Capitolo 6 - Di
Nuovo A Narnia
Rhynce sorrise
accarezzando il capo della figlia. La bambina, avvolta nella coperta,
dormiva serena,
con un mezzo sorriso che piegava le sue labbra. Aveva cercato di
resistere
tutta la notte, ma un paio d’ore prima dell’alba
era crollata. L’uomo, cercando
di non svegliarla, le scostò una ciocca di capelli scuri dal
viso. In quell’istante,
la voce di uno dei compagni di Rhynce lo riscosse. L’uomo
accarezzò ancora una
volta la figlia e poi si alzò raggiungendo l’amico.
“Rhynce,
fra
poco arriveremo in porto.”
L’uomo
annuì e
si voltò a guardare il profilo delle Isole Solitarie, una
sagoma scura contro
il cielo che iniziava ad essere illuminato dal sole. Ogni volta era
un’emozione
grandissima, nonostante quelle isole non fossero più un
luogo tranquillo da
molto molto tempo. Lo sguardo di Rhynce si rabbuiò e
l’uomo distolse lo
sguardo.
“Non
dovremo
avere problemi, meglio però stare attenti.”
L’uomo
accanto
a lui scoppiò a ridere. “Rhynce, non sei tu
l’unico ad aver navigato!”
Rhynce non
rispose e tornò alle sue mansioni. Le ultime miglia fino al
porto furono
percorse senza alcun problema. Erano tutti marinai esperti, sapevano
come
muoversi tra quelle spiagge. Quando attraccarono, mentre i compagni
ammainavano
le vele e cominciavano a scaricare le ceste di pesce, Rhynce
tornò dalla
figlia. Inginocchiatosi accanto a lei, la scosse piano.
“Gael,
svegliati. Siamo arrivati.”
Dopo qualche
istante, la bambina aprì gli occhi sbattendo le palpebre.
Lentamente si tirò su
stropicciandosi gli occhi con una mano e nel farlo
sbadigliò. Il padre sorrise.
“Ti
avevo detto
di andare a dormire.”
Gael scosse la
testa, cercando di non mostrare quanto stanca in realtà
fosse.
“No.
Io volevo
aiutarti, papà… e poi è stato
così bello!”
Rhynce e Gael
sorrisero. Poi la bambina si alzò stringendo la mano
dell’uomo. Fu in quel
momento, che, all’improvviso, la voce di una donna
superò quelle dei marinai
che chiacchieravano mentre scaricavano le ceste.
“Rhynce!
Rhynce!”
L’uomo,
sorpreso e preoccupato, si diresse veloce verso la passerella, seguito
da Gael.
Non appena misero piede sulla banchina, una giovane donna dai capelli
scuri li
raggiunse. Sembrava sconvolta e gli occhi erano leggermente arrossati.
“Rhynce,
grazie
ad Aslan sei arrivato!”
L’uomo
guardò allarmato
la donna, che altri non era che la sorella minore di sua moglie
Helaine, e le
posò una mano sulla spalle nel tentativo di calmarla. Gael
li guardava con gli
occhi sgranati, senza riuscire a capire che cosa stesse succedendo.
“Shalia,
che
cosa sta succedendo?”
“Rhynce…
Helaine!”
L’uomo,
al
sentir pronunciare il nome della moglie, strinse istintivamente con
più forza
la mano attorno al braccio della cognata. I suoi occhi tradivano la sua
preoccupazione.
“Helaine?
Che cosa
è successo? Shalia, che cosa è successo a
Helaine!”
Gael, sentendo
pronunciare il nome della madre, alternò lo sguardo
spaventato dal padre alla
zia.
“Papà,
zia… che
cosa è successo alla mamma?”
La donna,
quasi
in lacrime, si portò una mano al viso voltandosi verso la
cittadina.
“Io…
ero
lontano… stavo per andare da lei…
quando… quando sono arrivati loro…
l’hanno
presa… anche da altre case… l’hanno
portata via, Rhynce!”
Gael si
staccò
dal padre gridando dalla paura. “Mamma!”
Rhynce,
sconvolto, obbligò la cognata a guardarlo. “Chi,
Shalia? Dove l’hanno portata?”
Shalia, orami
in lacrime, indicò le case dietro alle quali si trovava la
piazza centrale e il
molo dove attraccavano sempre i pirati.
“I
pirati!”
Rhynce non
attese altro. Lasciata la presa dal braccio della donna,
iniziò a correre tra
gli altri marinai. Gael cercò di seguirlo, ma Shalia la
riuscì ad afferrare e
abbracciarla per impedire di correre via.
“Papà!”
La voce di
Rhynce provenne dalla folla di marinai che si guardava sorpresa e
preoccupata.
“Gael,
rimani
con tua zia! Hai capito? Rimani con lei!”
Shalia, scossa
dai singhiozzi, abbracciò con più forza la
bambina che cercava in tutti i modi
di divincolarsi.
“Devo
andare
dalla mamma! Zia, lasciami!”
La donna
scosse
la testa, continuando a singhiozzare. “No, Gael! Devi restare
qui, tesoro. Devi
restare qui…”
Ma Gael non
voleva sentire ragioni e alla fine riuscì a sgusciare dalle
braccia della
donna. La bambina iniziò a correre tra i marinai, sorda ai
gridi disperati
della zia che protese le braccia verso di lei.
“Gael,
no!”
Ma la bambina
continuò a correre, incurante delle ceste che colpiva e del
vestito che ogni tanto
si impigliava su qualche amo rimasto tra le reti. Se la sua mamma era
in
pericolo, lei doveva fare qualcosa.
Nel frattempo,
Rhynce aveva attraversato quasi tutta la cittadina e si trovava ormai
vicinissimo alla piazza. E già da lì, si rese
conto che stava succedendo
qualcosa. Grida e pianti si levavano nell’aria e decine di
persone assiepate si
guardavano a vicenda, sconvolte e spaventate. Rhynce si
infilò tra di loro,
facendosi spazio anche a gomiti e spintoni. Ma alla fine
arrivò al margine
della folla, tenuto d’occhio da una schiera di soldati
armati. E quando vide
ciò che stava succedendo, Rhynce sbiancò
disperato.
In mezzo alla
piazza, tenuti d’occhio dai pirati, c’erano una
quindicina di persone legate:
donne e anziani soprattutto. E tra di loro, Rhynce riconobbe la moglie.
Una morsa
gli strinse lo stomaco e istintivamente cercò di andare
verso di lei, ma uno
dei soldati lo spintonò di nuovo tra la folla. Fu in quel
momento che l’uomo
vide a poca distanza dei prigionieri Gumpas, il Governatore delle Isole
Solitarie,
e il capo dei pirati. Il primo si guardava attorno a disagio,
passandosi ogni
tanto la mano sulla fronte sudata, il secondo invece guardava lui e
tutti gli
abitanti con sguardo crudele e superbo. Come se fossero tutti oggetti
di sua
proprietà. Rhynce strinse le mani a pugno. Fu in quel
momento che si riuscì a
sentire il discorso dei due.
“Ma
siamo
sicuri che sia necessario?”
Il pirata si
voltò con un ghigno sarcastico verso il Governatore.
“Preferite
prendere voi il posto di uno dei prigionieri?”
Gumpas, a
quelle parole, arretrò di un passo scuotendo la testa
spaventato.
“No,
no… io
chiedevo soltanto. Fino a oggi…”
Il pirata gli
impedì di finire di parlare. “Fino a oggi
c’erano stati sufficientemente
schiavi scartati da poter essere usati. Questa volta non
c’è ne sono… e così
abbiamo dovuto rimediare altrove i sacrifici.”
Quella parola
risuonò nel silenzio irreale calato sulla piazza.
Espressioni sgomente e
terrorizzate si fecero largo sul volto di tutti. I primi a gridare e a
scoppiare in lacrime furono i prigionieri. Subito dopo, tutta la folla
iniziò a
gridare, cercando di superare i soldati. Ma erano armati e alla fine
furono
costretti a rimanere indietro. A quel punto, il capo dei pirati
sguainò la sua
spada. Tutti tacquero di nuovo, soltanto dei singhiozzi sommessi
rompevano il
silenzio.
“Molto
meglio. Non
vi conviene ribellarvi, è meglio per tutti. Dovreste
ringraziarmi. In questo
modo permetto a tutti di vivere al sicuro dalla nebbia
maledetta.”
Una voce si
alzò tra la folla. “Non puoi portarci via le
nostre mogli e i nostri parenti!”
Il pirata
lanciò uno sguardo gelido verso la folla.
“Silenzio!
Non credo
siate voi a tenere la lama dalla parte del manico! Il prossimo che osa
dire
qualcosa, lo faccio imprigionare!”
Rhynce
deglutì,
quasi pronto a spingersi avanti incurante della minaccia. Ma improvvisa
sbucò
dalla folla una bambina dai lunghi capelli scuri e con indosso un
vestito rosa.
Rhynce sgranò gli occhi vedendola e anche Helaine, tra i
prigionieri, gridò dal
terrore.
“Mamma!”
A pochi metri
dai prigionieri, Gael venne afferrate per i capelli e gettata indietro
sul
selciato. La bambina gridò e Helaine cercò di
raggiungerla, con il solo
risultato di venire fatta risedere di nuovo. Rhynce, a quel punto, si
fece
largo tra i soldati gettandosi a stringere tra le braccia la bambina.
subito,
alzò lo sguardo verso il capo dei pirati che lo guardava
furente.
“Vi
prego,
lasciate andare mia moglie. Prendete me al suo posto!”
A quelle
parole, Helaine gridò. “No, Rhynce! No!”
Il pirata si
avvicinò
lentamente, guardandolo divertito.
“E
così
vorresti prendere il posto di tua moglie?”
Rhynce
annuì
senza esitazione, mentre Gael si stringeva a lui gridandogli di non
farlo. Il
pirata lo fissò per un istante e poi scoppiò a
ridere crudele.
“Ringrazia
che
non spedisca nella nebbia anche tua figlia! Tu sei un pescatore, sei
utile. Vedrai
che riuscirai a sopravvivere!”
