Falso e bugiardo
Quando comprese
quanto osceno fosse il
bene
(Paradise Lost – John
Milton)
Loki non era mai stato
un tipo fedele, ed ancor meno un individuo di cui fidarsi. A volte pensava che
persino il suo aspetto, per quanto giovane e fresco, inducesse chiunque ad
allontanarsi. Infatti, in quegli occhi azzurri e freddi, si celava una luce di
malizia ed ambiguità. Il suo sorriso furbo, per quanto bello, lasciava
trapelare la sua vena ingannatrice e doppiogiochista.
Ma ci fu un periodo in
cui persino lui, Dio degli Inganni e pecora nera fra gli dei norreni, provò
l’amore di una donna. L’unico periodo in cui poté considerarsi molto vicino a qualcosa
di simile al termine “felice”. Il periodo che lo trasformò in quello che ormai
era diventato. Ogni volta che, solo, beveva un boccale di idromele seduto sul
suo comodo – ed usurpato – trono, pensando ad Aima gli tornavano in mente quei
ricordi lontani, ma così lontani, che ormai
non gli raggiungevano neanche più il cuore ed a cui dedicava solo una
smorfia schifata, ai suoi occhi, ma amareggiata a quelli di chi, come sua
figlia, vedeva oltre l’apparenza.
Il giorno in cui la
incontrò era soleggiato e l’aria era intiepidita dai caldi raggi della stella
madre. Loki stava risalendo un piccolo fiume alla cui sorgente, secondo i suoi
informatori, si trovava l’anello dei Nibelunghi, utile per i suoi piani malvagi
ai danni di Odino. Era ormai giunto alla fonte, una leggera cascata
cristallina, quando da sotto il cappuccio la vide. Doveva vivere da non più di
una ventina d’anni per esporsi così tanto alla luce del sole, con quei capelli
scarlatti come le sue iridi. La bellezza immacolata tipica degli elfi la
avvolgeva come il vestito leggero e bianco che si muoveva appena ad ogni suo
movimento, ma la sua inesperienza le stava facendo violare dalla prima regola degli
elfi: mostrarsi al di fuori del proprio regno era concesso solo agli elfi più
esperti e prudenti, agli altri era categoricamente vietato. Doveva essere
rimasto fermo a guardarla troppo a lungo, perché improvvisamente la ragazza si
girò verso di lui con occhi ardenti.
«Chi sei?»
Chiese afferrando la
lancia appoggiata al suolo di fianco ai suoi piedi. Loki capì subito che quell’arma
era magica, costruita, forse, da uno dei più abili fabbri elfici esistenti.
Curata in ogni minimo dettaglio, dal colore rosso delle decorazioni all’argento
divino e splendente della punta e dell’asta, tagliava solo a guardarla.
«Stai fuggendo, giovane
elfa?» chiese il dio, sfoderando uno dei suoi sorrisi più maliziosi. Era così
palese che stesse fuggendo. Un altro elfo avrebbe eliminato la minaccia e si sarebbe
nascosto.
«Se sei un membro della
mia comunità, sappi che non esiterò ad ucciderti!»
Ringhiò la rossa,
scagliando la propria lancia contro Loki. L’attacco lo colpì in pieno petto, ma
era solo un’illusione: l’immagine del Ragno svanì e la lancia cadde a terra con
un pesante tonfo. L’elfa, tuttavia, non era così impreparata come Loki pensava.
Girò su se stessa brandendo un pugnale letale quanto la sua lancia e tentò di
colpire la gola del dio, ma quest’ultimo la bloccò senza troppa difficoltà.
«Tanto giovane quanto
letale.» commentò «Qual è il tuo nome?»
La rossa gli tirò un
potente sinistro ma, nonostante la forza dell’elfa, Loki girò a malapena il
viso. Allora la donna gli tirò giù il cappuccio.
«Loki!» esclamò
esterrefatta, tentando di allontanarsi, ma il dio la bloccò e le tappò la
bocca.
«Taci!» sibilò «Nessuno
deve venire a conoscenza della mia presenza qui. E credo neanche della tua..»
avanzò con un ampio sorriso.
