa puoi cercare nell’antina in basso a destra, oppure nel frigo.”
Bravo, continua a fare il servetto anche dopo che ti ha praticamente sbattuto in faccia il fatto che scopate ma lui non ti ama! Questo era il suo orgoglio di soldato che urlava, ma ormai non sentiva più nemmeno quello.
Prese la giacca e uscì.
Sperò di essere inghiottito dalla strada.

*

(16:21) Che cosa hai fatto, Sherlock? -MH
(16:22) Io? -SH
(16:23) Sì, tu. -MH
(16:25) Non ho fatto assolutamente niente! -SH
(16:27) E allora perché il dottor Watson ha disdetto il tavolo per stasera? -MH
(16:28) Tavolo? -SH
(16:29) Questa sera, tu e lui avreste dovuto cenare al Adrian’s alle 20:30 -MH
(16:31) Sherlock? -MH
(16:38) Mi vuoi rispondere?! -MH
(16:41) Temo di aver combinato un casino. -SH
(16:42) Non avevo dubbi, fratellino. -MH

*

“Lo hai già detto al tuo fidanzato, non è vero?”
“Non è il mio fidanzato!”
“Greg, per favore...”
Gli stava venendo mal di testa, e di certo l’ispettore non lo aiutava!
John aveva camminato per un po', poi era andato al suo solito pub per bere un bicchiere di birra, bicchiere che era ancora intonso sul tavolo di fronte a lui. Aveva casualmente incontrato l’ispettore Lestrade (probabilmente centrava il caro Governo Inglese con il loro casuale incontro che di casuale non aveva niente).
Gregory abbassò lo sguardo, borbottando: “Scusa, amico...comunque l’ha saputo prima di me.”
“Non dirmelo: mi teneva sotto controllo.”
“So che sei ancora arrabbiato con lui, ma ti posso assicurare che lui tiene alla tua incolumità. Ti assicuro che ti stima davvero per come hai gestito la situazione con Moriarty.”
John alzò un sopracciglio, smettendo di massaggiarsi le tempie e portando gli occhi verdi sul poliziotto. “...E mi protegge spiandomi quando prenoto una cena?” chiese sarcastico.
“È un pettegolo, e non sono riuscito a fermarlo, ma ti posso giurare che non lo sa nessun altro.”
“A parte la decina di agenti che mi seguivano e Anthea. Davvero una faccenda top secret...” berciò, sentendo le tempie pulasare malgrado non avesse toccato un goccio di birra.
“Non ti ha fatto seguire, ha controllato i movimenti della tua carta di credito.”
“Grazie, Greg, così sì che mi conforti.”
Sospirò: si sentiva uno schifo.
Ed erano solo un paio d’ore che non lo vedeva.
“Sei proprio uno straccio” lo riprese la voce di Lestrade. “Cosa hai intenzione di fare?” chiese poi, serio.
Quanto sarebbe sopravvissuto senza vederlo? E quanto sarebbe sopravvissuto vivendoci insieme sapendo che lui non lo ama...?
Dovresti prenderlo a pugni! Questo era di nuovo il suo orgoglio di soldato della Regina che urlava, ma lui non lo stava a sentire: era troppo stanco.
“È colpa mia, Greg.” soffiò, gli occhi puntati sul tavolo, persi e lucidi di stanchezza e dolore. “Sono io che sono sbagliato, che non sono alla sua altezza: è ovvio che non mi merito il suo amore...”
“Che cazzo stai dic-?!” Greg non fece in tempo a finire la frase perché qualcuno, dalle loro spalle, li interruppe.
“Dottor. Watson. Detective Lestrade.” salutò Anthea, in piedi davanti a loro in tutto la sua eleganza, come al solito compresa di cellulare.
“Anthea.” salutò accigliato l’ispettore, mentre John, di solito il più educato, mormorò un saluto a mezza bocca.
“Il signor Holmes mi ha mandato a prenderla.” disse, rivolgendosi a Lestrade. John voleva mettersi a ridere: a quanto pareva aveva perso qualsiasi tipo di interesse per quella famiglia, visto che adesso anche Holmes senior lo ignorava.
“Perché?”
“Vuole che si prepari per la vostra cena.”
Anthea calmò platealmente sull’aggettivo, strappando un sorriso al dottore e facendo arrossire l’ispettore di Scotland Yard.
“M-Ma mancano due ore...” ribatté, balbettando imbarazzato.
“Si è liberato di un impegno e vorrebbe passare più tempo possibile con lei.”
“Caro caro ispettore...” ridacchiò John, facendolo arrossire ancora di più.
“E piantala!” lo rimproverò, poi si rivolse alla ragazza. “Dammi un attimo e arrivo.”
“Certo.” Fece un piccolo inchino, tornando a messaggiare con chissà chi con il cellulare. “Signori.” salutò, girando i tacchi e uscendo dal locale.
Lestrade si accorse degli occhi del dottore che si oscuravano nell’esatto istante in cui sparì il suo sorriso triste.
Lo aveva visto per tre anni, tre schifosi anni, così, senza un sorriso sincero sul volto, che gli illuminasse anche gli occhi, e non aveva intenzione di permettere che si chiudesse di nuovo in quella maniera.
Colpa sua...ma quale colpa sua!?
L’unica colpa che aveva quell’uomo era quella di essere così buono da decidere di amare una creatura malsana e chiusa come Sherlock.
“Senti, John, io non posso parlare a nome di Sherlock e dirti che lui ti ama, ma credo che ci sia un fatto di cui l’unico che ne sia rimasto all’oscuro sia quell’idiota di Anderson: Sherlock Holmes vuole i tuoi complimenti, non i miei ne quelli di tutto il paese; vuole i tuoi abbracci e i tè che gli prepari tu, non la signora Hudson ne il tizio del bar; vuole la tua compagnia, non quella di Mycroft ne quella di qualunque altra persona sulla faccia della Terra. Può anche non riuscire a dirtelo, può anche insultarti, ma tu ricorda sempre che qualsiasi cosa faccia ogni cellula del suo corpo grida -John!-, perché sei l’unico umano noioso che riesce a risultare interessante ai suoi occhi.”
Watson rimase di stucco, ripensando alle sue parole, mentre Lestrade usciva dal pub e saliva sulla limousine nera parcheggiata lì fuori.

