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Autore: Fflang    12/12/2013    1 recensioni
Quando una persona scompare inizia una disperata corsa contro il tempo, contro qualcuno di cui nessuno conosce il volto o il nome, contro qualcuno che forse non troverai mai.
Il tempo passa, le speranze di ritrovare la persona amata diventano sempre meno e si inizia a pensare al peggio.
Le persone che scompaiono si vedono portare via dalla propria vita senza poter fare niente, senza poter dire ''no, riportami a casa, voglio andare a casa''. E magari lo urlano, scalciano e si oppongono alle mani che le trascinano via. Ma sono forti e alla fine vincono. Vincono sempre. Hanno sempre vinto.
Le persone che rimangono a casa pregano, piangono e fanno di tutto per trovarli. Pensano a tutto fuorché al fatto di non rivederli più. La famiglia, gli amici, i vicini di casa… tutti uniti per qualcosa probabilmente inutile.
Se sparisci non puoi, non devi sperare di essere ritrovato, perché se vieni trovato non sei sicuro in quali condizioni succederà. Certe volte è meglio che non si sappia più niente, che il tempo passi senza nessuna traccia, che nessun corpo venga trovato. Puoi sempre illuderti che chi si è perso sta bene, che è felice dove si trova.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 3  Broken.

"Nessuno ci fa del male. 
Siamo noi che ci facciamo del male 
perché facciamo cattivo
uso del grande potere che abbiamo,
quello di scegliere."

Russia, 1995.

-Spingi, spingi forza!! Ancora un piccolo sforzo e vedrai la tua bambina!- dice un'infermiera al mio orecchio. La mia bambina? no, io non credo. E' la sua bambina. Un urlo straziante esce dalle mie labbra e poi un pianto si diffonde in tutta la stanza e il dottore sorride vittorioso alzando la bambina che piange tra le sue mani. Così piccola e già così importante. L'infermiera mi sorride e mi asciuga il sudore dalla fronte, penso che sia l'unica persona buona qui dentro. Penso che pochi sappiano chi io sia e chi sia la bambina che ora urla la sua presenza. Chiudo gli occhi.

-E' bellissima.- mi dice gioiosa all'orecchio. Oh lo so che è bellissima. Il dottore è intento a pesare la bambina quando Lui entra nella saletta e velocemente si avvicina alle spalle dell'uomo.

-Allora?- domanda quasi preoccupato. Sembra quasi un papà che non vede l'ora di sapere se la sua piccola sta bene. Sembra. 

Il dottore si volta con la neonata avvolta in un lenzuolo bianco e gliela porge. Lui l'afferra lentamente e poi la stringe piano. 

-E' perfetta.- dice quasi commosso. Il dottore annuisce sorridente. La bambina allunga le mani verso il suo viso e lui ridacchia.

Si volta verso di me e si avvicina.

-Dovresti essere fiera di questo miracolo. Lo sai vero?- mi guarda orgoglioso poi mi allunga la piccola e io la prendo automaticamente. Sono sconvolta. E' così piccola che ho paura di romperla. Ma non potrei mai.

La piccola spalanca gli occhini grigi e mi guarda attentamente. 

-Ciao.- le dico, una lacrima scende dai miei occhi. Lei sorride come se potesse capirmi. Lei capisce. Guardo Alexander confusa e lui sorride.

-E' perfetta.- ripete poi la riprende tra le sue braccia e la porta via.

 

Russia, 7 Settembre 2007.

Sento delle voci soffocate e distorte intorno a me ma non riesco a capire cosa dicono. Ho già sentito questa lingua e queste voci. Provo a muovermi e ci riesco mi sento tutta indolenzita, come se fossi stata nella stessa posizione per ore. Sollevo il braccio e apro gli occhi guardandomi intorno. E' una stanza con le pareti grigie, un piccolo armadio e il letto in un angolo su qui sono stesa. Mi tiro su a sedere e le voci spariscono. C'è uno grande vetro oscurato alla mia sinistra, ricopre tutta la parete. 

-E' sveglia.- sussurra una voce. Mi volto verso la voce. Ci sono sei persone che mi osservano dall'altro capo del vetro. Le vedo offuscate ma so che ci sono. Mi alzo lentamente e con passi decisi arrivo a sfiorare lo specchio. Sono spaventati, sorrido. Alzo una mano e tocco lo specchio che si crepa. 

-Kali.- la voce di Alexander Volkov parla attraverso un microfono.

-Cosa vuoi?- dico fredda. Lo sento, ha paura.

