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Autore: Alex Wolf    13/12/2013    3 recensioni
Questa, più che una One-Shot, è una FF di 5 capitoli sul nuovo personaggio introdotto nella mia trilogia composta da "When you let her go", "Just can't let her go" e "You must go.'Cause it's time to choose".
« Non volevo dire quelle cose, mio signore. » Mi scusai appena lo percepii a poca distanza da me. Aprii le palpebre e lo vidi lontano, intento a guardarmi. « Ora devo andare. » I suoi occhi da gatto, belli e crudeli, mi seguirono finché non scomparii fra le fronde ramose in cerca del mio drago. Potevo sentirli pungere sulla schiena, come le fruste che l’avevano ferita molto tempo prima. Potevo sentire il suo respiro regolare anche da quella distanza; il battito del suo cuore. Le sue labbra che si muovevano sussurrando parole che il vento mi portava segretamente. Potevo sentire la sua anima, l’anima di Thranduil, muoversi in subbuglio mentre sparivo e uscivo dalla sua visuale, fuori dal suo controllo.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prima che iniziate a leggere, volevo premettere questa cosa. La FF non sarà composta da più di cinque capitoli, essendo la breve storia di Fanie ( Bianca ). La storia si svolge prima e durante le mia trilogia, e si aggancerà all’ultima parte di essa ( cap. 7  storia “You must go. ‘Cause it’s time to choose”. ) Detto questo, cominciamo.
 



La ragazza dei draghi. 
 


"Non so se dovrei andarmene o restare. Sto cercando di tenermi in vita, sapendo che per un’altra possibilità è troppo tardi.”
 
-Rihanna. Suicide.

 

 
 


