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Autore: Fragolina84    08/12/2013    1 recensioni
"Non c'era possibilità di vivere senza di lei, tanto che il primo impulso fu quello di staccare il reattore dalla piastra nel suo petto e lasciare che le schegge ancora nel suo corpo trovassero la strada verso il suo cuore. O quello che restava del suo cuore, perché Victoria l'aveva appena fatto a pezzi. Sarebbe bastata una settimana, poi tutto sarebbe finito"
Per il titolo di questo lavoro mi sono inchinata all’inglese. Trovo che I belong to you sia più musicale della sua traduzione in italiano: io appartengo a te.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Sei lento, Jarvis. Troppo lento».
La lamentela di Tony era infondata. La quantità di dati che stava elaborando Jarvis era enorme: si era inserito nel circuito chiuso delle telecamere della sede Ascam e teneva d’occhio ogni movimento, verificando al contempo tutto il traffico telefonico gestito dal cellulare di Roberts nel periodo del rapimento di Victoria. E, ovviamente, gestiva villa Stark con la solita cura.
Ma Tony era impaziente di avere informazioni. Non riusciva a tollerare l’idea di lasciare Victoria nelle mani di Roberts un solo minuto di più e passeggiava nervosamente per il garage, rimproverando senza motivo il povero Ferrovecchio.
«Deve calmarsi, Tony» lo pregò Pepper. «Jarvis sta facendo un lavoro eccellente».
Appena rientrato, Tony era piombato nell’ala della villa riservata a Pepper, tirandola giù dal letto e raccontandole ciò che era successo. Poi entrambi si erano rinchiusi nel sotterraneo, iniziando a stendere un piano.
Ad un certo punto, il computer emise un sonoro bip e Tony si voltò verso il monitor.
«Signore, ho un riscontro. Secondo i dati che ho analizzato, il signor Roberts ha chiamato più volte un numero che rimanda ad una località dell’entroterra».
«Mostramela».
Jarvis evidenziò la località sulle immagini satellitari. Sullo schermo apparve un tratto della Topanga Canyon Road.
«È qui vicino» disse Tony. «Di che approssimazione stiamo parlando nei tuoi calcoli?»
«Un centinaio di metri, signore. Senza una chiamata in corso non posso fare di più».
«Jarvis, passa alle immagini termiche» intervenne Pepper. Jarvis obbedì. «Allarga il campo di ricerca» ordinò la donna.
«Quello cos’è?» domandò Tony, indicando un punto dello schermo. C’era una strada sterrata che partiva dal punto che Jarvis aveva originariamente evidenziato. Si inerpicava su una collina alberata e finiva in un punto immerso nella boscaglia. C’erano diverse impronte di calore in quel punto, segno che c’era una presenza umana.
Tony sfiorò lo schermo che si divise in due: da una parte le normali immagini satellitari, dall’altra quelle termiche. Le prime rivelarono che nel punto in cui erano concentrate le sagome umane c’era una specie di edificio che risultava talmente mimetizzato con la boscaglia da essere quasi invisibile: se non avessero avuto le termiche, probabilmente non sarebbero riusciti ad individuarlo.
«Quanti uomini, Jarvis?»
«Sei uomini e una donna, signore».
Tony tamburellò sul monitor. «Bingo! Sono loro».
«Non le sembrano un po’ troppi uomini per badare ad una ragazzina?»
«Roberts si aspetta dei guai. Ma se crede che Ironman si faccia spaventare da sei uomini, si sbaglia di grosso».
«Deve agire con molta cautela, Tony» raccomandò Pepper. «La salvaguardia di Violet è la priorità assoluta. Forse sarebbe il caso che chiamasse anche Rhodey» disse, ma lui scosse la testa.
«La mia è l’unica armatura silenziata ed è fondamentale mantenere l’elemento sorpresa. E intendo risolvere questa faccenda nel più breve tempo possibile: Victoria non sarà libera finché non lo sarà anche Violet».
«Signore» intervenne Jarvis «rilevo che i sequestratori della signorina Violet sono armati».
«Che tipo di armi, Jay?» chiese.
«Fucili d’assalto M26 e pistole mitragliatrici MAC-11, signore» disse Jarvis dopo qualche secondo.
«Non faranno un gran danno con quei fucili a tappo» prese atto Tony.
«Rilevo anche un lanciamissili RPG-7» concluse Jarvis.
«Ecco, questo potrebbe farci un po’ male. Va bene, cercheremo di evitarlo».
Pepper scosse la testa. «Secondo me la sta prendendo un po’ troppo alla leggera».
