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Autore: Crocca    13/12/2013    2 recensioni
Premetto che questa è la prima ff in assoluto che scrivo; essendo appassionata di Hunger Games ho voluto dare una mia personale interpretazione di un particolare istante della storia, ovvero il momento in cui viene detto a Prim Everdeen che dovrà essere mandata a Capitol City a occuparsi dei feriti ( con l'esito che tutti quelli che hanno letto i libri sanno purtroppo D: ). Io me lo sono immaginato così.
Detto questo, mi tappo la bocca e scrivo... Buona lettura!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Presidente Coin, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Finalmente, la paura stava svanendo.
Quella paura che come pece nera mi si era appiccicata addosso da due anni e non mi aveva abbandonata più da allora, dal Giorno della Mietitura in cui venne sorteggiato il mio nome.
La paura di perdere le persone che amo di più. La paura di rimanere sola. La paura di vedere distrutto il mondo in cui sono cresciuta.
Forse il coraggio si sta sostituendo lentamente alla paura perché tutto ciò che temo maggiormente è già successo.
Mia sorella, l’unica persona che mi è rimasta oltre a mia madre, ha rischiato la vita già troppe volte; ora si trova coinvolta in una missione da cui non so nemmeno se tornerà viva. La Coin tiene segrete molte informazioni, anche a noi, che siamo la famiglia di Kat.
Per quanto riguarda il mio mondo… be’ quello è ormai ridotto ad un mucchietto di ceneri su cui un vento di morte soffia implacabilmente.
 
La notte, nei sogni, rivedo Lady che beve il latte nella ciotola, quando era troppo piccola per produrlo lei stessa; vedo mio padre sorridere a mia madre e mia sorella che mi abbraccia; vedo la nostra vecchia casa di cui non è rimasto più nulla ora.
Tutta la mia vecchia vita è scivolata via così rapidamente che a stento me ne sono resa conto.
 
Per fortuna, vivere al Tredici ha anche qualche vantaggio. Per esempio lavorare in ospedale e studiare alla scuola di medicina come ho sempre sognato. Posso aiutare tantissima gente qui. I pazienti dell’ospedale sono soprattutto soldati, molti dei quali giovanissimi, con solo qualche anno più di me e mia sorella.
Qualche volta mi piace raccontare loro delle storie: ho scoperto che può aiutarli contro il dolore, proprio come la morfamina. Però che non ci sono aghi, né iniezioni. Solo parole.
Racconto loro di com’era il mondo prima della guerra e prima degli Hunger Games. Mi piace immaginare una realtà che non ho mai conosciuto ma che, ne sono sicura, tutti noi conosceremo una volta che questa guerra sarà finita.
 
I morti in ospedale sono moltissimi. Ma c’è gente che ce la fa a sopravvivere. Molti di loro, una volta guariti, ci fanno dei regali per esprimere la loro riconoscenza. Anche io ne ho ricevuti alcuni: un biscotto rubato dalle cucine, un braccialetto fatto di corda intrecciata, una spazzola per capelli. Una volta ho perfino ricevuto un mazzo di primule.

Penso spesso a quanto potrei fare di più, a quanto vorrei essere insieme a mia sorella a combattere in prima linea. Ma credo che vogliano sfruttare a pieno le mie qualità di medico qui al Distretto Tredici e da un lato mi accontento di assecondarli, anche per il bene di mia madre. È bello lavorare insieme a lei.
Ma spesso, troppo spesso, guardando i feriti in ospedale ho il terrore di riconoscere un giorno mia sorella portata lì in fin di vita. È anche uno dei miei incubi più frequenti.
Per fortuna dagli incubi ci si può sempre svegliare.
 
