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Autore: holls    08/12/2013    4 recensioni
Provare a riparare ai propri errori non è facile, e spesso il fallimento è dietro l'angolo. Ma Alan non perde le speranze e lascia, alla madre di Nathan, un regalo per il suo ex ragazzo, sperando che così arrivi a destinazione.
Ma, si sa, non sempre le cose vanno nel verso sperato.
... O sì?
[Missing Moment della mia long Naughty Blu, da posizionarsi prima del capitolo "Silence and Motion". Leggibile da chiunque, maggiormente godibile da chi conosce già la storia.]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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Ho bisogno di te, ma tu non ci sei
Missing Moment di Naughty Blu
 
 
Sentì qualcuno bussare. Elisabeth abbandonò i fornelli per un momento e si diresse verso la porta. La schiuse leggermente e intravide, sulla soglia, un bell’uomo sulla trentina, moro, con un filo di barba e in mano un sacchettino dal contenuto per lei ignoto.
« Chi è? »
« Signora, sono Alan, un amico di Nathan. »
La donna aprì la porta del tutto, stringendosi nella sua vestaglia. Fuori faceva davvero freddo, benché non avesse ancora nevicato. Invitò il suo ospite a entrare, nella speranza di far entrare meno gelo possibile.
« Se cerchi Nathan, non è qui. »
Sul volto di Alan si formò un sorriso impercettibile.
« Sì, lo so. Ma sono già diverse volte che passo da lui e… »
Si interruppe per una frazione di secondo, che servì al suo cervello per riformulare la frase prima che fosse troppo tardi. La donna parve non accorgersene.
« … e non l’ho mai trovato in casa, così ho pensato di passare da qui. »
Alan posò il suo sguardo sul sacchettino, che poi porse alla donna.
« È un problema se lo lascio a lei? Non è che potrebbe darlo a Nathan, quando lo vede? È un regalo per lui. »
La donna prese in carico l’oggetto con un grande sorriso, e annuì.
« Ma certo, caro. Glielo farò avere, appena torna a trovarmi. Posso offrirti qualcosa? »
« No, sono di fretta. Grazie comunque. »
La donna gli sorrise ancora, come avrebbe sorriso a qualsiasi amabile amico di suo figlio, e gli accarezzò la spalla in segno materno.
« Non ti trattengo oltre, allora. Arrivederci! E copriti bene! »
L’uomo la salutò di rimando, assecondandola nelle sue raccomandazioni. Lei lo guardò allontanarsi e oltrepassare il cancellino dell’abitazione, dopodiché tornò alle sue faccende.
 
Nathan si presentò a casa di sua madre molte altre volte, ma non rimaneva mai abbastanza tempo perché la donna si ricordasse del sacchettino.
Solo quando furono passate ormai tre settimane, con il calendario che segnava già il quattordici di dicembre, la donna ebbe un guizzo, e corse immediatamente in cucina a cercare quel sacchettino esternamente anonimo, approfittando della presenza del figlio.
Nathan, intanto, era in salotto con Jimmy a preparare l’albero di Natale insieme a lui. Era un po’ inusuale che avessero deciso di farlo così tardi, ma, da quanto sua madre era peggiorata, non aveva mai pensato che non avesse nemmeno più la testa per regalare al figlio più piccolo un giorno di gioia e affetto familiare. Così, quando era entrato in casa e l’aveva vista così spoglia, non ci aveva pensato un minuto di più a tirar fuori l’albero e i bauli zeppi di palline e decorazioni.
Estrassero l’albero e Jimmy provò ad aiutare sistemando la base, lasciando che poi fosse il suo fratellone a montarlo per intero. Quando quell’albero sguarnito fu in piedi davanti a loro, i due ragazzi si precipitarono sui bauli, aprendoli per vedere cos’era rimasto.
Perciò, dopo un’attenta e accurata selezione, se ne stavano lì, Nathan sullo scaleo per mettere la punta a quell’albero troppo alto e Jimmy che lo guardava estasiato con una pallina in mano per la troppa ammirazione, mentre lo stereo diffondeva voci di bambini che intonavano un’allegra Jingle Bells. Nathan sorrideva spesso al fratellino e gli chiedeva consigli sulla sistemazione delle palline, che il bambino non osava mettere senza l’approvazione del suo eroe.