La spaventava sempre l’avventatezza con cui Tony affrontava la vita. Lo aveva visto spendere milioni di dollari per un quadro che poi aveva fatto mettere in un magazzino e che aveva voluto solo per fare un dispetto ad un concorrente e allo stesso modo gestiva tutta la sua vita. Da quando poi aveva indossato l’armatura Ironman non teneva in alcun conto la proprio sicurezza personale.
«Suvvia, signorina Potts: dovrebbe avere un po’ più di fiducia nel suo capo».
«E il suo piano quale sarebbe? Piombare su quel rifugio, travolgere ogni resistenza e volare via con Violet?» domandò la donna.
«Qualcosa del genere, sì» replicò Tony. «Non è necessario che lei sappia tutti i dettagli, non voglio che rimanga qui a torcersi le mani tutto il tempo».
Pepper si massaggiò le tempie. «E cosa pensa che accadrà quando Roberts proverà a contattare i rapitori e nessuno risponderà? Victoria potrebbe trovarsi in pericolo»
«Voglio che il dottor Barnes sia qui quando tornerò con Violet. Lei lo aiuterà a prendersi cura della ragazza mentre io andrò a riprendermi la mia donna. Roberts non se ne accorgerà neanche». Poi si rivolse a Jarvis. «La mia armatura», ordinò.
«Faccia le cose con cervello, Tony». Pepper era l’unica che potesse rivolgersi a Stark con quel tono. «Lei ha bisogno di riscattare l’onore di Victoria: il mondo deve sapere che è stata costretta ad andarsene e che ciò che è successo non è stata una sua decisione».
«Cosa suggerisce?» domandò, mentre l’armatura si chiudeva automaticamente attorno al suo corpo.
«Ha bisogno di una confessione: deve far ammettere a Roberts ciò che ha fatto. Così, l’onore di Victoria sarà salvo e quel bastardo finirà in prigione».
Tony trasalì. «Signorina Potts! Mi stupisce sentirla parlare in questi termini».
La donna sorrise. «Victoria è mia amica, oltre che la sua fidanzata. Perciò Roberts deve pagare per il male che ha fatto ad entrambi».
«E pagherà per tutto, mi creda» disse Tony. «Jarvis, ci sei?» chiese poi.
«Al suo servizio, signore».
«Bene. Andiamo».
Jarvis diede potenza ai razzi e Tony si alzò in volo. C’erano poco più di trenta chilometri in linea d’aria per raggiungere Topanga e pochi minuti dopo essere partito da Villa Stark era già in vista dell’incrocio di Topanga Road con Santa Maria Road.
«Jay, modalità silenziosa».
Tony atterrò fra gli alberi e si avvicinò furtivamente al capanno. Non sapeva che ordini avessero i carcerieri in caso di sua comparsa perciò doveva individuare Violet prima di mostrarsi. Come aveva sottolineato Pepper, la salvezza di Violet era la priorità.
«Signore, ci sono due uomini che pattugliano il perimetro» lo avvisò Jarvis.
Si fermò ad una certa distanza per evitare che il bagliore del reattore Arc li mettesse sull’avviso e ordinò al computer di effettuare una scansione. All’interno del suo casco, le immagini gli apparvero davanti agli occhi. Oltre alle due sentinelle, c’erano altri tre uomini che dormivano nel primo locale mentre un quarto sembrava fare la guardia ad una stanza in cui Jarvis rilevò la presenza di Violet. La ragazza era raggomitolata e probabilmente stava dormendo.
«Va bene, Jarvis» mormorò. «Non mi piace l’idea di far fuori queste persone quindi direi di procedere con cautela. Riduciamo al silenzio le due sentinelle, ci introduciamo nella stanza dove tengono Violet e la portiamo via».
«Signore, ho individuato diversi dispositivi GPS. Suggerisco di neutralizzarli prima di tentare qualsiasi azione».
«Ok. Usiamo un impulso elettromagnetico».
«Spegnimento sistema in corso» annunciò Jarvis, mentre la visiera del casco si sollevava.
Per usare l’impulso elettromagnetico, Jarvis doveva necessariamente spegnere il sistema in modo da non restare vittima della sua stessa arma. Il comando era un pulsante posto sul braccio sinistro dell’armatura. Jarvis aprì lo sportellino e si disattivò.
Tony attese qualche secondo e premette il pulsante. Avvertì il deflusso dell’energia dal reattore Arc ma non ci fu altro segno della potente esplosione di energia che si propagò dall’armatura e spense ogni dispositivo elettronico nel raggio di un chilometro quadrato.
«Sono online, signore» segnalò Jarvis. «Dispositivi GPS disattivati».
«Bene, Jarvis. Andiamo a prenderla».
