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Autore: Momoko The Butterfly    10/12/2013    1 recensioni
Londra, 18XX. In una grigia giornata come tante altre, qualcosa di inaspettato sta per accadere; qualcosa che metterà a dura prova entrambe le fazioni coinvolte nella Guerra Santa. In seguito a una terribile tragedia, la piccola Gwen si risveglia come Noah. Ma qualcosa va storto...
Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Conte del Millennio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Into the Madness



Capitolo 4
Il fantasma che fui un tempo

 
La pioggia scrosciante aveva formato grossi rivoli d'acqua lungo le strade ciottolate, trasformandole in lunghi fiumi grigi e tumultuosi. Sordi tintinnii di vetro s'abbattevano al suolo con grazia e potenza per una discordante armonia di suoni.
Si strinse maggiormente nello scialle lercio e consumato che aveva salvato qualche giorno prima dai topi, del tutto intenzionati a non farne rimanere neanche il ricordo. Rabbrividì appena, tremando sotto quel debole abbraccio caldo di lana, quando una folata di vento gelido più prorompente delle altre le sferzò il viso e il collo scoperto, scompigliandole i capelli molto più simili a fili di paglia rinsecchiti e congelati. La mano destra, ben stretta, recava il bottino di quel giorno: un tozzo di pane duro come un sasso, bagnato dall'improvvisa pioggia ed ultima risorsa per non morire di fame.
Gwen sentì le proprie labbra secche fremere, e lo stomaco gorgogliare rumorosamente. Guardava la pagnotta rafferma con occhi languidi, resistendo coraggiosamente al desiderio di addentarla. Non poteva divorarla subito, no. Poi... Chissà quando ne avrebbe riavuta una tra le mani?

Doveva razionarla. Doveva bastarle, per sopravvivere.

Un gemito soffocato; i muscoli delle braccia bloccati, onde evitare errori irreparabili. Per un attimo, ebbe l'impulso di gettar via il proprio cibo là, in mezzo alla pioggia. Per lasciarlo marcire, cosicché non potesse averne neanche una briciola. Invece... Lo strinse ancora di più, pregando, raggomitolandosi, reprimendo le lacrime; di nuovo.
Era la quattrocentocinquesima volta che ci pensava. Che pensava alla morte. E di queste, centoventicinque riguardavano il lasciarsi morire di fame. Oh, una cosa così... Semplice, a dirsi. Non ci sarebbe voluto nulla. Bastava solo... Rimanere fermi, lasciare che il tempo le scorresse addosso; come capitava per qualsiasi altro essere umano.

Ma per lei il tempo si era fermato, imprigionato in una trappola di cristallo immobile tinta delle sfumature dell'oro e della cenere miste al rosso del sangue e al blu delle lacrime di disperazione versate ogni giorno, aspettando. Aspettando che la lancetta della sua vita si muovesse, liberandola da quella condizione di prigionia invisibile agli occhi ma che minuto dopo minuto le corrodeva l'anima dall'interno, distruggendola senza pietà. E così... Non le restava che dannarsi. Vivere a metà, senza mai poter andare oltre. Soffrire, temere di morire... Ma non morire. Trascinarsi quel tanto che bastava perché la sua codardia le concedesse di non varcare ancora quella soglia, oltre la quale l'attendevano pace e serenità. Vaghe illusioni, futili promesse di una vita migliore: solo fumo negli occhi, bugie. La vera punizione per un'assassina come lei; sarebbe stata condannata ad attendere un'eternità che non sarebbe mai sopraggiunta.
E per quante volte avesse avuto il dubbio che quel sangue non l'avesse versato lei, nuovamente quelle visioni di morte la perseguitavano, ribadendo una realtà nascosta dall'ombra, della quale solo lei era a conoscenza, pur non ricordandosene.

Un refolo gelido si intrufolò sotto lo scialle, passando tra le caviglie sottili e sporche. In un attimo, il pane venne gettato d'impeto in strada, uscendo dall'ombra del vicoletto nel quale si era riparata per sfuggire alla pioggia. Lo guardò rotolare via con un briciolo di pentimento nello sguardo dorato acceso d'ira. Dopodiché, le mani andarono a cingere saldamente i piedi freddi e nudi. Non sarebbe andata a recuperarlo. Mai!
Non l'avrebbe diviso; non l'avrebbe nemmeno sfiorato. Doveva liberarsi del desiderio di vivere perché se così non fosse stato, ne era certa, quello sarebbe tornato a tormentarla ancora, e ancora, e ancora...
Sapeva che l'essere segnata dal quel punto di vista non le avrebbe mai permesso di abbandonare il mondo, ma nonostante tutto la volontà di farlo ce l'aveva ancora. Forse, era l'unica cosa veramente umana che le era rimasta.

