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Autore: past_zonk    14/12/2013    2 recensioni
“Solo...no. Stai qui. Non so cosa fare quando ho la febbre.”
John sorrise, intenerito, e sbuffò un tantino, divertito da quell’attitudine tanto lontana dai soliti vaneggiamenti deduttivi. Sherlock si corrucciò, occhi ancora chiusi “Sul serio…”
“Lo so, Sherlock. Non uscirò, promesso. E, per la cronaca, non mi stavo prendendo gioco di te. Lo so che non sai cosa fare quando hai la febbre…”
“Come?”
“Non sembri al top della tua chiarezza mentale, ecco. O avresti nascosto il termometro in un posto meno probabile che sotto al letto...”
Genere: Comico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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...can we please, please, please parlare di quanto sia bella quella camicia viola nella icon? Oh god, quell'uomo prima o poi mi ucciderà. 
Comunque! Sono tornata, sì, con un'altra one-shot nel fandom di Sherlock perché - parliamoci chiaramente - questo fandom è una droga continua. Ed io che mi lamentavo di quello di Doctor Who! (e, per inciso, ho messo una citazione sul medesimo nel capitolo, perché immaginare Sherlock che si riferisce al Dottore è semplicemente eccitante, non negatelo...)

Credo questa fanfic sia un tantino OOC. Non lo so, non vedo i personaggi molto a fuoco, il che sinceramente non mi preoccupa, perché dammitt', sono fanfiction XD il loro scopo è quello di intrattenere sopratutto le writers, ergo sto solo sfogando tutte le cose che ho represse (giuro ne sono un sacco)...inoltre ho la febbre, e continuavo a ripetere frasi odiose nei confronti di chiunque incrociasse anche solo il mio sguardo, quindi ho voluto "donare" questi miei ineccepibili comportamenti al nostro caro detective riccioluto (le frasi nel capitolo sono tratte da una storia vera o_ò tranne la presenza di un Jawn, io non ho un Jawn, triste me ç_ç")
Ok, basta con gli sboroni della writer, vi lascio alla storia! Fatemi sapere cosa ne pensate, anche nel caso vogliate tirarmi pomodori (cosa probabile) u_ù o aspirine per farmi stare meglio! :D
Bye! 
(CIAO SARA)
eveyzonk.
 
 
 
 
 
 
 
Winter cold.
 
 
 
 
 