Tony si avvicinò furtivamente alla prima sentinella che stava fumando appoggiata al tronco di un albero. Attese che l’uomo fosse impegnato a scuotere la cenere dalla sigaretta e lo attaccò da dietro. Gli coprì bocca e naso con la mano, usando l’altro braccio per stringerlo attorno al collo. L’uomo si dibatteva, ma Tony lo tenne saldamente finché ogni movimento cessò. Lo abbandonò a terra e si dedicò a mettere fuori gioco il secondo uomo.
 Lo raggiunse in fretta, ma mentre lo stava attaccando questi si voltò, scorse la luce del reattore Arc e alzò l’arma per fare fuoco. Tony lo colpì al braccio con più forza di quanto fosse necessario: voleva soltanto disarmarlo, ma sentì chiaramente lo schiocco dell’osso che si spezzava. La pistola mitragliatrice cadde sul terreno senza aver sparato un colpo che avrebbe messo in allarme i malviventi all’interno dell’edificio.
L’uomo comunque non era finito perché cercò di contrattaccare, usando il braccio sinistro per colpire Ironman. Non aveva possibilità ma rischiava comunque di fargli perdere tempo prezioso, con la possibilità di essere scoperto che diventava ogni secondo più concreta. Tony capì che non poteva andare tanto per il sottile. Afferrò la testa dell’uomo e la spinse verso il basso, mentre sollevava la gamba. Il ginocchio di acciaio dell’armatura colpì l’uomo al centro della fronte, facendolo accasciare come un palloncino sgonfio.
«Te la sei cercata» borbottò Tony lasciandolo cadere a terra. «Jarvis, com’è la situazione?»
«Nessun movimento, signore».
«Bene, mettiamo fuori uso le loro auto».
C’erano due SUV neri parcheggiati da un lato. Tony aprì il cofano di entrambi e immerse le mani nel vano motore, strappando cavi e tubi e rendendo inutilizzabili entrambi i mezzi. Poi si avvicinò all’edificio.
Jarvis lo guidò verso il luogo in cui Violet era prigioniera. L’unico contatto con l’esterno era una minuscola finestrella con le sbarre di ferro a cui lui si affacciò. L’unico arredo della stanza – che era veramente minuscola, meno di due metri per due – era la branda su cui Violet era raggomitolata sotto la coperta.
«Violet» la chiamò, ma la ragazza era addormentata e dovette ripetere il suo nome un paio di volte prima che si sollevasse dal suo giaciglio.
«Tranquilla» si affrettò a dire prima che si mettesse a urlare «sono Tony. Sono venuto a prenderti».
Violet saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra. Tony notò subito che era incatenata al muro e i ceppi che avevano usato le avevano lacerato la pelle sicché il polso destro era incrostato di sangue secco. A Tony si strinse il cuore: Violet aveva appena vent’anni, era poco più di una ragazzina. Pensare di farle del male era qualcosa di talmente astratto che non riusciva a capacitarsene. E poi era così simile a Victoria che gli parve di vedere la sua donna in quelle condizioni.
«Sapevo che saresti venuto a prendermi» mormorò la ragazza, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Dobbiamo fare in fretta, piccola» le disse. Violet era vestita di stracci e Tony fu grato a Pepper che gli aveva dato dei vestiti pesanti. Le passò lo zainetto attraverso le sbarre. «Ora indossa questi».
Violet obbedì: infilò i pantaloni e le scarpe ma non poté indossare la felpa perché era ancora incatenata al muro. Poi si affacciò di nuovo.
«Ora devi metterti nell’angolo più lontano e proteggerti meglio che puoi. Io abbatterò il muro e ti farò uscire. Poi dovremo essere velocissimi: il trambusto sveglierà le guardie e non sarà un bel momento. Tutto chiaro?»
Lei annuì e si rintanò nell’angolo, tra la porta e la brandina, tirandosi la coperta sulla testa. Tony si allontanò di qualche passo: Jarvis fece i calcoli e gli indicò il punto esatto in cui colpire per abbattere la parete limitando la distruzione, in modo da non ferire Violet.
Tony sparò una piccola carica esplosiva che colpì il punto che il computer gli aveva indicato. La parete crollò di schianto e alcuni detriti finirono all’interno. Tony si affacciò con il cuore in ansia ma Violet era già in piedi e stava scavalcando le macerie.
L’uomo afferrò la catena fissata al muro e la divelse senza sforzo. Poi tese la mano che Violet afferrò per uscire e la aiutò ad indossare la felpa.
Come previsto, l’esplosione e il crollo avevano attirato l’attenzione del resto dei carcerieri che, stando al riparo di ciò che restava dell’edificio, cominciarono a sparare. Tony protesse Violet con il proprio corpo, ricevendo i colpi sulle spalle dell’armatura.
«Pronta a saltare a bordo?» domandò in tono volutamente leggero quando Violet fu pronta.