Uno scalpiccio leggero prese a invadere l'aria, discostandosi dal ritmo continuo e ripetitivo con cui le gocce di pioggia cadevano sui ciottoli grigi. Sempre più veloce, sempre più numeroso, s'accompagnò ben presto a una figura alta e scura, coperta da un pesante mantello che ne rendeva inesistente il volto, perso in un mare d'ombre. Avanzava altera e incurante d'ogni altra cosa per la strada deserta, ascoltando con pazienza lo sciame di tintinnii trasparenti che, cadendo ora sul ciottolato, ora su un tetto o una grondaia, producevano una diversa sinfonia.
Gwen fissò a lungo quel profilo irriconoscibile con timore, badando bene a non farsi vedere. Non voleva che la picchiassero ancora. Ma ecco che, d'improvviso, un luccichio attraversò le tenebre del mantello e, uscito finalmente allo scoperto, brillò tenuemente.

Era una croce. Una croce dorata, proprio come i suoi occhi. La analizzò in ogni dettaglio prima che fosse nuovamente ghermita dalle pieghe del mantello, come ipnotizzata. Subito dopo avvertì la testa girare, mentre il suo sguardo fermo vacillava. Si ricompose nell'istante in cui una nuova ondata di passi, decisamente più veloci dei precedenti, divenne talmente forte da destare la sua attenzione. Alzò gli occhi, e la vide. Una mano guantata di bianco tesa verso di lei con... La sua pagnotta umidiccia.
A porgergliela, un sorriso caldo e occhi d'argento.
E senza che potesse fare nulla per impedirselo, l'afferrò timidamente.

- Gr...


- DISCEMOLO!! Vedi di sbrigarti!

Un fruscio veloce, e il ragazzo dagli occhi brillanti si allontanò senza preavviso. Ma lei.. Non aveva nemmeno avuto l'opportunità di dirgli grazie.
..



 

Lo spostamento d'aria che seguì il colpo fu quasi impercepibile, nella sua impetuosa rapidità. Gwen sentì il proprio volto andare in frantumi sotto il pugno di un Allen confuso, provato dalle numerose ferite ma pronto a cogliere al volo qualunque occasione si fosse prensentata per passare in vantaggio in quella battaglia improvvisa. Aprofittando di un momento in cui la Noah pareva essersi distratta, persa in pensieri a lui imperscrutabili, riuscì ad scaraventarla con forza a terra e a farla rotolare tra l'erba e i cespugli qualche metro più lontana da lui. Scorse la sua esile figura piegarsi, perdere ogni appiglio con il terreno e incassare il diretto con la stessa forza e tenacia di un filo d'erba. Senza opporre alcuna resistenza, Gwen finì con lo sbattere violentemente la schiena contro il tronco di un albero. Il respiro parve mancarle all'improvviso, spezzato dal dolore fulminante che le attraversò come una scossa la spina dorsale. Tutte le ossa del suo corpo emisero uno scricchiolio inquietante, mentre i muscoli indolenziti si bloccarono, come a voler impedirle di muoversi; di farsi ancora del male.
Invece si rialzò, tremolante. Sembrava dovesse crollare da un momento all'altro, tanto era incerta. Una parte di lei pregava di fermare quell'assurda follia, quel crescente e deteriorante desiderio di fare proprio il mondo, distruggendolo; l'altra, semplicemente, non pensava. E perché avrebbe dovuto?
Non era forse quello che nel profondo voleva?
Era una così bella sensazione, la libertà. Sentiva il suo odio scorrere impetuoso in ogni anfratto del suo essere, incontrastabile. Un fiume nero come pece in cui adorava annegare, perché chiudendo gli occhi non avrebbe più sentito nulla. Né dolore, né tristezza. Solo... Benessere. Un benessere malsano, sbagliato, dato da ricordi e sentimenti che in quel baratro di paura e solitudine della sua mente si perdevano, diventando un cibo, un nutrimento per le ombre del suo cuore afflitto dai peccati. Una sinfonia di piaceri inspiegabili, frutto di quelle emozioni a lungo segregate dentro il suo fragile corpo che ora le esplodevano nel petto come fuochi d'artificio monocromatici e si mischiavano, vittime dell'impeto, alla disperazione e al rancore di più di quindici anni di silente attesa.
Fu naturale, per lei, mettersi a ridere. Ormai, l'unico briciolo di coscienza che avrebbe potuto riportarla indietro, farla ragionare, era svanito, avendo divorato sé stesso come preda inconsapevole di quella aberrante pazzia. Consumandosi, come l'ossigeno a contatto con la fiamma di una candela.

