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Autore: Tersicore    12/11/2004    2 recensioni
Sabrina è una semplice ragazza che parte per una vacanza sbagliando aereo. E’ così che si trova ad essere testimone di un omicidio, con la conseguenza che tutto il suo semplice mondo verrà stravolto. In compagnia di un poliziotto Apache si troverà ad affrontare situazioni che non avrebbe mai immaginato e a dare atto ad una rocambolesca fuga per sfuggire a chi vuole eliminare uno scomodo testimone.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 27

 

Lebosky preoccupato accorse al richiamo disperato della ragazza. Chino era disteso a terra e sulla sua camicia nell’incavo tra la spalla ed il braccio una macchia vermiglia si allargava a vista d’occhio. Si chinò per sentire le pulsazioni; Chino era pallido ed incosciente, ma fortunatamente vivo. Afferrata la sua giacca l’appallottolò e la premette sulla ferita per cercare di rallentare la fuoriuscita di sangue. Sabrina spaventatissima piangeva a dirotto continuando a mormorare di continuo “Non puoi morire, ti prego non adesso, non morire, non morire, non morire………….”

Lebosky ordinò ad un agente di chiamare immediatamente un’ambulanza, poi scrollando la ragazza per cercare di tranquillizzarla disse “Sabrina, è vivo, calmati. Tra poco l’ambulanza sarà qui e lui avrà bisogno di vederti serena quando riprenderà coscienza. Non vorrai mica farlo preoccupare di più vero?”.

L’italiana ci mise un attimo, ma poi afferrò finalmente le parole dell’uomo più anziano. Chino era vivo, questo per il momento bastava. Con un cenno affermativo del capo si asciugò finalmente il viso ritornando in sé. In quel preciso istante si udì in lontananza la sirena. Lebosky affidandole il ferito si alzò e si adoperò per allontanare la folla in modo che il mezzo di soccorso arrivasse agilmente da loro.

L’indiano, fortunatamente, era l’unico rimasto leso nell’incontro a fuoco. Gli scagnozzi di Levin avevano mirato solo nella loro direzione, altrimenti quello scontro avrebbe potuto trasformarsi in una carneficina.

Quando gli infermieri arrivarono al loro cospetto li allontanarono subito entrambi e cominciarono ad armeggiare con il respiratore e varie flebo. Caricarono un Chino, quasi irriconoscibile, sulla barella dell’ambulanza e a sirene spiegate si diressero d’urgenza verso l’ospedale. Sabrina era rimasta imbambolata ad osservare le manovre dei soccorritori e quando aveva cercato di salire con loro sull’automezzo l’accesso le era stato negato. Ora era lì, ferma su quel gradino a guardare il punto dove prima era parcheggiata l’ambulanza, le mani stese lungo i fianchi, macchiate del sangue del suo salvatore.

Era tutto finito, ma a che prezzo?

Lebosky le appoggiò una mano sulla spalla “Vieni! Andiamo all’ospedale”

Come in trance la ragazza annuì. Non piangeva più, non aveva più lacrime. In quel momento una morsa le stringeva il cuore. Si sentiva in colpa. Se non fosse stato per lei Chino in quel momento sarebbe stato ancora nella sua amata riserva alla prese con la corte serrata di Luna D’Estate.

I momenti successivi furono per lei come sospesi fra sogno e realtà. Quando arrivarono all’ospedale un’infermiera disse che Chino in quel momento era sotto i ferri e che l’unica cosa che potevano fare era aspettare. Lebosky le portò un caffè e faticosamente riuscì a convincerla a darsi una ripulita mentre lui avvisava i famigliari dell’amico.

Il resto del tempo fu fatto solo di attesa e di angoscia.

L’operazione durò quattro ore. Quattro ore in cui scorsero davanti agli occhi della ragazza, tutte le immagini di quel meraviglioso ragazzo a cui teneva più di quanto volesse ammettere.

All’improvviso un uomo anziano in camice verde fece la sua comparsa davanti a loro “Voi siete qui per il poliziotto indiano?” chiese rivolgendosi più a Lebosky che a lei.

“Si, come sta dottore?” chiese preoccupato il tenente di polizia, mentre un’ammutolita Sabrina seguiva la conversazione preparandosi al peggio.

“Abbiamo rimosso il proiettile ed il ragazzo ha perso molto sangue, ma sempre che non sorga qualche complicazione è andato tutto bene. E’ stato fortunato se il proiettile lo avesse colpito un centimetro più a sinistra ora le mie notizie non sarebbero così buone”

Lebosky, che all’apparenza era stato calmo fino a quel momento, crollò a sedere esausto “Grazie dottore, il giorno in cui avrà bisogno di qualcosa mi farò in quattro per lei!”

Sabrina, fino a quel momento, completamente muta ed impietrita, senza accorgersi che le lacrime avevano ripreso a scorrere copiosamente chiese “Quando possiamo vederlo?”.