Dopo che ebbero sistemato tutte le palline, i fili d’oro e le lucine colorate – che Jimmy volle vedere più e più volte illuminate -, dalla stanza accanto si sentì un urlo trionfante.
« Trovato! »
Elisabeth uscì dalla cucina, con in mano il sacchettino che tanto cercava. Si infilò tra i due fratelli, ritti in piedi ad ammirare il loro piccolo capolavoro, e porse il regalo al più grande dei due.
« Tieni, è per te. Te l’ha portato un amico! »
Nathan allungò la mano verso il sacchetto, titubante.
« Per me? Un amico? »
« Sì! Aspetta, com’è che si chiamava? »
La donna aggrottò la fronte cercando di ricordare, inutilmente.
« Purtroppo non lo ricordo! Ma era proprio un bel ragazzo, morettino, alto, sulla trentina. »
Nathan afferrò il sacchettino con una certa riluttanza.
« Magari aveva anche uno strano accento british. »
« Oh, sì! Proprio così! »
Nathan non disse niente e lasciò che la madre si lasciasse coinvolgere da Jimmy e dal suo entusiasmo. Intanto, un po’ di sottecchi, aprì il sacchetto e guardò dentro: c’era un oggetto incartato, dalla forma quadrata e rialzata sulla parte superiore. Dovette ammettere a se stesso che era curioso di sapere cosa c’era dentro, ma il sapere chi aveva lasciato lì quel regalo gli faceva salire il sangue al cervello, e tutta la curiosità passò in un baleno.
Alan era davvero passato di lì per lasciargli quel regalo. Il perché, davvero, non lo sapeva. Dopo quel pomeriggio di ottobre, in cui era stato cacciato via malamente, non si erano più sentiti. Alan aveva provato a chiamarlo, qualche volta, ma lui aveva sempre rifiutato ogni chiamata o lasciato squillare a vuoto, finché non era subentrata la segreteria. Aveva spesso preferito la seconda opzione, perché il rifiuto di una chiamata è un gesto volontario, è un entrare comunque in contatto, mentre lui, con Alan, non voleva averci più niente a che fare.
Era un po’ di tempo, però, che l’altro non si faceva più sentire, né vedere sotto casa sua.
Avrebbe forse dovuto ammettere che provava un senso di vuoto, al pensiero che ad Alan non importasse più niente di lui?
Nathan scacciò immediatamente quel pensiero.
Non riusciva davvero a tollerare che a una parte di lui, che evidentemente sfuggiva al suo controllo, potesse mancare colui che gli aveva inflitto la ferita più profonda. Provò immediatamente un senso di disagio e rigetto al solo pensiero di come lo aveva buttato fuori di casa, senza nemmeno preoccuparsi della sua salute o di come avesse potuto sentirsi.
Il pensiero che Alan avesse ignorato le sue suppliche e le sue ammissioni lo infuocò improvvisamente, cospargendo il suo corpo di una rabbia pronta a esplodere da un momento all’altro. Lo aveva lasciato nella sua sofferenza, senza la minima esitazione, nonostante avesse confessato che tutta quella situazione non l’aveva minimamente voluta.
Con passo svelto e deciso, sotto gli occhi increduli di sua madre e suo fratello, si diresse verso la cucina e raggiunse il cestino. Guardò un’ultima volta il sacchettino, sprezzante. Avrebbe voluto lanciarlo contro un muro, ma non voleva attirare troppo l’attenzione.
Così, con un piede premette il pedale per far aprire il contenitore; e, con un tonfo sordo, lasciò cadere il sacchetto là dentro.
 
Era la vigilia di Natale. Aveva scelto di passare le festività a casa di sua madre, per non lasciare soli lei e Jimmy. Suo padre, come ogni anno, aveva avuto un improvviso impegno di lavoro al quale non poteva proprio rinunciare – testuali parole – e così non poteva essere presente.