Quando Allen la raggiunse, rabbrividì.
Con sconcerto notò la pelle della Noah scurirsi sempre più, come se stesse degenerando. Sapeva che non poteva presagire nulla di buono, ed ebbe conferma di ciò nell'istante in cui la candida chioma della sua avversaria iniziò a tingersi d'un nero opaco e mostruoso, il quale lentamente prese a divorare i fili di platino che le avvolgevano il viso, consolatori.
La Follia stava progredendo, soppiantando la sua ospite; cancellandone ogni particolare caratteristico perché di Gwen Grey non ne rimanesse la benché minima traccia.
Doveva agire, in fretta, oppure sarebbe stato troppo tardi persino per mettersi in salvo. Lo sapeva, avendolo già vissuto in prima persona col cuore che, sebbene battesse impazzito nel petto per la paura, trovava ancora il coraggio di combattere, ed era perfettamente a conoscenza della forza di quei falsi apostoli marchiati da un Dio diverso e sconosciuto che, una volta risvegliati, diventavano mostri troppo forti persino per lui.
L'aria attorno al quindicesimo apostolo di Noè iniziò a fremere, come deviata in mille invisibili percorsi da una forza magnetica inspiegabile. A tratti respinta, a tratti assorbita quasi come una spugna, si muoveva veloce e, come le corde di una chitarra, in costante tensione. Piegandosi sotto l'influsso del potere della Follia, l'atmosfera parve distorcersi, sfiorare la sua pelle scura e poi allontanarsi, come richiamata da una voce sinistra e sconosciuta a circondarne la figura; una barriera. I verdi fili d'erba collocati all'interno presero a rinsecchire; si piegarono marcendo in un grigio spento e morto. I fiori impallidirono, perdendo ogni colore. Si ridussero a stecchi scuri e fragili come un respiro, irriconoscibili.
Poi, ci fu lo scatto. Gwen si lanciò ad una velocità inconcepibile contro Allen, ghignando sinistra come se il dolore provato fino a qualche attimo prima non fosse stato nulla se non una mera illusione. La generosa concessione dell'apparenza di possedere un vantaggio; una finta. Una burla, sapientemente studiata. Invece, semplicemente la donna aveva dimenticato cosa fosse il dolore e nulla avrebbe potuto farglielo ricordare.
L'albino ebbe una frazione si secondo per accorgersi del colpo. Si gettò da un lato, mosso dall'istinto, senza pensare a nulla. D'altronde, fronteggiare attacchi sferrati alla velocità della luce imponevano un ragionamento che lui, in quel misero tempo che si vedeva concedere, non era in grado di fare. Riuscì unicamente a schivare per miracolo il pugno dell'altra che, per contro, si scagliò contro un albero, scavando un solco e varie crepe sulla sua superficie ruvida e rugosa.
Fu a quel punto che l'Esorcista comprese quanto l'agire per impeto fosse stato importante; quanto potente e devastante fosse l'abilità della Noah, ormai assuefatta dalle sue stesse emozioni. La corteccia dell'anziano gigante iniziò a scricchiolare pericolosamente, come se qualcosa ne stesse spezzando il tronco in due. Era agghiacciante. In soli pochi secondi la chioma si spogliò di tutte le foglie. Una pioggia di petali verdi accesi che, lentamente, si tinse delle tetre tonalità della morte. A terra arrivò solo polvere. Il fusto si rinsecchì al punto da ridursi a un cumulo di sabbia. Il prato attorno morì.
Tutto questo con un unico pugno.
Allen sentì il sangue nelle vene raggelarsi. Se non l'avesse evitata...
Con un groppo alla gola, aprofittò della situazione per cogliere impreparata Gwen e attaccare. Le dita della sua mano sinistra, deformata dall'Innocence fino ad assumere l'aspetto di lunghi artigli scuri e affilati come lame, brillarono di una luce calda e potente. Coroncine luminose si formarono su ogni singola falange, come marchiate a fuoco. Saettando poi fino alla punta, diventarono raggi di energia calda e devastante che come un'onda si scagliò sulla Noah. Questa si voltò pigramente in loro direzione, osservandoli apatica. Non fece nulla per evitarli, o semplicemente era certa che non avrebbero potuto nuocerle più di tanto. Venne investita in pieno, sentendo la pelle grigio scuro bruciare sotto le frustate di quelle corde luminose e ampie. Un ghigno sofferto si stampò sulle labbra, frutto di un orgoglio che non le apparteneva. Cadde a terra, ansimando, mentre altro sangue caldo sgorgava dalle nuove ferite. Si tirò a sedere, esitando a sfiorare la bruciatura che si era formata sulla spalla sinistra. Sembrava averne paura. Temeva che se l'illusione fosse crollata, avrebbe sentito ancora una volta il dolore. E non voleva che succedesse. Non ora che... Finalmente poteva assaporare la libertà, avvertirne il gusto dolce e selvatico fino ad esserne pregna, in ogni angolo del suo corpo.