*

Lestrade sospirò, forse per la quarta o quinta volta da quando erano partiti.
“Come coma così pensieroso, Gregory?” chiese Microft, seduto accanto a lui sui sedili dell’auto. “Preferivi non vederci?” chiese, cercando di non dare a vedere quanto fosse ferito da quell’idea.
“Ma che dici? Sai che mi fa sempre piacere passare del tempo con te.” E non serviva essere dei geni (o degli Holmes, è uguale) per capire che era davvero felice di stare con lui: bastava guardare la luce che aveva negli occhi scuri. Però, con grande rammarico di Mycroft, quei bellissimi occhi si adombrarono, mentre l’ispettore abbassava lo sguardo sui tappeti neri dell’auto. “Solo che sono molto preoccupato per questa situazione, e lasciando John da solo mi sembra tradirlo un’altra volta...”
Ovviamente l’altra volta a cui si riferiva era quando Lestrade aveva dubitato dell’innocenza di Sherlock, quando aveva preferito credere che Moriarty non fosse mai esistito, che fosse tutta un’invenzione, mentre John si faceva arrestare, guardava la persona che amava cadere da un dannato palazzo e sopportava l’Inghilterra che sparlava -del suicido del finto genio-.
Holmes fece un debole sorriso, poggiando la mano su quelle intrecciate dello Yarder, alzandogli il mento con una mano e fissando gli occhi azzurri nei suoi. “Forse ho già trovato una soluzione, Greg.”

*

Greg, per favore...”
Scusa, amico...comunque l’ha saputo prima di me.”
Non dirmelo: mi teneva sotto controllo.”

Sherlock non riuscì a trattenere un piccolo sorriso nel sentire la voce del dottore prendere in giro Mycroft.
Suo fratello gli aveva spedito via email la registrazione di quella che aveva identificato come una microspia, posta sotto al tavolo del pub dove Lestrade e Watson avevano preso una birra.

So che sei ancora arrabbiato con lui, ma ti posso assicurare che lui tiene alla tua incolumità. Ti assicuro che ti stima davvero per come hai gestito la situazione con Moriarty.”
...E mi protegge spiandomi quando prenoto una cena?”
È un pettegolo, e non sono riuscito a fermarlo, ma ti posso giurare che non lo sa nessun altro.”
A parte la decina di agenti che mi seguivano e Anthea. Davvero una faccenda top secret...”
Non ti ha fatto seguire, ha controllato i movimenti della tua carta di credito.”
Grazie, Greg, così sì che mi conforti.”