Si girò e colpì con una scarica di energia il terreno davanti ai nemici. Protetto dalla fontana di terriccio che si levò, prese in braccio Violet e volò via.
Ora la priorità era arrivare a villa Stark, affidare Violet alle cure di Pepper e del dottore e volare a riprendersi Victoria. Se avesse seguito l’istinto avrebbe immediatamente raggiunto la sede Ascam a velocità supersonica, ma doveva prima pensare a Violet. Così volò a bassa quota e a velocità ridotta, cercando di proteggerla più che poteva dal vento relativo. Dal canto suo, Violet gli stava aggrappata come un cucciolo di koala, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
Fortunatamente la distanza non era molta e quando sorvolò la tenuta vide con sollievo la Mercedes del dottor Barnes parcheggiata davanti alla porta; scese direttamente nel seminterrato.
«Jarvis, trovami Victoria» ordinò. Poi si rivolse a Violet: «Sei a casa, tesoro» mormorò con dolcezza. Lei sollevò il capo e Tony la depose con delicatezza sul divano.
Liberarla dalla catena ancora assicurata al polso destro fu affare di pochi minuti. Poi Tony si inginocchiò accanto al divano.
«Lo sai perché sei stata rapita?» domandò.
Lei annuì. «L’uomo che telefonava… lui ha preso Victoria, vero?»
«Sì. Ha usato te come leva, costringendola ad allontanarsi da me. Ora devo andare da lei perché quando quell’uomo si accorgerà che ti ho portata via potrebbe perdere la testa. Pepper resterà qui con te e il dottor Barnes, va bene?»
«Sbrigati ad andare da lei, Tony» disse semplicemente Violet.
Tony le scostò i capelli dalla fronte. «Sei al sicuro adesso. Nessuno più ti farà del male». Poi si alzò e Pepper prese il suo posto, sedendosi sul bordo del divano.
Tony, sempre con l’armatura addosso, raggiunse il dottor Barnes e lo aggiornò in fretta sulla situazione.
«Signore» lo interruppe Jarvis ad un certo punto «non riesco a trovare la signorina Johnson».
L’uomo si girò di scatto verso il monitor. «Che significa?» chiese, mentre il primo brivido di allarme gli correva lungo la spina dorsale.
«Non è più nell’appartamento di Roberts, signore».
«Trovamela, maledizione» imprecò.
Jarvis iniziò a controllare le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso, mentre Tony si dava dello stupido per non essersi mosso più in fretta.
«Signore» lo chiamò Jarvis.
«Dimmi, Jay».
«C’è una telefonata per lei, signore. Proviene dall’appartamento di Roberts».
 
Victoria rimase ad osservare il cielo finché le scie luminose dei razzi di Ironman scomparvero in lontananza.
Era impressionante quanto quel breve contatto con Tony l’avesse rinvigorita. Ora sapeva che la cosa era nelle sue mani e sapeva che lui avrebbe risolto la situazione, come faceva sempre. Pregò che tornasse presto a riprenderla.
Rientrò e si stese a letto, ma era troppo eccitata per tornare a dormire. Improvvisamente qualcuno bussò alla sua porta.
«Chi è?» chiese perplessa e si alzò, avvicinandosi alla porta.
«Ho bisogno di parlarti» rispose la voce di Christopher.
«Ti ascolto» replicò lei: aprire la porta era un’idea che non le passava nemmeno per la testa.
«Apri questa porta!» sbottò lui seccamente, e il suo tono la allarmò. Fece un passo indietro e in quel momento, lui abbatté la porta con un calcio.
Si precipitò all’interno con tanta foga che la sorprese. L’afferrò per il collo e la spinse indietro, inchiodandola contro la parete.
«È stato qui, vero?» le urlò in faccia.
«Non so di cosa parli» replicò Victoria, annaspando in cerca di aria.
«Non mentire» urlò lui e strinse ancora di più la presa, attirandola a sè. «L’hanno visto volare via da qui e può essere venuto solo per te».
Ciò che Victoria aveva temuto si era infine verificato. Ora Violet era in estremo pericolo e, guardando Christopher negli occhi fiammeggianti di rabbia, ebbe paura anche per sé. L’uomo la lasciò finalmente andare e lei si accasciò a terra, tossendo e tenendosi la gola offesa.
«Colin!» gridò e, mentre attendeva che il suo bodyguard lo raggiungesse, si rivolse di nuovo a lei. «Hai sbagliato i tuoi calcoli, mia cara. Sappi che se non potrò averti io, non ti avrà nemmeno lui».
Colin entrò nella stanza e Roberts indicò Victoria. «Piano B» disse semplicemente e Colin sogghignò. Afferrò la donna per un braccio, tirandola in piedi con tanta forza che sentì la pelle illividirsi nella sua stretta.