Si liberò nell'aria un'altra risata, roca e inquietante.
Allen sbiancò. Qualunque cosa fosse quell'essere, di certo non apparteneva alla razza umana..
.



 
 



Alle orecchie vigili di Linalee non arrivò alcun suono della battaglia che si era appena scatenata, se non lo stormire allarmato degli uccelli che si levavano in volo tra gli alberi e il fruscio placido delle foglie. Lei e Albin erano alla ricerca della fonte d'acqua in fondo alla quale, secondo le supposizioni del Finder, si sarebbe dovuta trovare l'Innocence. Dopo mezz'ora circa di camminata, la cinesina avvertì il gorgoglio silente di un rivolo poco distante da loro. Avanzando sicura tra la selva, scostando con prontezza i rami sporgenti, raggiunse il fiumiciattolo e osservò perplessa la sua trasparenza scorrere lungo un canaletto di terra naturale poco profondo. Scendeva dalla montagna, ovviamente, ma era troppo piccolo per poter arrivare a valle senza prosciugarsi. Doveva per forza appartenere a un percorso più grande, più imponente. si chinò, esplorando con le dita delicate il prato di erba verde alla ricerca di qualcosa che avesse potuto illuminarli sulla sua direzione.
Niente rametti o foglie. Afferrò il cappuccio di una ghianda e lo posò con cura sulla superficie fluida di quella coda d'acqua effimera e insignificante, ma più chiara di uno specchio. La barchetta così formata, una volta acquistata l'autonomia, si lasciò trasportare dalla corrente in una direzione, sempre più velocemente.
Linalee si alzò, seguendo con lo sguardo la sua piccola freccia. Albin s'incamminò, senza aggiungere altro.

- Siamo vicini - asserì infine, notando come la portata dell'acqua aumentasse a vista d'occhio.

L'Esorcista lasciò che un piccolo sorriso speranzoso le colorasse le guance.

- Già - rispose, seguendo il compagno alla ricerca del cristallo divino.

Fu in quell'istante che d'istinto volse lo sguardo dietro di sé, senza un motivo apparente. Una strana energia, un'ondata di vento più forte delle altre, aveva fatto aumentare i battiti del suo cuore. Era la sensazione che stesse accadendo qualcosa, a pochi passi da lei, a turbarla. La viva e traballante preoccupazione che tra quegli alberi tanto tranquilli vi fosse qualcosa di sinistro. Si portò le mani congiunte al petto, per placare il suo piccolo cuoricino impazzito. Dentro di lei, un'unico pensiero: "Stai calma, Linalee". Un monito, un'incantesimo il cui fine ultimo era allontanare la negatività che, dal momento in cui Allen li aveva abbandonati, era arrivata a possedere il suo animo in maniera quasi ossessiva.
"Starà bene" e "Non c'è da preoccuparsi" erano sì parole piene di fiducia, ma non del tutto sincere. Persino l'incrollabile fede della cinesina con rammarico si vedeva vacillare in un baratro d'ombre e incertezze. Presagi di morte e solitudine spesso ricollegati alle tremende visioni che usavano tormentarla la notte, sotto forma di incubi orrendi.
Dopotutto, era del suo piccolo, fragile mondo che si parlava. Una sfera di cristallo che in ogni momento rischiava di creparsi, andare in frantumi. Una pioggia di cristalli affilati e taglienti che rischiava di finirle addosso e ferirla. E per nessunissima ragiona avrebbe permesso che una simile atrocità accadesse, né per opera di Akuma né di Noah.

Come formulò quel coraggioso pensiero, la sua attenzione venne catturata da un improvviso movimento tra le fronde, accompagnato da un placido frusciare. Assottigliò lo sguardo per osservarlo meglio e distinguerlo dal confuso insieme di foglie che lo ricopriva. Riconobbe un battito d'ali. Poi, quasi per istinto, la forma di un cuore e, successivamente, un'ala di farfalla.