“Per adesso non è il caso, il paziente deve rimanere sotto osservazione. Se non sorgeranno problemi penso che in serata vi permetterò una breve visita” rispose il dottore con tono dolce, avendo percepito lo stato agitato della ragazza, poi aggiunse prima di allontanarsi “ora andate a casa, avete bisogno entrambi di riposo ed in queste condizioni non potrete essere di certo utili al vostro amico”.

I due rimasero lì seduti, esausti e svuotati, finchè Lebosky disse “Ha ragione il medico, andiamo, abbiamo bisogno entrambi di riposo e di una bella doccia”.

L’italiana annui e silenziosa lo seguì.

Si diressero verso l’Albergo dove Lebosky risiedeva da quando era arrivato a Los Angeles.

Presa un’altra camera per la ragazza i due si separarono ognuno soffocato dai propri pensieri.

Sabrina, come le era stato detto, fece una lunga doccia calda, e poi si stese sul letto cercando di dormire, ma riposare per lei in quel momento era impossibile.

Si rivide con Lebosky alla sette di sera per un veloce spuntino, che non riuscì ad ingoiare, poi si diressero nuovamente all’ospedale.

Arrivati, un’infermiera indicò ai due, la stanza del paziente raccomandando loro di non stancarlo e di trattenersi per poco.

Chino, disteso su quel lettino che sembrava minuscolo per la sua stazza, aveva gli occhi chiusi ed il suo colore normalmente bronzeo risaltava per contrasto tra lenzuola bianche. Un tubicino collegato ad una flebo spuntava dal suo braccio destro e nel silenzio innaturale di quel posto spiccava il bip bip del suo cuore filtrato dal macchinario a cui era collegato.

Mentre Lebosky si avvicinava, Sabrina rimase pietrificata sulla porta ad osservarlo. Quello non era il suo indiano. Lupo Grigio era sempre stato il più forte fra i due, era stato la sua colonna nei momenti di disperazione, era stato quello che l’aveva fatta ridere, quello che l’aveva fatta arrabbiare, non era giusto tutto quello che era successo. Avrebbe preferito mille volte essere al suo posto in quel momento.

L’indiano come se avesse percepito la loro presenza aprì improvvisamente gli occhi e li fissò nei suoi.

Continuando a guardarla disse con voce roca e bassa “Ciao”.

Lebosky sorridendo rispose “Ciao ragazzo. Vedi di non farmi più di questi scherzi, ci hai fatto preoccupare da morire”

“Mi spiace, d’ora in poi lascerò a te l’onore di prenderti qualche pallottola vagante” scherzò Chino faticosamente, poi ritornando a fissare l’italiana, che era ancora impietrita sulla porta, aggiunse “Sabrina vieni qui”.

Sabrina si avvicinò lentamente fino ad arrivargli di fianco. Il ragazzo non aveva ancora staccato gli occhi dai suoi e non appena lei arrivò alla sua portata allungò il braccio libero per afferrarla e trascinarla accanto a se, poi continuando a fissarla intensamente disse “Non ci provare neanche a sentirti in colpa! Hai capito!”

L’italiana si riscosse improvvisamente dalla sua innaturale immobilità. Grosse lacrime ricominciarono a scorrerle sul viso permettendole appena di sussurrare “Ho avuto paura”.

Lupo Grigio la trascino giù facendola sedere sulla sponda del letto, poi oramai esausto le asciugò il viso dicendole “Io starò bene. Non è la prima volta che provano a farmi fuori, ma ricordati che sono un Apache, ho la pelle dura”.

Con quest’ultima frase riuscì finalmente a strappare un sorriso all’italiana subito prima dell’arrivo del dottore che cacciò entrambi i visitatori dicendo che il paziente doveva riposare e che sarebbero potuti tornare l’indomani.

Chino dovette rimanere in ospedale per quindici giorni per la gioia di metà delle infermiere che si erano invaghite di lui e per la dannazione dell’altra metà, che immuni al suo fascino, lo vedevano per quel che realmente era: “un paziente insopportabile”.

Levin smascherato dai suoi stessi scagnozzi e complici era stato arrestato e non c’era più possibilità per lui di uscirne pulito. Secondo Lebosky, però, anche se il suo dominio assoluto era finito, il suo impero non si sarebbe in ogni caso dissolto nel nulla. Alcune teste sarebbero cadute, ma naturalmente le alte sfere se la sarebbero cavata ugualmente.

Dopo due giorni dal ferimento di Chino la stanza dell’ospedale fu invasa dai suoi parenti. Orso Furbo, le sue zie ed i suoi cugini si erano precipitati non appena ricevuta la notizia da Lebosky, causando se possibile ancora più caos. Scene di felicità assoluta si erano alternate a scene di isteria pura, fino a quando la capo infermiera inviperita, un bufalo travestito da donna secondo suo nonno, li aveva buttati letteralmente fuori.

Ritornata la calma Chino aveva sorriso a Sabrina, che era rimasta con lui, dicendo “Mi sembra di essere tornato a casa”.

Terminata la degenza Chino e Sabrina ritornarono nella riserva per la felicità di Cagliostro che secondo il nonno aveva sofferto tantissimo la loro mancanza.

Passarono una settimana tranquilla anche se su ordine categorico di Orso Furbo si dovettero trasferire a casa sua. Il vecchio sosteneva che il nipote in quel momento aveva bisogno di qualche comodità in più.

