Bonjour
Avrebbe funzionato. Doveva funzionare. Non c’era
alcun motivo di preoccuparsi.
Si, bhe, erano ormai giorni che se lo ripeteva in una
sorta di continuo corroborante mantra.
Ed oltre a fargli dimenticare le parole il giorno
della prova generale, non aveva portato alcun effetto
tranquillizzante.
La cravatta. Quella maledetta non voleva saperne di
annodarsi almeno passabilmente.
-Lascia, faccio io.-
Le sue mani riuscirono a domare l’infernale pezzo di
stoffa con pochi movimenti. Resistere all’impulso di mandare tutto all’aria e
spifferarle ogni cosa sul posto fu difficile da eseguire.
Non doveva preoccuparsi. Figurarsi se lei poteva
rifiutare.
Poteva?
No, assolutamente. Era fuori questione. Oppure queste
erano tutte paranoie non così tanto paranoie, bensì avvisaglie dal futuro che il
suo subconscio gl’inviava per evitargli oltre ad un bruciante rifiuto l’immensa
vergogna di quello che si apprestava a fare.
Naaa. Solo paranoie.
Quelle labbra non avrebbero mai potuto infliggergli
un colpo mortale.
-Lo scialle.. lo hai visto da qualche
parte?- Così dolci, con movimenti così soavi come avrebbero mai
potuto?
-Eppure l’ho messo qui prima.- Così morbide, così
pericolosamente assuefanti.
Non come le sue mani capaci di fargli risuonare il
vuoto nella testa.
-Ti ci sei seduto sopra!! Alzati!- Perché lo
picchiava in testa il suo angelo?
-Lo scialle buzzurro! Ci sono le tue chiappe
comodamente appoggiate sopra!-
Oh. Capita no?
D’accordo, forse avrebbe dovuto accorgersi dello
scialle. È che era abbastanza nervoso.
Solo che non poteva dirglielo. Vorrebbe, per vedere
la sua faccia mentre le racconta il suo, modestamente, genial piano. Però poi
quegli altri lo avrebbero scuoiato.
Quindi zitti!
Non che fosse l’unico nervoso dell’abitacolo.
Maledirlo solo per aver stropicciato un pezzo di stoffa non era sintomo di
serenità interiore.
Si, ok, aveva una buona
scusante.
La tensione e il concerto e il fatto di essere in un
leggero, ironicamente parlando, ritardo.
Però tutto si sarebbe risolto come al
solito.
L’adrenalina era una buona cosa. Almeno lo sperava,
poiché altrimenti il volante stava soffrendo per nulla.
Avrebbe dovuto stringerlo meno. Le nocche stavano
degradando velocemente ad un bianco latteo.
Rilassato, così doveva stare.
Però un’isterica in lotta con le stazioni radio non
era affatto d’aiuto.
Forse,dopotutto, non era un’idea così geniale. Lei
era troppo... troppo imprevedibile.
Se non avesse capito?
Una figura meschina valeva il rischio, andasse come
andasse!
No, un momento, al diavolo l’andasse come
andasse.
Vedeva già la scena. Lei che si gettava
tra le sue braccia in preda alla gioia.
Oppure c’era la possibilità non così remota di esser
spinti giù dal palco.
Doveva evitare di farsi assalire da ansie inutili.
Non aveva mai fatto sogni premonitori, non vedeva la necessità di iniziare in
quel momento.
A meno che non lo fosse sul serio un sogno
premonitore.
No. era solo colpa della cena pesante della scorsa
sera. E della tensione. E dei calci che la donna della sua vita, che bisognava
precisare,al momento stava torturando un’indifesa cartellina raccogli
spartiti,seduta al suo fianco, gli aveva tirato nel sonno.
-Gira a destra.-
Oh, signore.
Un centimetro in più e lo investiva. A vederlo non
aveva neppure una bella cera. Un momento e poi schiattava sul
cofano.
Mandando in malora tutto il
resto.
Vecchio di merda.
Il vegliardo non aveva terminato i suoi venerandi
giorni sull’asfalto, erano riusciti ad arrivare straordinariamente in orario, le
prove per il concerto erano iniziate.
E lui stava ricapitolando quasi fosse il narratore
onnisciente di un racconto.
Bellissima.
Il viso le si illuminava durante il canto.
Adorava quelle occhiate maliziose che gli lanciava
quando c’era una strofa particolarmente romantica. Lei cantava e
lui sapeva che intendeva davvero dire quello che diceva, perché
nel dirlo pensava a lui. Glielo aveva detto lei stessa anni
prima.
In effetti si poteva definire quasi impossibile la
possibilità che quell’intuizione provenisse da lui
medesimo.
Lei sempre uguale, sorridente,strana, completamente
fuori di testa.
Un solo scopo, stupire le
persone.