Ogni cosa divenne all'improvviso estranea. Arrestò ogni movimento, mentre osservava intimorita e cauta la Tease che ora le svolazzava davanti, incurante d'essere stata scoperta, anzi, quasi desiderosa di mostrarsi. Danzando davanti a lei, compì due rapidi cerchi nell'aria e le si fermò proprio di fronte. Solo in seguito iniziò ad allontanarsi, come se implicitamente avesse chiesto di essere seguita.
Linalee la guardò divenire un puntino nero tra il verde. Si voltò quel tanto che bastava per scorgere la figura di Albin, in cammino alla ricerca della fonte. Sembrava non si fosse minimamente accorto di averla lasciata indietro.
Non ci pensò che un secondo.
Senza emettere un suono, si mise all'inseguimento del golem cannibale sperando che il Finder non si ponesse troppo presto il problema di venirla a cercare. Teneva troppo a lui perché lasciasse che la seguisse in un posto che certamente non sarebbe stato sicuro. Conosceva i Finder, e potevano risultare assai caparbi a volte nella loro ferma convinzione di doverli accompagnare ovunque, come ombre fedeli e pronte a donare la vita per proteggerli. Ma lei non voleva vittime, non in quella missione. Se Albin si fosse preoccupato di recuperare l'Innocence, lei avrebbe facilmente ritrovato Allen. Non ne aveva la certezza, ma... Quella farfalla sicuramente la stava portando da lui.

- Va bene - enunciò, sicura e determinata - Andiamo da Allen
..



 
 


Fu come se, dall'oscurità più buia, finalmente avesse aperto gli occhi. La luce del sole poté così trafiggere con saggia forza l'impenetrabile barriera di nuvole e amarezza che attorniavano la sua anima ormai corrosa da fredde dita di veleno, procurandole un dolore tremendo ma insieme dolce e necessario, perché di quelle tenebre che la divoravano non ne rimanesse neanche la più piccola traccia. Perché la luce estirpasse il male, l'ombra celata dentro di lei. Si portò le mani sanguinanti alla testa. Il suo grido straziato riempì l'aria, simile a un fulmine che lacerava il terreno con il suo bagliore accecante.

Grida.
Sentiva delle grida nella sua testa. Strilli acuti e devastanti, tempeste di emozioni e sensazioni di ricordi passati. Ma.. Non erano suoi.
Appartenevano a qualcun'altro.
Fu quando una voce, chiara e pulita eppure incrinata dalla paura, la chiamò, che finalmente quella brodaglia di immagini e suoni scomposti acquistò un senso.


"GWEEEEN!"

Uno sparo nel buio
.
Un tonfo.
Poi, la rabbia.

Montò dentro di lei come un fuoco, una fiamma che ad ogni secondo cresceva d'intensità, fino a dilaniare qualsiasi cosa la circondasse con zanne di odio e disperazione. Una bestia inconsapevole, nata da una bambina troppo piccola per comprendere e ragionare su ciò che le si era abbattuto addosso: una scure nera e affilata, calata da un fato ingiusto e meschino, proprio da quel Dio che l'aveva abbandonata perché marchiata come diversa da quelle cicatrici sanguinanti.

Arrancò incerta, sostenendosi la testa dolorante, afflitta da miliardi di suppliche e urla di dolore inspopportabili, eppure, in un certo senso... Salvifiche. Perché quel disperato richiamo, seppur lacerante, aveva infranto la bolla d'aria compressa e distorta che circondava il suo corpo quasi come un'armatura deteriorante, il cui scopo più profondo era solo quello di consumare fino all'osso l'anima di Gwen, e non proteggerla. Minuscole crepe si formarono sulla sua superficie inconsistente, tremolando; pezzi di atmosfera invisibili si staccarono aprendo delle falle sempre più grandi. Caddero estinguendosi nel nulla come le ultime spire del fumo di un camino.
Allen Walker, rimasto ad osservare esterrefatto la scena, si riprese di colpo dallo shock causatogli dall'attacco della Noah e ne aprofittò per sferrare un colpo rapido e potente, con cui aveva la certezza di centrarla senza mancare il bersaglio.

- Crown Edge!

Dalle falangi della mano sinistra partirono una serie di raggi luminosi e incandescenti che, come corde di luce e fuoco, s'infransero sulla Noah distruggendo ogni cosa. Una violenta esplosione fece tremare gli alberi, sollevando un imponente muro di fumo spesso e opaco. Gwen finì sbalzata via come un proiettile, viaggiando un bel po' di metri prima di fermarsi, ridotta a un cencio sanguinante e ormai in piedi solo grazie a un filo di emozioni sottile come una ragnatela; eppure, ancora forte e duraturo. Fu rialzandosi che s'accorse di quanto fosse vero e lancinante quel dolore. La gamba destra presentava una orribile ustione. La pelle ribolliva come cera sciolta, ancora fumante per il contatto con l'Innocence. Gridò isterica piegandosi su se stessa e soffocando ostinatamente le lacrime.
Lentamente, l'apatia e l'insensibilità che l'avevano precedentemente carpita, ora stavano svanendo e le sensazioni di quel corpo martoriato tornavano come pugnalate al cuore per distruggerla.
Ma non ebbe il tempo di abituarsi a quel male, che subito un secondo Crown Edge la scaraventò ancora più in là, spedendola con la faccia a terra sull'erba. Immersa nel fumo inconsistente le apparve la figura dell'Esorcista sopra di lei, e finalmente si rese conto di come quella situazione fosse assurda, senza senso. Come aveva potuto pensare di fargli del male?!