«Non mi farai scoprire.
Mi farò uccidere piuttosto.» ribattè la ragazza.
«Se mi dici perché
scappi potrei offrirti protezione, se riterrò valido il motivo.»
Propose il Ragno. Veramente,
qualsiasi fosse stato il motivo, lui l’avrebbe nascosta. La verità era che
quell’elfa lo attirava e non solo fisicamente. C’era qualcosa nei suoi occhi e
nel suo carattere combattivo che lo attraeva. La rossa ragionò per qualche
secondo, ma non riuscì a trattenere per molto la propria impulsività.
«Non voglio sottostare
alle regole degli elfi. Non è giusto proibirci di uscire allo
scoperto per pura
vigliaccheria, solo perché in passato ci è stato fatto
del male. Mi rifiuto categoricamente, dovessi andare contro lo stesso
Odino.»
L’ultima frase fece
scattare una scintilla nella mente di Loki, che subito domandò.
«Qual è il tuo nome,
giovane elfa?»
«Annael.»
«Hai la mia protezione.
E credo che tu possa aiutarmi per un certo progetto che ho in mente.»
Ed ignara di una figura
a lei familiare che la osservava, Annael accettò.
Loki non si era mai
sentito apprezzato, né tantomeno giusto o degno di fiducia. Lui era
semplicemente Loki, Dio degli Inganni, manipolatore esperto e dio falso e
bugiardo. Ma Annael sembrava non vedere questi difetti o, meglio, li ignorava
bellamente. Lei guardava oltre come solo gli elfi sapevano fare ed anche se
quelle mani divine avevano ucciso il giorno stesso, se quel sorriso aveva
mietuto più vite delle guerre a lei non importava: per Annael lui era il suo
amato, il suo dio, il suo salvatore. Ed il Ragno cominciò a risentire di
quell’affetto. Fremeva quando lei lo abbracciava, a volte piegò persino il capo
durante le loro litigate e la teneva sott’occhio ogni secondo quando lei
usciva, perché sapeva quanto il suo clan di elfi la stesse cercando.
Probabilmente non volevano ucciderla, ma ammise a se stesso che la paura di
perderla lo dilaniava ogni qual volta ella metteva i piedi fuori dal suo
castello.
E la paura aumentò la
notte in cui, dopo ore di passione, Annael accoccolata sul petto nudo di Loki
gli confessò finalmente i propri sentimenti. A volte il dio si chiedeva chi dei
due fosse più orgoglioso.
«Ho perso la battaglia.»
sospirò l’elfa.
«Battaglia?» domandò
Loki in uno stato di dormiveglia.
«Sì. Alla fine mi sono
innamorata di te. Ed ora aspetto un figlio.» confessò la rossa.
Loki si mise a sedere
di scatto, fissando l’amante negli occhi. Ma lei non abbassò lo sguardo, troppo
fiera per farlo. Quando l’aveva conosciuta era una creatura dal carattere
combattivo ma ancora acerbo, ma ora era cresciuta e si mostrava veramente alla
sua altezza.
«È un problema?» chiese
lei, diretta come sempre.
«Non è il bambino il
mio problema. Hai la minima idea di chi ti sei innamorata? Il fatto che io non
ti faccia del male non significa che sia cambiato. Sono sempre il bastardo
falso di sempre.»
Ringhiò il dio,
fremendo di rabbia. Ma Annael non lo temeva e lentamente posò la sua mano sul
proprio ventre gravido. E lì il Ragno si calmò lievemente, nonostante non
approvasse ciò che la sua amata sentiva per lui.
«Perché tenti di dissuadere
te stesso di qualcosa che sai di essere? Perché piuttosto non ammetti di avere
paura di perdere qualcuno che ti apprezza?» domandò l’elfa.
«Perché non me lo
merito.»
«Tutti abbiamo diritto
ad una seconda possibilità, e tu ne hai avuta una. Ne hai usufruito bene ed ora
ne stai cogliendo i frutti. Amare non è sbagliato Loki, e tu come altri meriti
molto più dell’odio e del disprezzo di cui ti circondi per vantarti. So che
sarai un buon padre come sei un buon amante e questo mi basta.»
