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Autore: Jo_March_95    15/12/2013    0 recensioni
Prima volta che scrivo di Frank. Miscuglio di parole senza pretese, è solo un anticipazione di quello che sarà un lungo lavoro sul personaggio per cercare di capirlo più a fondo.
Sorrow waited, sorrow won.
"La gente se lo chiede spesso, come cazzo faccia Frank Gallagher ad essere così cinico e senza palle.
E' facile, per voi nelle vostre scarpe troppo comode, giudicare l'ammasso di sbagli che si nasconde sotto il cappellino sporco e la giacca di jeans fuori stagione.
In fondo non sapere un cazzo è la nuova sapienza"
" Ho incontrato Monica quando avevo il cuore talmente duro che sarebbe bastata una leggerissima pressione per farlo crollare su se stesso.
Lei aveva le vene sottili e il sorriso a pezzi e io pensavo di poterla ricomporre ma sono solo riuscito a raddoppiare i frammenti."
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank Gallagher, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sorrow found me when I was young.

 



Se lo chiedono tutti, alla fine, come possa una persona ridursi ad essere… me.
Chiusi nelle vostre casette-bomboniera preconfezionate da un Dio a cui rifiutate di sottomettervi salvo necessità imminenti, con il pollice allenato a passare da un tasto all’altro del telecomando nell’illusione di poter compiere delle scelte autonome, astenendovi dalla droga e dall’alcool e dal sesso come se punirvi preventivamente possa diminuire la condanna definitiva che forse sconterete o forse sarà abbonata sulla felicità della prossima vita..
Il vostro incubo peggiore è svegliarvi una mattina, arrivare fino in bagno col pene moscio come al solito, o la fregna intorpidita, sporgervi oltre il lavabo pieno di profumi e oggettini inutili, puntare lo sguardo verso lo specchio e /vedervi/ davvero.
Con le pupille fisse nelle palle di immondizia che avete scambiato per pozzi profondi e vi siete illusi contenessero qualcosa, le iridi contornate di poesie rinascimentali e sentimentalismi senza età, lacrime di circostanza cristallizzate al di sotto delle palpebre spugnose.. nulla può più sfuggire una volta ricevuta l’illuminazione.
E’ come quando entri in una stanza piena di trappole, finché non lo sai cammini che è una meraviglia, restare incastrato in una tagliola di ferro non è così brutto se pensi di poterne uscire vincitore. Il problema nasce quando hai una visuale completa del disastro che sarà il futuro, anche se dovesse durare un secondo sarebbe il secondo più totalizzante della vostra banale esistenza.
E ritornando alla frase d’esordio iniziale, ecco come si fa ad essere me.

Prendi un bambino, anzi no, prendi uno spermatozoo. Viene prima l’uovo o la gallina? Viene prima mio padre, che inonda mia madre che strilla come un maiale ma non puoi farle notare nulla altrimenti SBAM, pugno. Se piangi raddoppi. Se raddoppi il doppio finisci con lo scoprire che i denti ricrescono una volta sola.
Viene mio padre che tira i capelli a mia madre e si ritrova in una bara, senza palle. Lo noti da come si sono ammosciati i pantaloni attorno al pube, ci sono pieghette strane che danno un particolare senso di vuoto. In tutto questo lo spermatozoo se ne fotte di ciò che succede fuori, lo so perché ero già io, lo so perché per arrivare all’ovulo prima ho lottato contro gli altri e Darwin ha detto che per aver vinto allora devo essere stato il migliore, in realtà ho staccato la gola al Premio Nobel per la Pace durante il tragitto.
Lo spermatozoo arriva e bussa, la porta è chiusa e lo spermatozoo non vuole disturbare ma una strana legge fisica lo risucchia all’interno dell’ovulo e la vita inizia già allora a dimostrarsi ingiusta.
Nove mesi dopo nasce un bambino sottopeso, con i capelli elettrici e la gola troppo larga.
Lo so perché mia madre per farmi stare zitto mi infilava i calzini in bocca e io,credendo che fossero le sue tette mosce, ingoiavo fino a dilatare la trachea oltre l’inverosimile.