- As...

Allen si fermò, Crown Clown sollevata e pronta a infliggere il colpo di grazia.

- Asp... e... tta... - un rantolo poco più che accennato. Gwen tentò di sollevare il capo, gli occhi invasi dalle lacrime cadute infine per il troppo dolore patito. Eppure... Non aveva un'espressione sofferente. In un modo che all'albino parve inconcepibile, gli sorrise debolmente.

- Aspetta.... - pronunciò ancora, questa volta con più convinzione. Il senso di intorpidimento era svanito. L'istinto omicida era stato represso, grazie a Cari. Era stata lei a chiamarla. Quel turbine di pensieri stridente apparteneva a lei. E quel grido, che si elevava sopra tutti gli altri, era il suo disperato richiamo alla ragione. Avrebbe tanto voluto ringraziarla... E non avrebbe fatto ancora del male a quel ragazzo. Non dopo il gesto di gentilezza che anni prima gli aveva concesso, a prescindere dalla sua condizione.

- Io...


Click.

Un meccanismo sopito tra gli alberi prese a funzionare, avvertendo una presenza dannosa. Un leggero ticchettio pregnò l'aria, dapprima lento, poi sempre più veloce: un conto alla rovescia.
Allen si guardò attorno, temendo di essere stato soggiogato da qualche falso comportamento della Noah. Fu a quel punto che qualcosa, fulmineo ed impercettibile, lo sollevò con inaspettata forza per poi trascinarlo via. In pochi secondi, l'albino si ritrovò a una distanza inconcepibile da Gwen. Ebbe solo un secondo, solo uno per accorsersi che la figura che l'aveva ghermito con sicurezza era Linalee, che un boato improvviso infranse l'aria talmente forte da rimbombargli nel cuore. Poi, le fiamme. Alte, imponenti, subito estinte in un mostro di fumo nero e famelico, che si impossessò della foresta divorando gli alberi all'interno di una pancia nera e inconsistente.
Allen spalancò gli occhi, orripilato. Quella ragazza... Era rimasta là. Era finita in mezzo all'esplosione. Lo sbalzo generato dallo spostamento d'aria aumentò la velocità della cinesina, che sorrise calorosa al compagno, prima di arrestarsi con una brusca frenata sull'erba. Subito dopo averlo lasciato, lo sorprese in un abbraccio soffocante, per poi staccarsi d'improvviso e ammonirlo per la sua sconsideratezza. Il ragazzo si lasciò rimproverare assente, mentre osservava come ipnotizzato la colonna di fumo scuro che si ergeva in cielo, e le fiamme che si erano attaccate ai rami degli alberi, erodendoli. Mosse qualche passo in direzione del luogo dell'esplosione, ma Linalee si parò di fronte a lui con viso preoccupato.

- Dove stai andando?! - gli chiese con voce tremolante - Laggiù è pericoloso!

Ma Allen non ne volle sapere. Sfoggiando un'espressione assolutamente inscalfibile nella sua serietà, si discostò dalla cinesina.

- Devo tornare a controllare. C'era anche un'altra persona con me, è rimasta coinvolta nell'esplosione!

Linalee si bloccò, tremando appena. Ma solo per un secondo, perché successivamente affiancò il compagno e annuendo, affermò:

- Allora vengo con te.