Rhynce
sconvolto cercò di rialzarsi. “No!”
Ma il soldato
che gli stava vicino lo ributtò a terra. A quel punto, il
capo dei pirati si
inginocchiò e lo tirò per il bavero della camicia.
“Vedi
di non
farmelo ripetere, altrimenti la nebbia sarà
l’ultimo dei tuoi problemi!”
Subito dopo,
lo
lasciò andare e Rhynce si accasciò a terra senza
forze, stretto a Gael che continuava
a piangere tendendo le braccia
verso la madre. Un istante e i pirati fecero alzare i prigionieri che
iniziarono a gridare e a supplicare di risparmiarli. Ma non servirono
suppliche
o preghiere, né le loro né quelle del resto della
folla.
Spinti dai
soldati, i prigionieri furono condotti fino al molo e costretti a
salire sulle
scialuppe che erano già state preparate. Rhynce, quando la
moglie scomparve tra
la folla, si alzò e cercò, disperato, di farsi
largo tra la folla. Raggiunsero
il molo e li la videro, mentre
veniva spinta su una delle scialuppe. Anche Helaine li vide e si
portò una mano
al volto coperto di lacrime.
“Gael,
rimani
con tua padre! Promettimelo, Gael!”
Poi la donna
fu
costretta a sedersi. Nessuno poté fare altro. Coloro che
erano nelle scialuppe
furono costretti a remare, mentre una delle navi dei pirati li seguiva
lentamente per controllare che non scappassero. Tutti alzarono gli
sguardi e
all’orizzonte, come ogni mattina, videro farsi avanti la
nebbia verde. Tutti zittirono,
rabbrividendo. Le donne piangevano, gli uomini si guardavano impotenti.
Dopo un
attimo di esitazione, Gael e Rhynce si allontanarono dalla folla,
lontano dal
molo, verso il piccolo promontorio di scogli. Arrivarono lì,
quando la nave dei
pirati si fermò e quando le piccole barchette proseguirono
sole verso il loro
destino.
Gael e Rhynce
rimasero immobili sugli scogli per tutto il tempo. L’uomo
teneva stretta tra le
braccia la bambina che guardava in lacrime le piccole scialuppe ormai
lontane,
ai margini della nebbia verde. Poi, fu un attimo: non appena le
barchette
vennero avvolte da essa, la nebbia si dissolse. E, di coloro che
stavano sulle
scialuppe, non ci fu più nessuna traccia. Solo
l’orizzonte scuro e il cielo
azzurro. Gael cercò di divincolarsi, gridando con tutto il
fiato che aveva in
gola.
“Mamma,
mamma!”
Lontano, da
molo, si levavano simili grida disperate. Rhynce, invece, teneva
stretta Gael,
impedendole di correre verso il mare e di tuffarsi per raggiungere la
madre. Non
riusciva a parlare, non riusciva a fare nulla. Ma le sue guance,
scurite e
scavate dal sole e dal vento del mare, furono rigate da lacrime amare.
Non aveva
potuto fare nulla e ora sua moglie era scomparsa. Gael si
voltò stringendosi a
lui e affondando il viso sul suo petto. L’esile corpo della
bambina era scosso
dai singhiozzi. Rhynce continuava a fissare l’orizzonte, dove
la moglie era
scomparsa. Non sapeva come, non sapeva a che costo, ma
l’avrebbe riportata a
casa. Anche a costo di raggiungerla a nuoto. Lo avrebbe fatto, ma ora
non
poteva far altro che soffrire in silenzio, sentendosi, su quegli
scogli, solo
quanto mai prima di allora. Solo, come erano soli gli abitanti delle
Isole Solitarie:
sarebbe mai arrivato qualcuno a porre fine a tutto quello?
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Un altro
giorno
di navigazione in pieno oceano attendeva il Veliero
dell’Alba, ignaro di tutto
quello che stava succedendo sulle Isole Solitarie. Ancora pochi giorni
separavano Caspian e il suo equipaggio dall’arcipelago. Sul
veliero, ogni cosa
avveniva come tutti i giorni precedenti. Il cielo era sereno, il vento
a favore
e la mano sicura di Lord Drinian facevano tutti sentire sicuri.
Caspian aveva
appena finito di allenarsi con la spada. Attività a cui
dedicava ogni mattina
un paio d’ore. Il giovane Re non era ancora sceso a cambiarsi
e indossava
ancora soltanto la camicia. Finito l’allenamento, aveva
raggiunto Drinian
discutendo con lui i dettagli dell’imminente
arrivò alle Isole Solitarie e
dell’ultimo tratto di rotta. Tratto che si prospettava privo
di sorprese o di
cambiamenti del tempo. Fu per quel motivo che, quando la voce di un
marinaio si
levò sopra il brusio del ponte, Caspian e Drinian alzarono
lo sguardo sorpresi.
“Uomo
in mare!”
A quelle
parole, Caspian scese di corsa le scalette che portavano al ponte
principale e
raggiunse il parapetto. Afferratosi ad una delle corde a cui erano
fissate le
vele, Caspian guardò nella direzione che indicava il
marinaio. Accanto a lui,
molti marinai si erano raggruppati attorno al parapetto fissando nella
stessa
direzione. Ben presto, tutti si resero conto di quattro teste che
sbucavano tra
le onde a pochi metri dalla prua. Caspian, vedendole, sentì
il proprio cuore
perdere un battito. Ma non doveva pensare a quello. Senza esitazione,
Caspian
salì sul parapetto voltandosi verso Drinian.
“Lord
Drinian,
fermate la nave e fate abbassare l’ancora!”
Il capitano
del
Veliero dell’Alba lo guardò sorpreso, rendendosi
conto di quello che voleva
fare. Accanto a Caspian, altri tre uomini si issarono sul parapetto. In
quel
momento, un’onda quasi sommerse due dei quattro naufraghi.
Caspian non attese
oltre e si tuffò, seguito dai suoi uomini. Non sapeva
neanche lui perché lo
stava facendo, avrebbe potuto benissimo lasciare il salvataggio ai suoi
marinai. Forse era il senso del dovere… o forse,
più probabilmente, la speranza
che covava in fondo al suo cuore.
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Susan era
seduta nella veranda di casa Evans. Tra le mani teneva il libro che
stava
leggendo. Accanto a lei anche Ann stava leggendo un libro. Entrambe le
ragazze
erano assorte nella lettura. Una leggera brezza proveniente dal mare
muoveva
loro i capelli e gli unici suoni che riempivano l’aria erano
i cinguettii degli
uccellini e il rumore della risacca. Improvvisamente, dei passi
affrettati,
distrassero le due ragazze. Un attimo e Peter uscì dalla
casa tenendo, sorridente,
una busta in mano. Susan, non appena la vide, si alzò in
piedi sorridendo emozionata
e raggiunse subito il fratello.
“È
di Lucy.”
Susan sorrise
e
presa la lettera andando a sedersi sul divanetto bianco. Peter la
seguì
sedendosi accanto a lei. Le mani di Susan quasi tremavano mentre apriva
la
lettera. Erano giorni che aspettavano quella risposta. Ann, a qualche
metro da
loro, li guardava sorridendo: sapeva che cosa voleva dire ricevere una
lettera
da parte dei fratelli. Anche lei, quando William era
all’accademia, aspettava
trepidante una sua lettera o una sua chiamata. Consapevole di non aver
diritto
di intromettersi, Ann si alzò sorridendo e entrò
in casa a bere qualcosa.
Susan
aprì la
lettera e sorrise vedendo la grafia semplice e chiara della sorella.
Quanto le
mancava. Preso un respiro, Susan iniziò a leggere…
Cara Susan,
caro Peter,
non sapete
quanto siamo stati felici di ricevere questa lettera. Per un
po’, ci ha fatto
dimenticare di essere a casa Scrubb invece che con voi in America.
Sarebbe proprio
bello che Narnia ci richiami… ci richiami a tutti e quattro.
Non sarebbe
fantastico riunirci a Narnia? Anche noi vogliamo continuare a credere
che sarà
così.
Qui da noi è tutto come al solito. Zia Alberta continua ad
affibbiarci
commissioni da fare perché dice che ci fanno diventare
“maturi” e zio Harold
riesce addirittura a salutarci, qualche volta: quando non legge il
giornale,
ovviamente. E per il resto… Edmund e Eustace litigano ogni
giorno. Qualche
volta cerco di calmarli, ma inutilmente. L’unica cosa bella
è che gli Scrubb
hanno nuovi vicini. E la loro figlia si chiama Jill: abbiamo fatto
amicizia. In
realtà, secondo le loro madri, a diventare amici sarebbero
dovuti essere Jill e
Eustace… un po’ improbabile, vero?
Susan si
interruppe e sorrise divertita, come anche Peter. Era felice che
avessero anche
loro trovato una nuova amica: si sarebbe sentita troppo in colpa a
saperli soli
con Eustace.
Speriamo che
presto potremo raggiungervi. Il posto dove state sembra bellissimo.
Anche qui,
però, c’è qualcosa che ci fa pensare a
Narnia. Nella mia stanza c’è appeso un
quadro che raffigura la distesa di un oceano. Quando lo guardi, sembra
proprio
che le onde si muovano. Ogni volta, immagino che siano le onde del Mare
Orientale. Almeno così siamo un po’ più
vicini.
Purtroppo, abbiamo sentito anche noi notizie brutte a proposito degli
attacchi
tedeschi… ma leggerlo nella tua lettera è stato
ancora peggio. Il solo pensiero
di dover stare qui magari mesi, ci deprime: non riusciremmo mai a
sopravvivere
con Eustace. Se voi non c’è lo augurate,
immaginatevi noi quanto siamo
contenti.
Dì a Peter che non si preoccupi… tanto lo so
anche io che tu non potresti
innamorare di quel William, per quanto carino possa essere.
Però sono felice
per te: avere qualcuno che apprezza la tua bellezza, deve essere bello.
Peter
aggrottò
le sopracciglia e guardò Susan interrogativo.
“Cosa intente con: lo so anche io
che non ti puoi innamorare di William? Susan?”