Dopo aver pranzato tutti insieme, fu il momento di scartare i regali sotto l’albero. Jimmy si posizionò subito lì accanto, gongolando con occhi sognanti, in attesa di ricevere i suoi regali. Nathan ed Elisabeth lo raggiunsero subito, lasciando che il bambino fosse il primo a scartare vorace i suoi pacchetti. Non appena i suoi occhi intravidero la macchinina che tanto voleva, le labbra Jimmy si aprirono un sorriso che avrebbe riempito anche tutto il volto, se avesse potuto. Si lanciò al collo del suo fratellone, stringendolo forte con le sue braccine esili e riempiendolo di baci affettuosi. Lo stesso trattamento fu riservato a Elisabeth, quando Jimmy scartò il pupazzetto che raffigurava il protagonista della sua serie animata preferita, che andò ad aggiungersi alla sua collezione di guerrieri interplanetari.
Fu poi il turno della donna, a cui Nathan e Jimmy avevano regalato un bicchiere riccamente decorato, simile a quello che era andato in mille pezzi pochi giorni prima.
Con un filo di malinconia, Nathan pensò che anche quello, prima o poi, si sarebbe rotto, ma ricacciò quell’idea non appena giunse; non voleva rovinare quel bellissimo giorno con pensieri cupi.
Arrivò poi il suo turno. Era ben conscio che non avrebbe avuto regali convenzionali, ma non gli importava più di tanto. Il sorriso di sua madre e Jimmy, per lui, valevano più di qualunque oggetto acquistabile nei negozi.
Jimmy, però, aveva deciso comunque di fargli un disegno, che riportava la scritta “Al fratellone migliore del mondo”, dove Nathan era rappresentato vestito da supereroe, con una tuta, un mantello e una mascherina sul viso, mentre teneva per mano quello che doveva essere il suo fratellino, che sorrideva felice.
Nathan lo ringraziò con molto entusiasmo, perché, in cuor suo, era davvero contento di quel piccolo pensiero.
Volse il suo sguardo verso l’albero, e qualcosa attirò la sua attenzione: un piccolo e anonimo sacchettino. Assottigliò gli occhi per guardarlo meglio e ne ebbe la conferma: era proprio quello che pensava.
« Mamma, che ci fa quel sacchettino laggiù? »
Sua madre sembrò svegliarsi improvvisamente, afferrò il sacchetto e glielo porse.
« Oh, sì, giusto! L’ho ritrovato nel cestino! Non ho idea di come ci sia finito. »
Nathan la guardò spazientito.
« Mamma, se ce l’ho buttato, un motivo ci sarà! »
« Ma perché hai fatto una cosa simile? Era tanto caro, quel ragazzo…! »
« Smettila, davvero. Buttalo via. »
Elizabeth gli strappò il sacchettino di mano, estraendone il contenuto. Il regalo era incartato con una certa cura: lo si vedeva dagli angoli piegati a modo e dal fiocco arricciato con eleganza, l’esatto contrario di ciò che lui stesso riusciva a fare.
« Non sei curioso di sapere cosa c’è dentro? »
La donna portò il pacchetto all’orecchio e cominciò a scuoterlo.
« C’è qualcosa che fa rumore. Però non saprei dire cosa sia. »
Jimmy si avvicinò a sua madre, cercando di prenderle il regalo.
« Anche io, anche io! Dai, mamma! »
Il bambino imitò il gesto della madre, senza trarne alcun risultato, ma solo, probabilmente, per il piacere di copiare.
Nathan sbuffò, infastidito da quella rinnovata curiosità verso quel pacchetto misterioso.
« Va bene, va bene, lo apro! Jimmy, da’ qua. »
Il bambino non se lo fece ripetere due volte e porse subito il regalo al fratello.
Doveva ammettere che non sapeva cosa aspettarsi da quel regalo. Alan aveva sempre avuto idee brillanti, capaci di lasciarti a bocca aperta ogni volta. Magari erano regali che non ti saresti mai aspettato, ma nel quale si scorgeva l’amore e la dedizione che avevano portato a quella precisa scelta.
Era questo, forse, che inquietava Nathan più di ogni altra cosa. Era certo che non fosse la prima cosa presa a una bancarella, ma un regalo che, in qualche modo, gli avrebbe ricordato lui. O loro.
Sotto gli sguardi ansiosi ed eccitati degli altri due, Nathan cominciò a staccare lo scotch, avendo cura di rompere la carta il meno possibile. Una volta che ebbe sollevato i due alettoni laterali, Jimmy si avvicinò per sbirciare il contenuto, ma Nathan alzò le braccia, portando il regalo fuori dalla portata del bambino.