La signora Hudson gli era sembrata seriamente preoccupata, quando aveva aperto la porta.
“Oh, John, Sherlock sta male!” aveva esordito, prima ancora di farlo anche solo entrare del tutto nel caro vecchio appartamento a Baker Street.
“Gli è salita la febbre?” chiese il biondo, trafficando con le buste del discount piene - per ordine di qualcuno, chissà chi - di albicocche, fazzoletti, chiodi di garofano e vaporub.
“Oh, sì, è molto irritabile,” continuò la signora, indicando le scale con un cenno “non vuole che entri, dice che non merito i suoi germi”.
“Oh, questo è sicuro, Signora Hudson”.
Per fortuna era lui stesso un dottore: non poteva immaginare Sherlock interagire con qualsiasi altro medico in una situazione del genere. Metti lo strambo detective sotto pressione di morte e tutto va liscio, aggiungi un pizzico di naso gocciolante e per magia diventa un caso borderline con tendenze paranoiche. O forse quello era il suo stato naturale e basta, chi poteva saperlo.
John Watson si diresse verso il piano superiore come un esorcista di quegli spicciolissimi film horror farciti di cliché, ma la visione che gli si dispiegò alla vista era sicuramente più spaventosa di una semplice possessione diabolica.
Sherlock Holmes stava sorseggiando, se così si poteva dire, un tè, seduto sulla poltrona riposizionata proprio di fronte la porta. Lo guardava fisso, in silenzio, i denti stretti, le labbra serrate e una vena gonfia sulla tempia sinistra.
“Sherlock ti farai esplodere la testa se continui così”
Il moro serrò ancor di più i denti.
“Ti è salita la febbre? Hai bevuto il brodo?”
Ma il brodo era ancora sulla scrivania disordinata, e il termometro nascosto da qualche parte, probabilmente sotto il letto. Non voleva ammettere di essere malato, per questo continuava a fingere di sorseggiare quel tè, a serrare i denti: era da quella mattina che  impediva a se stesso di tirare su col naso. Come se potesse controllare le falle del suo corpo con la semplice forza di volontà.
“Ti ho preso quello che hai chiesto, è qui,” disse, pescando poi qualcos’altro dalla busta “Ah, e questo dovrebbe aiutarti,” porse all’uomo il tubetto di vaporub “stendine un po’ sul petto.”
“Non-” iniziò il detective, ma appena non aprì la bocca, la dovette richiudere immediatamente. Probabilmente sentiva il bisogno di starnutire.
“Sherlock, non scherzo. Potrebbe esploderti la testa. Un grosso embolo mandatoti dal signore. Vedilo come una piaga per la tua arroganza. I greci avrebbero come minimo scatenato una strage famigliare, quindi immagino che Mycroft dovrebbe solo ringraziare me e il mio vaporub, se domani può alzarsi e andare a fare il suo onestissimo lavoro”
Il moro alzò gli occhi al cielo per un frazione di secondo.
Bastò a farlo starnutire.
Ripetutamente. Per tre volte. Con violenza.
Alla fine dell’attacco, la tazza di tè era per metà vuota. O piena, se così la si voleva vedere.
In quel momento John Watson l’avrebbe sicuramente valutata mezza vuota.
“Sai cosa. John? Se potessi trasmettere il mio malessere ad un qualsiasi bambino povero e triste nel giorno di Natale, lo farei. Ecco quanto mi rende cattivo il raffreddore.”
Starnuto.
“Molto bene, Sherlock,” disse il biondo, sguardo impassibile “fatti controllare ora, però. Prometto che a fine visita ti darò persino un lecca-lecca. A che gusto lo preferiresti?”
“Cianuro”
“Perfetto”
Pescò dalla tasca del suo cappotto invernale uno stetoscopio “Guarda cosa mi sono appena portato a casa dall’ambulatorio solo per te!” disse, fingendo un tono entusiasta.
“Non ci pensare neanche”
“Alzati la maglia,” intimò, tornando serio in un secondo.
“John, non ho a disposizione del vomito verde, ma giuro che ho i miei metodi”
Sherlock, non costringermi a ricattarti”
“Non oserest-”
“Sì che oserei. Ho una registrazione molto interessante di te sul cellulare, ricordi?”
“Joh-”
“Quella in cui canti sotto la doccia, mi pare…”
“Wats-”
“Oh. Anderson ne sarebbe estasiato”
Sherlock Holmes non poté che sbuffare ed alzarsi la maglia, scoprendo la schiena bianca. Odiava quei dannati aggeggi. Erano sempre troppo freddi, e, a quanto aveva visto, facevano assumere a chi li utilizzava una faccia brutta e arrogante, tutta concentrata e raggrinzita, una faccia alla “ah-ah, sto ascoltando il tuo respiro malaticcio”.
