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Autore: Ale_mellark    12/12/2013    5 recensioni
questo è il 15esimo compleanno di Percy, come sarebbe dovuto essere dal mio punto di vista.
dal testo: "Le parole mi morirono in bocca. Perché d’un tratto, mi ritrovai ad avere le labbra molto impegnate". e ancora: "Quello sì, che era il momento più bello della mia vita. Peccato che ero un mago nell’attirare sfiga"
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson, Sally Jackson, Tyson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti questa è la mia prima ff su percy jackson quindi siate buoni. L’altra sera stavo tranquillamente leggendo la Battaglia del Labirinto ed ero arrivata all’ultimo capitolo, il 15esimo compleanno di Percy. Sono rimasta parecchio delusa perché mi aspettavo che succedesse qualcosa tra Percy e Annabeth, i miei personaggi preferiti. W percabeth! Quindi questo è il capitolo come avrei voluto che fosse…recensite bacioni
 
Bene, tutti penserete che il giorno del compleanno sia il giorno più bello della vostra vita, perché si diventa sempre più grandi, più maturi.
Ma per me non era così: si avvicinava sempre di più la profezia che affermava che avrei salvato o distrutto il mondo al compimento del mio sedicesimo anno. Ero già arrivato a quindici. Il tempo stava scadendo.
Per questa giornata la mamma organizzò una piccola festicciola. Aveva invitato anche Paul Stockfis, ma lui non è più un problema perché Chirone aveva manipolato la Foschia e ora ho il permesso di tornare alla Goode High School, convincendo tutti che ero innocente e che la vera colpevole fosse Kelli, la cheerleader psicopatica.
Si presentò anche Tyson e mamma cucinò delle bellissime torte azzurre, le mie preferite.
Mentre Tyson gonfiava i palloncini, Paul mi chiese una mano in cucina.
Annuii e mentre versavamo il punch, cominciò a parlare dell’anno successivo che avrei trascorso a New York, della patente che prenderò questo autunno…parlammo anche…beh di ragazze.
E allora lui mi fece una domanda che mi spiazzò: “Volevo chiederti una cosa. Sul fronte ragazze.”
Mi accigliai: “Che vuoi dire?”
“Tua madre” continuò Paul “Sto pensando di chiederle la mano”
Per poco non mi cadde il bicchiere per terra. Ero sia colto di sorpresa ma soprattutto ero meravigliato del fatto che lui mi stesse chiedendo il permesso…in confronto al mio patrigno Gabe, non c’era paragone.
Così gli risposi: “Penso che sia un’idea fantastica, Paul. Fa’ pure.”
Lui mi ringraziò e mi sorrise.
Tornammo alla festa e quando stavo per soffiare le candeline, il campanello suonò. Mi madre andò ad aprire e la vidi sbiancare; per un attimo pensai che stesse per svenire. Ma chi era?
La risposta alla domanda: era mio padre. Come sempre indossava dei bermuda, una camicia hawaiana e dei sandali.
Dopo una brillante conversazione tra Paul e mio padre, mia madre informò Stockfis che Poseidone era mio padre.
La cosa che fece sbiancare Paul fu quando Tyson corse ad abbracciare nostro padre.
Farfugliò: “Tyson è…”
“Non è mio figlio, è una lunga storia.” Lo interruppe lei.
Poi mio pare mi invitò in cucina a parlare in privato, e dopo avermi aggiornato delle novità (naturalmente negative) sull’Olimpo  mi disse anche che Tifone si stava per risvegliare a causa “del mio incidente” sul Monte Sant’Elena.
Poi gli posi la domanda che mi frullava nella testa da molto tempo: gli chiesi di Anteo, anch’egli figlio di Poseidone, che avevo sconfitto nel Labirinto.
Lui mi spiegò: “Percy ci sono creature infime che fanno molte cose orribili in nome degli dei. Questo non significa che gli dei approvino. Il modo in cui i nostri figli e le nostre figlie agiscono nel nostro nome…beh di solito rivela più cose sul loro conto che sul nostro. E TU, Percy, sei il mio figlio prediletto.”