Fu una settimana di chiarimenti e spiegazioni. Le due zie di Lupo Grigio anche se un po’ imbronciate accettarono le scuse dei due ragazzi e si lasciarono alquanto intenerire dalle loro condizioni un po’ sbattute. Jerom tra tutti era il più infuriato. Dopo l’avventura al campeggio con Luna d’Estate, quella, non si sa come, aveva cambiato obiettivo. Ora era Falco Nero il bersaglio delle sue attenzioni.

Il settimo giorno dal rientro arrivò improvvisamente Lebosky.

“Ciao vecchio, qual buon vento ti porta?” chiese Chino sorridendo non appena lo vide.

“Il consolato Italiano mi ha fatto avere i documenti regolari per Sabrina” disse consegnando una busta alla ragazza “ora se vuoi puoi finalmente rientrare in Italia”.

Sabrina rimase per un attimo silenziosa con gli occhi bassi a guardare la busta gialla che l’uomo le aveva consegnato. Nella stanza era calato un silenzio innaturale. Alzò gli occhi di sfuggita per scoccare un’occhiata a Chino, ma vide che il suo sguardo era rivolto altrove.

Ingoiando il nodo che le si era improvvisamente stretto in gola sorrise e rispose “Bene, allora è finalmente tutto finito. Posso rientrare a casa. Se mi scusate vado a prenotare un biglietto aereo, laggiù mi avranno dato per dispersa”.

Si avviò verso il telefono posto nell’altra stanza, ma non appena girò le spalle ai presenti, il sorriso scomparve dalle sue labbra.

Lebosky tornò ad osservare Chino rimasto silenzioso fino a quel momento poi scuotendo la testa disse “che ne dici di un bel caffè?”

“Si vieni” rispose l’altro “ne abbiamo bisogno entrambi” aggiunse mormorando.

A cena quella sera Orso Furbo si dimostrò alquanto nervoso. “Allora quando avresti l’aereo?” chiese scocciato alla ragazza.

“Domani pomeriggio alle cinque” rispose Sabrina non alzando gli occhi dal piatto.

“Perché diavolo devi andartene così di corsa? Che male c’è se rimani un altro po’ con noi?”.

“Nonno piantala. Sabrina deve rientrare in Italia. Le persone che le vogliono bene saranno preoccupate” rispose Chino sbattendo il bicchiere sul tavolo.

“Può parlargli per telefono e prendersi un altro po’ di tempo… “ propose il vecchio indispettito.

Sabrina che si stava portando una forchettata di insalata alla bocca appoggiò la posata guardando disgustata il boccone nel piatto, poi alzandosi disse “Scusatemi ma mi è passata la fame. Vado a dormire” poi si eclissò verso la sua stanza.

“Ecco hai visto cosa hai fatto? Potevi anche dirle qualcosa” rimbrottò Orso Furbo.

Di scatto Chino spostò indietro la sedia e, senza rispondere, uscì dalla casa con furia.

“Testoni, sono entrambi due gran testoni” sussurro il vecchio scuotendo la testa.

Il giorno dopo il tempo era grigio e tetro. Una leggera pioggia cadeva fin dalle prime ore del mattino rendendo il paesaggio malinconico e triste.

Non appena furono pronti per partire Sabrina dovette con una morsa al cuore fare tutti i saluti di rito. L’intera riserva si era presentata al suo cospetto. Addirittura Luna D’estate anche se rimasta in disparte la salutò.

All’aeroporto l’accompagnarono sia Lupo Grigio che Orso Furbo. Arrivati e fatto il check-in fu il momento dei saluti. Il vecchio con il muso talmente lungo che toccava terra, aveva continuato ad insistere sulla sua permanenza, ma nessuno dei due giovani aveva mai risposto alle sue richieste. Sabrina pregò fino all’ultimo di sentire uscire le parole del nonno dalla bocca del nipote ma Chino all’ennesima insistenza, si limitò a rimproverare Orso Furbo dicendo “Adesso basta lascia perdere nonno. E’ meglio che Sabrina rientri nel suo paese.”

Così lei fece. Al momento dell’imbarco, abbracciato affettuosamente il vecchio, passò a salutare il compagno della sua avventura. Titubante all’inizio, infine si lascio andare ad un abbraccio stretto e sofferto. In tutto quel tempo passato insieme, questa era forse la prima volta che entrambi esprimevano con un gesto quello che provavano, poi con un filo di voce e con molto rimpianto Sabrina sussurrò all’orecchio di Lupo Grigio “Grazie”. Un ultimo sorriso, un cenno, poi il distacco. Sabrina se ne andò.

I due Apache rimasero a guardare le spalle della ragazza finche sparì ai loro occhi..

Orso Furbo arrabbiato sbottò “Sei uno stupido perché diavolo l’hai lasciata andare!”

Chino rispose sottovoce prima di voltarsi ed avviarsi verso il parcheggio lasciando il vecchio li a ribollire “Perché è così che deve essere. Perché questo non è il suo posto”.

  
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