« Prima guardo io. In fondo è mio il regalo, no? »
Il bambino sbuffò e mise il broncio, ma la sua espressione fu sostituita subito da quella incuriosita che aveva avuto fino a poco prima.
Nathan staccò anche lo scotch che teneva chiuso il regalo da sotto. E come la carta si aprì, in parte, numerose caramelle si riversarono sul pavimento, che Jimmy si affrettò a raccogliere.
« Che bello! Ti ha regalato delle caramelle! »
Nathan ridacchiò e scosse il capo.
« No, è il suo solito trucchetto per camuffare la forma dei pacchi. Vediamo cosa c’è. »
Sfilò via la carta con un unico gesto deciso.
Gli fu sufficiente un’occhiata per capire tutto: cosa fosse il regalo, il suo contenuto e la scelta dietro quel gesto.
Awkward Nights, lesse, e questo gli bastò.
Un paio di mesi prima erano entrati in un negozio di dischi, e l’attenzione di Nathan era da subito stata catturata da un enorme cartellone pubblicitario in cartone, che sponsorizzava il nuovo disco di una band a lui sconosciuta, intitolato, per l’appunto, Awkward Nights. Ciò che lo aveva impressionato non erano stati né il titolo, né la band, ma l’eccentrico coniglietto rosa tenuto in mano da uno dei cantanti, il cui gruppo camminava, con fare da gangster, sulle strade di una città quasi completamente buia. Il coniglietto era totalmente fuori luogo, ma forse fu proprio quel piccolo dettaglio che lo fece stare lì un secondo in più, quel poco che bastò ad Alan per raggiungerlo. L’altro si mise a fissare il cartellone assieme a lui, poi sorrise.
Le iniziali del titolo, infatti, erano esattamente le stesse dei loro nomi e Alan lo aveva notato subito, strappando un sorriso pure a lui.
Scosse il capo e ritornò alla realtà.
Era così meravigliato, doveva ammetterlo, dal fatto che Alan si fosse ricordato di quell’episodio così insignificante, eppure trovò che fosse il dono perfetto per ricordargli quello che erano stati, fino a poco più di due mesi prima. Era venuto a portargli quel regalo nonostante tutto, anche se, ormai, non stavano più insieme. Un regalo che aveva un senso solo per loro due, come coppia, come una cosa sola. Che significato aveva, quel dono?
Improvvisamente, si pentì un po’ di averlo gettato nel cestino, senza esitazione, così come di non aver mai risposto a nessuna telefonata. E anche di non averlo mai fatto salire, nemmeno per un confronto.
La nostalgia lo assalì tutto insieme e si sentì pervadere da un tremendo senso di vuoto. Alan non era più al suo fianco, e solo in quel momento parve realizzarlo. Tutto era stato così improvviso, così brutale; non avevano nemmeno avuto il tempo di dirsi addio, di darsi l’ultimo abbraccio o l’ultimo bacio.
Però, forse, poteva fare qualcosa. Qualcosa per rimediare al bisogno che aveva avuto, fino a quel momento, di stare solo e di escluderlo con forza dalla sua vita.
Imbracciò il cd e corse a prendere la sua borsa, nella quale il regalo entrò perfettamente; si infilò il cappotto e, nel frattempo, le scarpe, finendo di tirare su la cerniera prima ancora di aver annodato i lacci.
Quando fu pronto, salutò con un ‘ciao’ sussurrato sull’uscio, lasciando mamma e fratellino a bocca aperta.
Voleva correre. Correre verso di lui, ringraziarlo per quel regalo, perché ancora, nonostante tutto, Alan a lui ci teneva ancora. Perché, sebbene ci fossero state delle incomprensioni, lui lo portava ancora nel suo cuore.
E sì, pensò, gli avrebbe raccontato tutto. Ogni cosa. Della doppia vita che aveva portato avanti fino a quel momento, della minaccia, di quanto era accaduto quel pomeriggio d’ottobre.
E quanto lo amava. Perché sì, lo amava ancora, e solo in quel momento parve capirlo davvero.
Non si sarebbe nascosto più.
Avrebbero ricominciato.
E così continuò a correre, verso il sole, con il sorriso sulle labbra.
 
 
Quelle notti difficili,
che non passano mai
Ho bisogno di te,
ma tu non ci sei
 
 
   
 
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