Ho imparato a chiedere scusa al rimorso, ho imparato a guardare in faccia la gente per vedere se tutte quelle belle parole del catechismo significassero qualcosa al di fuori della facciata da santi, ho imparato a mie spese cos’è resistere al flusso e cos’è lasciarsi cullare dalla marea.

Avevo nove anni e gli occhi neri e nessuno a scuola si chiedeva mai il perché.
“Perché Francis ha il braccio storto e nessuno lo porta al pronto soccorso?”
“Perché Francis disegna sempre con i pastelli neri?”
“Perché la mamma di Francis ha tirato un pugno in faccia a suo figlio al parco?”

Avevo quattordici anni e le scarpe troppo grandi.
“Perché Francis beve così tanto e non è mai ubriaco?”
“Perché Francis ha un pene disegnato su una natica?”
“Perché a Francis non fotte un cazzo di niente?”

Avevo sedici anni e la gente iniziava a chiamarmi Frank e ad evitarmi per strada.
Sono nato con il gene del barbone, sono nato già vecchio, che quello che mi mancava era un cappellino e una panchina che odorasse di ascelle.
E io il berretto l’ho trovato a diciassette anni nel bidone della spazzatura.
Non voglio parlare della vita dentro le mura domestiche perché a quel punto andrei a morire sulla panchina.
Non avevamo mura domestiche, a dir la verità.
Avevamo una fortezza, neppure sotto pagamento la gente avrebbe oltrepassato il cancello.
Quelli della protezione per l’infanzia non entravano nemmeno, si limitavano a bussare e farsela sotto quando usciva la mamma col fucile.
Così non sono mai finito nel sistema, ma sognavo spesso di essere portato via di lì. E di poter avere un orgasmo di almeno trenta minuti come i maiali ma il punto era che si trattava di bisogni equivalenti: voglia di felicità.

Ho incontrato Monica quando avevo il cuore talmente duro che sarebbe bastata una leggerissima pressione per farlo crollare su se stesso.
Lei aveva le vene sottili e il sorriso a pezzi e io pensavo di poterla ricomporre ma sono solo riuscito a raddoppiare i frammenti.
Si modellava sotto il mio sguardo e cazzo.. era la cosa migliore della mia vita perché la mia vita non era un granché.
Tenerla per mano era una sfida.
Non potevi fidarti di quelle dita nodose da bulimica perché erano capaci di farti raggiungere il nirvana e l’inferno con lo stesso biglietto di terza classe.
Aveva codine alte e ciocche verdi i giorni in cui il sole splendeva sotto quelle palpebre usurate dal vento, aveva le unghie mordicchiate e uragani negli occhi quando calava l’inesorabile notte.
Piangeva troppo ed era rumorosa, io avevo 19 anni e dei tappi per le orecchie. Con il cervello che non era altro che una barca senza vela in un oceano di Jack Daniel’s e le labbra paralitiche nell’ultimo respiro da monossido di carbonio.
Lei urlava e io stavo fermo a fissare la televisione sintonizzato su radio ashish, lei piangeva e minacciava di farsi del male e io la ferivo con i miei silenzi taglienti. L’ho portata in ospedale così tante volte che l’infermiere non faceva altro che ripetermi “la prossima è gratis”, permettendosi di ammiccare e fare l’occhiolino come fosse divertente.
La ricucivano per bene e me la spedivano indietro impacchettata di bende disinfettate.

Il giorno del matrimonio eravamo talmente strafatti che forse alla fine non ci siamo nemmeno sposati, quello vestito di bianco ero io.
Ero anche quello con il trucco e i tacchi per quanto mi ricordo.

La prima gravidanza è stata tutta un proposito e una pianificazione di questo e quello ma entrambi sapevamo che i tempi dei pretesti erano vicini.
Manca il pane e uno dei due sparisce per una settimana e torna con una busta trasparente piena di roba bianca.
Tre strisce e si può quasi fare pace, sei strisce e non mi alzo dal letto fino a dopodomani.