La ragazza
sorrise guardando la lettera. Peter, però, non aveva
intenzione di arrendersi.
“Non
mi dirai
che c’entra ancora Caspian! Non hai sofferto abbastanza? Lo
sai che se anche
torneremo a Narnia, saranno passati un sacco di anni.”
Susan non si
voltò verso di lui e la sua voce uscì in un
sussurro. “Non è detto… io lo
so…”
Subito dopo,
però, Susan riprese a leggere sorridendo divertita e
ignorando le proteste di
Peter.
Comunque, noi
cerchiamo di farci forza il più possibile. E pensiamo
praticamente ogni minuto
a Narnia: è l’unica cosa che rende più
sopportabile Cambridge (oltre che
passare, ogni tanto, del tempo insieme a Jill).
Come stanno mamma e papà? Dite loro che ci mancano molto e
dite a papà che
siamo contentissimi che lui abbia avuto quel lavoro: così
almeno non dovrà
essere richiamato nell’esercito.
Speriamo che questa lettera vi raggiunga… e che la prossima
volta che ci
scriverete, ci direte che possiamo venire anche noi in America. Ci
mancate da
morire: vi vogliamo bene, a tutti. Tanti saluti, anche da Edmund.
Un
abbraccio, Lucy
P.S. Susan,
sono contenta che tu non voglia più dimenticare Narnia. Dopo
il nostro primo
viaggio, avevo paura che tu ti allontanassi da noi. Sono felice che tu
creda
ancora a Narnia: questo non è strano, era strano quando non
ci credevi. Vi
abbraccio.
Susan sorrise
stringendo la lettera al petto. Le sembrava quasi che Lucy e Edmund
fossero lì
con loro. Era difficile immaginarli a chilometri di distanza, oltre
l’oceano. I
suoi occhi si inumidirono e Peter, accorgendosene, le passò
un braccio attorno
alle spalle. Susan si voltò verso di lui sorridendogli grata.
“Non
devi
essere triste, Susan.”
La ragazza
scosse la testa ricacciando indietro le lacrime che volevano uscire dai
suoi
occhi azzurri.
“No.
Non lo so.”
Peter sorrise.
“Così si fa, Sue. Lucy ha ragione… era
strano quando non credevi a Narnia.”
Susan
sospirò e
si posò con la testa sulla sua spalla. Era felice di aver
recuperato quel
rapporto di confidenza con Peter. Dopo il secondo viaggio a Narnia, il
loro
legame sembrava essersi allentato… entrambi si erano chiusi
in sé stessi nel
tentativo di sopportare la decisione di Aslan di non farli
più tornare. Ma poi
la speranza di tornare a Narnia li aveva riavvicinati, permettendo loro
di
recuperare il meraviglioso rapporto fratello e sorella che avevano da
quando
erano bambini.
“Lo
so. Sono
stata una stupida. Credevo che in quel modo avrei sofferto di
meno… invece non
ho fatto altro che soffrire di più.”
Peter la
allontanò leggermente da lui sorridendole.
“Non
pensarci…
l’importante è continuare a sperare che Narnia ci
richiami.”
Susan
annuì
sorridendo, stringendo con più forza la lettera di Lucy.
“Sì. Succederà, lo
so.”
Peter
annuì a
sua volta, sorridendo divertito. “Già,
però dobbiamo stare attenti… ti ricordi
cosa ci aveva detto il professo Digory?”
I due ragazzi
risero, ripetendo insieme la frase che il professore, qualche anno
prima, aveva
detto prima a Lucy e poi a tutti loro.
“È
probabile
che succeda quando meno te lo aspetti… quindi meglio tenere
gli occhi aperti!”
La loro risata
risuonò per tutta la veranda e fu udita anche da Helen
Pevensie che in quel
momento stava scendendo per chiedere loro una cosa. Quando li
sentì, la donna
non poté che sorridere dolcemente.
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Lucy era
accoccolata nel vano della finestra. Finite tutte le mansioni che zia
Alberta
le aveva affibbiato anche quel giorno, per farla diventare una
signorina diceva
lei, si era potuta prendere una meritata pausa. Per quel motivo, non
aveva
esitato a prendere il libro che aveva cominciato a leggere un paio di
sere
prima. Eppure, nonostante anche Edmund e Eustace sembrassero aver
deciso di
concedersi una tregua, Lucy non riusciva a concentrarsi. Iniziava a
leggere una
frase e, a metà di essa, distoglieva lo sguardo e i suoi
occhi azzurri
iniziavano a vagare distrattamente su ciò che vedeva al di
fuori.
Improvvisamente,
Lucy sbuffò e chiuse il libro posandolo sul comò
vicino alla finestra. Poi
cinse le gambe con le braccia e posò la testa sulle
ginocchia. Si continuava a
dare della stupida: perché continuava a pensare a quel
ragazzo e a quella
ragazza che aveva visto un paio di giorni prima, perché
continuava a
paragonarsi a Susan e perché quasi non si riconosceva in
quei momenti di
malinconia. La ragazza emise un sospiro triste.
Il rumore
improvviso della porta che si apriva riscosse Lucy dai suoi pensieri e
la fece
voltare. Nel vano della porta c’era Edmund che fumava di
rabbia. Decisamente
aveva cantato vittoria troppo presto: una tregua tra Edmund e Eustace
era
decisamente impossibile.
Edmund
entrò
accostando la porta e si sedette sbuffando sulla sedia accanto alla
scrivania.
Lucy, a quel punto, scese dal davanzale e si sedette sul letto. Per
alcuni
istanti, fissò il fratello, ma visto che non sembrava non
volerle dire niente,
fu lei la prima a parlare.
“Che
è successo
questa volta, Ed?”
Edmund la
guardò, alzandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e
indietro per la
stanza gesticolando con le mani e sottolineando con ogni gesto il suo
crescente
disappunto.
“Che
cosa è
successo? Niente. Che cosa vuoi che sia successo? Vado così
d’accordo con quello!”
Lucy
abbozzò un
sorriso rassegnato. “Ed.”
Il ragazzo
sbuffò per l’ennesima volta, voltandosi verso la
sorella.
“Diventerò
pazzo, Lucy. Lo capisci? Eustace è peggio di
un’arma! Potrebbero usarlo contro
i tedeschi: scommetto che dopo due ore, si arrenderebbero.”
La ragazza
lanciò uno sguardo di rimprovero verso il fratello.
“Edmund!”
Edmund, in
risposta, sbuffò un’altra volta senza smettere di
camminare avanti e indietro.
“Lucy,
tu non sei
costretta a dividere la camera con lui. Vuoi sapere la sua ennesima
trovata?
Bene. Io ero sul mio letto e lui è arrivato. Fin
lì ho fatto finta di niente,
dato che purtroppo è anche camera sua. Poi, però,
invece di ignorarmi come lo
ignoravo io, si è messo a fare ogni sorta di rumore
possibile per infastidirmi!
Prima fischiettava, poi colpiva il portapenne con la matita…
e poi io me ne
sono andato. Ancora un minuto e lo avrei picchiato. Non sai quanto sei
fortunata ad avere una stanza tutta tua!”
Lucy
sospirò e
abbassò lo sguardo. Un velo di amarezza passò sui
suoi occhi azzurri. La sua
voce uscì dalle labbra poco più alta di un
sussurro.
“Susan
e Peter…”
Edmund la
guardò senza capire. “Che cosa hai
detto?”
“Susan
e Peter:
sono loro i veri fortunati.”
Un silenzio
pesante calò nella stanza dopo quelle parole pronunciate da
Lucy. La ragazza
rimase immobile a fissare il pavimento e Edmund si fermò
abbassando le braccia
lungo il corpo. Per lunghi minuti nessuno dei due fratelli disse nulla.
Alla
fine fu Edmund, tornando a sedersi, a rompere per primo il silenzio.
“Loro
sono i
fratelli maggiori, Lu. Ormai dovremmo farcene una ragione…
noi contiamo meno di
loro.”
Lucy
alzò lo
sguardo e sospirò tristemente, pentendosi del tono risentito
con cui aveva
parlato poco prima.
“Non
dovremmo
essere così cattivi con loro… Sue e Peter non
hanno nessuna colpa.”
Edmund sorrise
rassegnato. “Lo so… è per quello che mi
da più fastidio. È solo una convenzione
sociale… e a farne le spese siamo noi. I grandi in America e
i piccoli dal
cugino. Equo, no?”
Lucy sorrise.
“Per niente.”
Edmund si
alzò
sorridendo. “Lu, cambiamo discorso… non mi va di
deprimermi. Ci pensa già
abbastanza quel pesce lesso.”
La sorella
scoppiò a ridere. Subito dopo, guardò Edmund.
“Parliamo di Narnia?”
Nel
pronunciare
il nome del magico mondo di cui erano diventati Sovrani, gli occhi di
Lucy
brillarono di entusiasmo. Anche l’espressione di Edmund
cambiò e anche nei suoi
occhi scuri scintillò una luce diversa. Ma prima che lui
potesse dire qualcosa,
una voce lo interruppe.
“Lo
sapete che
siete veramente noiosi?”
Edmund si
girò
di scatto e anche Lucy alzò lo sguardo. Fu allora che i due
fratelli videro sul
vano della porta il cugino. Eustace, senza neanche chiedere il
permesso, entrò
nella stanza. Edmund lo fulminò con lo sguardo.
“Nessuno
ti ha
detto che spiare è da maleducati? Come entrare senza
chiedere il permesso.”
Eustace
alzò le
spalle con un’espressione indifferente.
“L’educazione non me la faccio certo
insegnare da te. E poi, con quello che vi dite…”
Edmund lo
guardò canzonatorio sorridendo sarcastico. “Non ti
obblighiamo mica ad
ascoltare, Eustace. Libero di tornare ai tuoi intelligentissimi
passatempi:
fischiettare, colpire con una matita il
portapenne…”
Eustace lo
ignorò camminando per la stanza e guardandosi attorno.
“Ma
che c’è ti
trovate nelle vostre sciocchezze? Cos’è, non avete
letto nessun altro libro
oltre che a quel libro di favole? O nessuno vi ha detto che sono storie
inventate?”