«Mi fai male. Lasciami!» gridò lei.
«Sta zitta!» le sibilò in faccia. «Non hai più i privilegi di una fidanzata». Poi la trascinò fuori, seguendo Christopher.
Il trambusto richiamò l’attenzione di Joanna che uscì dalla propria stanza.
«Che succede?» domandò allarmata, stringendosi addosso la vestaglia.
«Non la riguarda» replicò seccamente Christopher. «Torni nella sua stanza».
Victoria finse di incespicare e Colin fu preso alla sprovvista. La donna cadde sulle ginocchia e, come aveva previsto, Joanna si precipitò ad aiutarla.
«Deve avvisare Tony» le sussurrò all’orecchio e, mentre Colin la tirava di nuovo in piedi, cercò di comunicarle con lo sguardo tutta l’urgenza di quella richiesta. Poi Colin la spinse in ascensore.
Joanna intuiva che Victoria era in pericolo e improvvisamente decise che doveva fare qualcosa. Si vestì in fretta e poi scese al piano di sotto, dov’era l’ufficio del signor Roberts.
Lei era una dei pochi ad essere autorizzata all’accesso per le pulizie quindi usò il suo tesserino e si diresse nell’ufficio della segretaria personale di Roberts che a quell’ora non era arrivata. Sapeva che era la segreteria di Roberts che inviava gli inviti per gli eventi organizzati dalla Ascam e la signora Madison era una donna all’antica, che conservava una copia cartacea di tutto.
Joanna raggiunse lo schedario, cercò la lettera S e trovò il fascicolo di Stark. Dentro c’era il numero di telefono della villa che la donna scrisse su un foglietto. Poi rimise tutto in ordine e tornò nell’attico. Non c’era nessuno in giro e lei si chiuse nella sua stanza e compose il numero.
«Residenza Stark» rispose Jarvis.
«Mi chiamo Joanna, chiamo dall’appartamento del signor Christopher Roberts. Sono la cameriera personale della signorina Johnson e ho importanti informazioni per il signor Stark».
«Rimanga in linea» disse Jarvis e passò la telefonata nel seminterrato.
«C’è una telefonata per lei, signore. Proviene dall’appartamento di Roberts», annunciò. «È una donna di nome Joanna che dice di avere informazioni sulla signorina Johnson».
«Stark» abbaiò Tony e una voce sconosciuta rispose dell’altro capo.
«Signor Stark, mi chiamo Joanna e sono la cameriera personale della signorina Johnson…» cominciò ma Tony, impaziente, la interruppe.
«Jarvis mi ha detto che ha informazioni riguardo a Victoria» tagliò corto.
«Sì, signore. È in pericolo… lui l’ha presa» disse la donna in tono concitato. Il cuore di Tony perse un battito, ma si impose di restare calmo. Doveva capire bene cos’era successo.
«D’accordo, Joanna. Ora si calmi e mi spieghi tutto. Intanto, Victoria sta bene?»
«Sì, sta bene, al momento» rispose la donna e Tony sospirò di sollievo.
«Chi l’ha presa?» domandò.
Joanna gli raccontò che Victoria era stata portata via da Colin, lo scagnozzo di Roberts. «C’è stato trambusto e confusione e la signorina mi ha sussurrato di cercare di avvisarla anche se, glielo dico sinceramente, l’avrei fatto anche se non mi avesse detto nulla».
«Quando è successo?»
Joanna sbirciò il piccolo orologio che aveva al polso. «Circa un quarto d’ora fa» disse.
Proprio in quel momento, Jarvis attirò la sua attenzione.
«Signore, ho trovato la signorina Johnson».
«Mostramela» disse e poi si rivolse a Joanna. «Ok, Joanna. Grazie di tutto, è stata preziosissima. Ora ci penso io».
«Stia attento, signor Stark. Quell’uomo è impazzito».
Tony la ringraziò di nuovo e tolse la comunicazione, mentre Jarvis mandava le immagini sul monitor virtuale. Vide comparire Victoria: aveva le braccia legate dietro la schiena e seguiva Christopher. L’altro uomo, quello che doveva essere Colin, camminava dietro di lei.
Improvvisamente e senza alcun motivo, Colin la spinse con violenza, tanto che la donna vacillò e quasi cadde. La vide rivoltarsi contro di lui e sibilargli qualcosa. Colin le rise in faccia e la colpì con un potente schiaffo. La pelle dello zigomo si lacerò e Tony vide una brillante goccia di sangue sprizzare dalla ferita.