E i due si lanciarono nella coltre di tenebra, proteggendosi grazie all'impenetrabile mantello di Allen, il quale funse da copertura per evitare che morissero asfissiati. Tuttavia, era impossibile vedere qualcosa in quell'insieme di fluide serpi nero pece nate dalla foschia, che sembravano volerli mordere a morte. Non tentennarono, avanzando coperti. Ed eccolo.
Un movimento di alcune foglie, debole, appena percepibile. I due Esorcisti si avvicinarono, scostando i cespugli dalla loro visuale con repentinità. E sbiancarono come cadaveri all'istante, perdendo qualsiasi parola avrebbero voluto pronunciare.
Gwen era inguardabile. Un ammasso di capelli sporchi e sangue; di lacrime e sangue; di carne e sangue. Il filo teso della sua vita era in procinto di spezzarsi, con un colpo netto. Il vestito lacerato e abbrustolito lasciava intravedere abbastanza chiaramente le ustioni presenti sul suo esile corpo, concentrate tutte sul lato sinistro. Era immobile, pareva essere già morta e invece respirava.
Linalee si coprì la bocca con le mani, trattenendo le lacrime al vedere il colore grigio della sua pelle con le stigmate e al tempo stesso il sangue scuro che la ricopriva. Ebbe l'impulso di scappare per lo sconcerto e per il nauseante miscuglio di odori che si intrufolavano nel suo naso per stordirla. Allen la trattenne per un polso, infondendole sicurezza con un piccolo sorriso. Successivamente, si chinò sulla Follia e allungò una mano verso il collo, sentendo i battiti deboli del suo cuore affievolirsi sempre più. Quella ragazza aveva bisogno di aiuto, alla svelta. E non seppe dire perché lo avesse pensato: forse perché dopotutto l'averla vinta così facilmente l'aveva indotto a pensare che ci fosse altro, sotto quella patina di odio e sadismo che l'avvolgeva; e che in fondo al suo cuore vi fosse anche un timido barlume di umanità, scorto appena qualche attimo prima che la bomba esplodesse.
Ma fu ciò che seguì quel pensiero che lo sconvolse ancora di più. Le labbra della Noah si mossero appena, prendendo aria. Un sussurro vi scaturì, incrinato dalle lacrime.

- Mi... Dis... pi... ace...

E l'albino strabuzzò gli occhi. Abbassò lo sguardo, notando che la sua mano destra si era aggrappata alla sua caviglia, come a volergli trasmettere il senso di colpa perché fosse il più comprensibile possibile. Per fargli comprendere come realmente fosse affranta per tutto quello che era successo, e cercasse la redenzione in un suo gesto di perdono.

- Mi... Di.. s...

Carpita dal sonno, chiuse lentamente gli occhi prima di poter terminare la frase. Linalee esitò nel respirare. Allen invece, avvertendo la presa sul suo piede allentarsi di colpo, s'accorse delle lacrime che, senza preavviso, avevano iniziato a bagnargli il volto. Se le asciugò con un movimento veloce e disinteressato, per poi chinarsi e prendere in braccio Gwen, ormai cadura in uno stato di incoscienza dal quale, forse, non si sarebbe mai svegliata. Sempre che ricevesse in tempo le cure necessarie.
I due compagni si allontanarono dalla nube nera alla ricerca di Albin e dell'Innocence. Linalee si offrì di fare da guida a Allen, sbrigandosi a raggiungere il Finder che, preoccupato dall'improvvisa scomparsa della cinesina, aveva iniziato a cercarla.
Lo trovarono a metà strada, venne loro incontro ansimando per la fatica d'aver corso a destra e sinistra alla loro ricerca. Tuttavia, non riuscì a ricongiungersi ai suoi colleghi che la vista della Noah in braccio ad Allen lo portò ad allontanarsi con un movimento rapido, fulmineo.

- Nobile Walker, perché portate quella con voi?! - domandò sudando freddo, bloccato dalla paura - F... Fa parte della... Della famiglia Noah!

E con quelle parole arretrò, incerto. Linalee invece avanzò d'un passo in sua direzione, le mani aperte verso di lui per fargli segno di stare calmo. Con un piccolo sorriso velato di mille emozioni, confuse all'interno della sua mente attraversata da migliaia di domande, rassicurò come meglio poté il Finder sul fatto che Gwen non avrebbe fatto loro nulla. Allen le aveva spiegato grossomodo la situazione: a detta sua, quella donna non aveva mai voluto ucciderlo, né fargli alcun male. Qualcosa l'aveva indotta a comportarsi nell'agghiacciante maniera di prima; qualcosa che non era visibile dal colore della pelle, o dalle cicatrici sulla fronte. Un dolore più radicato nel profondo, la volontà di qualcun'altro ristagnante dentro di lei.
Albin parve comprendere in parte quanto gli venne detto in seguito. La sua totale fiducia negli Esorcisti bastò per fugare ogni dubbio, o almeno la maggior parte. Sebbene loro subordinato, ancora si prendeva l'arroganza di pensare con la propria testa, per la quale avrebbe certamente posto domande scomode o poco piacevoli. Non voleva essere un peso. Desiderava tanto intensamente sostenenere gli apostoli di Dio che evitò di porre qualunque quesito, basandosi unicamente su quanto trapelato dalle loro labbra agitate.
Mentre si dirigevano verso la fonte dentro alla quale avrebbe dovuto esserci l'Innocence, il Finder spiegò che quell'esplosione era stata tutta frutto del suo marchingegno, e abbassò lo sguardo nell'istante in cui i severi occhi di Allen incrociarono i suoi di nocciola. Aveva sbagliato, di nuovo. Ecco perché nessuno aveva mai riposto fede nelle sue azioni e decisioni. Ecco perché nessuno gli permetteva di assistere in solitaria i colleghi di grado superiore. Semplicemente, non ne era in grado.
Era un inetto. Una macchiolina scura, uguale a molte altre. Solo, più fastidiosa.
Congiungendo le mani si avvicinò all'albino.