-Voglio te.- mi dice altrettanto freddo.

-Non ho intenzione di stare in questo posto un minuto di più.- dico spingendo la mano ancora di più, un altro po' di pressione e questo stupido specchio non ci sarà più.

-Dimmi, vuoi bene ai tuoi amici e ai tuoi genitori?- mi domanda sadico. Annuisco. Bastardo.

-Allora, fossi in te, farei quello che dico.- mi dice e poi se ne va insieme a tutti gli altri e io rimango da sola.

 

Sospiro.

Hanno distrutto tutto ciò che avevano costruito per me.

Non sono altro che un esperimento per loro. Un miracolo per lui.

Ogni cosa che ho fatto è stata premeditata da lui. Lui ha fatto in modo che scappassi quell'inverno, e lui mi ha affidato ai miei genitori. Sono sempre stata tenuta sotto controllo. Ogni secondo della mia vita sono stata in trappola e non lo sapevo. Mi domando come mi sia anche potuta permettere di pensare di essere libera. Non lo sarò mai finché lui sarà vivo. Mi ha in pugno e lo sa benissimo. Fin dalla nascita sono stata sua, sono la sua bambina, la sua creatura. Ogni cosa che ho fatto, che farò è stata già pianificata. Ancora prima che nascessi. 

Ho freddo. Guardo il mio corpo indosso un pigiama di cotone bianco e una felpa con la cerniera grigia, i piedi scalzi. Torno sul letto e stringo le ginocchia al petto. 

Ricordo la donna che mi ha fatta nascere. Quando sono nata mi ha guardata come solo una mamma può fare e io l'ho amata ancor prima di vederla. Lui mi ha guardata come si guarda un animale raro, come un diamante prezioso e mi ha portata via da lei. 

Mi ha affidata a una donna dai capelli bianchi e gli occhi stanchi. 

A tre mesi camminavo perfettamente, parlavo. 

A sei mesi sapevo leggere e scrivere.

A un anno sapevo già parlare due lingue. Ero una bambina speciale dicevano tutti. 

Lui mi guardava da oltre quel vetro e applaudiva ogni volta che facevo qualcosa di bello.

-Sempre più perfetta.- diceva e dopo andava via. 

Ogni mese per una settimana veniva a prendermi e mi portava nella stanza blu con tante luci e mi faceva una visita completa. Aghi, siringhe con liquidi strani. 

Sapevo che nella struttura c'erano altri bambini li sentivo oltre la porta quando passavo e sentivo il personale che ne parlava. Erano bambini senza genitori che venivano presi perché tanto nessuno li avrebbe mai cercati. Cavie da laboratorio usate per sperimentare medicinali.

Ero una bambina intelligente e con capacità fuori dal comune, riuscivo a spostare gli oggetti col pensiero e altre cose così. 

Mi insegnarono a combattere a controllare le mie capacità. 

Poi quando avevo quasi due anni Volkov mi portò da mia madre. Diceva che ero stata brava e che voleva premiarmi. La verità era che voleva testare le mie capacità. 

La mamma stava in una stanza dall'altra parte del complesso, simile alla mia. Era bellissima come la ricordavo ma era magra e pallida, era malata. Quando mi vide entrare dalla porta mi sorrise raggiante e tentai di avvicinarmi a lei ma Alexander mi afferrò per la spalla destra e mi trattenne. Si inginocchiò dietro di me e le sorrise cattivo.

-La tua bambina è cresciuta tanto vero, Alya?- le disse. Lei annui spaventata. Non riuscivo a capire cosa stava succedendo.

-E' bellissima, proprio come te.- continuò accarezzandomi la guancia. Non mi mossi. 

-Vorresti abbracciarla?- le chiese cordiale, lei tentenno ma poi annui comunque incerta. Lui mi lasciò e mi spinse delicatamente in avanti.

-Saluta la tua mamma Kali.- mi ordinò ed io corsi tra le braccia della mia mamma che mi strinse a se. Ricordo ancora il suo profumo di gigli e credo che lo ricorderò sempre.

 Passarono esattamente due minuti poi lui mi chiamò.

-Kali, torna qui.- mi chiamo e io obbedì, le diedi un bacio sulla guancia e lei mi sorrise dolcemente accarezzandomi una ciocca di capelli, proprio come i suoi. Tornai da lui che mi prese in braccio, baciandomi la fronte. Poi si volto verso la mamma rimettendomi per terra.

-Vedi questo braccialetto che ha alla caviglia?- le chiese indicando la mia gamba sinistra. Mamma fece sì con la testa.