Un velo rosso calò davanti ai suoi occhi e osservò bene la faccia di Colin, per imprimersela nella mente, giurando a se stesso che l’avrebbe ucciso per aver osato alzare le mani su Victoria. Roberts aprì una porta e si scansò, mentre Colin spingeva avanti Victoria. Poi entrò anche Christopher e la porta si chiuse dietro di loro.
«Li ho persi, signore. La stanza in cui sono entrati è schermata e il satellite non riesce a penetrare».
«Va bene» prese atto Tony. «Ho aspettato anche troppo. Adesso vado a riprendermela».
Abbassò la maschera sul volto e volò via. Raggiungere Los Angeles a velocità supersonica fu affare di pochi istanti e Tony atterrò nel giardino che aveva devastato solo pochi giorni prima. Stavolta non si preoccupò di attivare la modalità silenziosa: voleva che sapessero che stava arrivando a riprendersi ciò che gli apparteneva.
Roberts doveva aver avvisato le sue guardie perché non appena Tony atterrò aprirono il fuoco. Ma avevano armi convenzionali che lasciarono solo qualche ammaccatura sulla sua armatura di oro titanio. L’unico risultato che ottennero fu quello di farlo infuriare ancora di più.
C’era un solo pensiero nella sua testa: ritrovare Victoria. Solo quello contava e non aveva tempo di andare tanto per il sottile. Perciò rispose al fuoco. Uno degli uomini fu colpito e rimase a terra. Jarvis registrò che il colpo non era mortale.
Si avvicinò alle grandi vetrate e le abbatté con un’esplosione di energia dai repulsori. Scavalcò i resti e, calpestando i vetri infranti, entrò nella struttura. Intorno a lui, gli allarmi cominciarono a suonare.
Jarvis gli proiettò le immagini nel casco, indicandogli il percorso per raggiungere la stanza in cui Victoria era tenuta prigioniera. Tony raggiunse in fretta il corridoio che poco prima Victoria aveva percorso e si fermò davanti alla massiccia porta chiusa.
Tony alzò il braccio e usò di nuovo i repulsori. Ma non fu sufficiente: sulla porta di acciaio si formò una profonda ammaccatura, ma i cardini resistettero. L’uomo sbirciò l’indicatore dell’energia residua che, dopo il recupero di Violet, era al settantacinque percento.
«Energia al reattore toracico, Jarvis» ordinò. Jarvis spense i repulsori sui guanti e ogni altro dispositivo.
Una potente scarica di energia venne prodotta dal piccolo reattore e colpì in pieno la porta che si accartocciò. L’indicatore dell’energia scese decisamente.
«Energia al quaranta percento, signore» segnalò Jarvis.
«Lo vedo» prese atto Tony.
Afferrò i resti della porta e la strappò via. L’interno era completamente buio e Tony avanzò con cautela. All’improvviso un potente riflettore si accese e gli puntò contro, accecandolo, tanto che lui alzò d’istinto il braccio per proteggersi gli occhi.
«Resta fermo dove sei, Tony» disse qualcuno nel buio, e lui riconobbe la voce di Christopher.
Jarvis regolò in fretta la luminosità all’interno del casco e Tony abbassò il braccio.
«Lei dov’è?» domandò.
«Non è lontana. Ma fa attenzione perché la sua sopravvivenza dipende da quanto farai tu nei prossimi minuti».
«La prima cosa che ho intenzione di fare è strapparti il cuore dal petto, come tu hai fatto con me» replicò Tony.
Roberts ridacchiò.
«Senti un po’» disse Tony ad un certo punto «che ne dici di scendere e farti vedere?»
«Mio caro Tony! Possibile che tu non mi conosca ancora? Sai quanto amo le entrate ad effetto» rispose.
Un secondo riflettore si accese e Tony la vide. Era a una decina di metri da lui, incatenata ad una struttura di acciaio. Indossava una canottiera e un paio di pantaloncini bianchi. Sembrava sana e salva, a parte la ferita al volto che comunque aveva già smesso di sanguinare.
Lei alzò la testa e sussultò. «Tony» sussurrò e cercò di muoversi, ma le catene la trattenevano. Tony notò solo in quel momento la flebo che pendeva sulla sua testa e i sottili tubi di gomma che scendevano e si infilavano nel suo braccio destro.
«Che le stai facendo, bastardo?» gridò Tony e si slanciò verso di lei.
«Resta immobile, Tony». Quattro puntini rossi comparvero sul corpo di Victoria: uno su un lato della testa, l’altro sul petto e altri due sul ventre. «O questa storia finirà prima di quanto pensiamo». Tony si bloccò. Sapeva che erano laser di puntamento, segnali di armi che erano puntate contro Victoria. Jarvis individuò altri tre laser dietro di lei.
«Che cosa le stai facendo?» ripeté Tony, stringendo i pugni.
«Togli l’armatura e te lo dirò».
