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Autore: OrangeTange94    11/12/2013    2 recensioni
"Mi guardo intorno alla ricerca di qualche forma di vita, ma l’aria spessa e pesante mi fa lacrimare gli occhi.
L’acre odore di urina misto a quello di putredine mi fa bruciare le narici; non troverò mai Mellark in questo labirinto.
Su Gale, pensa, ti sai orientare nelle foreste, diamine."
dal testo
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Boggs, Gale Hawthorne, Johanna Mason, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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MEGLIO MORTO
 
Mi guardo intorno alla ricerca di qualche forma di vita, ma l’aria spessa e pesante mi fa lacrimare gli occhi.
L’acre odore di urina misto a quello di putredine mi fa bruciare le narici; non troverò mai Mellark in questo labirinto.
Su Gale, pensa, ti sai orientare nelle foreste, diamine.
Hai anche più informazioni del necessario sulla preda: un biondino in gonnella, probabilmente più morto che vivo. Forse meglio morto.
Oh quanto lo odio! Anche da mezzo morto mi fa ricordare perché non c’è partita contro di lui, perché Katniss lo preferirà sempre a me.
 
Mi batto una mano sulla testa: l’odore!
Mi faccio scivolare velocemente la bandana dal naso,  fin giù sul pomo d’Adamo e comincio a correre, non facendo molto caso alla furiosa battaglia alle mie spalle.
Sorpasso agilmente i corpi martoriati di alcuni Pacificatori accasciati a terra, privi di coscienza. Vorrei fermarmi a dar loro il colpo di grazia ma non penso di avere molto tempo a disposizione per trovare Peeta.
Mi sembra di correre da ore per gli stessi corridoi; niente finestre, solo mattonelle bianche. Io sarei impazzito anche senza essere torturato in un posto così.
Un mugolio mi fa sobbalzare quando arrivo ad un bivio, la mia mano corre alla faretra, estraggo una freccia ma lo squallido spettacolo che ho davanti mi paralizza: Boggs, corso avanti a me, sta trascinando di peso l’esile figura di quella che un tempo doveva essere una bellissima donna.
Il volto ingrigito è totalmente privo di espressività, il corpo è mutilato, ma sono gli occhi a colpirmi: sono vuoti e spenti, come quelli di Katniss quando si è svegliata nel 13, come quelli di Rory, Vick e della piccola Posy davanti alla fine del nostro Distretto, davanti alla morte di una vita, come quegli occhi  che mi seguono ovunque vada, che alimentano il mio fuoco, che mi ricordano ogni giorno per cosa sto lottando.
Una rabbia cieca mi fa tremare le mani; devo tornare indietro e farli fuori tutti.
Ma Boggs, con la Mason sistemata sulle spalle, sembra capire cosa mi passa per la testa e mi fa cenno di guardare oltre le sue spalle, dove un altro dei nostri sta trascinando Enobaria e quella che credo sia Annie Cresta.
“Il ragazzo deve essere in fondo a questo corridoio, soldato Hawthorne. Hai poco tempo; ci sono altre celle ma non sei autorizzato a liberare altri prigionieri, questi sono gli ordini”.
Vorrei girare i tacchi e lasciare che si occupino loro di Mellark, vorrei cercare Snow, che non è mai stato così vicino alla punta delle mie frecce. Maledetto bastardo.
Lo devo fare per Posy. Per la sua innocenza, per quella che hanno rubato a me, per quella che hanno rubato a Katniss.
 
“HAWTHORNE, MI HAI SENTITO?”.
Boggs, con una pistola puntata contro la mia tempia, mi risveglia.
“CORRI O SIAMO TUTTI FREGATI!”.
 