Capire cosa le passasse nel cervello era zona
off-limits per le sue capacità intuitive, però avrebbe volentieri trascorso
altri anni ad alambiccarsi nel tentativo.
Le mani erano sudate, terribilmente appicicaticcie,
peggio di quando ci si versa addosso una bibita gassata e non le si lava. Per
quanto le strofinasse sui pantaloni non migliorava la
situazione.
Magari avrebbe potuto provare sulla
camicia.
No, meglio di no.
Eccola, LA Canzone. Lei radiosa sarebbe facilmente identificabile con il personaggio che rappresentava.
-Tutto qui, un bel paesino.
Ogni dì che non cambia mai.
È così che la gente vive con
semplicità!-
Ora toccava al gruppetto di sclerati che lo aveva
aiutato così tanto.
Guarda come urlavano immedesimandosi nelle loro
parti.
-Ecco il fornaio con il suo
vassoio
Lo stesso pane venderà.
È dal giorno che arrivai
Che non è cambiato mai.
Ma che vita è questa qua!-
Voleva cambiare, si sentiva dal
tono.
Avrebbe potuto accontentarla subito, era ancora in
tempo.
Sentiva la gola secca, la bocca impastata. Se si
fosse alzato la sorpresa ci sarebbe stata e non avrebbe rischiato di rovinare il
concerto.
Bastava alzarsi, nel momento esatto delle sue
battute. Quante volte lo aveva già fatto?
Poi c’era il fatto positivo dell’evitare la brutta
figura, soprattutto perché i presenti avevano assistito così tante volte alla
scena che non ci avrebbero fatto caso.
Solo non si sapeva la sua
reazione.
-La sua bella testolina non è
qua!-
Neanche la sua lo era in quel momento. Ora che cosa
dovevano cantare?
-La vita mia di certo
cambierà!-
Ah, già questo.
Che carina vederla recitare, quelle smorfie
non necessarie per immedesimarsi nel discorso. E quell’altro che più che
un vecchio libraio sembrava un macellaio.
Capiva perfettamente la sua smorfia nell’allentarsi
la camicia.
L’aveva immaginato o si era rivolto a lui quando
nominava il principe?
La sua solita occhiata strana.
-Oh, io sto sognando.
È il momento che amo più perché.. -
Perché doveva fare tutti quei gesti mentre
cantava?
-Lei si sta innamorando
E tra poco scoprirà che lui è il suo
re.-
Che occorreva agitare in aria le mani con aria
trasognata?
Orami era questione di attimi.
Che fare? Alzarsi, provare? No.
Si.
Cantare.
Magari no.
Oh si?
L’altro aveva iniziato la sua parte
recitativa.
Deglutire. Doveva farlo? Oh mamma.
Oh mamma.
Deglutire, ne sentiva il
bisogno.
Troppo tardi, aveva perso una battuta. Però poteva
usare anche solo la seconda.
Il coro replicò.
Andare? Buttarsi? Stava entrando in
panico.
No l’occasione era sfumata. Doveva attenersi al
piano.
Tutto il coro lo aveva guardato alla fine del pezzo.
Erano con lui, l’appoggiavano.
Il cofanetto, doveva metterlo in un posto comodo, in
modo da estrarlo facilmente. Oppure tenerlo già in mano
dall’inizio?
Di certo così non ci sarebbero stati
problemi.
Dov’era?
Credeva d’esser stato vicino all’infarto. Se il
cofanetto fosse svanito, tutto sarebbe stato perduto, coronarie comprese. Invece
era lì sano e salvo. Però questo non gli bastava dal trattenerlo nel controllare
continuamente che fosse ancora al suo posto.
Sempre meglio assicurarsene.
La cravatta lo soffocava. Era meglio
uscire.
Così non impazziva durante le prove e si rinfrescava
le idee.
Lo stomaco brontolava. Aveva visto un bar dall’altro
lato della strada, ce la faceva a prender un panino.
Però non sarebbe stato educato. Certo che ascoltare
le prove era come sentire un concerto due volte.
Panino? Magari solo un tramezzino veloce e senza
rucola, che poi gli s’incastrava tra i denti. O una barretta di cioccolato da
sgranocchiare nell’attesa. Ed anche una bottiglietta d’acqua che lei aveva quasi
finito, cos’ avrebbe avuto la scusa di voler fare un gesto carino nei suoi
confronti, che lei avrebbe sicuramente apprezzato ed oltre a sorridergli grata
sarebbe stata meglio disposta nei suoi confronti.
Si occorreva necessariamente una bottiglia
d’acqua.
Iniziava il concerto. Aprì per l’ennesima volta il
programma. Ancora cinque canzoni, poi si entrava in scena. Sarebbe andato tutto
bene.
Tutto bene.
Anche se era l’omonimo del personaggio, non
significava che lei avrebbe rifiutato.