E dopo che Annael si fu
addormentata, il dio norreno potè lasciar cadere due lacrime che da minuti
ormai premevano sui suoi occhi. Poi si addormentò.
E di nuovo passarono i
mesi. Loki preparava sempre più minuziosamente il suo piano di conquista, e
molte erano le volte in cui era assente, lasciando Annael sotto la protezione
di Fenrir, che segretamente teneva nel suo castello per proteggere la donna. Il
dio divenne iperprotettivo e lasciava uscire la propria donna solo all’interno
del giardino della propria dimora.
Quando arrivò il giorno
del parto il Ragno rimase per tutto il travaglio accanto alla propria amata,
finchè non poté prendere finalmente in braccio la sua creatura. Una femmina dai
capelli rossi come il sangue e, da come scalciava, molto combattiva. Aima
divenne il suo nome ed Annael era più che felice di quell’avvento. Finalmente
era madre ed aveva un uomo su cui contare, che la amava – benchè lui non lo
avesse mai ammesso – e la proteggeva.
Ma l’arrivo di Aima,
per quanto lieto, segnò anche l’inizio della fine. Dalla nascita della bambina,
infatti, una figura sinistra aveva preso a girare attorno alla dimora di Loki.
Il dio non sembrava essersene accorto, impegnato com’era a pensare al suo piano
ai danni della Terra. Annael, al contrario, seguiva ogni suo movimento ed ormai
aveva riconosciuto l’individuo che li controllava. Così finalmente si decise ad
affrontare il suo passato, le sue scelte e le conseguenze. Si recò da Loki con
passo sicuro e risoluto come faceva solitamente, e lo abbracciò da dietro,
mentre lui era in piedi a contemplare Aima che dormiva. Gli lasciò una scia di
baci sulla schiena e gli sussurrò all’orecchio un “ti amo” ineffabile alle
orecchie del dio, sconosciuto a quelli che aveva precedentemente sentito. Il
Ragno si limitò a sorridere appena, mentre lei gli comunicava che usciva a
prendere aria.
«Mi ami?» domandò
allora la rossa, vedendo che il suo amato non aveva fatto una piega.
«Lo sai.» rispose
inespressivo il dio norreno.
«Dimmelo.» pregò la
rossa, fremendo.
«Come mai ci tieni così
tanto? Non mi hai mai obbligato a dirti nulla.» ribattè Loki sospettoso.
«Non credi che io possa
tenerci, una volta tanto?» domandò la donna.
Ma il dio, tramite il
riflesso nello specchio della stanza, vide una leggera lacrima solcare il volto
di Annael. Impassibile continuò il suo gioco, e si girò verso di lei,
baciandola e sussurrandole ciò che desiderava. L’elfa sorrise e dopo qualche
secondo fra le braccia dell’amato uscì, diretta verso un grosso albero che
torreggiava sugli altri. Un albero alla cui base si apriva un largo buco al cui
interno era celata la misteriosa figura.
«Vieni fuori, Sephyra!»
ordinò Annael furibonda.
Ed allora l’elfa,
vecchia amica della rossa, si mostrò in tutta la sua perlacea bellezza. I
capelli argento, gli occhi color oceano: nulla era cambiato ed, anzi, Sephyra
sembrava ancora più bella di prima.
«Cosa ci fai qui?!»
ringhiò l’amante del dio.
«Annael devi tornare altrimenti,
se ti troveranno, ti uccideranno. Non puoi stare con Loki, né vivere alla luce
del sole.» spiegò impassibile l’altra, mentre gli occhi della rossa sembravano
sanguinare dalla rabbia.
«No. Farebbero del male
a lui e a.. senti, vattene.» sputò velenosa Annael.
«E a chi?» per un
momento Sephyra si agitò, ma poi tornò alla sua placida calma «Puoi sempre
mentire, so che puoi farlo, ma restando con Loki rischi di metterlo in
pericolo. Inoltre i nani stanno per attaccarci ed abbiamo bisogno di tutto l’aiuto
possibile.»