-Da una scossa elettrica di 200kv se disubbidisce a ciò che le dico. Questo non è mai successo, ma se ciò dovesse accadere sarebbe così forte da rischiare di ucciderla.- le disse, era una bugia. Non mi avrebbe mai uccisa, ma mamma non lo sapeva. Le lacrime iniziarono a uscire dai suoi occhi come se avesse capito quello che stava per succedere; io la guardai e tentai di avvicinarmi per consolarla.

-No!Non ti avvicinare!- mi urlò con la voce rotta dal pianto, guardai confusa la mamma.

Volkov mi strinse la spalla e poi mi passò una pistola, no, la sua pistola. Era fredda e pesante.

-Sparale.- ordinò. La mamma singhiozzò coprendosi la bocca con la mano. Non mi mossi. Avrei potuto buttare la pistola per terra, avrei potuto salvarci tutti. Non lo feci, non ero stata addestrata per quello, non mi avevano insegnato la pietà o l'amore. 

Guardavo la pistola e poi mia madre indecisa su cosa fare. 

-Kali, sparale. C'è solo un colpo e sarà meglio che vada a segno.- disse freddo. Ma non feci nulla, finché lei non parlò.

-Bambina mia, fa quello che dice. Ascoltalo.- mi disse singhiozzando. La mia mano si mosse da sola puntando verso la sua testa. Non volevo farlo, non avrei mai dovuto fare una cosa del genere. Avevo solo due anni.

Una lacrima scesa dai miei occhi che chiusi non appena il dito premette il grilletto. 

-Ti voglio bene.- poi lo sparo.

Silenzio. La pistola cadde sul freddo pavimento insieme al corpo ancora caldo di mia madre.

I miei occhi ancora chiusi, serrati. Non volevo aprirli, per nessuna ragione al mondo avrei visto cosa c'era davanti a me.

Un applauso. 

-Bravissima principessa, per un attimo ho pensato che non avresti mai sparato ma mi sorprendi sempre.- disse ridacchiando. Si inginocchiò davanti a me, le sue mani ai lati della mia testa.

-Apri gli occhi, Kali.- ordinò. Li aprì e lui sorrise. Mi prese in braccio e nascosi il viso nel incavo del suo collo e piansi come non avevo mai fatto, piansi perché avevo ucciso la mia mamma, piansi perché mio padre mi aveva ordinato di uccidere la donna che amava e rideva, piansi perché non avrei mai smesso di farlo, piansi perché era l'unica cosa che potevo fare, piansi perché non mi avrebbe mai sentito nessuno e nessuno sarebbe mai venuto a salvarmi e non avrei mai dimenticato il mio compleanno.

 

E' tornato tutto come quando ero bambina e i ricordi affiorano tutti insieme e mi colpiscono come un pugno nello stomaco.
Mi asciugo la guancia e poi la porta si apre e l'uomo che mi è venuto a prendere in Italia entra tutto sorridente nella camera.

-Buongiorno bambolina.- mi saluta venendo verso di me sorridente.
-Cosa vuoi?- domando senza guardarlo.
-Parlare.- mi risponde sedendosi davanti a me guardandomi attentamente.
-Beh io no, quindi vattene.- rispondo scontrosa voltandomi dall’altra parte.
-Kali so che sei arrabbiata…- inizia a dire ma mi volto di scatto.
-Lo sai?!- urlo -No, tu non sai nulla. Chi cazzo sei? Cosa cazzo vuoi?!- urlo e le lacrime rompono gli argini dei miei occhi iniziando a scendere sulle guance. All’improvviso appoggia le mani sulle mie spalle e mi spinge verso il suo petto stringendomi forte.
-Andrà bene, fidati di me. Ti prego, Kali. Non ti meriti tutto questo, lo so, ma non posso farci nulla per adesso. Devi solo fare quello che dicono. Sarà sempre più difficile ma ti DEVI fidare di me.- mi disse accarezzandomi i capelli e non so perché ma sentivo che potevo fidarmi, che c’era qualcosa in lui che mi impediva di odiarlo, qualcosa di familiare, qualcosa che mi ricordava me.

Rimasi stretta a lui per ore a sentire il suo respiro tra i miei capelli senza muovere un solo muscolo, non capivo cosa stesse succedendo ma poi col passere dei giorni, dei mesi e infine degli anni tutto iniziava a diventare più chiaro. Non scegliamo dove nascere, con chi nascere ma possiamo scegliere come crescere. Io volevo scegliere chi essere. 



Scrivete cosa ne pensate, ciao :) 

   
 
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