Sherlock si sentiva sempre più idiota mano a mano che scorreva la registrazione, perché anche se la sua voce era distorta dall’apparecchio elettronico, chiunque avrebbe potuto capire quanto stanco e triste fosse John. E la sola idea di esserne la causa gli faceva bruciare qualcosa all’interno del petto, all’altezza dei polmoni.
Ma furono le ultime parole della registrazione a togliergli il respiro.

È colpa mia, Greg. Sono io che sono sbagliato, che non sono alla sua altezza: è ovvio che non mi merito il suo amore...”

Non si meritava il suo amore?...
Come poteva quello stupido credere di non meritare qualcosa, qualsiasi cosa?! Maledizione, aveva combattuto per il suo paese di merda, si era fatto sparare per proteggere i suoi dannatissimi compagni, era pronto ad aiutare chiunque gli capitasse a tiro, era un maledetto medico che salvava la vita di gente che non conosceva...
Come poteva solo pensare di non meritarsi qualsiasi fottutissima cosa in questo stramaledettissimo mondo schifoso!?!
In vita sua non aveva mai usato tante parolacce: questo la diceva su quanto fosse arrabbiato con se stesso. Il consulente si passò una mano tra i capelli, magari pensando di strapparseli per le idiozie che la sua mente riusciva a sputare contro quella splendida persona che era il suo dottore.
Sospirò, accorgendosi di una cosa.
Lo considero mio sempre di più, ogni minuto che passa.
Forse quello indicava ciò che non riusciva a capire, che riguardava il campo dei sentimenti: tutta la pappardella sull’amore.
Solo pensare quella parola gli faceva storcere il naso. Non credeva fosse possibile dare un nome a tutto ciò che provava per John, perché era un insieme di sentimenti e sensazioni talmente grandi ed esplosivi da essere più instabili di una particella di uranio sparata contro una di carbonio 15.
Quando si era accorto delle coppiette in giro per Londra, della sicurezza di John sul percorso da fare, sulla data sul giornale, allora non ci aveva visto più: devo allontanarlo, questo gli diceva il suo cervello.
Perché la sensazione bellissima che aveva provato per tutto il tempo passato con lui era deleteria per i suoi neuroni, e niente doveva interferire con il funzionamento del suo cervello geniale.
Peccato però che, dopo aver detto tutte quelle cattiverie, il niente si fosse offeso e intristito a tal punto da svegliare il piccolo sprazzo di coscienza attivatosi da quando aveva conosciuto Watson.
Cosa cavolo stai facendo?!! gli aveva urlato, ma era troppo tardi: John era uscito, con gli occhi verdi talmente cupi da sembrare coperti da nuvole cariche di pioggia e fulmini.
Così si era ritrovato solo nel salotto a riflettere, riflettere su quante volte si fosse considerato idiota nella sua vita e avesse avuto voglia di picchiarsi da solo: solo due.
Quando era tornato dopo essere morto e aver trovato l’ombra dell’uomo che aveva lasciato a Baker Street. E in quel momento, quando aveva rinnegato ciò che provava per John, facendolo soffrire per l’ennesima volta.
Sospirò. Si malediva anche solo per pensarlo, ma aveva ragione Mycroft.
Quello intelligente in famiglia non era di certo il fratellino.