Edmund strinse
una mano a pugno e si chiese come riuscì a trattenersi dal
colpire in faccia il
cugino.
“Illuminaci
tu,
cugino. Sentiamo, quali sono i libri che dovremmo leggere?”
Eustace
sembrò
ignorare il tono sarcastico di Edmund e si voltò verso il
quadro appeso sopra
alla mensola centrale, fermandosi davanti ad esso.
“Che
ne so…
tutti i libri che leggo io, per esempio. Libri con notizie
vere…”
Edmund si
volò
verso Lucy soffocando una risata: Eustace che leggeva libri che
parlavano di
cose serie. Era più facile che nevicasse in estate. Dopo un
attimo, Edmund
lanciò un’occhiata al cugino che se ne stava zitto.
“Nient’altro
di
intelligente da dire? Mi aspettavo qualcosa di più da uno
come te che legge
tanto…”
Eustace non si
voltò neanche, continuando a fissare il dipinto.
“Che
quadro
orribile…”
Lucy
alzò lo
sguardo su di lui, fissandolo arrabbiata. “Non è
vero. È un quadro bellissimo.”
Eustace
sbuffò.
“Ma fammi il favore… se mamma lo ha messo qua,
vuol dire che non valeva la pena
farlo vedere agli ospiti. E poi anche un bambino saprebbe disegnare
quattro
onde e una bagnarola con la vela porpora. Che poi che nave ha le vele
di quel
colore, vorrei sapere…”
A quelle
parole, Lucy scattò su come se fosse seduta su una molla.
Senza dare risposta
allo sguardo interrogativo di Edmund, la ragazza si diresse
immediatamente
verso il quadro scostando quasi bruscamente Eustace che emise un verso
di
disappunto.
“Non
è
possibile…”
Gli occhi
azzurri di Lucy fissavano quel quadro come se fosse ipnotizzata. Non
era
possibile. Lei se lo ricordava bene: non c’era nessuna nave
in quel dipinto.
Solo un puntino scuro che… improvvisamente Lucy si
ricordò di quella mattina, quando
aveva avuto l’impressione di riuscire ad intravederne la
forma. E anche allora
aveva avuto l’impressione che il giorno prima il puntino non
fosse così grande
da poterlo permettere. Un sorriso sempre più luminoso e
speranzoso cominciò ad
illuminarle il viso. Una sola parola continuava a riempirle la mente:
Narnia.
“Lu,
cosa non è
possibile?”
La voce di
Edmund la riportò alla realtà e Lucy si
voltò verso di lui senza riuscire a
frenare l’emozione, senza preoccuparsi minimamente del fatto
che Eustace
potesse sentirli.
“Edmund,
quel
veliero non si vedeva… il primo giorno che ho guardato il
dipinto, c’era solo
una distesa di onde. Edmund, lo capisci? Ti rendi conto di che cosa
significhi?”
Edmund non
rispose subito e i suoi occhi scuri si volsero verso il dipinto
fissando il
veliero. Ogni istante che passava un’emozione più
forte cresceva dentro di lui.
La voce di Eustace ruppe il silenzio.
“Nanerottola,
tu sei tutta pazza. Quel quadro è sempre stato
così.”
Edmund si
voltò
verso di lui guardandolo duro. “Vuoi stare per una volta
zitto, quando non sai
neanche di cosa parli?”
Eustace
sgranò
gli occhi e ridacchiò divertito, roteando un dito vicino
alla tempia.
“Scusate,
mi
correggo… a quanto pare siete pazzi entrambi. Ma vi sentite?
Pretendete che un
quadro cambi per farvi un favore!”
Edmund non
ascoltò neanche le parole di Eustace continuando a guardare
il dipinto. E ogni
istante che lo fissava, si sentiva quasi vibrare
dall’emozione.
“Lu…
ne sei… ne
sei sicura?”
Lucy
annuì con
decisione, senza che neanche l’ombra di un dubbio velasse il
suo sguardo.
“Mai
stata più
sicura, Edmund. E quel veliero assomiglia ad una delle sue
navi.”
Il ragazzo
sorrise, ripensando ai loro precedenti viaggi a Narnia.
“Allora mi fido… se non
sei tu che capisci quando c’è qualcosa che
riguarda Narnia.”
L’emozione
crescente dei due Pevensie venne di nuovo interrotta da Eustace che,
guardandoli stralunato, si tappò le orecchie con le mani.
“Eh,
no! Ora
basta! Siete insopportabili! Dovreste farvi vedere da un bravo dottore,
sì
signore!”
Edmund e Lucy
si voltarono fissando perplessi la reazione isterica di Eustace. Il
ragazzo,
continuando a tenersi le mani sulle orecchie, aveva raggiunto la sedia
dove
poco prima si era seduto Edmund e vi si era installato, lanciando loro
di tanto
in tanto un’occhiata scioccata.
“Con
questa
tiritera di Narnia mi avete stufato!”
Edmund lo
guardò sarcastico, lanciandogli al contempo uno sguardo
gelido.
“Puoi
uscire da
questa stanza, se vuoi.”
Eustace in
risposta gli mostrò la lingua. A quel punto, Edmund decise
che aveva superato
il limite e si avvicinò a lui minaccioso. Eustace,
rendendosi conto delle
intenzioni del cugino, si alzò correndo dalla parte opposta
del letto.
“Non
osare
toccarmi!”
Edmund sorrise
perfido. “Io ti avevo detto di uscire… Lucy, non
voltarti e ora che il caro
cugino abbia quel che merita.”
Lucy, dal
canto
suo, sospirò. “Edmund, cerca di fare la persona
matura.”
Edmund si
voltò
verso la sorella, stando però attento che Eustace non
cercasse di uscire.
“Lucy,
con lui
è impossibile e lo sai. E mi sono trattenuto fin troppo. Non
è lui che ha avuto
per giorni un bernoccolo sulla testa.”
Eustace
iniziò
a ridacchiare, ma accorgendosi dell’occhiata omicida di
Edmund, si tappò la
bocca con una mano.
“Ti
conviene
non ridere troppo… potrei raccontare a tuo padre che sei
stato tu a rubare i
dolci a zia Alberta!”
Eustace
sgranò
gli occhi, ma subito dopo guardò torvo Edmund.
“Bugiardo!”
Edmund
incrociò
le braccia e un sorrisetto ironico si allargò sulle sue
labbra. “Ah, davvero?”
Lucy, ancora
davanti al dipinto, sospirò rassegnata. Ma quando avrebbero
smesso di
comportarsi come cane e gatto? La ragazza alzò la mano e
sfiorò il dipinto. Per
un istante ebbe quasi l’impressione che la tela fosse umida.
Lucy allontanò di
scatto la mano, osservando affascinata e stupita la tela.
“Ed…”
“Li
ho trovati
sotto il tuo letto. E sai una cosa? Li ho leccati uno per
uno.”
Lucy si
voltò a
quelle parole, rendendosi conto che il fratello non l’aveva
neppure sentita.
Facendolo, riuscì anche a vedere la smorfia disgustata che
attraversò il voltò
di Eustace.
“Bleah!
Mi
avrai infettato!”
Lucy
tornò a
voltarsi: non voleva neanche sentirli. Davanti a loro c’era
la possibilità di
tornare a Narnia e Edmund perdeva tempo con Eustace. Lei non li avrebbe
mai
capiti. Quando, però, i suoi occhi azzurri tornarono a
guardare il dipinto, Lucy
si rese conto che c’era qualcosa che non andava. La tela
sembrava essere
diventata lucida.
Improvvisamente
alcune gocce d’acqua colarono dalla cornice e si infransero
sulla mensola
posata al di sotto. Lucy sgranò gli occhi, mentre sempre
più gocce d’acqua
uscivano dal dipinto formando delle piccole pozze sulla mensola. Ogni
istante
che passava, rivoli sempre più abbondanti colavano dal
dipinto. Un leggero
soffio d’aria mosse leggermente i capelli di Lucy portando
con sé l’odore
fresco e salmastro del mare. Le onde dipinte cominciarono a muoversi e
si
poteva quasi sentirne il rumore. Scioccata e sorpresa, Lucy
arretrò di un passò
portandosi una mano alla bocca per l’emozione.
“Edmund!”
Al tono
sorpreso e allarmato di Lucy, Edmund e anche Eustace smisero di
litigare e si
voltarono verso di lei. Il primo la raggiunse guardandola preoccupato.
“Che
succede,
Lucy?”
Lucy sentiva
il
cuore batterle sempre più forte dall’emozione:
stava succedendo, stava
veramente succedendo. La voce le uscì in un soffio, mentre
le labbra si
piegarono in un sorriso.
“Edmund,
il
dipinto!”
A quelle
parole, Edmund si voltò e vide anche lui quello che stava
succedendo.
Dell’acqua stava uscendo dal dipinto, scivolando fino a
terra. E la nave, la
nave della vele porpora che poco prima avevano guardato, si avvicinava
a loro a
vele spiegate. Edmund spalancò la bocca posando una mano
sulla spalla di Lucy.
Non riusciva a credere che le loro speranze si stessero avverando.
Eustace,
invece, quando vide quello che stava succedendo sgranò gli
occhi dal terrore.
Non sapeva come avessero fatto, ma quello era il peggior scherzo dei
suoi
cugini: come riuscivano a far uscire l’acqua dal dipinto?
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Al piano di
sotto, nessuno sospettava quello che stava succedendo al piano
superiore. Zio
Harold stava parlando al telefono con un collega, ogni tanto sbuffando
e
guardando tristemente il giornale di cui aveva dovuto interrompere la
lettura.
Zia Alberta, invece, stava finendo di preparare il pranzo fischiettando
una
delle poche canzoni che trasmettevano alla radio nelle pause dei
bollettini di
guerra.
Fu in quel
momento che qualcuno bussò alla porta. La donna, rendendosi
conto che Harold
non poteva andare ad aprire, si pulì le mani su uno
strofinaccio e si avviò
verso la porta. Mentre percorreva il corridoio, Alberta
cercò di ravvivarsi i
capelli.