Quando Watson poggiò sulla sua schiena la piastrina fredda di metallo, il moro sobbalzò, nonostante se lo aspettasse.
“Respira”
Obbedì più che altro perché non poteva evitare di farlo, ma non respirò più forte del dovuto.
“Più forte”
Alzò un lembo della bocca. Almeno in qualcosa poteva non collaborare.
“Oh, grazie come al solito sei di grande aiuto, Sherlock,” disse l’altro, allontanandosi dalla sua schiena con aria annoiata.
“Dovresti prendere un antibiotico. Più tardi esco a comprarlo.”
“Potresti evitare di elencare la tua fitta agenda con tutta questa dedizione? E’ irritante, sembri uscito da
Il diavolo veste Prada, John. Eppure professi l’eterosessualità”
“John?”
“Oh, bene, hai finalmente anche tu raggiunto il grado dell’evoluzione in cui si comincia a fare delle tattiche di guerra. Ora sei al punto di non lasciare dichiarazioni, bene, bene. Se potessi mangerei nutella dalla testa rotta di una barbie di una bambina di otto anni. No che non mi serve una sedia girevole e un gatto d’accarezzare, ho tutta la cattiveria nel mio cucchiaino e nella bambola distrutta. Un emblema. Un grosso emblema della mia irritazione verso il globo tutto.”
“John potresti rispondermi sai?”
“Cos’è? Fai persino finta di leggere il giornale! Siamo arrivati ad una fase superiore, il camuffamento delle tue spicciole inesistenti capacità intellettive.”
Una serie di starnuti scosse l’uomo, che s’alzò dalla poltrona e si trascinò verso il divano, per poi stendersi e poggiare la testa contro il bracciolo.
“John, John Watson, non hai mai pensato di diventare un fenomeno da baraccone? Potresti impersonare uno hobbit, sai. Ma il vero fenomeno sarebbero le incredibili stronzate che spareresti, oh che spasso. A quel punto rifiuteresti tanto la tua esistenza da tornare indietro nel tempo con una cabina blu e offrire a tuo padre un preservativo. E forse ora non dovrei sopportare i tuoi brodini acidi”
“Fanno…” sbadigliò “davvero schifo, i tuoi brodini…”
Il tono del consulting detective si stava facendo via via sempre più lontano, e le sue battute sempre meno ad effetto.
John Watson stava ottenendo ciò che desiderava. Alzò la testa dal giornale e diede una sbirciata all’uomo disteso sul divano. Guardava un punto indistinto del soffitto con gli occhi semichiusi, sembrava provato. La febbre era scesa, lo poteva vedere dal suo colorito - pallido come al solito, ma non malato; ora la malattia stava lasciando posto ad una debolezza ben visibile.
“John…”
“Sì, Sherlock?”
“Credo mangerò un po’ del tuo brodino…”
“Bene, Sherlock,” un sorriso gli irradiò il volto.
“Ma più tardi...ora...dov’è quella coperta rossa?”
John s’alzò dalla poltrona, si guardò attorno e intercettò un plaid a toppe di varie tonalità di rosso. Si avvicinò all’altro e lo coprì. Sherlock aveva gli occhi chiusi. Sembrava un bambino: la base del naso leggermente arrossata, così come le labbra un po’ screpolate; i capelli indomabili e neri come la pece, un pigiama che gli lasciava scoperto il collo latteo e sinuoso. Per un attimo John Watson dovette resistere all’impulso di abbracciarlo e cullarlo.
Ridicolo. Ridicolo. Totalmente. Ridicolo.
“John…”
“Sì?” era ormai accucciato per terra, accanto a quel bambino malato.
“Non andare a comprare l’antibiotico, ok?”
“Perché?” parlavano entrambi a voce molto bassa.
“Solo...no. Stai qui. Non so cosa fare quando ho la febbre.”
John sorrise, intenerito, e sbuffò un tantino, divertito da quell’attitudine tanto lontana dai soliti vaneggiamenti deduttivi. Sherlock si corrucciò, occhi ancora chiusi “Sul serio…”
“Lo so, Sherlock. Non uscirò, promesso. E, per la cronaca, non mi stavo prendendo gioco di te. Lo so che non sai cosa fare quando hai la febbre…”
“Come?”
“Non sembri al top della tua chiarezza mentale, ecco. O avresti nascosto il termometro in un posto meno probabile che sotto al letto...”
Sherlock alzò debolmente un lembo della bocca in quello che sembrava un sorrisetto.
“Ora dormi, ok?”
Il riccio annuì semplicemente, stiracchiandosi nella coperta e addormentandosi con quel piccolo sorriso ancora sulle labbra. Nel sonno aveva spesso chiamato il suo nome, ed era bastato carezzargli i capelli per calmarlo.
A volte Sherlock Holmes era solo un bambino ritrovatosi cresciuto. Un bambino che nessuno aveva accudito durante le passate malattie.



Fìn.
 
 
 
 
 

 

   
 
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