*

“Funzionerà? Questa strategia riuscirà a smuovere la situazione?”
Mani grandi, calde, lisce, che passavano lente sulla schiena. Erano umide di crema idratante, ed era talmente bello farsi fare un massaggio da quelle mani che Lestrade si chiese perché non avesse chiesto a Mycroft di farglielo anni fa.
“Vedrai, Greg, tutto si risolverà: Sherlock non è stupido, sa quanto il dottor. Watson sia fondamentale per lui.”
“Per il suo ego, vorrai dire.” borbottò, ancora arrabbiato con il minore dei fratelli, ricordando il viso sconvolto di quel pover’uomo, suo amico.
“No, tesoro mio. Per lui.” Mycroft si abbassò, posando le labbra sul suo orecchio e sussurrando suadente: “Come tu lo sei per me.”
“Potrei abituarmi a tutte queste dolcezze, signor Holmes.”
“Si abitui pure, ispettore.”
Lestrade era sdraiato sul letto di casa di Holmes senior ed era coperto solo da un leggero lenzuolo che lasciava intravedere la pelle abbronzata delle anche e delle cosce muscolose. Mycroft era inginocchiato alla sua sinistra e stava mettendo in pratica tutte le ore passate a fare meeting con funzionari stranieri nelle beauty farm, e sembrava che avesse imparato piuttosto bene come fare un massaggio per sciogliere i muscoli provati delle spalle larghe del suo amato Greg.
“Gregory...posso chiederti una cosa?” spezzò il silenzio, con voce quasi incerta.
L’altro, non avendo mai sentito quel tono nella sua voce, si mise a sedere e lo osservò con gli occhi scuri liquidi dal sonno che stava per sopraggiungere e per il relax provato durante il massaggio.
“Dimmi.”
“Tu...emh...tu vorresti...” Cielo, non credeva fosse possibile, ma stava vedendo il Governo Inglese balbettare! “Vorresti venire a vivere qui?”
Gregory credette di essersi addormentato e di star sognando, perché non era davvero possibile che- “Io...” provò a dire.
Mycroft lo interruppe, e se non fosse convinto di dormire direbbe che vede del rossore sulle sue guance. “Ti prego, amore mio. Sei divorziato, quell’arpia della tua ex moglie ti strappa non so quante sterline di alimenti e la tua casa è un bugigattolo in cui non avrei il coraggio di far vivere nemmeno lo spazzino che pulisce il marciapiede qui davanti; potrei morire felice vedendoti tutti i giorni.”
Dopo qualche attimo di silenzio, lui sorrise. “Lo detto io: sei estremamente dolce.”
“È un problema?”
“Assolutamente no.” Lestrade non riuscì a trattenersi e strinse in un abbraccio caldo e forte l’uomo che aveva davanti. “Certo che vengo a vivere qui, ma solo perché voglio stare con te, non perché la mia casa è un bugigattolo, mettitelo in testa!”
“Come vuoi, Gregory.” acconsentì, poi si abbassò e lo fece sdraiare sotto di sé, mentre gli accarezzava piano il petto e le cosce, con movimenti ipnotizzanti. “Non vedo l’ora di vederla girare in vestaglia e boxer per casa mia, ispettore...” mormorò al suo orecchio, lasciando un morso leggero sul lobo.
“La troverebbe un’esperienza interessante?” ghignò Lestrade.
Estremamente interessante. Meglio di un meeting con il capo della CIA.”
“Credo di dovermi sentire lusingato...”
Mycroft puntò i suoi occhi in quelli di Greg, tornando serio. “Per ora è il massimo che la mia mente non abituata a sentimenti e dimostrazioni d’affetto riesce a fare.”
“Non preoccuparti. Va benissimo così.” Greg sorrise, dolce, ma il sorriso si spense e dovette trattenere un gemito quando Mycroft afferrò la sua erezione coperta da quel maledetto e leggerissimo lenzuolo. “Oh, va estremamente bene così...”