Sorrise e in quel momento sentii che il fatto di stare lì con lui in cucina, fosse il più bel regalo di compleanno, migliore del dollaro di sabbia, ricevuto poco prima.
In quel momento mia madre mi chiamò e mio padre se ne andò, dissolvendosi in una nuvola di vapore.
Mangiammo tantissima torta azzurra e decisi di conservare una fetta che misi sopra il comodino. Durante la sera giocammo a tanti giochi da tavola, come le sciarade e Monopoli.
Tyson si rivelò molto abile a Monopoli e batté me in men che non si dica. Così andai in camera mia e lasciai loro continuare la partita.
Mi tolsi la collana del Campo Mezzosangue e la appoggiai sul davanzale. C’erano tre perle: un tridente, un Vello d’Oro e un simbolo della Battaglia del Labirinto, come i ragazzi avevano cominciato a chiamare la nostra impresa nel Labirinto di Dedalo.
Chissà quale sarà la prossima e se sarò ancora in circolazione.
Guardai il telefono sul comodino. Pensai di chiamare Rachel Elizabeth Dare. Ma non lo feci.
Svuotai le tasche di tutta la mia roba: Vortice, un fazzoletto e la chiave dell’appartamento.
Poi tastai la tasca della maglietta e mi accorsi di indossare ancora la maglietta di cotone bianco che Calipso mi aveva donato a Ogigia. Tirai fuori un fagottino di stoffa, lo aprii e trovai il rametto di trina. Mi ricordai dell’ultima richiesta di Calipso: “Pianta un giardino a Manhattan per me, vuoi?”
Così aprii la finestra e uscii sul pianerottolo delle scale antincendio.
Piantai la trina di luna in un vaso e poco dopo, spuntò una graziosa piantina argentata.
“Bella pianta” esclamò una voce.
Trasalii e il mio cuore perse un battito. Non potevo crederci. Annabeth era lì vicino a me, apparsa dal nulla.
“Scusa” disse “Non volevo spaventarti”
“Non…non c’è problema. Cioè che ci fai qui?”
“Ma come Testa d’Alghe è il tuo compleanno! Come potevo mancare?”
Divenni rosso come un peperone e sperai che le guance non fossero infuocate come le sentivo io.
Stare con lei mi metteva un certo…disagio, anche se l’altra parte di me sprizzava gioia da tutti i pori.
“Allora che mi racconti di nuovo?” mi chiese lei.
Non seppi cosa risponderle. Non era successo nulla di interessante nell’ultimo periodo. E ancora un pensiero mi ronzava nella testa, e mi ci stavo scervellando da più di un mese.
Così presi il coraggio e diedi voce ai miei pensieri: “Dobbiamo parlare Annabeth.”
D’un tratto divenne seria: “Di cosa Percy? È successo qualcosa? Mi devo preoccupare?”
“No non è successo nulla di cui preoccuparti” la rassicurai. Poi ripresi: “Dobbiamo parlare di noi due. Mi devi spiegare parecchie cose. Non posso rimanere così, senza saper più nulla. Prima mi baci e poi mi eviti. Non ci capisco più niente”
Non rispose per un bel pezzo. La vidi fissare il pavimento per un tempo indeterminato.
Così parlai io: “Mi dispiace Annabeth. Ma non ti devi preoccupare sai? Sono abituato a questo tipo di situazioni. Non sono mai stato bravo nelle…ehm relazioni.”
“Percy…” mi interruppe, ma io la ignorai: “Davvero Annabeth non è colpa tua. Io so che tu sei ancora innamorata di Luke e tenterai di riportarlo dalla nostra parte. E sappi che ti aiuterò. Non sentirti in colpa perché…”
Le parole mi morirono in bocca. Perché d’un tratto, mi ritrovai ad avere le labbra molto impegnate.
Il cervello mi si stava sfasciando in un uragano di emozioni e non riuscivo più a pensare razionalmente. Non avevo mai baciato una persona così a fondo, avevo paura di sbagliare e che lei rimanesse delusa.
Non dovetti preoccuparmi più di tanto, perché fu lei a fare il primo passo. Passò la punta della lingua sul mio labbro inferiore, quasi a chiedermi il permesso.
Schiusi le labbra meccanicamente e lei non ci pensò due volte.