“Sto
arrivando!”
Quando
aprì la
porta e si rese conto che c’era solo Jill, la donna sorrise
senza però riuscire
a nascondere un lieve sollievo: sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi
in quelle
condizioni, accaldata e quasi spettinata, di fronte ad una delle sue
amiche. E
questo a Jill non sfuggì, ma evitò bene di farlo
vedere. Lucy e Edmund le
avevano detto quanto la donna desse importanza all’aspetto
esteriore. Era anche
quello uno dei motivi per cui non le stava molto simpatica…
ma del resto tutta
la famiglia Scrubb non brillava per simpatia.
“Buongiorno,
signora Scrubb. Abbiamo finito lo zucchero e, quindi, mia madre le
chiedeva se
gentilmente ce ne poteva prestare un po’.”
Alberta
sorrise
e aprì la porta. “Ma certo, cara. Entra.”
Le due
arrivarono al centro dell’atrio da cui salivano le scale. La
donna si voltò
verso Jill indicandole il piano superiore.
“Tesoro,
finché
vado a prendere lo zucchero se vuoi puoi salire a salutare
Eustace.”
Alberta non
aspettò neanche la risposta e si diresse verso la cucina. In
questo modo, non
si accorse dell’espressione disgustata di Jill che aveva
espresso a denti
stretti i propri pensieri.
“Neanche
se mi
paghi…”
Perché
nessuno
riusciva a capire che lei e Eustace non si sopportavano? Non era
così
difficile. Anzi, al massimo se doveva salire andava a salutare Lucy e
Edmund.
Ma dato che la madre le aveva detto di non trattenersi troppo, Jill
decise di
aspettare lì. Dalla cucina, sentiva provenire il rumore di
portelle aperte e
rischiuse e di piatti e barattoli spostati. Jill sospirò e
iniziò a guardarsi
attorno. La casa non era tanto brutta… fu in quel momento
che Jill si rese
conto che, dal piano superiore, non provenivano i classici rumori che
aveva
imparato a conoscere: ovvero Edmund e Eustace che litigavano
rincorrendosi per
il corridoio. E quel particolare alimentò la sua
curiosità. Che cosa stavano
facendo?
Improvvisamente,
Billy, il suo furetto che anche quel giorno aveva portato nascosto
nella
borsetta, sgusciò fuori e saltò sul pavimento.
Jill, rendendosene conto, si
abbassò di scatto tendendo la mano verso
l’animaletto.
“Billy!
Torna
subito qui!”
Il furetto, da
parte sua, però, non sembrava per nulla intenzionato a
tornare da Jill e ne
ignorò il tono perentorio. Tranquillamente, si
rizzò sulle zampette posteriori
e iniziò ad annusare l’aria. Jill, tesa come una
corda di violino, si cercò di
avvicinare a lui in ginocchio, continuando a gettare occhiate
preoccupate verso
la cucina: mancava solo che la signora Scrubb arrivasse in quel
momento. Se
avesse reagito come il figlio…
“Billy!
Ti
prego, vieni qui!”
Jill
allungò la
mano e il furetto si voltò a guardarla inclinando la testa
di lato. Quando
stava per prenderlo, Billy si voltò e iniziò a
correre su per i gradini. Jill,
terrorizzata dall’idea che quello sciocco di Eustace potesse
far scoprire che
lei si portava dietro il furetto, si alzò in piedi di scatto
iniziando a
correre su per le scale. Il furetto, nel frattempo, aveva
già raggiunto il
corridoio. Quando Jill fu a pochi metri da lui, riprese la sua corsa
verso la
stanza di Lucy. La ragazza, finite le scale, si fermò un
attimo a prendere un respiro
ringraziando che l’animaletto non si fosse diretto verso la
stanza di Eustace.
Sentendo provenire delle voci dal lato della stanza di Lucy, Jill si
avvicinò
lentamente e sempre più curiosa.
Quando fu
davanti alla stanza, si accorse che Billy si era fermato. Jill si
abbassò
prendendo sollevata il furetto tra le braccia. Fu a quel punto che si
accorse
che la porta della stanza era socchiusa. Piano, Jill si
avvicinò e guardò
all’interno, rimanendo piuttosto stupita da quello che vide.
Lucy, Edmund e Eustace
erano in piedi davanti al quadro appeso sopra la mensola e i primi due
cercavano di tenere il terzo lontano dal dipinto.
“Lo
so che è un
imbroglio! Smettetela o lo dico alla mamma!”
Quello era
Eustace. Subito dopo sentì la voce di Edmund.
“Piantala! Te l’ho già detto che
non è colpa nostra!”
Poi fu la
volta
di Lucy. “Eustace, ti prego. Calmati!”
Ma che cosa
stava succedendo? Jill cercò di guardare oltre ai tre ma,
stando in piedi, le
impedivano di vedere. Incapace di resistere un minuto di più
alla curiosità,
Jill entrò e, senza neanche farci caso, chiuse la porta
posandosi ad essa. Il
rumore della porta fece voltare di scatto i tre ragazzi.
“Jill!”
Fu allora che
la ragazza si rese conto di quello che stava succedendo e
stentò a crederci:
ondate d’acqua sempre più abbondanti uscivano dal
quadro e si riversavano nella
stanza. Jill sgranò gli occhi, accorgendosi a quel punto
dell’acqua che le
arrivava alle caviglie. Billy, vedendo l’acqua, si
rifugiò nella borsa. Jill
continuava a fissare ciò che stava succedendo: se qualcuno
glielo avesse
raccontato non ci avrebbe creduto.
“Ma
cosa…”
Prima che Lucy
o Edmund le dicessero qualcosa, Eustace, approfittando della
distrazione dei
due Pevensie, tornò a voltarsi verso il quadro e lo
afferrò per la cornice
staccandolo dalla parete.
“Adesso
lo
spacco questo orrendo coso!”
A quelle
parole, Lucy e Edmund, sotto uno sguardo scioccato di Jill, si
voltarono
cercando di fermare Eustace. I due ragazzi afferrarono anche loro il
quadro
sulla cornice nel tentativo di toglierlo dalle mani del cugino. Le voci
dei due
Pevensie erano allarmate, quasi spaventate che tutto quello che stava
succedendo potesse finire.
“No!
Eustace,
no!”
“Per
favore,
smettila!”
Jill non
sapeva
che cosa fare e li guardava immobile, mentre l’acqua
raggiungeva ormai metà del
suo polpaccio. Nel frattempo, con Eustace che tirava da un lato e i due
Pevensie che tiravano dall’altro, il quadro bagnato
dall’acqua scivolò dalle
loro mani. Un’ondata più forte bagnò
completamente i tre ragazzi e subito dopo
il dipinto cade in acqua. Nello stesso istante in cui il quadro venne
sommerso,
ondate sempre più frequenti si riversarono nella stanza
facendo raggiungere in
pochi istanti il livello delle loro vite. Lucy, spaventata, si
afferrò al
braccio di Edmund. Eustace, invece, si fece largo e a fatica
riuscì a
raggiungere la porta. Dopo aver spinto di lato Jill, che gli rivolse
uno
sguardo omicida, Eustace si afferrò alla maniglia. Gli
bastarono pochi secondi
per capire che la porta era bloccata. Per questo motivo, si
voltò infuriato
verso la ragazza, più che mai convinto che lei fosse in
combutta con i due
Pevensie.
“Cosa
hai fatto
alla porta?!?”
Jill, mentre
cercava di tenere la borsetta fuori dall’acqua, lo
guardò offesa. “Io non ho
fatto niente!”
Eustace la
ignorò e iniziò a battere sulla porta con il
pugno. “Mamma! Mamma!”
Edmund si
voltò
verso di lui, guardandolo infastidito. “Eustace,
smettila!”
Eustace si
voltò verso di lui, ma le parole gli vennero bloccate da
un’ondata salata che
quasi lo sommerse. L’acqua ormai era arrivata quasi alle loro
spalle e
soprattutto Lucy e Jill faticavano a restare con la testa fuori
dall’acqua.
Quest’ultima aveva raggiunta, tenendo la borsetta sollevata
sopra la testa, i
due Pevensie che le erano sembrati molto più lucidi di
Eustace.
“Che
cosa
facciamo?”
“Non
voglio
morire! Sono troppo giovane!”
Al tono
lamentoso di Eustace, Edmund alzò gli occhi al cielo. Subito
dopo gli abbassò
tornando a guardare Lucy e Jill. Ormai stavano nuotando cercando di
tenersi a
galla. Ma se l’acqua avesse continuato a riversarsi ancora
nella stanza, non
avrebbero più neanche avuto la possibilità di
respirare. Edmund e Lucy, però,
sentivano, anzi sapevano, che quella era la magia di Narnia. Aslan non
avrebbe
fatto loro succedere niente. Fu in quel momento che i due si resero
conto per
la prima che in quel viaggio non sarebbero stato soli: ad
accompagnarli, però,
non c’erano Susan e Peter. A venire con loro sarebbero stati
Jill e Eustace. E
per certi versi ne furono sorpresi. Un’altra ondata
riempì la stanza e i quattro
ragazzi si ritrovarono a pochi centimetri dal soffitto. Edmund
posò una mano su
di esso e iniziò ad inspirare.
“Prendete
più
aria che potete!”
Lucy e Jill
non
replicarono e si strinsero uno mano facendo come aveva detto Edmund.
Eustace,
invece, quasi piangeva.
“Non
voglio
morire! Non voglio morire! È tutta colpa vostra!”
Edmund si
rivolse a lui quasi ringhiando. “Respira, brutto stupido! O
sarò io ad
affogarti!”
Eustace si
zittì e iniziò a respirare, maledicendo in tutti
i modi possibili sia i due Pevensie
sia il giorno in cui avevano messo piede in quella casa. Poi nessuno
ebbe più
la possibilità di fare nulla. L’acqua
riempì la stanza completamente. I quattro
ragazzi si ritrovarono sballottati dalle onde, mentre le sedie e gli
oggetti
della stanza venivano sollevati dall’acqua.