- Vi prego di perdonarmi!

Così, tutto ad un tratto. Lo disse con un tono tanto acceso e dispiaciuto che Allen non poté che sorridere. Non essendo in grado di dargli una pacca sulla spalla per confortarlo, disse:

- Non hai fatto nulla di male. Non preoccuparti.

E sorrise.
E Albin avvertì le sue angoscie a tal punto placate da mettersi a piangere. Linalee si avvicinò a lui e gli scompigliò amorevolmente i capelli. Un gesto naturale, considerando che Albin non era nulla di più di un ragazzo volenteroso e sincero, molto più giovane di lei.
Ritrovata l'armonia nel gruppo, i tre optarono per il rapido recupero dell'Innocence, per poi aprire il gate e fare ritorno immediato alla Home. Fortunatamente, la fonte tanto agognata si trovava a circa un chilometro di distanza e raggiungerla non fu difficile. Il fiumiciattolo che avevano seguito con tanta dedizione sembrava cadere all'improvviso in quella che pareva una buca. Invece si trattava di una piccola sorgente, sicuramente giovane date le modeste dimensioni. A turno si sporsero per guardare sul fondo, e di fatti intravidero un timido bagliore verdastro rischiarare l'insenatura rocciosa in maniera quasi spettrale.
Adagiata Gwen sull'erba, provarono così ad afferrare il cristallo divino, senza purtroppo riuscirci. Solo la mano sinistra di Allen, lunga e appuntita, fu in grado di afferrarlo e portarlo in superficie. Era un cubetto luminoso e molto piccolo, difficilmente qualcuno avrebbe potuto notarlo da lontano. Lo misero al sicuro nella borsa di Albin e immediatamente fu fatto apparire il gate.

Le vicende accadute in quel luogo sarebbero rimaste un segreto tra loro tre. L'identità di Gwen sarebbe stata nasscosta agli occhi di chi, certamente, ne avrebbe frainteso le intenzioni.
Per ora Allen non poteva far altro che pregare Mana che ogni cosa andasse liscia; e che quella timida e piangente figura molto più simile a un fantasma, o ad un'ombra residua di un passato tenebroso, riaprisse gli occhi al più presto per raccontargli la sua storia.

 
 

 
Angolo di Momoko ¬

 E Momoko riapparve dal nulla in una nuvola di fumo.
Sorpresa, sono tornata xD
Ok, trucidatemi, seppellitemi viva e lapidatemi. Vi ho fatto aspettare tanto, lo so. Ho fatto aspettare anche quelle benevole autrici che ogni volta si prendono il tempo di lasciarmi un commento ma che da parte mia non vedono che ritardi nel recensire le loro piccole opere. E mi rivolgo soprattutto a La Strega di Ilse e a KH4. Mi dispiace di essere sparita per così tanto tempo, spero non ve la siate presa. A mia difesa posso dire che ultimamente la mia scuola è un po' in tumulto, e sono capitata nel mezzo di un'occupazione di merda che mi ha distrutta psicologicamente. Ergo, ho perso la voglia di fare praticamente tutto - la depressione -. Ohi, non so voi, ma non credo che la vagabondaggine sia una scusa sufficiente a occupare una scuola, togliendo il tempo dello studio a chi invece vuole andarci. Poi va be', non mi dilungo perché questo non è il momento né il luogo adatto. Scusatemi.
Ora che il mio tempo libero è aumentato - sigh - passero a recensire per bene çwç Pazientate. Intanto, spero che questo capitoletto vi sia piaciuto^^ Ed ho una chicca per voi: la canzone di Gwen *Applausi concitati*.
Se vi interessa, è Shot In The Dark dei Within Temptation. Penso che rispecchi molto la mia svitata <3 Spero vi piaccia! :)
Ora mi dileguo, ricomparirò la prossima volta con Lady war, e commenterò anche voi volenterose ragazze çAç
A prestoooo,

Momoko <3
   
 
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