Approfondimmo il bacio, mentre le nostre lingue giocavano e io la afferravo per i fianchi, attirandola a me.
Quello sì, che era il momento più bello della mia vita. Peccato che ero un mago nell’attirare sfiga.
Proprio mentre ci stavamo baciando, mia madre entrò nella stanza senza neanche bussare, cosa che mi fece infuriare moltissimo.
Io e Annabeth non riuscimmo neanche a staccarci in tempo, che mia madre era già nella stanza, paonazza in viso.
Io scattai all’indietro, cosa che fece anche Annabeth, e mormorai un: “ehm..oh”
Mia madre intanto aveva portato le mani alla bocca e stava imprecando a bassa voce.
Così si affrettò a dire: “ Ehm…Scusate se vi ho interrotto. Volevo solo avvertirvi che avevo preparato una fetta di torta anche per Annabeth. La metto in frigo, poi quando vuoi la vieni a prendere.”
Annabeth mormorò un grazie, mentre mia madre si dileguò, chiudendosi attentamente la porta alle spalle.
Il momento più bello della mia vita, quello che finora era il più normale e l’unico che mi avesse finalmente fatto sentire bene, era appena andato in fumo e diventato il momento più imbarazzante della storia. Non riuscivo a spiccicare una parola, tanto l’imbarazzo.
E Annabeth mi sorprese sempredi più, avvicinandosi pericolosamente a me e, sorridendo maliziosa, mi disse: “Dove eravamo rimasti Percy?”
Sentii allargarsi un sorriso anche sulla mia faccia e questa volta, fui più veloce io, e la baciai.
Le mordicchiai il labbro inferiore e le strinsi i fianchi, attirandola a me. Andai più a fondo con il bacio e le sue braccia si fecero strada fino ad arrivare al mio collo, che cinsero.
Avvicinò il più possibile il mio viso al suo, anche se era tecnicamente impossibile, visto che eravamo appiccicati e non c’era un millimetro di spazio tra i nostri corpi.
Finito il bacio ci guardammo a lungo, mi persi nei suoi bellissimi occhi grigi e affondai il viso nei suoi bellissimi e fluenti capelli.
Le spostai una ciocca di capelli biondi dagli occhi e gliela misi dietro l’orecchio.
A quel punto lei mi sussurrò: “Io so quello che voglio Percy. Voglio stare con te.”
Riuscii a balbettare semplicemente: “Anche io”
Non potevo crederci. Io, Percy Jackson, avevo appena baciato Annabeth Chase. E lei, mi aveva detto che voleva stare con me.
Un sacco di ragazzi ora vorrebbero essere al mio posto, e non hanno torto.
Così andammo in cucina e lei mangiò la sua fetta di torta, mentre chiacchierava con me, raccontandomi delle ultime novità, dei progressi che aveva fatto grazie al computer di appunti ricevuto in dono da Dedalo, e tanto altro…
Si fece tardi e lei dovette tornare a casa. La accompagnai in strada e lì ci baciammo di nuovo, un bacio lento e molto dolce, e ci augurammo la buona notte.
Tornato a casa, non so che espressione avessi: forse sembravo il ragazzo più felice della terra e infatti, ero veramente raggiante.
Salutai Paul, che tornò a casa sua e Tyson filò subito nella camera degli ospiti, dicendo che era veramente stanco.
Anche io usai la scusa di essere sfinito dopo la lunga giornata e fuggii in camera mia.
In realtà ero ancora sconvolto da ciò che era appena successo, pensavo fosse un sogno.
Mi stesi nel letto e mi addormentai quasi subito, forse ero veramente sfinito.
Di solito i mezzosangue sognano da schifo. I sogni sono sempre premonitori o delle specie di visioni che non portano mai nulla di buono.
Mi sorpresi parecchio, perché finalmente, dormii un sonno tranquillo, non disturbato dai soliti sogni strani. Tutto merito di Annabeth.
 
Rieccomi alla fine della storia. Inanzitutto, m  congratulo con tutti quelli che sono riusciti ad arrivare alla fine di questo poema. Grazie mille per aver letto, ci rivedremo presto con altre storie…intanto fatemi sapere cosa ne pensate. Bacioni
Ale

 
 
 
 
 
  
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