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La luce del sole tagliò di netto le fronde arboree non appena il piccolo drago scese in planata. Atterrò con le quattro zampe a pochi metri da me e mosse la testa a destra e sinistra, dalle sue narici uscì una nuvoletta di fumo grigio. Sorrise e m’inginocchiai, allungando una mano per accarezzarlo. Le squame nere che ricoprivano il suo corpo come una corazza erano lisce al tatto, e fredde. Il piccolo essere chiuse gli occhi e strusciò il capo contro il mio palmo, emettendo dalla gola un mugolio d’approvazione. Attorno a noi, la foresta era calma e viva: con quei colori brillanti che solo Bosco Atro aveva. L’erba corta e fresca venne mossa da un leggero venticello, che accarezzò anche la mia figura. Chiusi gli occhi e inspirai a pieni polmoni; mi piaceva farlo, mi faceva sentire viva, al sicuro.
« Ebbene? » Una voce mi distrasse da quel momento di pace e tranquillità. Aprendo gli occhi mi voltai leggermente, e con la coda di uno di questi notai una lunga tunica d’argento strusciare sul tappeto verde. Tornai a guardare il drago e lo presi fra le braccia prima di issarmi in piedi.
« Mio signore, Thranduil.  » M’inchinai senza  lasciare la presa sul piccolo animale. Quando m’issai in piedi gli occhi azzurri del re mi fissavano attentamente. Lui aveva il potere di farmi sentire fuori luogo anche quando ero nel posto giusto al momento giusto. I tratti regali del suo volto era seri e le labbra sottili una linea sottile e rosea. I lunghi capelli biondi, stretti in cima dalla corona decorata con piccole foglie rosse, gli ricadevano oltre le spalle. La spada gli pendeva sulla gamba sinistra, proprio sotto la lunga tunica ricamata. « Non vi aspettavo così presto. »
« Lo so, Fanie. Ma Legolas è impegnato con il suo addestramento e io non potevo aspettare. » Ammise, congiungendo le mani dietro la schiena. Un'altra ventata d’aria fresca scompose i miei capelli, stretti in una treccia disordinata. I pantaloni che portavo, solo ora me ne potevo accorgere, avevano due grandi aloni verdi all’altezza delle ginocchia e la cosa era alquanto imbarazzante.
« E’ presto, mio signore. Il drago… »
« Presto? » Abbaio l’elfo biondo, le pupille si erano fatte piccole. « Quanto altro tempo ti occorre per addestrare un drago così piccolo?  Fanie, Legolas partirà per il concilio di Elrond fra poche settimane, e noi abbiamo bisogno di questo animale. Gran Burrone ha chiesto protezione, e noi gli abbiamo promesso un drago. »
« Mi dispiace mio signore, ma io non sono Isil: non sono in grado di scambiare dialoghi con draghi e convincerli a fare quello che voglio. Non provengo da un’altra terra in cui questo si può fare.  » Dopo che ebbi pronunciato quel nome il sovrano chiuse le palpebre per qualche secondo, stringendole come a voler scacciare un brutto e insistente ricordo che lo tormentava. Il mio sguardo cadde sulle sue mani grandi, ora stette a pugno. A primo impatto non appresi la gravità delle mie parole, solo dopo me ne resi conto. Quel nome apparteneva all’unica ragazza che era riuscita a mettere Legolas e Thranduil l’uno contro l’altro. E alla fine, il re l’aveva lasciata andare per il bene del figlio, per l’amore che provava nei confronti del suo stesso sangue. Io ero li quel giorno, prima che partissero per la guerra.
Conoscevo la storia di Isil, la guerriera comparsa da una altro mondo per lottare nella battaglia dei cinque eserciti. L’unica che era riuscita a parlare con Smaug senza esse uccisa. Era riuscita a parlare con il grande drago di Erebor senza entrare nella montagna e questo aveva scioccato tutta la Terra di Mezzo. Isil era la guerriera dagli occhi diversi: alcuni dicavano che le sue iridi erano cambiate durante la battaglia perché dentro di lei aleggiava sia il bene che il male, altri perché pensavano che il potere dei draghi fosse nel suo organismo, che scorresse nel sangue la stessa anima dei grandi alati. Sinceramente, non avevo mai creduto a tutte quelle cavolate, pensavo solamente che fosse una ragazza di un'altra terra, magari lontana dai confini della nostra, che aveva quasi distrutto una famiglia,  brava con la spada ma non abbastanza, visto che alla fine era morta e il suo corpo scomparso magicamente.  
« Non posso sforzare troppo il cucciolo, mio signore. Non sarebbe giusto per lui, e nemmeno gioverebbe alla sua salute. » Ribattei garbatamente. « Sebbene io voglia, quanto lei, che Gran Burrone sia al sicuro ho bisogno che mi creda: un drago a metà è inutile. » Sentendosi chiamato in causa il piccolo drago alzò il collo, che fino ad allora era rimasto appoggiato al mio petto, e osservò Thranduil che a sua volta fece lo stesso. Gli occhi gialli dell’animale vagarono sul viso del sovrano, poi sgusciarono verso l’erba. Con un balzo leggero cadde sul manto erboso e scrollò il corpo energicamente. Dispiegò le ali aguzze, la cui membrana nera riluceva alla luce brillante del sole, e sbuffò una nuvoletta di fumo che andò a disperdersi nell’aria. Si voltò ancora una volta verso di me e ruggì, per quanto quello potesse sembrare un ruggito, poi volò via. Rimanemmo solo io e Thranduil nel piccolo spiazzo di erba circondato dagli alberi.
« Sire », sussurrai vedendo che non attingeva a nemmeno una parola. Era colpa del mio comportamento avventato, della mia stupida frase, che aveva suscitato in lui brutti ricordi, la causa di quel silenzio. Ma quel silenzio mi faceva male. Avevo ferito, aperto e squarciato il cuore del mio sovrano senza accorgermene: tutto quello mi rendeva agitata e dispiaciuta. « Mi dispiace aver detto quelle cose su… su voi sapete chi. »
« Non parlare, Fanie. Hai già mancato troppo di rispetto al tuo sovrano. » Alzò in aria una mano per zittirmi. Ora il suo volto era ancora più scuro di prima, e i suoi occhi sembravano ghiaccio freddo e tagliente. « Non voglio più sentire la tua voce per un po’. » Si voltò, dandomi le spalle, e prese a camminare verso il suo palazzo. La tunica d’argento che volava a ogni alito di vento alle sue spalle, sull’erba verde. Chiusi gli occhi e scossi il capo, maledicendo me stessa e la mia lingua lunga. « E per inciso », il tono severo del sovrano riecheggiò nella radura, « tu non verrai da un’altra terra, ma provieni comunque da Mordor e ricordati che ho fatto un favore a Dama Galadriel nell’accoglierti nel mio regno. Non so in quanti ti avrebbero dato una seconda possibilità di vita, Ranie. Di sicuro, ora saresti già morta per uno sgarbo del genere. » La sua voce tagliò per un ultima volta l’aria e poi tutto si acquietò. La sagoma possente del re si Bosco Atro scomparve fra gli alberi. Questa volta fui io a stringere le mani a pugno, serrandole con così tanta forza che le unghie si conficcarono nella carne, costringendomi a mordere le mie stesse labbra per non gridare. Chiusi gli occhi per non cercare la figura del sovrano fra gli alberi a dargli la soddisfazione di vedermi star male. Una delle cose che amavo e detestavo allo stesso tempo di Thranduil era che lui capiva tutto solo guardando una persona negli occhi. Tutto quello che avrei voluto in quell’istante era che lui se ne andasse, realmente.
« Non volevo dire quelle cose, mio signore. » Mi scusai appena lo percepii a poca distanza da me. Aprii le palpebre e lo vidi lontano, intento a guardarmi. « Ora devo andare. » I suoi occhi da gatto, belli e crudeli, mi seguirono finché non scomparii fra le fronde ramose in cerca del mio drago. Potevo sentirli pungere sulla schiena, come le fruste che l’avevano ferita molto tempo prima. Potevo sentire il suo respiro regolare anche da quella distanza; il battito del suo cuore. Le sue labbra che si muovevano sussurrando parole che il vento mi portava segretamente.  Potevo sentire la sua anima, l’anima di Thranduil, muoversi in subbuglio mentre sparivo e uscivo dalla sua visuale, fuori dal suo controllo.
  
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