Per lunghi
istanti, non riuscirono quasi a muoversi, incapaci di contrastare con
mani e
piedi la forza della corrente che usciva dal quadro ormai scomparso
nell’acqua
che li circondava. Annaspando tra i mulinelli, quasi non riuscivano a
tenere
gli occhi aperti. Quando, però, sentirono i polmoni
bruciare, il movimento
della corrente si placò. I quattro ragazzi si ritrovarono
immersi in una
distesa azzurra e cristallina. Le pareti della stanza sembravano essere
scomparse sostituite da un impenetrabile muro d’acqua blu
scuro. Sopra le loro
teste, raggi di luce filtravano oltre la superficie delle onde. Edmund,
Lucy,
Jill e Eustace non si chiesero neanche come fosse possibile e nuotarono
il più
velocemente possibile verso l’alto.
Quando Lucy
emerse i suoi polmoni quasi gridavano. La ragazza respirò
per lunghi istanti,
muovendo le mani per tenersi a galla. Non appena i suoi occhi azzurri
si
aprirono, davanti ad essi si dispiegarono un cielo azzurro illuminato
da un
solo luminoso e una distesa blu-verde senza fine. Lucy
sgranò gli occhi e il
suo cuore perse un battito. La ragazza si sentì quasi
mancare il respiro,
rendendosi conto di quello che era successo. Erano a Narnia, senza
alcun
dubbio, senza alcuna possibilità di sbagliarsi. Erano a
Narnia. Tutto il suo
corpo venne percorso da una scarica di adrenalina, mentre un sorriso
enorme le
si allargò sulle labbra. Erano a Narnia, non riusciva a
smettere di ripeterselo.
“Dove
siamo?!?”
La voce
isterica di Eustace riportò Lucy la realtà. La
ragazza si voltò cercando con lo
sguardo gli altri tre e li vide a pochi metri da lei. Jill si guardava
attorno
con gli occhi sgranati, incredula di trovarsi a galla in pieno oceano.
Poco
distante da lei anche Edmund sorrideva come Lucy, consapevole anche lui
di
essere tornati nel mondo in cui avevano sperato di essere richiamati
per
sfuggire dagli Scrubb. E a un metro da lui, c’era Eustace
che, in pieno attacco
di panico, agitava le braccia come un matto. Con l’unico
risultato di finire
con la testa sott’acqua ogni pochi minuti.
“Riportatemi
a
casa! Io vi… io vi faccio arrestare! Siete matti…
matti da legare!”
Edmund, che
trovandosi a Narnia non aveva nessuna intenzione di rovinarsi
l’umore a causa
del cugino, lo raggiunse con poche bracciate e lo afferrò
per un braccio.
“Eustace,
smettila! Grida ancora una volta e giuro che ti affogo!”
Eustace,
mentre
Lucy li raggiungeva lentamente a nuoto, guardò Edmund con
aria sconvolta e
sull’orlo di una crisi isterica. Ma prudentemente
abbassò leggermente la voce.
“Calmarmi?
Mi
chiedi di calmarmi?!? Mi calmerei se fossimo nella stanza dove eravamo
cinque
minuti fa… non ora che mi trovo chissà dove in
quello che sembra a tutti gli
effetti un oceano! Mi calmo solo se mi dite che è un
sogno!”
Fu in quel
momento che Lucy li raggiunse. I suoi occhi brillavano di emozione.
“Non
è un
sogno, Eustace. Siamo a Narnia!”
Eustace la
guardò scioccato. “Ora si che sto
meglio… sono impazzito anche io! Fra poco mi
risveglierò con una camicia di forza!”
Edmund scosse
la testa rassegnato e lasciò il braccio ad Eustace che, per
la sorpresa, finì
per un secondo sotto le onde interrompendo i suoi piagnistei. Non
appena
riemerse, però, guardò il cugino con astio.
“Riportatemi
a
casa!”
Edmund non lo
guardò neanche. “Non possiamo… e stai
zitto una buona volta, devo pensare.”
Eustace era
sempre più isterico. “A cosa? A quante ore
possiamo resistere prima di
affogare?!?”
Lucy, seppur
consapevole di trovarsi in pieno oceano, non aveva paura: erano a
Narnia,
quello era di sicuro il Mare Orientale. Aslan non avrebbe fatto loro
succedere
nulla. I suoi pensieri, però, vennero interrotti dal grido
spaventato e agitato
di Jill.
“Billy!
Billy!”
Lucy e Edmund
si voltarono subito verso di lei. Jill, a pochi metri da loro, si
guardava
attorno con sguardo angosciato e si capiva che i suoi occhi non erano
bagnati
solo dall’acqua del mare. Lucy la raggiunse subito e Jill si
afferrò al suo
braccio.
“Lucy,
Billy
non c’è! Se lui è…
io…”
Lucy scosse la
testa guardandola sorridendo per rassicurarla. “Non pensarlo
neanche. Vedrai
che sarà qui vicino. Fidati.”
Jill
tirò su
con il naso e annuì ricacciando indietro le lacrime. Non
doveva mostrarsi
debole. I tre ragazzi, senza l’aiuto di Eustace che
continuava a gridare al
vento i suoi lamenti e la sua sfortuna, cominciarono a guardarsi
attorno. Per
lunghi minuti non videro altro che onde azzurre. Jill dovette fare uno
sforzo
enorme per non piangere: voleva troppo bene a Billy. Non avrebbe mai
sopportato
di perderlo.
“Jill!”
La voce di
Edmund richiamò all’attenzione Jill e Lucy che era
vicino di lei. Le due videro
Edmund raggiungere a bracciate quello se sembrava a tutti gli effetti
il libro
che Lucy stava leggendo. Sopra di esso, afferrato con le unghie,
c’era Billy:
tutto bagnato, ma sano e salvo. Edmund lo prese in mano e venne subito
raggiunto da Jill che prese il furetto tra le mani e lo strinse al
volto. Non
le importava, in quel momento, di dove si trovasse: l’unica
cosa importante era
che Billy fosse sano e salvo. Lucy la raggiunse e le posò
una mano sulla
spalla, sorridendo sollevata. Anche Edmund sorrise, ma poi
tornò serio.
“Ora
che ci
siamo tutti, dobbiamo capire cosa fare. Nel dipinto c’era una
nave… potrebbe
essere qui vicino.”
Il ragazzo non
disse ad alta voce che quella nave doveva essere nelle vicinanze: Lucy
e Jill
lo capirono. I tre ragazzi sapevano che, se non venivano trovati presto
da una
qualunque nave, non avrebbero resistito a lungo.
“Ci
viene
addosso!!!”
Lucy, Edmund e
Jill si voltarono di scatto al grido terrorizzato di Eustace. E fu
allora che
la videro. Distratti dalla ricerca di Billy, non si erano resi conto
che la
nave era molto più vicina di quanto credessero. Ma
decisamente troppo vicina.
“Svelte,
nuotate!”
Lucy e Jill,
con Billy saldamente afferrato ai suoi capelli, non se lo fecero
ripetere due
volte. Edmund iniziò a nuotare e si voltò verso
il cugino.
“Eustace,
non
fare lo stupido: nuota!”
Eustace, al
grido di Edmund, sembrò riscuotersi e nel terrore
più puro cominciò a nuotare
come un forsennato e in breve tempo raggiunse anche Edmund. I due
ragazzi
nuotarono velocemente. Edmund, però, si rese conto che non
potevano certo
essere più veloci di una nave. Ma strinse i denti: non
doveva aver paura.
“Continuate
a
nuotare! Forza, ce la possiamo fare!”
Eustace,
nuotando accanto a lui, riusciva, nonostante tutto, a trovare la forza
per
piagnucolare. “Riportatemi a casa! Io non
c’è la faccio più!”
Edmund lo
spintonò
per non farlo smettere di nuotare. “Sei un sacco di patate!
Invece dei tuoi
intelligentissimi libri dovresti fare un po’ più
di attività sportiva!”
Eustace non
replicò neanche, troppo stanco e spaventato. A pochi metri
da loro, anche Jill
e Lucy stavano avendo le loro difficoltà, soprattutto per
l’impiccio che
costituivano le gonne bagnate. Non si voltarono neanche per vedere dove
fosse
la nave: se lo avessero fatto, non sarebbero più riuscite a
nuotare avanti.
Improvvisamente un’onda rischiò di sommergerle.
Jill, per un soffio, riuscì a
rimanere a galla. Lucy, invece, ne venne sommersa. A fatica la
ragazzina riuscì
a tornare a galla, ma si sentì venire meno le forze: non era
lei quella brava a
nuotare. Non aveva l’abilità innata di Susan e
neanche la forza di Edmund e
Peter. Lucy vide Jill gridare spaventata il suo nome, ma non
c’è la faceva più.
E un’altra onda la sommerse.
Negli stessi
istanti in cui la prima onda aveva colpito le due ragazze, dal ponte
della nave
si erano tuffati quattro uomini. I primi due raggiunsero Eustace e
Edmund e li
afferrarono, aiutandoli a restare a galla. Eustace, inizialmente, aveva
gridato
spaventato quasi stessero cercando di ucciderlo.
L’occhiataccia di Edmund,
però, lo fece zittire e gli fece rendere conto che erano
venuti per salvarli.
Gli altri due proseguirono accelerando le bracciate per raggiungere le
due
ragazze. Jill, ormai stremata e spaventata per Lucy, fu la prima ad
essere
raggiunta. Il quarto raggiunse Lucy un attimo dopo che la seconda onda
l’aveva
sommersa. Senza un attimo di indecisione, l’uomo
inspirò e si tuffò sott’acqua.
Pochi metri dopo raggiunse Lucy e la afferrò per un braccio.
Pochi istanti
dopo, i due riemersero. Lucy, sentendo l’aria rientrare nei
suoi polmoni, si
afferrò la braccio del suo salvatore, respirando grandi
boccate d’aria.
“Tranquilla,
ti
tengo io Lucy.”
A quella voce,
Lucy aprì di scatto gli occhi e lo riconobbe subito.
Sorridendo dalla gioia,
Lucy gettò le braccia al collo dell’uomo che
l’aveva salvata.