Ho un nuovo lavoro e brindiamo con una bottiglia di champagne, il giorno dopo dimentico di avere un lavoro. Incorniciamo la prima ecografia ma inavvertitamente si strappa.
Fila di due ore al pronto soccorsi per sei punti sul sopracciglio. Non ci sono parole per spiegare come mia moglie (si presume) in eccesso di ormoni mi abbia tirato addosso uno scalda biberon.


La seconda gravidanza è stata una rivincita perché la prima bambina era venuta su troppo facilmente. Silenziosa nella culla, mangiando lo stretto necessario e limitandosi a giudicarci da un angolo del letto.
Non se ne poteva più di quegli occhi giganti fissi su di noi, così decidemmo di darle un diversivo.

La terza è stata un imprevisto,due talmente vicine che.. Monica è stata via a fumare crack per 6/9 della gestazione, è tornata con un bambino rosso tra le braccia e gli occhi del medesimo colore. Me l’ha mollato in spalla senza troppe parole, solo una litania di “scusa scusa scusa scusa scusa”.

Quando tornava era la primavera. Pulizia, sesso, fumo.. sembravamo tutti usciti da un cazzo di musical.
Persino Lip rideva, con Monica presente. Fiona restava sempre in disparte ad assorbire tutto come una spugna e crescere sempre più bella. Ian non mi interessava granché, avevamo già un maschietto, dunque era solo un potenziamento di Lip, non un bambino vero.
L’unica differenza erano quelle efelidi ispide e nessun tratto in cui riconoscermi.

Quando Monica poi andava via era come tirare un lungo respiro di sollievo perché in genere dopo quindici giorni si stancava della farsa della famiglia felice e iniziava a strillare, tremare e sputarci addosso bidonate di sangue.
Non ha mai disfatto le valigie, l’ho vista solo portarsi via pezzi di noi.
I bambini giravano lo sguardo verso di me ogni volta che quella pazza si sbatteva la porta di casa alle spalle.
Avevano occhiaie da tossico dipendenti e polmoni pieni di catrame, ma l’unica cosa a bruciare erano i loro occhietti capaci di scavarmi dentro.
Ho provato, ho provato davvero ad essere un padre esemplare e ad amare quei mocciosi come se non portassi rancore per il modo in cui erano piombati nella mia vita, come se non fossero la cazzo di eco dell’assenza della madre.

Ogni sorsata di birra mi portava lontano, ma non nel passato, a mia madre e il suo doppio mento tremolante mentre mi sbatteva con la testa contro il frigorifero per aver pisciato nel letto, no.. mi portava lontano nella realtà stessa, come vedere le cose da un punto di vista sbiadito e inaffidabile.
Non puoi focalizzarti sulla merda che semini se hai la vista offuscata.

Birra e posso alzarmi dal letto per andare a bere un’altra birra, per girovagare per la città fingendo di non sapere che la meta è un’altra birra che mi dia la forza di arrivare al cocktail successivo, o ad un impiastro di pasticche qualsiasi senza troppi effetti collaterali.
Sigaretta e riesco ad intossicarmi la giornata assicurandomi che non duri troppo, sigaretta e posso ignorare Fiona e i suoi rimproveri da mammina prematura, Ian che mi guarda come fossi un bersaglio che prima o poi si diletterà a colpire e Lip.. cazzo Lip, spaccherei tutti i denti a quel ragazzo ma da bambino era il mio preferito. Forse perché era il preferito di Monica, forse perché volevo imparare da lui a farmi amare e lasciare con dignità.
Erba rollata in cartine aromatizzate e lei che ritorna per il solito rito di accoppiamento sembra quasi una promessa di felicità.

La neo svaginata, nove mesi dopo, è una marmocchia dalle guance gonfie e il labbro tremulo. Si capiva già allora che avrebbe avuto bisogno di amore e cazzate simili, immaginate la sfortuna di nascere in questa famiglia.
Passa talmente poco tempo tra Debbie e Carl che quasi è come se non fosse mai andata via.
Con Fiona che si nutre di questi bambini come fossero nettare, Lip che li analizza e riscopre strane formule matematiche che collegano i vagiti al senso della vita, Ian che si estranea nel suo senso di disagio e uno strano orgoglio senza fonte.