«Posso aiutarvi in
battaglia, ed anche lui può farlo.. ma..» si impuntò Annael, ma fu
repentinamente interrotta.
«Loki è un alleato dei
nani. Ci tradirebbe. È il Dio degli Inganni, non importa se non ha fatto nulla
per tutto questo tempo!»
Annael stava per dirle
che lui la amava, e non li avrebbe mai traditi se lei glielo avrebbe proibito.
Ma non ebbe tempo. Quando fece per pronunciare quelle parole, una lancia le
trafisse il petto con estrema precisione. La ferita era pulita come a
dimostrare che nel lancio non c’era stata alcun tipo di esitazione. Ed allora
avvertì il cosmo di Loki. Lo sentì scorrere fin nelle viscere e le lacrime
presero a sgorgare da sole come un fiume in piena, calde come lava. E mentre
Sephyra la sorreggeva, ebbe il tempo di sussurrarle una preghiera che, però, il
dio non sentì né si sforzò di sentire. Le lacrime gli offuscavano i sensi e
quando Annael si inginocchiò e riuscì a guardarlo, si sarebbe strappato il
cuore. Quel rosso vivo che la caratterizzava ora la stava uccidendo, sgorgando
dal suo petto ferito. Ma non era la sua visione morente a straziarlo. Erano le
parole che Loki riuscì a malapena a leggere sulle labbra morbide dell’amata.
“Ho perso la
battaglia.. mi sono innamorata di te.”
Ed il dio sparì com’era
arrivato. Alla velocità della luce ritornò nel suo castello e si diresse
d’istinto verso la culla di Aima, stringendone i bordi con troppa forza, tanto
che li ruppe. La bambina si svegliò, aprì appena gli occhi rossi e cominciò a
piangere, seguita immediatamente da Loki, le cui lacrime scivolavano copiose
come non si sarebbe mai immaginato.
Alla fine anche Annael
lo aveva lasciato. Anche l’elfa aveva perso la fiducia in lui e lo stava esponendo
al nemico. Anche lei sapeva che avrebbe tradito gli elfi in quanto alleato dei
nani, che non importava se non aveva fatto nulla per tutto questo tempo. E
ancora una volta il dio aveva preservato i suoi piani e l’aveva uccisa. Osservò
Aima per un lungo momento, vedendo quanto assomigliasse alla madre e, per un
momento, gli balenò nella mente di sbarazzarsene. Tuttavia non seppe cosa gli
fece cambiare idea. Le ultime lacrime morirono sulle sue labbra e, con sguardo
determinato, parlò ad Aima.
«Tu non mi
abbandonerai. Mi apprezzerai e mi aiuterai nei miei progetti. Sarai la mia
fotocopia, di tua madre non rimarrà traccia se non nel sangue. Nessuno saprà di
te, di lei: solo io ed i tuoi fratelli. Tu rimarrai con me fino alla fine. Tu
non mi tradirai.»
Da allora plasmò Aima
come voleva, cercando di distruggere ogni minimo accenno al carattere della
madre, ma non seppe mai la verità. Non sapeva che a pronunciare la frase “Ci
tradirebbe. È il Dio degli Inganni” non era stata Annael ma l’altra elfa. Le
voci delle due donne erano troppo simili, ed il dio troppo confuso per
distinguerle. La rossa non aveva perso la fiducia in lui. Loki stesso l’aveva
distrutta nel momento esatto in cui la lancia aveva trafitto la sua amata.
Sed qui me defendet?
Ab me terribilissimo ipse
(Chi mi difenderà?
Dal più terribile: me
stesso)
Il
teatrino di Scarlet:
e per compensare la mancanza del nuovo capitolo dei fili (zero
ispirazione, scusate) ho partorito questo prototipo di one-shot. Un
po’ lunga,
a dire la verità… spero sia uscita bene, non sono un asso
nelle OS. Pochissimi
sono bravi a scriverle. Comunque ho deciso di buttarmi e spero sia
riuscita a colpire come volevo. Loki è un tantino difficile da
gestire.
Con questo chiudo, spero di aggiornare il prima possibile! Alla
prossima e grazie a chi la leggerà!
R&R!
Scarlet