“Caspian!”
Il giovane Re
sorrise abbracciando l’amica. Era felice, ma i suoi occhi
scuri non poterono
non cercare tra gli altri naufraghi gli occhi azzurri che sperava di
rivedere.
Non vedendo colei che li possedeva, un’ombra passò
sui suoi occhi. Ma Caspian
la cacciò subito, sforzandosi di sorridere quando Lucy si
separò da lui,
illuminata da un’enorme sorrise.
“Edmund!
C’è
Caspian!”
La ragazzina,
raggiante, si era voltata verso il fratello che insieme al marinaio che
lo
aveva soccorso si stava avvicinando alla nave. Il ragazzo si
fermò e, vedendo
il giovane Re accanto alla sorella, sorrise.
“Lo
sapevo che
eravamo a Narnia!”
Caspian
sorrise
e annuì. “Sì, siete a Narnia.”
A quelle
parole, Eustace si riprese a dimenare. “Io non volevo
venirci! Mi avete
costretto! Riportatemi in Inghilterra! Voglio tornare in
Inghilterra!”
Le proteste
del
ragazzo, però, vennero ignorate da tutti. In quel momento,
Lucy e Caspian
vennero issati su una tavola di legno. Quando furono sollevati fuori
dalle
onde, Lucy si tenne stretta al braccio di Caspian e sorrise. Non
riusciva a
smettere. Un’emozione fortissima la pervadeva. E i suoi occhi
cercavano di
vedere tutto, affascinati dal veliero.
“Tieniti
forte,
Lucy.”
La ragazza
annuì senza distogliere lo sguardo dal veliero. Una leggera
brezza muoveva i
suoi capelli riempiendole il naso del profumo di Narnia. Quando i suoi
piedi
toccarono le tavole di legno del ponte, Lucy si sentì
esplodere dalla gioia. Attorno
a loro c’era tutto l’equipaggio e tra loro si
vedevano anche alcune delle
creature di Narnia.
“Come
avete
fatto ad arrivare fin qua?”
Lucy si
riscosse e si voltò verso Caspian. “Il
quadro… poi l’acqua… oh, non
è ho idea!
Sono solo felice di essere qui!”
Caspian
sorrise,
contagiato dall’entusiasmo della ragazza. “Anche
io!”
“Caspian!”
La voce di
Edmund fece voltare entrambi. Il ragazzo, appena issato a bordo, si
fece largo
tra i marinai. Caspian gli andò incontro e i due ragazzi si
abbracciarono
sorridenti.
“Edmund!”
Caspian e
Edmund, dal precedente viaggio, erano diventati ottimi amici. I due
ragazzi si
separarono e vennero raggiunti di Lucy. Tutti e tre sorridevano.
“Caspian,
non
sai quanto sia felice di essere a Narnia!”
Caspian
annuì.
“Anche io. Sebbene non mi aspettassi di trovarvi in mezzo
all’oceano!”
Edmund lo
guardo stupito, come anche Lucy. “Non sei stato tu a
chiamarci?”
Caspian scosse
la testa. “No. Non questa volta.”
Edmund,
ripensando ai giorni passati a casa Scrubb, scosse le spalle sorridendo.
“Non
importa.
Sono felice di essere qui.”
Poco lontano
dai tre, anche Jill e Eustace erano stati issati sul ponte della nave.
La prima,
non appena vi posò piede, sgranò gli occhi dalla
sorpresa. Immobile iniziò a
fissare ogni particolare della nave. Fu allora che vide Lucy e Edmund
chiacchierare sorridenti con un ragazzo dai capelli scuri. Sembrava si
conoscessero… non riusciva ancora a capire come, ma doveva
essere così. Anche
prima… avevano detto che si trovavano a Narnia. Jill si
guardò attorno e il suo
sguardo vagò sull’orizzonte fino alla vela porpora
illuminata dai raggi del
sole. Sì, decisamente se qualcuno glielo avesse detto non ci
avrebbe creduto.
Non sapeva come o perché, ma erano finiti da qualche
parte… una qualche parte
che decisamente non si trovava in Inghilterra e tanto meno sulla Terra.
Alla
fine Jill sorrise divertita: chissà se suo padre avesse mai
immaginato qualcosa
del genere, quando le aveva detto che trasferendosi avrebbe vissuto una
nuova
avventura.
Ma
c’era chi non
l’aveva preso altrettanto bene. Eustace, non appena aveva
posato i piedi sul
solido, era scivolato a terra guardandosi attorno sconvolto. Vista la
sua
reazione e non sembrando aver nessuna ferita, i marinai lo avevano
ignorato
voltandosi verso il loro Sovrano. Eustace, invece, era arretrato fino
al
parapetto posandovisi con la schiena. No, doveva essere un sogno. Era
l’unica
spiegazione. Presto si sarebbe svegliato e…
“Ahhh!”
Il grido di
Eustace fece voltare tutti, anche chi fino a quel momento non si era
neanche
accorto della sua presenza. Edmund nel farlo aveva sbuffato.
“Sono
perseguitato! Toglietemelo di dosso!!!!”
Eustace si
alzò
in piedi agitando le mani davanti a sé. Neanche pochi passi
e inciampò in una
corda e si ritrovò di nuovo a terra. E a poca distanza da
lui, videro un grosso
topo con una piuma dietro l’orecchia e uno spadino al fianco.
Lo sguardo di
quest’ultimo andava dall’indignato al divertito.
“Credo
che le
vostre reazioni siano esagerate, signore. Vi pregherei di
calmarvi!”
Eustace, che
non lo aveva neanche sentito, vedendolo di nuovo vicino a
sé, riprese a gridare
e ad agitarsi.
“Va
via! Stammi
lontano! Brutta bestiaccia!”
Il topo scosse
la testa rassegnato. “Strillate come un poppante!”
Poco lontano,
Lucy e Edmund lo riconobbero subito e sorrisero felici.
“Ripicì!”
Sentendosi
chiamare, il topo, che altri non era che il topo-guerriero che
valorosamente
aveva aiutato i Sovrani nella battaglia contro Miraz, raggiunse
velocemente i
due ragazzi, inchinandosi loro.
“Vostre
Maestà,
è un onore per me ricontrarvi!”
Lucy sorrise
entusiasta. “Rip, sono così felice di poterti
rivedere!”
Edmund accanto
a lei annuì. “Un vero piacere!”
Rip si
rialzò
inclinando il capo sorridendo. “Oh, il piacere è
tutto mio, Vostre Maestà.
Posso chiedervi cosa ne facciamo di quell’isterico intruso?
Per caso lo
conoscete?”
Lucy e Edmund
soffocarono una risata. Se lo conoscevano… anche troppo, per
loro sfortuna.
Edmund sorrise divertito.
“Purtroppo
sì,
Rip.”
Caspian lo
guardò incuriosito, lanciando un’occhiata a
Eustace che sconvolto si stava
rimettendo in piedi sorreggendosi al parapetto. “Chi
è ?”
Lucy lo
guardò
sconsolata. “Nostro cugino.”
Ripicì
la
guardò poco convinto. “Immagino di lontano
grado… non avrei mai osato arrecarvi
una simile offesa, Maestà, ipotizzando una sua parentela con
voi.”
Edmund rise.
“Purtroppo è la
verità…”
Di nuovo le
loro parole vennero interrotti dalle grida di Eustace. Il gruppo si
voltò quasi
esasperato verso di lui.
“Quell’orribile
ratto gigante voleva strapparmi gli occhi! Perché tutta la
specie c’è la con
me?”
I tre ragazzi
scoppiarono a ridere, mentre Ripicì si voltò
verso di lui piuttosto irritato:
non sopportava che qualcuno interpretasse male le sue buone intenzioni.
“Volevo
solo
accertarmi delle vostre condizioni, signore, dato che eravate
accasciato a
terra!”
A quelle
parole, Eustace sgranò gli occhi e per qualche istante
boccheggiò come se non
riuscisse più a respirare. Alla fine puntò il
dito contro Ripicì, fissandolo
sconvolto.
“Ha
parlato!
Quel ratto ha parlato! Lo avete sentito? Qualcun altro lo ha
sentito?!?”
Edmund sorrise
ironico verso il cugino. “Se è per questo parla
sempre.”
Caspian a sua
volta sorrise e annuì. “La difficoltò
è farlo stare zitto.”
Ripicì,
che
aveva capito che nessuno dei due ragazzi voleva offenderlo, si
avvicinò e si
inchinò sorridendo verso Caspian.
“Nel
momento in
cui non vi sarà niente da dire, Vostra Altezza, io vi
prometto che me ne starò
zitto.”
“Buon
senso che
qualcun altro non ha…”
A quella voce
sconosciuta, Lucy, Edmund e Caspian si voltarono per capire chi avesse
parlato.
Ci vollero loro alcuni secondi prima di rendersi conto che a parlare
era stato
niente di meno che Billy, il furetto di Jill. Lucy e Edmund lo
guardarono a
bocca spalancata, mentre l’animaletto si fermò a
pochi passi da Ripicì.
“Tu
parli?!?”
Edmund era
scioccato. Lucy quanto lui e la ragazza si rese conto, alzando lo
sguardo, che
anche Jill fissava la scena con gli occhi sgranati: neanche lei doveva
esserselo immaginato.
“Sì,
parlo.
Così almeno potrò ribattere a
quell’insopportabile ragazzo!”
Ripicì
sorrise
e sembrò apprezzare di trovarsi d’accordo con il
nuovo compagno di viaggio.
“Credo
che noi
due potremo andare d’accordo.”
Eustace,
vedendo i due animali parlare, stava credendo veramente di essere
impazzito.
Anzi, erano tutti gli altri che dovevano essere impazziti. E Lucy e
Edmund ne
erano i capi: doveva essere una specie di pazzia contagiosa.
“Ora
basta! Voglio
tornare a casa! Non avete diritto di tenermi qui!”
Edmund lo
guardò sarcastico. “Se vuoi, Eustace, puoi
ributtarti in mare di nuovo. Io di
sicuro non ti tratterò. Anzi… approverei in
pieno.”