Monica va via e ritorna, va via e ritorna, va via e ritorna.
Ho la nausea e soffro di astinenza quando è ancora calda nel mio letto, mi abbandono al torpore mentre insudicia il tappeto con l’ennesima fuga nel cuore della notte. Giro come un fantasma e dormo nei cassonetti come fosse una cazzo di gita al parco giochi e non la mia esistenza che diventa lercia e marcia con valore retroattivo.

Monica ritorna e Fiona è troppo grande per non puntarle il dito contro, abbandona l’ennesimo pezzo di DNA irlandese prima ancora che possa realizzare che è rimasta con noi per undici mesi consecutivi.

La gente se lo chiede spesso, come cazzo faccia Frank Gallagher ad essere così cinico e senza palle.
E’ facile, per voi nelle vostre scarpe troppo comode, giudicare l’ammasso di sbagli che si nasconde sotto il cappellino sporco e la giacca di jeans fuori stagione. In fondo non sapere un cazzo è la nuova sapienza.

Prendi sei figli e mixali insieme: ecco non hai ottenuto nulla. Sono vita passate prima ancora che nascessero, sono incidenti di percorso che non hanno in alcun modo cambiato la traiettoria disastrata verso il burrone. Lo schianto secco finale non è il traguardo, però non sarebbe male se indolore.

Prendi una moglie che in realtà sono due persone diverse, una con i denti bianchi e la voce rauca di fumo che mi accarezza come se mi stesse toccando veramente e l’altra con le pupille ridotte a puntaspilli e le lenzuola cucite addosso che mi graffia con lo sguardo e io non so mai difendermi.
Birra e posso schivarla, sigaretta e vado via lontano, spinello e mi ritrovo di nuovo qui senza sapere perché sono scappato via.

Prendi una mamma che ti ha cambiato i pannolini nella speranza che tu li cambiassi a lei un giorno, che ti ha sputato in faccia nella speranza di poterti rendere invincibile.
Prendi un padre che non c’è mai stato se non negli incubi e sotto il letto assieme ai rimpianti, uniscilo alla madre e ai suoi insulti che si trasformano in lividi tra le scapole, il risultato è che il terzo figlio è venuto su bene, perché l’hanno preso prima che lo contagiassi. Il suo è un disordine latente, lo ha sotto la pelle ma basta ingoiare tutto e il prurito svanisce.

Ritorna ai tuoi figli che tutti ti rimproverano e invece tu vorresti solo infilarli in un cappello da prestigiatore e farli sparire e mandarli lontano da te ma poi resteresti completamente solo. A nessuno piace stare solo, io ho l’alcool che mi tiene caldo, ma quando Debbie mi abbraccia mi ritorna in mente Monica e un drink si eclissa di fronte alla potenza di quello che poteva darmi lei.

Fanculo, la gente fa bene a giudicarmi, anche io mi eviterei per strada, anche io mi farei schifo fossi stato mio figlio, devo essere ubriaco al punto giusto per vedere un lato positivo e l’unico lato positivo che stringerei a quel punto è il non poter vedere bene un lato positivo chiaro e distinto.
Fanculo a quelle sei bocche troppo larghe eco della mia, fanculo ai loro nasini che gocciolano e ai cuscini bagnati di lacrime.
Fanculo a Monica che presto tornerà con la valigia già disfatta, magari a questo giro posso infilarmi dentro e farmi portare via da lei.
Fanculo a mia madre che marcisce in prigione ma non cade mai dall’albero stecchita.
Fanculo a Frank Gallagher che è un parassita senza cuore e senza sensi, che inizia e finisce in una goccia di birra, che nuota sempre nello squallore e non affoga mai in se stesso.
La gente, la gente, fanculo alla gente.

Prendete le vitamine, fate cinque pasti al giorno e dormite otto ore a notte: non vi salverà.
Siete tutti a rischio, lo squallore non colpisce, emerge solamente.

Fate la spesa, andate in chiesa, arredate il soggiorno a tema: tutto svanirà e rimarrete solo voi, così come sono rimasto io, solo, circondato da una famiglia che è l’eco dei miei sbagli.

Solo.

                                         


                                                                     Sorrow waited, sorrow won.
                                                               (Il dolore ha aspettato, il dolore ha vinto.)
  
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