Clelia non era Belle. Molto più manesca in effetti.
Bionda, con dei chiletti in più così morbidi.
Doveva sperare che la sua trovata non la mettesse
talmente in imbarazzo da portarla a rifiutare per principio.
Però lei lo sorprendeva ogni benedetto giorno: era
giunto il momento di ricambiare.
Bel ritmo comunque.
Ecco. Il silenzio. Le prime
note.
I violini. Poi i clarinetti. Botta e
risposta.
La sua voce che s’innalza ed invade la sala. Dolce.
Senza tanti fronzoli.
Doveva ignorare il battito incessante del cuore,
ignorare le coronarie che rischiavano di staccarsi, ignorare il fatto che stesse
rischiando la disidratazione.
Godersi il momento, questo il
segreto.
Recitativo. Ottima interpretazione signor
fornaio.
Ora il pezzo della libreria. Perché non si
sbrigavano? Stupidi intrallazzi musicali.
Intervalli.
Quel che era.
Mancava poco. Relativamente.
Ma si sbrigavano? No, lo facevano apposta per farlo
schiattare lì, sul posto.
Se ne sarebbe ricordato. Poi da fantasma li avrebbe
tormentati nel sonno.
No. doveva concentrarsi.
Di nuovo il pezzo di lei che crede di parlare con una
pecora. Guarda troppi cartoni animati, davvero.
Ecco era arrivato il momento.
Lo stacco musicale di qualche
secondo.
Il tizio che interpretava il nanetto inizia a
parlare, e velocemente lo incoraggia con un occhiolino.
Respiro profondo. E via.
-Lo so!-
Era in piedi, non doveva
sbagliare.
-Ben detto tizio, ed adesso ti dirò chi sarà la mia
prossima preda.-
Lui la indicò.
-Proprio lei sarà lei la fortunata che sposerò.-
-La più
bella ragazza del paese-
-Quindi
è la migliore... e non mi merito il meglio io?-ora doveva impostare la
voce.
-L’ho detto subito dal primo
istante
Non è possibile sbagliar
Così belle non ce né,.
È avvenente quanto me,
Sono certo la desidero sposar!-
Ecco lo aveva fatto. Si era in un qual modo
dichiarato cantando. E soprattutto l’aveva stupita. Lo poteva vedere nei suoi
occhi.
Intanto le tre schizzate cantavano la parte delle
bionde oche.
Non importava. Lei lo guardava in modo strano, ed il
suo cuore sembrava non funzionasse più. Doveva rispondere. Doveva sapere.
–Largo!-
Si era avvicinato a lei, cofanetto in
mano.
-Mi scusi... fammi
passare!-
Si era inchinato, ed i suoi occhi non avevano mai
smesso di seguire quelli ci lei, immobili a fissarlo.
Le aveva preso la mano.
Lei aveva sussultato, forse tornando al mondo reale.
Toccava a lei.
-La vita deve darmi un po’ di
più!-
-Vedrai che la mia sposa sarai tu!-
E mentre il coro concludeva la canzone, il cofanetto
si aprì, facendo rotolare sul palco un anello argentato.
Tra gli applausi si levò una risata di
gioia.
Poi l’uomo che aveva cantato la parte di Gaston,
strozzato dall’abbraccio della cantante che aveva recitato la parte di Belle,
informò il gruppo corale che la pazza aveva accettato.
Gli applausi raddoppiarono, accompagnati da un
improvvisato alleluia a quattro voci.
Fin
Che dire. Questo è un
esercizio di stile basato sulle due cose che amo fare di più: cantare nel coro e
scrivere.
Quest’anno il coro doveva
preparare le canzoni della Disney, e dopo l’ennesima ora passata ad ascoltare le
varie colonne sonore, mi era piaciuta l’idea di scriverci sopra
qualcosa.
Poi il tempo è passato, me
ne sono dimenticata, e non se né fatto più nulla.
Almeno fino a quella specie
di concerto in cui l’orchestra d’ensemble di Cittadella non si è messa a suonare
il brano iniziale della Bella e la Bestia. E mi sono ritornati in mente Clelia e
Gastone.
Ho pensato fosse bello
tentare di trascrivere le emozioni che si provano prima di salire su un
palco.
Ecco perché la narrazione
avviene attraverso i pensieri sconclusionati di Gastone. Solo che ho voluto
renderlo ancora più nervoso proprio per il fatto di dover chiedere la sua amata
Clelia in moglie cantando.
Inoltre i pensieri sono
scritti tenendo conto del tempo della canzone. Con alcuni momenti di pausa
nell’ultima parte.
Spero di essere riuscita a
trasmettere qualcosa.
Grazie per
l’attenzione.
I personaggi della Bella e
la Bestia appartengono a Walt Disney, così come la colonna
sonora.
La canzone utilizzata è
Bonjour.