Lucy gli
lanciò
un’occhiata di rimprovero. “Edmund!”
Caspian si
voltò
verso i due amici guardandoli perplesso. “Voi non vi siete
comportati così la
prima volta che siete venuti a Narnia, vero?”
Edmund scosse
la testa. “No… è nostro cugino che deve
avere qualche problema comportamentale.
Infatti, Jill non ha fatto nessuna scenata.”
Caspian lo
guardò senza capire. Lucy sorrise e raggiunse la ragazza,
rimasta fino a quel
momento in disparte, prendendola per mano.
“Vieni.”
Jill
annuì e le
due si ritrovarono davanti a Caspian e Edmund.
“Caspian,
questa è Jill Pole. Una nostra amica. Jill, questo
è Caspian… Re Caspian.”
A quelle
parole, Jill sgranò gli occhi e cercò di
inchinarsi, ma un gesto della mano di
Caspian la fermò. Il ragazzo sorrideva.
“Non
preoccuparti, non serve. È un piacere conoscerti
Jill.”
La ragazza
sorrise sollevata. “Il piacere è mio.”
La voce di
Ripicì li fece voltare verso di lui. “Tanto di
cappello, signora. Si vede che
siete amica delle Loro Maestà.”
Jill sorrise
senza capire, mentre Billy sgattaiolò accanto a lei e
tornò a posizionarsi
sulla sua spalla. Jill gli lanciò uno sguardo eloquente del
tipo c’è qualcosa che tu
mi devi spiegare.
“La
mia Jill è
una ragazza straordinaria… l’opposto di
quell’altro.”
Quell’altro,
ovvero Eustace, quasi lo avessero chiamato, riprese a lamentarsi
guardando in
cagnesco tutti coloro che si trovavano sulla nave.
“Vi
farò
arrestare per rapimento! Vi farò sbattere in galera! Esigo
che mi riportiate a
casa!”
Edmund lo
guardò scocciato, parlandogli come se fosse tonto.
“Eustace,
siamo
in pieno oceano. O-CE-A-NO. L’unico modo che hai per
liberarci della tua
presenza è tornartene a mollo tra le onde!”
Lucy lo
guardò
leggermente più comprensiva. “Non possiamo
tornare, Eustace.”
Eustace lo
guardò
sconvolto. “Non è possibile! Voi non potete
trattenermi qui contro la mia
volontà!”
Jill lo
guardò
irritata: non sopportava proprio la sua ottusità. Non ci
voleva tanto per
capire che momentaneamente non potevano andarsene. “Scrubb,
anche uno stupido
capirebbe che ora non possiamo andare da nessuna parte. Siamo a Narnia
e…”
Eustace si
tappò le orecchie. “Eh, no! Non cominciare pure
tu, Pole! Voi volete vedermi
impazzire, ne sono certo! Riportatemi a casa!”
Lucy, Edmund e
Jill parlarono in coro. “Sei sordo? Non possiamo!”
Caspian li
guardò sorridendo divertito. Il cugino di Lucy e Edmund non
aveva decisamente
preso bene il suo arrivo a Narnia. Il giovane Re si chiese cosa potesse
fare
quel ragazzo per Narnia… che cosa potesse fare
più di Peter… e di Susan. Consapevole
di non aver diritto di dubitare di Aslan, Caspian ricacciò
indietro quei
pensieri.
Eustace, a
quella risposta, si era posato disperato al parapetto, guardando
angosciato le
onde.
“Che
destino
crudele… morirò lontano da casa, senza sapere
dove mi trovo!”
Una voce
profonda gli rispose poco lontano da lui.
“Siete
sul
Veliero dell’Alba, la più bella nave della flotta
di Narnia.”
Eustace si
voltò lentamente verso chi aveva parlato e per qualche
istante lo fissò muto.
Davanti di lui si ergeva un Minotauro dal pelo scuro. Si chiamava
Tavros e
durante la battaglia contro Miraz si era dimostrato un guerriero forte
e
fidato. Ma per il resto, era gentile e non faceva male a nessuno.
Eustace
questo non lo sapeva e, forse, non ci avrebbe creduto neanche. Il
ragazzo emise
un verso strozzato e si accascio privo di sensi sulle assi del ponte.
Era stato
tutto decisamente troppo per lui. Tavros, accorgendosi che era svenuto,
si
voltò preoccupato e quasi sentendosi colpevole verso Caspian
e gli altri, che
nel frattempo non erano riusciti a scoppiare in una sonora risata.
“Ho
detto
qualcosa di strano?”
Caspian
sorrise
e scosse la testa. “No, ma penso che per lui sia stato
troppo. Occupati di lui,
Tavros.”
Il Minotauro
annuì. “Come desiderate, Vostra
Maestà.”
Caspian, a
quel
punto, si voltò verso Lucy e Edmund sorridendo loro. Subito
dopo, si diresse
sulla scaletta che portava al ponte del timone. Tutto
l’equipaggio si voltò
verso di lui. Caspian li guardò per un istante prima di
parlare con voce ferma
e forte.
“Uomini,
rendete omaggio ai nostri naufraghi…”
A quelle
parole, Lucy e Edmund si guardarono sorridendo emozionati. Quanto era
mancata
loro Narnia. Era lì che si sentivano veramente a casa. Jill,
invece, li guardò
senza capire e, quando Caspian riprese a parlare, la ragazza
sgranò gli occhi
per lo stupore.
“…
Edmund il
Giusto e Lucy la Valorosa! Grande Re e grande Regina di
Narnia!”
A quelle
parole, tutto l’equipaggio del Veliero dell’Alba si
inginocchiò sul ponte,
abbassano il capo con rispetto. Jill, in disparte, li fissava
affascinata,
stringendo al petto Billy. Gli occhi dei Lucy e Edmund brillavano di
emozione:
ogni volta era come la prima volta. Come il giorno in cui erano stati
incoronati, come il giorno in cui avevano capito che il loro cuore
sarebbe per
sempre rimasto legato a quella magica terra. Ed ora erano di nuovo
lì, a
Narnia. E una nuova avventura stava per iniziare.
Salve
a tutti! ^-^ Anche sta volta è
passato un po’ dall’ultimo
aggiornamento… il fatto è che ho un sacco di cose
da
fare (in primis: l’università) e non voglio
rischiare di buttare su! Dall’altra
parte però… quando inizio non mi fermo
più. O.O Ok, forse il capitolo mi è
venuto giusto un tantino lungo… voi che dite? XD E che io mi
faccio lo schema
del capitolo e poi scrivo: solo dopo mi accorgo della lunghezza! XD
Però poi
non riesco a dire “questo pezzo lo metto nel prossimo
cap”. Però, dai, almeno
così mi faccio perdonare. Vero che mi perdonate se aggiorno
circa una volta al
mese? ^-^’
Ma veniamo al capitolo (che non ho avuto tempo di rileggere XD). Vi
è piaciuto
come ho descritto gli avvenimenti alle Isole Solitarie? Spero di
sì. Poi siamo
passati a Caspian… e subito dopo una sorta di flasch-back
sull’arrivo a Narnia.
Che ne dite? Beh, poi l’arrivo sul Veliero seguiva un
po’ il film… spero di non
averlo reso troppo simile. ;) Aspetto le vostre recensioni, mi
raccomando! ^-^
E nel PROSSIMO CAPITOLO… beh, vedremo
come si ambientano i nostri eroi
sul Veliero: soprattutto Jill e Eustace. E
dall’America… sarà finalmente
arrivato il giorno del ricevimento del console! Con annesso William
alla
conquista della nostra Susan! XD Meglio che chiami Peter a
controllarlo, vero?
Chissà che succederà… XD
Ma
ora veniamo alla porta più importante
di questo mio angolino, ovvero i ringraziamenti:
·
Per
le seguite: aleboh,
ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My
world, GossipGirl88,
ImAdreamer99, Joy_10, katydragons,
Shadowfax e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: aleboh,
english_dancer e MoonyMoon
·
Per
le ricordate: katydragons
·
Per
le recensioni del capitolo 5: Fly_My world,
Shadowfax e SusanTheGentle
Grazie,
grazie a tutti! ^-^ Non so veramente come ringraziarvi! ;)
Ops, quasi dimenticavo… vi ricorderete che vi avevo chiesto
di aiutarmi a
scegliere un’attrice per dare volto a Jill, vero? Forse ho
deciso… ditemi che
ne pensate, se non vi va cambio. Allora, ero indecisa tra Abigail
Breslin e
Dakota Blue Richards (non che le altre fossero da scartare, anzi me le
tengo in
serbo per possibili futuri personaggi… ma mi sono basata su
criteri molto
scientifici… sul fatto che sono le uniche di cui ho visto
qualche film! U.U): e
alla fine ho scelto. Basandomi anche sul fatto che di una delle due ho
rivisto
un film pochi giorni fa con mia cugina… ho scelto Dakota
Blue Richards (non
linciatemi! Lo so che è la stessa scelta di SusanTheGentle).
Il fatto è che mi
sembrava davvero adatta per tenere a bada il nostro Eustace…
e poi nella Bussola
d’Oro (il suddetto film) il suo daimon si trasforma anche in
una specie di
furetto! *-* Non me lo ricordavo! ;) Che dite? Se non vi va bene,
cambio. Ditemi
solo che ne pensate…
Sì,
non vi lascio ancora in pace … perché ho un altro
favore da chiedervi! ^-^’
(voi direte: aggiorna una volta al secolo e ci chiede anche favori? Lo
so,
scusate! T-T) Ma volevo sapere, tenendo conto di ciò che
è successo fino ad ora
e agli “sviluppi” che magari vi immaginate in
futuro, chi vedreste a dare il
volto ad ANN EVANS (non l’ho descritta nei
particolari… ma non fatemela bionda,
ok? Opterei più sul castano dato che il fratello ha i
capelli scuri… e occhi a
vostra discrezione - circa età Susan) e WILLIAM EVANS
(capelli scuri, neri o
giù di lì, e occhi azzurri - circa qualche anno
più di Peter)?
Con
questo vi lascio. Ancora grazie. ^-^ A presto, Hikari