Il signor Cavaturaccioli
Era un tardo pomeriggio della
fine di un agosto torrido.
A Milano in quel periodo
cominciavano a ritornare dalla villeggiatura le prime persone che non volevano
rimanere imbottigliate nel traffico degli ultimi giorni dell’estate. Purtroppo
quei furbi erano tanti e le code ai caselli diventavano lo stesso lunghe
chilometri.
Per fortuna, il signor
Cavaturaccioli era stato ancora più intelligente degli altri e aveva preso
l’aereo da Palermo a Linate, evitando così di passare gli ultimi anni della sua
vita nel tremendo traffico della tangenziale.
Dopo che fu sceso dall’aereo
e che gli ebbero sequestrato tutti i dolci che aveva preso in Sicilia, perchè,
come disse una guardia, non si potevano importare generi alimentari da un altro
Stato, uscì dall’areoporto e prese un taxi per tornare a casa.
Mentre era seduto sul sedile
posteriore del mezzo privato, il signor Cavaturaccioli pensò che era felice di
essere tornato a casa, dopotutto. Si passò una mano nei capelli neri che ormai
cominciavano a essere grigi e guardò fuori dal finestrino. Vide piazza V
giornate, corso Buenos Aires e Piazzale Loreto esattamente come li aveva
lasciati: pieni di auto e di smog.
Poi scese dal taxi, prese la
sua valigia, pagò il conto della corsa dicendo che con quella cifra sarebbe
potuto andare a Parigi in limousine e si avviò verrso la metropolitana di
Loreto. Dopo circa un quarto d’ora la sua figura bassa e grassoccia ricomparve
in superficie alla fermata di Sesto Rondò. Attraversò la piazza omonima, ma
dopo cinque metri, sopraffatto dal calore del sole che brillava nel cielo senza
la minima intenzione di andarsene, si dovette sedere sul bordo della fontana
che si trovava nel centro della piazza. La osservò con i suoi occhi marroni e
grandi e notò che era leggermente cambiata, cioè faceva ancora schifo, dato che
era grigia e tutta imbrattata da orribili graffiti, ma al suo interno nuotavano
tantissimi pesci variopinti. Felice di questa scoperta, si rialzò, prese la
valigia, arrivò al portone del suo palazzo ed entrò, siccome era aperto.
Con enorme sforzo salì le
scale, visto che l’ascensore era guasto come al solito, e si arrampicò fino al
quinto piano. Dopo aver ripreso fiato e aver pensato di prendere un
appuntamento dal dottor Cuorebatti, si mise davanti alla porta del suo
appartamento e cercò le chiavi. Ma la sua mano sudata e grassoccia non trovò
niente nelle tasche dei pantaloni, nè in quelle della giacca. Allora frugò
nella valigia e la svuotò completamente sul pianerottolo, però non trovò le
chiavi.
“Niente panico!” si disse il
signor Cavaturaccioli “Devo stare calmo, me l’ha detto il dottore. Adesso mi
concentro e mi ricordo dove posso averle lasciate prima di partire.” E si
rammentò che forse le aveva lasciate a casa del signor Rossi, il suo vecchio
amico, che aveva visto poche ore prima di salire sull’aereo per Palermo.
Allora compose il numero sul
suo cellulare preistorico e aspettò.
“Pronto?” disse una voce
sconosciuta dall’altra parte del telefono.
“Pronto, è il signor Rossi?”
“No, mi spiace, io mi chiamo
Marroni.”
“Ah... Per caso sa dove posso
trovare Rossi?” chiese speranzoso il signor Cavaturaccioli.
“Magari lo sapessi! Io sono
il suo padrone di casa e lui mi deve sette anni di affitto arretrato!” urlò il
signor Marroni.
“In casa ha forse trovato
delle chiavi che non sono di Rossi?”
“Senta, io qui ho trovato
tutto quello che c’era sette anni fa, nè una cosa di più nè una di meno. Ciò
che manca è solo Rossi!”
“Grazie, scusi il disturbo.”
rispose il signor Cavaturaccioli e riattaccò.
Allora pensò che, dato che
gli sembrava impossibile averle perse a Palermo, doveva averle smarrite quello
stesso giorno mentre tornava a casa.
Credendo di averci visto
giusto, scese le scale di corsa, lasciò alla portinaia stupita la sua valigia e
uscì nella piazza Rondò.
La percorse in lungo e in
largo, ma non trovò niente. Poi si accorse della fontana e pensò che le chiavi gli
ci fossero cadute dentro mentre era sul bordo. Mise la mano destra dentro
l’acqua e con un grido la tirò subito fuori: un pesce verde lo aveva azzannato
al pollice e non voleva mollarlo.
Mentre urlava di dolore e
cercava di togliersi quella belva dal dito si accorse di un cartellino sul
bordo della fontana che diceva di non immergersi nell’acqua perchè i nuovi
pesci erano dei pirañas, gentile dono del presidente brasiliano alla città di
Milano, che a sua volta li aveva donati a Sesto San Giovanni. Bestemmiando
contro i brasiliani e i loro regali, continuò la ricerca con il pesce attaccato
al pollice, dato che non riusciva a toglierselo. Dopo un attentissimo a
cautissimo esame della fontana, si accorse che non c’erano le sue chiavi,
mentre era pieno di ossa di sventurati, che prima aveva scambiato per monetine.
Allora ridiscese nel metrò,
tornò a Loreto e chiamò lo stesso taxi di prima, del quale per fortuna si
ricordava il numero.
Dopo aver constatato che le
sue chiavi non erano lì, chiese al conduttore di riportarlo a Linate in fretta.
Il tassista partì in quarta, ma continuò per tutto il tragitto a chiedersi come
mai quel signore avesse un pesce che gli azzannava il pollice. Una volta
arrivato, il signor Cavaturaccioli scese dal taxi e pagò senza fiatare, perchè
sapeva di avere poco tempo. Infatti il suo aereo ripartiva alle sette e mezza
ed erano le sette e venti. Oltre a ciò, era ormai certo che le sue chiavi
fossero lì.
Corse a perdifiato dentro
l’areoporto, perdendo sangue dalla mano destra perchè il pesce gli aveva
trafitto la carne, arrivò al gate e gridò a squarciagola di fermare l’aereo che
stava partendo. Una guardia, la stessa che gli aveva sequestrato i dolci e che
ora era intenta a mangiarseli, osservando il signor Cavaturaccioli con enorme
disprezzo e credendolo completamente fuori di senno, gli assestò una
manganellata in testa e lo portò al commissariato più vicino.
Il commissario, che stava dormendo
della grossa sulla sua poltrona, si arrabbiò alquanto per la sveglia, ma,
quando vide le condizioni dell’uomo che i suoi agenti gli portarono di fronte e
che definirono come un “pericoloso terrorista”, ebbe compassione e lo liberò
dalle manette e dal pesce, che si premurò di far riportare nella fontana di
piazza Rondò.
A mezzanotte e un quarto il
signor Cavaturaccioli riuscì a tornare a casa. Prese la sua valigia in
portineria, salì le scale mogio mogio e, arrivato al quinto piano, si appoggiò
alla porta del suo appartamento.
Nessuno potrà mai immaginare
quanto fu grande il suo stupore quando vide che la porta era solo socchiusa e
che le chiavi di casa erano sul tavolo di cucina.
FINE