Togliere l’armatura avrebbe messo in pericolo se stesso ma soprattutto lei. Se le cose fossero precipitate, l’unico che poteva aiutarla era Ironman: Tony Stark avrebbe potuto fare ben poco.
«Non farlo». Anche Victoria doveva aver avuto la sua stessa intuizione. «Mi ucciderà comunque» mormorò, così piano che lui la sentì solo grazie al sofisticato sistema audio di Jarvis. Si sarebbe accasciata se le catene non l’avessero trattenuta. Qualsiasi cosa le stessero somministrando, doveva essere quella la causa del suo malessere.
«Apri, Jay» ordinò e uscì dall’armatura, sentendosi subito vulnerabile.
«Qualche passo di lato, se non ti dispiace».
Tony obbedì.
«Bene, ora va meglio» approvò Roberts e finalmente si decise a farsi vedere, entrando nel cerchio di luce.
«Ti prego, lasciala andare» supplicò Tony. «Lei non c’entra».
«Lei c’entra eccome, caro Tony. Poi ti spiegherò perché. Ma ora dobbiamo parlare di affari». Christopher prese a camminare avanti e indietro, tra lui e Victoria, sicché per seguirlo con lo sguardo continuava a vederla sullo sfondo.
«Tu hai qualcosa che mi interessa, Anthony».
«Ti darò tutto quello che vuoi, Christopher. Ma lascia andare Victoria, per l’amor di Dio».
«Devi essere meno ansioso, Tony. Ti farai venire un’ulcera». Christopher lo teneva in pugno e si godeva il momento. Poi si fece mortalmente serio. «Voglio che rinunci al contratto con il Pentagono. La fornitura degli armamenti agli Stati Uniti d’America dovrà passare in esclusiva alla Ascam»
Victoria ebbe uno spasimo e alzò lo sguardo verso di lui.
«Accetto».
Tony era disperato. Roberts era completamente pazzo, su questo non c’erano dubbi. Ovviamente Tony poteva accettare qualsiasi cosa gli dicesse: sapeva che Jarvis stava registrando tutto e nessuno avrebbe mai potuto convalidare qualcosa che era stato ottenuto con tale coercizione. Ma doveva assolutamente trovare un modo per arrivare a Victoria prima che fosse troppo tardi.
«Voglio che tu chiuda le tue fabbriche, Tony. Non solo quelle di armamenti, ma anche quelle del settore energia rinnovabile e ogni altra sezione che porti il tuo nome» proseguì.
«Accetto» disse di nuovo e Roberts fermò la sua passeggiata e sorrise.
«Non mi accontenterò dei tuoi “accetto”. Dovrai firmare dei documenti in presenza di testimoni che convalideranno le tue decisioni».
«Te lo ripeto: farò qualsiasi cosa mi chiederai. Dammi subito questi documenti da firmare, così poi potrò portare via Victoria».
«Già!» replicò l’altro, girandosi verso di lei. «Victoria».
Tornò a guardare Tony. «Vedi quei puntini rossi, Tony? Ci sono sette fucili puntati su di lei, tutti caricati con proiettili ad espansione. Da quella distanza, la taglieranno in due. Se solo provi a toccarmi, o ad avvicinarti a lei, o a disattivare uno di quei fucili, lei morirà».
«E quella flebo?» domandò. «Cos’è? Cosa le stai facendo?»
«Se provi uno solo dei tuoi giochetti» continuò Roberts come se non lo avesse neanche sentito, «quei sette fucili spareranno, e sarà sayonara alla cara Victoria».
«D’accordo. Fammi firmare quello che devo firmare e disattiva questa cosa».
Roberts sogghignò e fece un passo indietro. «Temo che non sia così semplice, Tony».
Tony non ci aveva mai creduto fino in fondo, ma quell’affermazione fu comunque una mazzata. Christopher fece un altro passo indietro e Tony lo seguì, non fosse altro per cercare di avvicinarsi alla sua armatura.
«Sai, l’obiettivo di questa cosa è sempre stato quello di darti una lezione, Tony. Adesso capirai che nonostante tu abbia tutto, non puoi salvarla. Tutto il tuo genio non ti servirà a nulla e dovrai restare qui a guardarla morire».
Victoria gemette e improvvisamente inarcò la schiena. Le catene si tesero, trattenendola contro la struttura a cui era legata.
«Oh, è cominciata» disse Christopher, sbirciando l’orologio. «Dopo soli trentadue minuti. Pensavo avrebbe resistito di più». Poi alzò lo sguardo verso Tony. «È stricnina, Tony. Gliel’abbiamo iniettata poco prima che tu sfondassi la porta per entrare qui».