Oggi sto medicando una gamba in cancrena. Tra qualche giorno assisterò alla sua amputazione ma prima devo cercare di limitare al massimo l’infezione che ha contratto.
È molto complicato. Il pus esce da tutte le parti, riconosco addirittura un tendine scoperto. Il ragazzo è sedato o urlerebbe tutto il tempo.
Prendo una garza e ci spruzzo sopra del farmaco. Nel Tredici le medicine non sono a base di erbe naturali ma di sostanze chimiche che nel Dodici non avevo neanche mai sentito nominare. Ho dovuto studiare un bel po’ di settimane prima di riuscire a riconoscerle.
“Soldato Everdeen”.
Mi volto e mi trovo faccia a faccia con un militare.
“ Ho l’ordine di condurti dalla presidente Coin. Seguimi.”
Finisco di medicare la gamba, sostituisco le bende e mi lavo le mani prima di seguire il soldato fino agli appartamenti della Coin. Sono invasa da un gelido terrore.
Il mio primo pensiero va a Katniss. “ No, non può essere ciò che temo. Lei è viva, sta bene e combatte per tutti noi.”
Animata da un nuovo coraggio, riesco a camminare fino a destinazione. Ci fermiamo davanti ad un’austera porta su cui sono incise le iniziali della presidente. Entriamo.
“ Presidente Coin, il soldato Everdeen”
Rimango sola nella stanza con lei. Incrocio lo sguardo della Coin e una nuova morsa di panico mi assale, ma non lo do a vedere. Quegli occhi glaciali e quei lineamenti netti e affilati mi fanno pensare ad una macchina di morte micidiale sul campo di battaglia.
“Soldato Everdeen…”
“Mia sorella sta bene?” Non riesco a trattenermi e le parole mi escono dalle labbra prima che io stessa me ne renda conto. La Coin rimane interdetta per qualche secondo poi sul suo viso si dipinge una smorfia indecifrabile. Probabilmente non era mai stata interrotta in un suo discorso, tantomeno da una ragazzina di quasi quattordici anni.
“ Soldato Everdeen, sei stata convocata per entrare a far parte di una missione delicata.” Ignora totalmente la mia domanda e prosegue nel suo discorso. “ Le tue doti in campo medico sono ormai note a tutti. Ed è anche noto a tutti che i medici sul campo di battaglia sono troppo pochi. I feriti arrivano qui ormai già in fin di vita e la maggior parte di loro muore per ferite troppo gravi non curate in tempo.”
Si versa dell’acqua e la sorseggia lentamente, scrutandomi attenta.
“ Il Consiglio ha stabilito che i migliori medici del Tredici vengano mandati a Capitol City dove ormai infuria la battaglia. Tu sei tra questi, soldato Everdeen.”
Sento come se mi avessero dato un pugno nello stomaco. Non riesco a riconoscere quella sensazione. Forse non l’ho mai provata prima, anche se in realtà mi sembra sgradevolmente familiare.
“ Ma presidente Coin… io non sono un medico qualificato. Non ho terminato i miei studi alla scuola di medicina.”
Continua a fissarmi con quei suoi occhi glaciali.
“ Riceverete un breve addestramento di una settimana sull’hovercraft che vi porterà a Capitol City. Non dovrai fare nulla di diverso rispetto a quello che fai normalmente in ospedale.”
Segue una pausa.
“Katniss Everdeen sta bene. La sua missione procede senza troppi intoppi.”
Di nuovo quella smorfia sul viso. La smorfia di chi tenta di sorridere ma non l’ha mai fatto nella vita.
“Accetto l’incarico”
“ Partirai domattina.” Mi congeda e io lascio il suo appartamento.
Ora riconosco quella sensazione: in effetti l’ho già provata in precedenza.
Esattamente due anni prima, quando mia sorella si è offerta volontaria al posto mio per partecipare agli Hunger Games e io non ho potuto far niente per evitarlo.
Si chiamava impotenza.
 
Varco la soglia dell’appartamento in cui viviamo io e la mamma e mi imbatto subito in un Ranuncolo affamatissimo.
Sorrido e gli do da mangiare qualche avanzo, accarezzandolo.
Mi sarebbe mancato nelle settimane seguenti quel vecchio gatto spelacchiato che Kat invece odiava tanto. Era diventato la mia ombra da quando ci eravamo trasferiti al Tredici.
Mi avvicino al mazzolino di primule che mi era stato regalato e lo annuso, prima di uscire. Devo tornare in ospedale, per l’ultima volta fino al mio ritorno.
Il profumo di primule mi accompagna lungo tutto il tragitto.
 

 


 

 
  
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