*

John aveva appena aperto la porta del 221B ma aveva già captato qualcosa che non andava nell’aria.
E quel qualcosa di poteva definire come odore di cibo.
Ma non odore di cibo riscaldato o da asporto cinese, ma cibo sul fuoco che cuoce.
E questa cosa che accadeva al 221B non era possibile.
Proprio no.
“Sherlock?” chiamò, ricevendo come risposta il rumore di qualcosa che cadeva. Proveniva dalla cucina.
Avvicinandosi e fermandosi sulla soglia della stanza, quasi credette di essere impazzito in quel pub e star immaginando tutto.
Sherlock stava cucinando.
Cucinando. Era assurdo pensare di associare quel verbo al suo coinquilino.
Il suddetto coinquilino era in piedi e gli dava le spalle. Indossava una camicia bianca e un paio di eleganti pantaloni neri probabilmente proveniente dalla sartoria della Regina: abbigliamento inconsueto per cucinare.
“Vuoi il sugo sulla pasta?” gli chiese solo il consulente investigativo, che in quel momento sembrava tanto un modello di Armani piazzato in una posa sexy davanti ai fornelli.
“C-Come?” balbettò, sconcertato.
Holmes si girò verso di lui, mostrando i suoi occhioni verdeacqua leggermente incerti. “Ho chiesto se vuoi il sugo sulla pasta.”
“Ah...” commentò. “Emh...sì, grazie...” Si avvicinò, mentre Sherlock si girava e riportava la sua attenzione alle pentole. “Ma perché hai cucinato?”
“Perché ho scoperto da un sito che io definirei demenziale che le coppie si chiedono scusa davanti ad un piatto caldo, e tu adori la pasta all’italiana di Angelo, così ho provato a cucinarla io.”
L’unica cosa che il suo cervello aveva registrato come fondamentale era la seguente: “Aspetta...le coppie si chiedono scusa?”
L’altro, senza rispondere, si slacciò un paio di bottoni della camicia, attirando irrimediabilmente lo sguardo di Watson, e disse: “Siediti. Scolo la pasta e potrai insultarmi quanto vuoi.”
Una volta che si furono entrambi accomodati, con un piatto di spaghetti caldo piazzato davanti, Sherlock si decise a spezzare il silenzio pesante che era calato.
“Io...m-mi dispiace per quello che ho detto. Ho cominciato a darmi dell’idiota nell’esatto momento in cui hai chiuso la porta e non ho ancora smesso, se ti interessa.” E questo bastò a rompere il ghiaccio, perché con quella battuta che li fece ridere erano tutti e due molto più rilassati. “Volevo solo dirti che io...per te non provo amore...o meglio...” si costrinse a correggersi, vedendo lo sguardo afflitto di John. “...non so cosa significa provare amore quindi non so se chiamarlo così, ma credo di averlo imparato stando con te...perché tu sei troppo buono con me, quindi...non pensare mai che tu sia sbagliato, o che non ti meriti il mio amore, perché in questa stanza non sei tu quello che è nato e morirà sbagliato.”
Concluse quella frase abbassando lo sguardo sulla sua interessantissima forchetta, cercando di dedurne vita, morte e miracoli. Stranamente la forchetta era piuttosto normale.
Fu lui questa volta a sentirsi in qualche modo triste: era vero, non era John quello a cui, fin da piccolo, veniva recriminata la sua intelligenza; non era lui che veniva messo in un angolo perché era troppo strano; non era lui che non aveva mai trovato nessun capace di amarlo davvero, per ciò che era, ovvero un fenomeno da baraccone, un sociopatico iperattivo e un dipendente dall’adrenalina.
“Guardami, per favore.” Il dottore lo distrasse dai suoi pensieri, e lui avrebbe voluto chiedergli come fosse possibile che lo salvasse tutte le volte che stava per perdersi. “Tu non sei sbagliato, Sherlock, perché io e te ci completiamo, va bene?”
John si era alzato e lo aveva raggiunto, stringendolo in un grande e caldo abbraccio, rassicurante come solo i suoi abbracci potevano esserlo.
“Ti amo. Ti amo da morire.” bisbigliò il dottore, al suo orecchio, annusando il profumo fresco e famigliare dei suoi ricci scuri.
“Anche io ti amo.” rispose, a voce flebile, mentre le lacrime glisi accumulavano ai lati degli occhi chiari, chiedendosi poi se lo avesse detto ad alta voce o solo pensato.
Ma il dottore doveva averlo sentito, perché lo strinse ancora di più, posandogli un bacio sulla tempia. “Hai combattuto una grande battaglia con la tua mente geniale mentre non c’ero, vero?” chiese con un sorriso, un sorriso che gli illuminò anche gli occhi.
“Solo per te.” rispose, staccandosi dall’abbraccio per guardarlo. “Non lo avrei fatto per nessun altro, solo per te.”
John sorrise ancora, come se non potesse fare a meno di farlo, mentre prendeva Sherlock per un braccio e lo faceva sedere sulle sue gambe. “Mangiamo, altrimenti la tua splendida cena si rovinerà.”

Avevano cenato come una coppietta di novelli sposi, uno sulle gambe dell’altro, tra un bacio e una carezza, tra una risata e un sorriso, tra una lamentela infantile e una deduzione brillante.

“Sei stanco?” gli chiese Sherlock, una volta che John fu sdraiato sul divano, con la testa appoggiata sulle gambe del suo consulente investigativo.
“No, voglio rimanere così ancora un po' così.” soffiò il dottore, accoccolandosi contro di lui e sbadigliando.
“Come vuoi.”