Mi giro appena in tempo per vedere che ci hanno raggiunti alcuni Pacificatori che ci sparano addosso; Boggs mi fa un cenno e comincio a correre verso il ragazzo.
Quanto mi costi, Katnip. Io che salvo il tuo ragazzo, al posto di cercare quel mostro che ti ha portato via da me.
Arrivo trafelato davanti alle celle di detenzione.
Comincio a calciare ogni porta, e, per ognuna di esse che cade, il corridoio si riempie di nuovi fetori.
Odore di feci, sangue e vomito.
La nausea mi fa tentennare alcuni secondi, finchè dietro una porta, accasciato in un angolo, scorgo la figura di quello che forse poteva essere un uomo, una volta.
Nonostante il lerciume che ricopre ogni centimetro del suo corpo, noto l’inconfondibile colore dei suoi capelli.
Sento una fitta al cuore; diamine, Mellark, riesci anche a farmi pena e ti odio ancora di più per questo.
Non so neanche perché: non sembri neanche umano, mi ricordi più un’ombra, una sfumatura, un’impronta di qualcosa che non esiste.
Merda, ma cosa ti hanno fatto. 
All’improvviso Mellark nota la luce sul pavimento e comincia, con gli occhi semichiusi, ad allungare nel vuoto le braccia alla ricerca di qualcosa. Si alza sulle ginocchia ma cade disteso in avanti in una pozza di sangue e sudiciume, troppo debole persino per camminare.
 
Stringo i denti all’idea di quello che dovrò fare.
Sento qualcosa di umido sulla guancia che corre fino alla mascella serrata per il dolore.
Sono riusciti a fare del male a uno come te; ai miei occhi sei un ragazzino indifeso, forse per questo piaci a lei.
Per quanto possa odiarti per questo, Peeta, non augurerei quello che hanno fatto a te neanche al mio peggior nemico.
 
Mi avvicino con cautela e mi chino, tentando di non storcere il naso per il tanfo che sale dal suo corpo.
Scuoto la sua spalla.
“Peeta, riesci a camminare? Siamo venuti a prenderti.. mi senti?”.
Il ragazzo alza la testa dal pavimento gelido e mi guarda fisso negli occhi.
Nel giro di pochi secondi si susseguono una serie di cose che mi prendono totalmente alla sprovvista: Peeta sembra impazzito, mi guarda in trance allungando un dito verso il mio viso.
“I...I suoi occhi”.
 
Lo guardo stupito: gli occhi della gente del Giacimento. I miei. Quelli di Katniss.
Oh no, per favore. Mi mancava solo una dichiarazione d’amore.
Ma non faccio in tempo a concludere il mio pensiero che mi accorgo che non è sollievo quello che leggo sul suo viso.
Terrore?
Ma che diamine...?
 
Senza che riesca a far nulla per impedirlo, Peeta mi stringe la mano intorno al collo urlando come un matto.
E io che lo pensavo privo di forze, il maledetto.
Devo far forza sulle gambe e respingerlo nella pozza con i gomiti, per riuscire a liberarmi.
Non ho tempo di indagare: inizio a sentire con chiarezza urla e colpi delle armi non troppo distanti.
“Permettimi, Mellark, di avere una piccola rivincita”, sussurro e, con il palmo della mano, lo colpisco sulla tempia lasciando che crolli nell’incoscienza.
Lo trascino per un braccio fuori dalla cella e me lo carico in spalla, tentando di immaginarmelo come un comune sacco di carbone.
Corri, Gale, corri.
 
Mi lancio per i corridoi pregando che non sia tardi.
Una volta all’ingresso del labirinto noto Boggs che mi attende con gli altri ex detenuti e un drappello di gente abbastanza cosciente da tenere in mano un’arma, che è appena riuscita a sedare la breve rivolta.
 
“Forza andiamo!” ulula Boggs, facendosi largo tra i cadaveri.
 
 
Sull’Hovercraft, quando mi sento totalmente al sicuro, lascio cadere su un lettino Peeta, che stringevo spasmodicamente sulla schiena.
Mi sento così impotente mentre osservo il manipolo di medici che lo attornia e comincia a prestare i primi soccorsi.
“Si deve allontanare da qui, ci lasci lavorare, per favore”, mi dice uno di loro.
Lo fisso e tutto quello che riesco a dire è: “Katniss non deve vederlo così”.
L’altro annuisce scocciato e mi fa cenno di andare.
 
 
Sono scioccato ancora quando atterriamo e rivedo Katniss, e vorrei che l’angoscia e la paura dipinte sul suo viso fossero solo per me.
 
 
 
  
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