Tony sapeva che quel veleno agiva come un potente eccitante del sistema nervoso centrale, causando il blocco di particolari terminazioni nervose cosicché ogni stimolo genera convulsioni. La morte sopravveniva per blocco respiratorio e, se Victoria era già preda degli spasmi, era piuttosto avanti nella crisi.
Quando lo spasmo cessò, la donna ricadde inerte. Tony si accorse che il respiro era affannoso: già stava faticando per espandere il torace e costringere i polmoni a riempirsi di ossigeno.
«Signore» lo avvertì Jarvis nell’auricolare «il colonnello Rhodes è in arrivo con la Mark II. Ha un piano, signore».
«Sei completamente fuori di testa, Christopher» disse Tony, facendo un altro mezzo passo verso la sua armatura, mentre Roberts scoppiava in una risata sguaiata.
«Credimi, mi dispiace per lei. Avrebbe potuto sopravvivere, se solo avesse scelto me». Roberts ricominciò con i suoi vaneggiamenti, ma Tony lo ascoltava a metà. Era più attento a Rhodey che gli stava esponendo il suo piano nell’auricolare e a cercare di recuperare la sua armatura. Da quella dipendeva tutto.
Era un rischio tremendo, ma Victoria non aveva comunque scampo. Le lanciò un’occhiata e in quel momento i muscoli si contrassero di nuovo. La donna gridò mentre le catene le affondavano nella carne, e continuò a urlare finché il parossismo cessò.
«Ti prego» disse Tony. «Lascia che vada da lei. Lasciala vivere».
Roberts scosse la testa. «Mi dispiace, Anthony. Ora anche tu capirai cosa vuol dire…» ma non terminò la frase.
Rhodes entrò nella sala a velocità supersonica e lo colpì al petto come un ariete. Tony non rimase a guardare: si infilò nell’armatura che si chiuse immediatamente. Jarvis diede subito potenza e Tony volò da Victoria come un fulmine.
Liberatosi di Christopher, Rhodes converse dall’altro lato. Il tutto si svolse in frazioni di secondo e i due fecero appena in tempo a formare un cerchio difensivo attorno a Victoria prima che le armi cominciassero a sparare.
Victoria sollevò il capo. Ogni respiro le costava un grosso sforzo, mentre la paralisi le bloccava progressivamente i muscoli.
«Tony» biascicò, ma la sua voce era flebile e stentata e gli spari la coprirono quasi del tutto.
«Tranquilla, sono qui. Ci penso io adesso. Andrà tutto bene».
La riempiva di rassicurazioni mentre con delicatezza le toglieva l’ago della flebo dal braccio.
«Tony, vuoi sbrigarti?» chiese Rhodes con sarcasmo. «Avrei un altro impegno nel pomeriggio».
«Anche io, credimi!» replicò Tony. Strappò senza sforzo le catene che la tenevano legata e la sostenne quando gli si accasciò fra le braccia. Si rannicchiò su di lei per proteggerla e spiccò il volo, seguito da Rhodes.
Gli spasmi ormai erano continui. Tony uscì in fretta dalla sede Ascam e volò verso l’ospedale. Non poteva volare troppo alto né troppo forte: Victoria avrebbe fatto ancora più fatica a respirare. Perciò la tenne stretta senza costringerla troppo e, per la prima volta da quando erano morti i suoi genitori, pregò.
Pregò di arrivare in tempo in ospedale. Pregò che la stricnina che le avevano iniettato non fosse una dose letale. Pregò di avere un’altra possibilità con lei, giurando a se stesso che non l’avrebbe mai più lasciata sola. Pregò perché lei sopravvivesse perché l’amava, più di ogni altra cosa al mondo, e non era giusto che gli venisse portata via in quel modo. Pregò…
«Tony» lo chiamò.
«Non parlare, amore» rispose. «Conserva il fiato».
Ma sentiva che era allo stremo. I suoi respiri erano rantoli brevi e superficiali.
«La saturazione è scesa a ottantanove, signore» lo informò Jarvis e lui accelerò un po’. Rischiava di non arrivare in tempo.
Finalmente scorse le luci dell’ospedale. Fortunatamente Jarvis li aveva avvertiti del loro arrivo spiegando che Victoria era stata avvelenata con la stricnina e un capannello di medici li stava aspettando. Tony depose la donna sulla barella con delicatezza e la affidò alle mani dei dottori. Poi tolse l’armatura e li seguì all’interno.
A Victoria fu subito dato ossigeno e Tony fu costretto ad attendere. Su una cosa Roberts aveva ragione: tutto il suo genio non gli serviva a nulla in quel frangente. Non poteva fare altro che attendere e pregare. E lo fece, seduto su una dura panca della sala d’attesa, insieme ad un corollario di umanità affranta e preoccupata.
  
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