*

La mattina dopo, quando John si svegliò dopo una nottata a fare esercizio fisico con il suo uomo, era decisamente di buon umore.
Stranamente, Sherlock si svegliò alle dieci del mattino, il che stupì entrambi. Il dottore, scherzando, disse che probabilmente era talmente bravo da sfiancarlo; erano così partite una serie di battute a doppio senso che si erano concluse con Watson con le guance rosse dall’imbarazzo e Holmes con un sorrisetto malizioso e malefico sulle labbra.
La mattinata apparentemente tranquilla era degenerata quando era suonato il campanello e si erano ritrovati nel salotto l’ispettore Lestrade e il signor Governo Inglese.
“Cosa vuoi da me, Mycroft?”
“Perché credi sempre che il mondo giri attorno a te?”
“Perché saresti venuto fino a qui? Per fare quattro chiacchiere?”
A quel punto, il maggiore sorrise furbo, appoggiandosi al suo amato ombrello e al suo amato ispettore, prendendolo a braccietto e proclamando teatralmente: “Volevo solo informarti che, se non troverai l’ispettore Lestrade al cellulare, d’ora in poi dovrai cercarlo a casa mia.”
Gli occhi di suo fratello sembravano stessero per uscire dalle orbite. “Prego?!”
“Alla fine vi siete decisi!” esclamò John, saltando in piedi e stringendo il poliziotto in un abbraccio. “Congratulazioni, Greg!”
“Grazie, John.”
“Congratulazioni anche a te, Mycroft. Hai trovato la persona migliore che ti potesse capitare.”
Il diretto interessato sorrise pacifico, sincero e incredibilmente felice. “Oh, lo so.”
Il momento idilliaco fu interrotto dal gracchiare scomposto della voce del grande consulente investigativo. “Scusate, qualcuno può spiegare anche a me!?”
Watson, con un sorriso dolce, si sedette sul bracciolo dell'amata poltrona del consulente (azione che avrebbe causato la morte per omicidio per chiunque, ma lui è John), circondò le spalle di Sherlock con un braccio e gli baciò dolcemente una tempia. “Non capisci mai quando si tratta di queste cose, amore.” mormorò, mentre il suo sorriso sembrava creare una supernova al 221B di Baker Street.
“Non è colpa mia...” borbottò il consulente, mezzo rimbambito da quel sorriso e dal suo braccio sicuro intorno alle spalle; gli faceva tornare in mente certe scene di quella notte che...
Represse un brivido di eccitazione e la voglia di saltargli addosso solo perché c’erano quei due rompiscatole nella stanza.
“C’è da dire che sei talmente intelligente con tutto il resto che potremmo sorvolare sulla tua inesperienza su quell’universo che noi comuni mortali chiamiamo sentimenti.” ammise Lestrade.
“C’è qualcuno che mi fa ripetizioni, adesso.” ribatté, appoggiando i ricci scuri sul maglione morbido e caldo del suo dottore, chiudendo gli occhi e strusciandosi come un gatto.
“Ma non mi dire...”
La voce irritante di suo fratello interruppe quella bella sensazione (che si appuntò di ripetere al più presto).
“Levati quel ghigno da iena dalla faccia, e stai lontano da John!” ringhiò.
“Altrimenti?”
“Altrimenti gli scherzi che ti facevo da piccoli ti sembreranno delle passeggiate.”
La stanza adesso assomigliava terribilmente ad un campo di battaglia.
“Osi minacciare me, Sherlock?”
“Sento del terrore nella tua voce, Mycroft?”
“Ok, time out.” Il solito dolce e pacifico John interruppe la disputa. “Greg, che dici, porti via il tuo fidanzato?” chiese sorridendo.
“Tu tieni buono il tuo.” rispose Lestrade anche lui con un sorriso divertito sul viso disteso. Si sentivano entrambi come se avessero conquistato le due persone più ambite del mondo, ed in quel momento erano al settimo cielo.
Una volta sulle scale, Greg e John si salutarono educatamente, mentre i due fratelli Holmes si scambiavano dolci e amorevoli frasi di cordogli e arrivederci.
“Non azzardarti ad avvicinarmi di nuovo a casa nostra!”
“Tu prova a chiamare Greg fuori dagli orari lavorativi e ti faccio arrestare dalla CIA!”
“Provaci, vedremo quanto dureranno quegli agentucoli americani con me!”



Il tutto si concluse bene, ed alla fine avevano tutti e quattro trovato il loro posto nel mondo, con la loro persona speciale accanto.
  
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